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VINCENZO

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MessaggioTitolo: domenica 6 maggio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyLun Apr 30, 2012 11:15 pm

DOMENICA 6 MAGGIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
V DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: Signore, Tu sei! E questo ci basta, per vivere, per continuare a sperare ogni giorno, per camminare in questo mondo, per non scegliere la via sbagliata della chiusura e della solitudine. Sì, Tu sei per sempre e da sempre; sei e rimani, o Gesù! E questo tuo essere è dono continuo anche per noi, è frutto sempre maturo, perché ce ne nutriamo e diventiamo forti di Te, della tua Presenza. Signore, apri il nostro cuore, apri il nostro essere al tuo essere; aprici alla Vita con la potenza misteriosa della tua Parola. Facci ascoltare, facci mangiare e gustare questo cibo dell’anima; vedi come ci è indispensabile! Manda, ora, il frutto buono del tuo Spirito, perché realizzi in noi ciò che leggiamo e meditiamo di te.

Letture:
At 9,26-31 (Bàrnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore)
Sal 21 (A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea)
1Gv 3,18-24 (Questo è il suo comandamento: che crediamo e amiamo)
Gv 15,1-8 (Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto)

Chi rimane in me fa molto frutto
L’invito di Gesù che leggiamo oggi nel vangelo è pressante; ci riguarda e ci impegna subito. Non possiamo nasconderci, il suo appello diventa impegno serio per la nostra vita. Gesù ha sempre questo scopo: scuoterci profondamente. Ha compiuto molti miracoli, nella sua vita terrena, ha dato aiuto a molte persone, e già questo ci è di aiuto e di conforto. Il suo esempio diventa un modello; abbiamo concretamente l’esempio di cosa significhi credere in Lui; avere lo stesso suo atteggiamento di attenzione per chi soffre, di misericordia per chi sbaglia, di delicatezza per chi si trova in difficoltà. Gesù ha concretamente realizzato quello che ha sempre annunciato con la sua parola, che è Parola di vita eterna. Nei Vangeli, abbiamo già l’esempio di cosa significhi essere discepoli di Gesù. È vero, Egli non ha mai nascosto le difficoltà di questo impegno! Nella nostra vita, questo lo sperimentiamo ogni giorno. Nella sua Parola non abbiamo solo un esempio, però. Gesù ci fornisce anche gli strumenti per poter vivere concretamente questo annuncio di salvezza. Il frutto della vite è opera della forza della linfa che scorre nei suoi tralci. È questa la forza alla quale possiamo attingere per superare proprio questi momenti di difficoltà. Gesù stesso è la fonte per questa opera di conversione. Approfittiamone, subito. Non lasciamo marcire l’uva sui tralci; è questo l’invito vero di Gesù: non guardare alle nostre sole forze ma rivolgerci a Lui con fiducia e speranza. È il suo modo di insegnare! Sempre ci indica come realizzare quelle verità che ci insegna! Rimanere in Cristo significa proprio questo; rivolgersi a Lui per chiedere a Lui la forza e la grazia che nella nostra vita si compia quella promessa di amore che la sua Parola contiene.
Nei discorsi di addio del Vangelo secondo san Giovanni (capitoli 13-17) l’evangelista prende spunto dalle parole di Gesù per riflettere, con il carisma che gli è proprio, sulla vita dei credenti dal tempo dell’Ascensione al ritorno del Signore. Egli si riconosce talmente legato al Signore attraverso lo Spirito di Dio che parla ai suoi ascoltatori e ai suoi lettori usando l’“io” di Cristo. Per mezzo della sua voce, il Signore rivela a coloro che credono in lui qual è la loro situazione, ordinando loro di agire in modo giusto. È durante la festa liturgica delle domeniche che vanno da Pasqua alla Pentecoste che la Chiesa propone alla lettura questi discorsi, per mostrare ai credenti cos’è infine importante per la loro vita. Attraverso un paragone, il Signore ci rivela oggi che tutti quelli che gli sono legati mediante la fede vivono in vera simbiosi. Come i tralci della vite, che sono generati e nutriti dalla vite stessa, noi cristiani siamo legati in modo vitale a Gesù Cristo nella comunità della Chiesa. Vi sono molte condizioni perché la forza vitale e la grazia di Cristo possano portare i loro frutti nella nostra vita: ogni tralcio deve essere liberato dai germogli superflui, deve essere sano e reagire in simbiosi fertile con la vite. Per mezzo del battesimo, Cristo ci ha accolti nella sua comunità. E noi siamo stati liberati dai nostri peccati dalla parola sacramentale di Cristo. La grazia di Cristo non può agire in noi che nella misura in cui noi la lasciamo agire. La Provvidenza divina veglierà su di noi e si prenderà cura di noi se saremo pronti. Ma noi non daremo molti frutti se non restando attaccati alla vite per tutta la vita. Cioè: se viviamo coscienziosamente la nostra vita come membri della Chiesa di Cristo. Poiché, agli occhi di Dio, ha valore duraturo solo ciò che è compiuto in seno alla comunità, con Gesù Cristo e nel suo Spirito: “Senza di me non potete far nulla”. Chi l’ha riconosciuto, può pregare Dio di aiutarlo affinché la sua vita sia veramente fertile nella fede e nell’amore.

Approfondimento del Vangelo (La parabola della Vigna)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far a. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Per inserire il brano nel suo contesto: Questi pochi versetti fanno parte del grande discorso di Gesù ai suoi discepoli nel momento intimo dell’ultima cena e inizia col versetto 31 del cap. 13 prolungandosi fino a tutto il cap. 17. Si tratta di un’unità molto stretta, profonda e inscindibile, che non ha pari in tutti gli Evangeli e che ricapitola in sé tutta la rivelazione di Gesù nella vita divina e nel mistero della Trinità; è il testo che dice quello che nessun altro testo delle divine Scritture è capace di dire riguardo la vita cristiana, la sua potenza, i suoi compiti, la sua gioia e il suo dolore, la sua speranza e la sua lotta in questo mondo e nella Chiesa. Pochi versetti, ma traboccanti d’amore, di quell’amore fino alla fine, che Gesù ha deciso di vivere verso i suoi, verso di noi, ancora oggi e per sempre. In forza di questo amore, quale supremo e definitivo gesto di tenerezza infinita, che racchiude in sé ogni altro gesto d’amore, il Signore lascia ai suoi una presenza nuova, un modo nuovo di esserci: attraverso la parabola della vite e dei suoi tralci e attraverso la proclamazione del meraviglioso verbo rimanere, ripetuto più volte, Gesù dà inizio a questa sua storia nuova con ciascuno di noi, che si chiama inabitazione. Egli non è più presso di noi, perché torna al Padre, ma rimane dentro di noi.

Per aiutare nella lettura del brano:
- vv. 1-3: Gesù rivela se stesso quale vite vera, che produce frutti buoni, vino ottimo per il Padre suo, che è l’agricoltore e rivela noi, i suoi discepoli, quali tralci, che hanno bisogno di rimanere uniti alla vite, per non morire e per portare frutto. La potatura, che il Padre compie sui tralci attraverso la spada della Parola, è una purificazione, una gioia, un canto.
- vv. 4-6: Gesù consegna ai discepoli il segreto perché possano continuare a vivere il rapporto intimo con Lui: è il rimanere. Come Lui va dentro di loro e rimane in loro e non più al di fuori, presso, così anche loro devono rimanere in Lui, dentro di Lui; questo è l’unico modo per essere pienamente consolati, per poter reggere nel cammino di questa vita e poter dare il frutto buono, che è l’amore.
- v. 7: Gesù, ancora una volta, lascia nel cuore dei suoi il dono della preghiera, la perla preziosissima, unica e ci spiega che dal rimanere in Lui noi possiamo imparare la vera preghiera, quella che chiede il dono dello Spirito Santo con insistenza e sa di essere esaudita.
- v. 8: Gesù ci chiama ancora a Sé, ci chiede ancora di seguirlo, di farci ed essere sempre suoi discepoli. Il rimanere fa nascere la missione, il dono della vita per il Padre e per i fratelli; se rimaniamo veramente in Gesù, allora rimarremo veramente anche in mezzo ai fratelli, come dono e come servizio. Questa è la gloria del Padre.

Un momento di silenzio orante: Come tralcio, rimango, adesso, unito alla vite, che è il mio Signore e mi abbandono a Lui, mi lascio raggiungere dalla linfa della sua voce silenziosa e profonda, che è come acqua viva. Così rimango in silenzio e non mi allontano.

Alcune domande: Che mi aiutino a rimanere, a scoprire la bellezza della vite, che è Gesù; che mi conducano al Padre, per lasciarmi da Lui prendere e lavorare, certo del suo lavoro buono di agricoltore amoroso; e che mi sospingano dentro la linfa vitale dello Spirito, per incontrarmi con lui quale unica cosa necessaria, da chiedere senza stancarmi.
a) “Io sono”: è bello che il brano inizi con questa affermazione, che è come un canto di gioia, di vittoria del Signore, che Lui ama cantare continuamente dentro la vita di ognuno di noi. “Io sono”: e lo ripete all’infinito, ogni mattina, ogni sera, quando viene la notte, mentre dormiamo e non ce ne accorgiamo. Lui, infatti, è proprio in funzione di noi; è verso il Padre suo ed è verso di noi, per noi. Mi fermo su queste parole e non solo le ascolto, ma le faccio entrare dentro di me, nella mia mente, nella mia memoria più recondita, nel mio cuore, in tutti i sentimenti che mi abitano e la trattengo per ruminarla ed assorbire quel suo Essere nel mio essere. Comprendo, adesso, dentro questa Parola, che io non sono, se non in Lui e che non posso diventare nulla, se non rimanendo dentro l’essere di Gesù. Provo a scendere nel profondo del mio essere, vincendo le paure, attraversando tutto il buio che posso trovare e raccolgo quelle parti di essere, di me, che maggiormente sento senza vita. Le prendo in mano delicatamente e le porto da Gesù, le consegno al suo “Io sono”.
b) La vite mi fa venire in mente il vino, quel frutto così buono e prezioso, mi fa venire in mente l’alleanza che Gesù compie con noi, nuova ed eterna, alleanza d’amore, che nulla e nessuno potrà mai spezzare. Sono disposto a rimanere dentro questo abbraccio, dentro questo sì continuo della mia vita, che si lascia intrecciare con la sua? Alzerò anch’io, insieme al salmista, il calice dell’alleanza, invocando il nome del Signore e dicendogli che, sì, anch’io gli voglio bene?
c) Gesù definisce il Padre suo come “agricoltore” o “vignaiolo”, utilizzando un termine molto bello che porta dentro di sé tutta la forza dell’amore che si dedica al lavoro della terra; esprime un piegarsi sulla terra, un avvicinarsi del corpo e dell’essere, un contatto prolungato, uno scambio vitale. Il Padre fa proprio così con noi! San Paolo dice però: “L’agricoltore, che si affatica, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra” (2Tim 2,6) e insieme a lui san Giacomo ci ricorda che “l’agricoltore aspetta pazientemente i frutti della terra” (Gc 5,7). Deluderò, io terra, l’attesa del Padre che mi coltiva ogni giorno, vangandomi, sgombrandomi dai sassi, mettendomi concime buono e costruendomi una siepe tutto attorno perché io rimanga protetto? A chi consegno i frutti della mia esistenza, del mio cuore, della mia mente, della mia anima? Per chi sono io, per chi decido e scelgo di vivere ogni giorno, ogni mattina, quando mi alzo?
d) Seguo con attenzione il testo e metto in evidenza due verbi, che si ripetono con molta frequenza: “portare frutto” e “rimanere”; capisco che queste due realtà sono simbolo della vita stessa e sono una intrecciata all’altra, una dipendente dall’altra. Solo rimanendo è possibile portare frutto e, in realtà, l’unico vero frutto che noi discepoli possiamo portare in questo mondo è proprio il rimanere. Dove rimango io, ogni giorno, per tutto il giorno? Con chi rimango? Gesù collega sempre questo verbo a quella particella stupenda, gigantesca: “in me”. mi confronto con queste due parole: io sono “in”, cioè sono al di dentro, vivo nel profondo, scavo alla ricerca del Signore come si scava per un pozzo (cfr. Gn 26,18) o per i tesori (Pr 2,4), oppure sono al di fuori, sempre disperso alle varie superfici di questo mondo, lontano il più possibile dall’intimità, dal rapporto e dal contatto con il Signore?
e) Per due volte Gesù ci mette davanti la realtà della sua Parola e ci rivela come sia essa a renderci puri e sia ancora essa ad aprirci la via della preghiera vera; la Parola ci viene annunciata e donata come presenza permanente in noi; anch’essa, infatti, ha la capacità di rimanere, di fare la sua casa nel nostro cuore. Però devo chiedermi: che orecchie ho, io, per ascoltare questo annuncio di salvezza e di bene, che il Signore mi rivolge attraverso le sue Parole? Faccio spazio all’ascolto, a questo ascolto profondo, di cui tutta la Scrittura mi parla continuamente, dalla Legge, ai Profeti, ai Salmi, agli Scritti apostolici? Mi lascio trovare e raggiungere fino al cuore dalla Parola del Signore nella preghiera, o preferisco affidarmi ad altre parole, più leggere, più umane e simili alle mie? Ho paura della voce del Signore, che mi parla con premura e sempre?

Una chiave di lettura: Come tralcio, cerco il modo per restare sempre più innestato nella mia Vite, che è il Signore Gesù. Bevo, in questo momento, dalla sua Parola la linfa buona, cercando di penetrare più in profondità per assorbirne il nutrimento nascosto, che mi trasmette la vera vita. Sto attento alle parole, ai verbi, alle espressioni che Gesù usa e che mi richiamano ad altri passi delle divine Scritture e mi lascio, così, purificare.
- L’incontro con Gesù, l’Io Sono: Questo brano ci offre uno dei testi in cui compare questa espressione così forte, che il Signore ci rivolge per rivelare a noi se stesso. È molto bello percorrere un cammino lungo tutta la Scrittura, alla ricerca di altri testi come questo, in cui la voce del Signore ci parla così direttamente di sé, della sua essenza più profonda. Quando il Signore dice e ripete all’infinito e in mille modi, in mille sfumature diverse “Io Sono”, non lo fa per annientarci o umiliarci, ma solo per la forza traboccante del suo amore verso di noi, che vuole renderci partecipi e vivi di quella stessa vita che a Lui appartiene. Se dice “Io Sono”, è per dire anche “Tu Sei” e dirlo ad ognuno di noi, ad ogni suo figlio e figlia che viene in questo mondo. È una trasmissione feconda e ininterrotta di essere, di essenza e io non voglio lasciarla cadere a vuoto, ma voglio raccoglierla e accoglierla dentro di me. Seguo, allora, la traccia luminosa del “Io Sono” e cerco di soffermarmi ad ogni passo. “Io sono il tuo scudo” (Gen 15,1), “Io sono il Dio di Abramo tuo padre” (Gen 24,26), “Io sono il Signore, che vi ha liberati e ancora vi libererò dall’Egitto” (cfr. Es 6,6) e da ogni faraone, che attenterà alla vostra vita, “Io sono colui che ti guarisce” (Es 15,26). Mi lascio raggiungere dalla luce e dalla potenza di queste parole, che compiono il miracolo di cui parlano; lo compiono anche oggi, proprio per me, in questa lectio. E poi continuo e leggo, nel libro del Levitico, per almeno 50 volte questa affermazione di salvezza: “Io sono il Signore” e credo a questa parola e aderisco ad essa con il mio essere, con il mio cuore e dico: “Sì, davvero il Signore è il mio Signore; Lui e non un altro!”. Noto che la Scrittura va sempre più a fondo; mano a mano che il cammino procede, anch’essa procede dentro di me e mi porta in un rapporto sempre più intenso con il Signore; il libro dei Numeri, infatti, comincia a dire: “Io sono il Signore, che dimoro in mezzo agli Israeliti” (Num 35,34). “Io sono” è il presente, colui che non si allontana, non volta le spalle per andarsene; è colui che si prende cura di noi da vicino, dal di dentro, come soltanto lui può fare; leggo Isaia e ricevo vita: 41,10; 43,3; 45,6 etc. Il santo Evangelo è un’esplosione di essere, di presenza, di salvezza; lo ripercorro, soprattutto facendomi guidare da Giovanni: 6,48; 8,12; 10,9.11; 11,15; 14,6; 18,37. Gesù è il pane, la luce, la porta, il pastore, la risurrezione, la via, la verità, la vita, è il re; è tutto questo per me, per noi e così voglio accoglierlo, conoscerlo e amarlo e voglio imparare, dentro queste parole, a dirgli: “Signore, tu sei!”. È questo “Tu” che dà significato al mio io, che fa della mia vita una relazione, una comunione; so con certezza che solo qui io gioisco pienamente e vivo per sempre.
- La vigna, la vite vera e il suo frutto buono: Vigna di Dio è Israele, vigna prediletta, vigna scelta, vigna piantata su un colle fertile, in un luogo con la terra ripulita, sarchiata, liberata dai sassi, vigna custodita, lavorata, amata, diffusa e che Dio stesso ha piantato (cfr. Is 5,1s; Ger 2,21). Tanto amata è questa vigna che mai ha cessato di risuonare, per lei, il cantico d’amore del suo diletto; note forti e dolci allo stesso tempo, note portatrici di vita vera, che hanno attraversato l’antica alleanza e sono giunte, ancora più chiare, fino alla nuova alleanza. Prima cantava il Padre, ora canta Gesù, ma in entrambi è la voce dello Spirito che si fa sentire, come dice il Cantico dei Cantici: “La voce della tortora ancora si fa sentire... e le viti spandono fragranza” (Ct 2,12s). È il Signore Gesù che ci attira, che ci porta dall’antico al nuovo, da amore in amore, verso una comunione sempre più forte, fino all’identificazione: “Sono io questa vigna, ma siete anche voi, in me”. Quindi è chiaro: la vigna è Israele, è Gesù e siamo noi. Sempre la stessa, sempre nuova, sempre più eletta e prediletta, amata, curata, custodita, visitata: visitata con le piogge e visitata con la Parola, mandata dai profeti giorno per giorno, visitata con l’invio del Figlio, l’Amore, che aspetta l’amore, cioè il frutto. “Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica” (Is 5,2); la delusione è sempre in agguato, nell’amore. Mi soffermo su questa realtà, mi guardo dentro, cerco di scoprire i luoghi di chiusura, di aridità, di morte; perché la pioggia non è arrivata? Mi ripeto questa parola, che risuona spesso lungo le pagine bibliche: “Il Signore aspetta...” (vedi Is 30,18; Lc 13,6-9). Vuole i frutti della conversione (cfr. Mt 3,8), come ci manda a dire per bocca di Giovanni, i frutti della parola, che nascono dall’ascolto, dall’accoglienza e dalla custodia di essa, come ci dicono i sinottici (cfr. Mt 13,23; Mc 4,20 e Lc 8,15), i frutti dello Spirito, come spiega Paolo (cfr. Gal 5,22). Vuole che “portiamo frutto in ogni opera buona” (Col 1,10), ma più di tutto, mi sembra, il Signore aspetta e desidera il “frutto del grembo” (cfr. Lc 1,42), cioè Gesù, per il quale siamo veramente benedetti e beati. Gesù, infatti, è il seme che, morendo, porta molto frutto dentro di noi, nella nostra vita (Gv 12,24) e sconfigge ogni solitudine, ogni chiusura, spalancandoci ai fratelli. Questo è il frutto vero della conversione, seminato nella terra del nostro grembo; questo è diventare suoi discepoli e infine, questa è la vera gloria del Padre.
- La potatura come purificazione che dà gioia: In questo passo evangelico il Signore mi offre anche un altro cammino, da compiere dietro a Lui e insieme a Lui: è un cammino di purificazione, di rinnovamento, di risurrezione e vita nuova. È velato dal termine “potare”, ma posso cercare di scoprirlo meglio, di illuminarlo grazie alla Parola stessa, che è l’unica vera maestra, l’unica guida sicura. Il testo greco usa il termine “purificare” per indicare questa azione del vignaiolo nei confronti della sua vite; certo, rimane vero che Lui pota, che taglia con la spada affilata della sua Parola (Eb 4,12) e che ci fa sanguinare, a volte, ma rimane ancora più vero il suo amore, che solamente penetra, sempre più a fondo, in noi e così purifica, lava, raffina. Sì, il Signore siede come lavandaio per purificare, o come orafo, per rendere splendente e luminoso l’oro che è nelle sue mani (cfr. Mal 3,3). Gesù porta con sé una purificazione nuova, quella promessa tanto a lungo dalle Scritture e attesa per i tempi messianici; non è più la purificazione che avveniva mediante il culto, mediante l’osservanza della legge o i sacrifici, purificazione solo provvisoria, incompiuta, temporanea e figurativa. Gesù realizza una purificazione intima, totale, quella del cuore e della coscienza, quella cantata da Ezechiele: “Vi purificherò da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo... Quando vi avrò purificati da tutte le vostre iniquità, vi farò riabitare nelle vostre città e le vostre rovine saranno ricostruite...” (Ez 36,25s.33). Leggo anche Ef 5,26 e Tt 2,14, testi molto belli e ricchi, che mi aiutano ad entrare meglio dentro la luce e la grazia di questa opera di salvezza, di questa potatura spirituale che il Padre compie in me. C’è un versetto del Cantico che può aiutarmi ancora di più a comprendere; dice così: “Il tempo del canto è tornato” (Ct 2,12), usando, però, un verbo che significa al tempo stesso “potare, tagliare” e “cantare”. Quindi la potatura è tempo di canto, di gioia. È il mio cuore che canta, davanti e dentro la Parola, è la mia anima che gioisce, per la fede, perché so che attraverso questo lungo, ma magnifico pellegrinaggio nelle Scritture, anch’io vengo reso partecipe della vita di Gesù, vengo unito a Lui, il puro, il santo, l’immacolato Verbo e rimanendo, così, in Lui, anch’io vengo lavato, vengo purificato con la purezza infinita della sua vita. Non per me, non per rimanere solo, ma per portare molto frutto, per dare foglie e fronde che non appassiscano, per essere tralcio, insieme a tanti tralci, nella vite di Gesù Cristo.

Orazione finale: Signore, ho ancora tutta la luce della tua Parola dentro di me; tutta la forza risanatrice della tua voce mi risuona ancora nel profondo dell’essere! Grazie, o mia Vite, o mia linfa; grazie, o mia dimora, nella quale posso e desidero rimanere; grazie, o mia forza nell’agire, nel compiere ogni cosa; grazie, mio maestro! Tu mi hai chiamato ad essere tralcio fecondo, ad essere io stesso frutto del tuo amore per gli uomini, ad essere vino che rallegra il cuore; Signore, aiutami a realizzare questa tua Parola benedetta e vera. Solo così, infatti, io vivrò veramente e sarò, come Tu sei e rimani. Non permettere, o Signore, che io mi sbagli così tanto da voler rimanere in te, come tralcio nella sua vite, senza gli altri tralci, i miei fratelli e le mie sorelle; sarebbe il frutto più acerbo, più sgradevole di tutti. Signore, io non so pregare: insegnami Tu e fa’ che la mia preghiera più bella sia la mia vita, trasformata in un grappolo d’uva, per la fame e la sete, per la gioia e la compagnia di chi verrà presso la vite, che sei Tu. Grazie, perché Tu sei il vino dell’Amore!

RITO AMBROSIANO
ANNO B
V DOMENICA DI PASQUA


Letture:
At 7,2-8.11-12a.17.20-22.30-34.36-42a.44-48a.51-54
Sal 117
1Cor 2,6-12
Gv 17,1b-11

Il Padre, il Figlio e i Discepoli
Di Gesù non abbiamo molte preghiere direttamente dette da lui: il Padre nostro, quella prima della risurrezione di Lazzaro, al Getsemani, sulla croce.. Qui abbiamo una lunga preghiera, molto intensa, al Padre: per Sé, per i suoi discepoli e per quelli che crederanno per mezzo loro. Viene così rievocato l’intimo legame tra il Padre e il Figlio, e l’identità del discepolo la cui chiamata e risposta di fede sono tutto dono di Dio.
Padre, glorifica il Figlio tuo: La “gloria” del Padre è rendere manifesta la sua opera di salvezza gratuita per tutti gli uomini; e Gesù proprio così riassume tutta la sua esistenza terrena: “Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare”. E ancora: “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo”. Gesù non ha fatto nient’altro che essere il portavoce e lo strumento dell’agire salvifico di Dio tra gli uomini: “Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te”. Anzi “essi sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato”. Per cui vi è identità non solo di vedute e di azione, ma di natura e potere: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie”. La manifestazione dell’amore di Dio ha un suo vertice, “l’ora”, la croce, per la quale Gesù prega perché gli riesca di andare fino in fondo nel suo gesto d’immolazione quale obbedienza al Padre, e sia quindi vera “glorificazione” del Padre: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”. Lì davvero Dio ha mostrato di dare tutto, quando “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). E Gesù ha vissuto al massimo grado la sua donazione a Dio e agli uomini: “Sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 14,1). Realizzata la sua missione, ora si aspetta quasi un riconoscimento da parte del Padre: “E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse”. Il riferimento è sia alla risurrezione sia alla sua preesistenza nel seno del Padre. Un giorno Gesù così ha sintetizzato la sua vicenda, terrena ed eterna: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16,28). Paolo lo dirà: “Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso..; per questo Dio lo esaltò” (Fil 2,5-11). Esaltato ora anche nella sua umanità, portata al vertice della sintonia col Padre, in piena libertà ed eroismo.
Custodiscili nel tuo nome: Nella preghiera Gesù vede i suoi discepoli anzitutto quale frutto dell’iniziativa di Dio: sono “coloro che tu mi hai dato. Erano tuoi e li hai dato a me”. Ogni vocazione alla fede viene da Dio. Gesù lo disse: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. È scritto nei Profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me” (Gv 6,44-45). Non è da noi conoscere e aprirci a Dio, ma è progetto antico e dono suo. Si tratta “di una sapienza che non è di questo mondo - dice Paolo -, ma della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria” (Epist.). È per il tramite di Gesù che questa sapienza giunge a noi: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte”. Più precisamente per l’azione dello Spirito che è stato dato da Gesù ai suoi: “Quando verrà lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità; egli mi glorificherà perché prenderà da quel che è mio” (Gv 16,13-14). Infatti, “i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (Epist.). Dal Padre, a Gesù, ai suoi: “Come il Padre ha amato me, così anche io ho amato voi. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,12.15). La mira finale di questa azione è di dare “la vita eterna a tutti coloro che mi hai dato”, dice Gesù. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Solo così si scopre “ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano: cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (Epist.); cioè una vita ben oltre ogni nostra stesso desiderio e sogno! Solo il Padre - per l’intercessione di Gesù - può custodirci in questa speranza ben oltre ogni nostra prospettiva, restando uniti nel suo nome, cioè nella Chiesa: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome”.
Il discorso di Stefano rievoca la premura di Dio nella lunga vicenda di Israele, ma anche la loro resistenza ad ogni sua iniziativa: “Tardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo” (Lett.). La fede, cioè il nostro libero consenso, è risposta indispensabile ad ogni proposta di Dio!
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MessaggioTitolo: sabato 12 maggio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 08, 2012 8:58 am

SABATO 12 MAGGIO 2012

SABATO DELLA V SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, che nel battesimo ci hai comunicato la tua stessa vita, fa’ che i tuoi figli, rinati alla speranza dell’immortalità, giungano con il tuo aiuto alla pienezza della gloria.

Letture:
At 16,1-10 (Vieni in Macedonia e aiutaci!)
Sal 99 (Acclamate il Signore, voi tutti della terra)
Gv 15,18-21 (Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo)

Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti dal mondo
Gesù parla ancora ai suoi apostoli. Siamo sempre nel cenacolo, la sera che precede il suo arresto. Il momento è difficile e Gesù si rivolge direttamente agli apostoli. Ricorda loro la chiamata e quindi il motivo della loro presenza accanto a Lui in questo momento. Gesù ha scelto loro e non loro Gesù. È un messaggio preciso in questo momento. Nel Cenacolo si stanno compiendo i voleri del Padre; non si stanno realizzando i desideri umani degli apostoli. Gesù chiama per realizzare i suoi piani eterni, non perché si compissero le aspettative politiche del popolo di Israele. La chiamata è quindi cambiamento di vita; significa conversione completa a Gesù, è cambiare la direzione della propria vita. È una scelta che divide i piani umani da quelli divini. L’odio che gli apostoli si attireranno nasce proprio da questa differenza. La non accettazione del piano di amore di Gesù significa proprio la nascita di nuovo odio. Leggiamo per la nostra vita un qualcosa di più. La chiama di Gesù è scelta di Dio. È un dono che rende preziosa la vita. È elezione nel senso più puro della Parola. La qualità identifica la chiamata divina. Qualità di amore e donazione completa. Ciò può essere realizzato in tutti i nostri stati di vita. È un impegno che è preziosità dell’amore.
Una fede da proteggere e diffondere con la spada è ben debole. La storia è del resto consapevole del paradosso che fa sì che la fede cristiana diventi più forte quando è perseguitata. Il sangue dei martiri, scriveva Tertulliano, è seme di cristiani. Ai giorni nostri, il termine “martire” è usato per definire chiunque soffra e muoia per una “causa”, che può essere l’idea di nazione, la rivoluzione sociale, persino la “guerra santa” caldeggiata dai fanatici. Ma simili martiri sono causa di sofferenze maggiori di quelle inflitte a loro stessi. Il vero martire (dal greco, che significa testimone) soffre semplicemente perché è cristiano: testimone di Cristo. Il nostro secolo è stato davvero il secolo del martirio, con innumerevoli martiri, come i cristiani armeni in Turchia, i cattolici in Messico, nella Germania nazista, nell’ex Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est, in Cina, in Corea, in Vietnam, in Sudan... L’elenco potrebbe continuare. E, per restare vicino a noi, molti sono coloro che affrontano un martirio “bianco”, cioè senza spargimento di sangue, tentando semplicemente di vivere la fede in un mondo sempre più ateo o predicando le esigenze integrali dell’insegnamento della Chiesa nel campo della morale, avendo per fondamento la rivelazione di Cristo. Non dobbiamo essere sorpresi, ma piuttosto rallegrarci ed essere felici: è questo che egli ci ha promesso.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse si suoi discepoli: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».

Riflessione
- Giovanni 15,18-19: L’odio del mondo. “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”. Il cristiano che segue Gesù è chiamato a vivere in modo contrario alla società. In un mondo organizzato a partire dagli interessi egoistici di persone e gruppi, chi cerca di vivere ed irradiare l’amore sarà crocifisso. È stato questo il destino di Gesù. Per questo, quando un cristiano è molto elogiato dai poteri di questo mondo ed è esaltato quale modello per tutti dai mezzi di comunicazione, è bene non fidarsi troppo. “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. È stata la scelta di Gesù che ci ha separato. È basandoci su questa scelta o vocazione gratuita di Gesù che abbiamo la forza di sopportare la persecuzione e la calunnia e che possiamo avere gioia, malgrado le difficoltà.
- Giovanni 15,20: Il servo non è più grande del suo signore. “Un servo non è più grande del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra”. Gesù aveva già insistito su questo stesso punto nella lavanda dei piedi (Gv 13,16) e nel discorso della Missione (Mt 10,24-25). Ed è questa identificazione con Gesù che, lungo due secoli, dette tanta forza alle persone per continuare il cammino ed è stata fonte di esperienza mistica per molti santi e sante martiri.
- Giovanni 15,21: Persecuzione a causa di Gesù. “Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. L’insistenza ripetuta dei vangeli nel ricordare le parole di Gesù che possano aiutare le comunità a capire il perché delle crisi e delle persecuzioni è un segno evidente che i nostri fratelli e le nostre sorelle delle prime comunità non ebbero una vita facile. Dalla persecuzione di Nerone dopo Cristo fino alla fine del primo secolo, loro vivevano sapendo che potevano essere perseguitati, accusati, incarcerati ed uccisi in qualsiasi momento. La forza che li sosteneva era una certezza che Gesù comunicava che Dio era con loro.

Per un confronto personale
- Gesù si rivolge a me e mi dice: Se tu fossi del mondo, il mondo amerebbe ciò che è tuo. Come applico questo nella mia vita?
- In me ci sono due tendenze: il mondo e il vangelo. Quale dei due ha la precedenza?

Preghiera finale: Buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione (Sal 99).
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: domenica 13 maggio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 08, 2012 9:01 am

DOMENICA 13 MAGGIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
VI DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: O Padre, che sei la fonte della vita e sempre ci sorprendi con i tuoi doni, donaci la grazia di rispondere all’appello del tuo Figlio Gesù che ci ha chiamato amici, affinché seguendo Lui, nostro maestro e pastore, impariamo ad osservare i suoi comandamenti, la nuova e definitiva Legge che è Lui stesso, via di accesso per arrivare a te e in te rimanere. Per Cristo tuo Figlio e nostro Signore.

Letture:
At 10,25-27.34-35.44-48 (Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo)
Sal 97 (Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia)
1Gv 4,7-10 (Dio è amore)
Gv 15,9-17 (Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici)

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici
Gesù, nel Cenacolo, la notte prima del suo tradimento, si intrattiene con i suoi apostoli. È il momento migliore per condividere con loro il suo testamento spirituale. Troviamo, in questi capitoli del vangelo di San Giovanni esortazioni, insegnamenti, profezie per il futuro, preghiere al Padre di intensità e spessore non umano ma da Figlio di Dio. Gesù chiede ai suoi apostoli l’amore; è il comandamento ultimo e più importante. Rassicura con il dono dello Spirito Santo, che può rafforzare un percorso di fede, che è provato da difficoltà di ogni tipo. Affida la vita dei suoi apostoli, dei credenti e di tutto il mondo nelle mani del Padre. Tutto questo ruota attorno a ciò che si sta per compiere: la sua Passione e Resurrezione. Gesù sa che sta per affrontare il momento più difficile e non solo per la sua vicenda umana. Sarà una prova terribile per i suoi discepoli. Sarà lo spartiacque che porterà non solo alla fede vera ma proprio a comprendere tutti quegli insegnamenti che sembravano così oscuri. Il Mistero Pasquale è al centro di tutta l’esperienza degli apostoli. Gesù vuole far comprendere che quello che succederà sarà la conseguenze dell’odio e dell’egoismo umano ma ha una radice ben più profonda. È il piano di amore di Dio che si realizza. Comprendere questo significa comprendere un mistero infinito. È il messaggio fondamento del lieto annuncio. Il Regno di Dio è un regno di amore che si realizza con la donazione di Cristo sulla Croce e si fa presente con la sua Resurrezione. La vita nei sacramenti è la nostra partecipazione al mistero pasquale. Chiediamo a Gesù che ciò si realizzi come atto di amore nella donazione più gratuita e sincera.
Durante la lettura del Vangelo, nel corso della celebrazione liturgica, è il Signore Gesù Cristo che parla ai suoi discepoli. Oggi ci dice che siamo tutti suoi amici, che gli apparteniamo attraverso la fede e attraverso il battesimo. Egli l’ha provato rivelandoci il suo segreto e la sua missione di Figlio di Dio. Ci ha detto che Dio, nella sua onnipotenza divina, ci ama tutti. Per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo, ci ha fatto entrare nella comunione di amore che esiste fin dall’eternità tra lui e suo Figlio. “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. È una parola di verità potente e divina. Per tutti quelli che hanno preso coscienza dell’importanza di questo dono divino, conta una sola cosa: mostrarsi degni dell’amore che ci viene nell’amicizia del Figlio di Dio. “Rimanete nel mio amore”. Per Gesù Cristo, ciò che è importante innanzitutto è che tutti i suoi amici si amino gli uni gli altri come egli stesso ha amato i suoi discepoli nel corso della sua vita terrena. La più viva espressione di questo amore è stata la sua morte sulla croce per i peccatori (cfr. Gv 1,36; 19,34-37). L’amore perfetto del Padre celeste è la felicità e la gioia di suo Figlio. E questa gioia, il Figlio risuscitato la trasmette ai suoi amici nel giorno di Pasqua. “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!”. Ricevete lo Spirito Santo!” (Gv 20,21-22). Egli offre senza sosta la gioia a tutti quelli che credono nella sua parola e per mezzo del battesimo si uniscono a lui e alla sua cerchia di amici, la Chiesa. Chi entra nell’amore di Dio per mezzo di suo Figlio ha ormai una ragione essenziale per essere sempre felice.

Approfondimento del Vangelo (Il comandamento di Gesù)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Lettura: Il contesto del presente brano già contribuisce a determinarne il tono: ci troviamo nel lungo discorso di Gesù ai discepoli durante l’ultima cena, dopo aver compiuto quel gesto che, secondo la narrazione di Giovanni, qualifica il ministero di Gesù come amore fino al suo compimento, il lavare i piedi ai discepoli (Gv 13,1-15). Guardando a questi intensi capitoli possiamo riconoscervi un dinamismo che va dal gesto in quanto tale, la lavanda dei piedi, un gesto in linea con quelle opere che Gesù ha compiuto ponendole come segno che esprime la sua identità e fa appello alla fede di chi vede e ascolta, al lungo discorso rivolto ai discepoli nell’espressione di commiato ma anche nell’indicazione di atteggiamenti da assumere e realtà da attendere, fino alla preghiera cosiddetta “sacerdotale” di Gesù al Padre (Gv 17), preghiera che oltrepassa i confini della cerchia dei suoi discepoli per rivolgersi a beneficio di tutti i credenti in tutti i tempi. Un movimento ascensionale della narrazione che coincide con l’innalzamento di Gesù sulla croce, innalzamento percepito e messo in luce da Giovanni come glorificazione salvifica di Gesù e che qualifica ulteriormente la Pasqua come passaggio del Verbo che dagli uomini torna al Padre. Nel discorso di Gesù le frasi si susseguono incalzandosi e concatenandosi in un vortice comunicativo che tuttavia non opprime col suo ritmo, non stanca. Ogni espressione possiede una sua compiutezza semplice e incisiva che si inserisce nel mondo espressivo del Gesù secondo Giovanni nella continuità dei temi e dei termini usati di preferenza. Nel contesto immediatamente precedente Gesù ha parlato di sé come della vera vite (Gv 15,1); già questa immagine è contorniata da due relazioni: il Padre che è il vignaiolo e i discepoli che sono i tralci. È un immagine rivelativa: prima di essere un’esortazione finalizzata ai discepoli, essa è espressione di un dato di fatto: il Padre ha cura della pianta preziosa, della relazione che si è instaurata tra Gesù e i suoi, così come gli stessi discepoli vivono una realtà di comunione che li qualifica fin da ora. L’esortazione è espressa nelle stesse battute attraverso le quali l’immagine viene esplicitata e si incentra sul verbo “rimanere”; i discepoli sono chiamati a rimanere in Gesù così come fanno i tralci nella vite, per avere vita e potere fruttificare. Il tema della fruttificazione, ma anche il tema del chiedere e ottenere che ritroveremo nei nostri versetti, è già anticipato qui, offrendoci un esempio dello stile giovanneo di accenno e ripresa approfondita. Certamente al v. 9 il tono del discorso subisce un cambiamento: non c’è più alcuna immagine, ma il diretto riferimento ad una relazione: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”. Gesù si pone in mezzo ad un percorso discendente che va da Dio agli uomini. Già il verbo “amare” si era presentato in precedenza al capitolo 14 in concomitanza con l’osservanza dei comandamenti; ora esso rispunta per condurre ad una nuova sintesi nel nostro brano laddove i “comandamenti” lasciano il passo al “comandamento” che è quello di Gesù: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,17). La relazione di reciprocità viene ripresa subito dopo un inciso all’imperativo: “rimanete nel mio amore”; dal verbo “amare” al sostantivo “amore” per indicare che l’azione procedente dal Padre e passata attraverso il Figlio agli uomini ha creato e crea un nuovo stato di cose, una possibilità che fino a quel momento era impensabile. E al versetto 10 la reciprocità viene compiuta nel percorso inverso: l’osservanza dei comandamenti di Gesù è per i discepoli il modo per rispondere al suo amore, in analogia e in reale continuità con l’atteggiamento del Figlio che ha osservato i comandamenti del Padre e per questo anch’egli rimane nel suo amore. La prospettiva è allora molto diversa da quel legalismo che aveva monopolizzato i concetti di “legge” e “comandamenti”: tutto è riportato da Gesù nella sua prospettiva più vera: una risposta d’amore all’amore ricevuto, l’annuncio della possibilità di stabilità nella presenza di Dio. Anche la frase al v. 11 diventa un ulteriore uscita dalla prospettiva legalistica: il fine è la gioia, anch’essa una gioia di relazione: la gioia di Gesù nei discepoli, la loro gioia presente in pienezza. Al v. 12, come già accennato, il discorso si fa più stringente: Gesù afferma che i suoi comandamenti sono uno solo: “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”; notiamo come la linea di relazionalità sia la stessa, sempre in chiave di risposta: i discepoli si ameranno nella modalità in cui Gesù ha amato loro. Ma ciò che segue ristabilisce in termini assoluti la primarietà del dono di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (v. 13); è questa l’opera insuperabile del suo amore, un’azione che alza il grado di coinvolgimento al suo livello massimo: il dono della vita. Da qui una cospicua digressione su questo nuovo nome dato ai discepoli: “amici”; un appellativo che viene ulteriormente circostanziato nella contrapposizione ad un’altra categoria, quella dei “servi”; la differenza sta nella non conoscenza del servo riguardo ai progetti del suo padrone: il servo è chiamato ad eseguire e basta. Il discorso di Gesù sta seguendo il suo filo: proprio perché ha amato i discepoli e sta per dare la vita per loro, egli ha rivelato loro il progetto suo e del Padre, lo ha fatto attraverso i segni e le opere, lo farà nella sua più grande opera, la sua morte in croce. Ancora una volta Gesù segnala il suo rapporto stringente col Padre: “tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (v. 15). È tuttavia nel cuore dell’affermazione di Gesù sui discepoli come amici che non viene dimenticato quanto espresso in precedenza: “Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando” (v. 14). Gli ultimi versetti del nostro brano rilanciano l’immagine della vite, con in più quanto è già stato affermato: è Gesù che ha scelto i suoi discepoli, non viceversa, l’iniziativa è partita da lui. L’immagine però è dinamizzata: differentemente da una vigna, piantata nel terreno, i discepoli sono costituiti perché vadano e proprio in questo andare portino frutto; il frutto, poi, è destinato a rimanere (stesso verbo dell’invito a rimanere nell’amore di Gesù), altra qualificazione di stabilità che riequilibra il dinamismo. La loro identità di discepoli è fondata sulla scelta operata da Gesù e prospetta un percorso da fare, un frutto da portare. Tra il passato della chiamata, il presente dell’ascolto e il futuro della fruttificazione, il quadro del discepolato sembra completo. C’è tuttavia ancora Qualcuno da mettere in luce, c’è ancora un atteggiamento da proporre. “Fare frutto” può sbilanciare i discepoli verso un’operatività unilaterale; la particella “perché” lega invece la fruttuosità a quanto segue: chiedere e ricevere, sperimentare l’indigenza e il dono elargito con abbondanza (“tutto quello che chiederete”) e gratuitamente. Quel Qualcuno che Gesù rivela è il Padre, fonte dell’amore e della missione del Figlio, il Padre al quale ci si può rivolgere nel nome del Figlio in quanto si è rimasti nel suo amore. E la conclusione è posta in modo solenne e lapidario: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.

Meditazione: Le parole di Gesù a poca distanza dalla sua glorificazione indicano alla Chiesa il significato della sequela e le sue esigenze. Sono parole forti, rispecchianti la gloria di Colui che si consegnerà e donerà di propria iniziativa la sua vita per la salvezza del mondo (cfr. Gv 10,17-18); ma sono anche parole accorate, e perciò semplici, essenziali, vicine, concatenate, tipiche di un discorso di commiato dove la ripetizione diventa appello dolcemente pressante. Essere discepoli del Cristo è innanzitutto un dono: è Lui che ha scelto i suoi, è Lui che ha rivelato loro la sua missione e sta rivelando il grande “retroscena” del progetto di salvezza: il volere del Padre, l’amore tra il Padre e il Figlio che ora si comunica agli uomini. I discepoli adesso conoscono, a differenza del passato dei primi passi della storia della salvezza e del presente di coloro che si sono chiusi scegliendo di non comprendere il valore delle opere compiute dal Figlio per volontà del Padre; questa loro conoscenza donata chiede e chiederà delle opzioni conseguenti per non rimanere una vuota quanto sterile pretesa (cfr. 1Gv 4,8.20). “Rimanere” nell’amore di Gesù e osservare i suoi “comandamenti” è innanzitutto una rivelazione, il dono di una possibilità suprema che libera l’uomo dalla condizione servile persino nei riguardi di Dio per porlo in una nuova relazione con Lui improntata a reciprocità, la relazione tipica dell’amicizia. “Rimanere nel suo amore” è quello che i Sinottici chiamerebbero il “regno di Dio”, nuova situazione nella storia prima ferita dal peccato e ora liberata. Nella cultura ebraica l’osservanza dei comandamenti era legata ad una precettistica che scendeva spesso nei particolari anche minimi; tutto ciò aveva ed ha un suo valore, testimoniando così lo sforzo di fedeltà a Dio da parte dei pii israeliti; il rischio però, comune a tutte le realtà umane, era quello di perdere di vista l’iniziativa di Dio enfatizzando la risposta umana. Gesù nel Vangelo di Giovanni ripristina e perciò rinnova il campo semantico della “legge” e dei “comandamenti” con il concetto di “amore” e con l’invito a “rimanere”. Egli rinnova e personalizza, in quanto annuncia e mostra l’amore del Padre dando la vita per salvare il mondo; è amore che rivela la sua qualità non in astratto, ma nel volto concreto e incontrabile del Cristo che ama “sino alla fine” e vive in prima persona l’amore più grande. Più volte Gesù ha descritto il suo rapporto col Padre; il fatto che egli si ponga qui sotto il segno dell’obbedienza al Padre, qualifica l’obbedienza stessa; essa è l’obbedienza non di un servo, ma del Figlio; e l’opera da compiere, i “comandamenti del Padre mio”, non sono qualcosa di esterno a Gesù, ma ciò che Lui conosce e desidera con tutto se stesso. Il Verbo che era presso il Padre è sempre con lui a fare le cose che gli sono gradite in una comunione di operatività che genera vita. Ed è proprio questo che Gesù chiede ai suoi discepoli, tenendo conto che quel “come il Padre ha amato... come io vi ho amati” non rimane a livello di esemplarità, ma si pone a livello fontale, generativo: è l’amore del Padre la sorgente dell’amore espresso dal Figlio, è l’amore del Figlio la sorgente dell’amore che i discepoli potranno dare al mondo. Conoscienza e prassi sono dunque intimamente legate nella prospettiva del “Vangelo spirituale”, così come è stato definito il Vangelo di Giovanni fin dai tempi dei Padri della Chiesa. La fede stessa, quando è autentica, non sopporta dicotomie nei confronti della vita. I discepoli appaiono in questi versetti come oggetto della cura premurosa del loro maestro; egli non si dimenticherà di loro neppure nell’imminenza della prova, quando pregherà il Padre per loro e “per quelli che per la loro parola crederanno...” (Gv 17,20). All’orizzonte dell’ascolto, dell’accoglienza e dell’impegno c’è la loro gioia, che è la stessa del loro maestro. E Lui che li ha scelti, con quei criteri che solo Dio conosce, una elezione che ricorda la scelta di Israele, il più piccolo di tutti i popoli; è Gesù che li ha costituiti, li ha istruiti, resi forti; tutti ciò assume un significato ancora più intenso se letto alla luce della Pasqua e della Pentecoste; sembra un paradosso, ma è proprio questo a cui sono chiamati: essere saldi/rimanere eppure andare. Saldezza e dinamicità la cui fonte è ancora il mistero di Dio, per il quale il Verbo era presso il Padre eppure ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,2.14). Essere costituiti in saldezza, andare e portare frutto duraturo definisce così il compito dei discepoli dopo la Pasqua del Signore Gesù; ma tutto ciò è posto nei nostri versetti come legato all’invito a chiedere al Padre nel nome di Gesù. Dal Padre, in Cristo e con la forza del Consolatore è attesa dunque la grazia per amare e, amando, testimoniare.

Dal brano emergono alcuni elementi che possono rinnovare il nostro stile di preghiera:
- Una preghiera che sia realmente “trinitaria”, non soltanto nel senso della consapevolezza o dell’espressione, ma anche della dinamica inerente alla preghiera stessa.
- L’esigenza di unità tra la preghiera e la vita; la preghiera come specchio, espressione e verifica della vita di fede.
- La gioia che deve accompagnare l’atteggiamento dell’orazione.
- La valorizzazione di tutto ciò che è umano (consapevolezza della relazione, gusto della preghiera, esperienza di gioia, percezione di unione con Dio) ma anche la sua relativizzazione nella prospettiva che tutto è dono.

Contemplazione: La Parola di Dio ci chiama a ribadire nel cuore e nei fatti la novità del nostro essere discepoli del Figlio. I quattro aspetti di relazionalità con Dio, di lettura della realtà, di impegno nella realtà e di attenzione alla vita della Chiesa vorrebbero porsi come semi di contemplazione in quanto radice di atteggiamenti e di possibili scelte. Relazionalità con Dio: crescere nella consapevolezza di essere inseriti nel rapporto trinitario: siamo pensati, voluti, donati, salvati tra il Padre e il Figlio nello Spirito; porre sempre le nostre azioni come risposta all’amore di Dio che ci ha amati per primo. Lettura della realtà: riconoscere il riflusso nel privato da parte di persone ed istituzioni, così come la banalizzazione del concetto di “amore” sia nella sua interpretazione materialistica che nelle fughe spiritualistiche. Accorgersi, d’altro canto, delle attese di relazione gratuita e liberante, così come delle esperienze di donazione autentica che il più delle volte restano nell’ombra. Impegno nella realtà: il dare la vita (in tutte le sue forme) come espressione concreta e valorizzante dell’amore; l’importanza di nuove comunicazioni di esperienze e di sapienza nel perseguire i frutti della testimonianza del Vangelo nel mondo che Dio vuole salvare. La vita della Chiesa come vita di relazione in relazione: percepire la Chiesa non soltanto ad immagine della Trinità, ma “dentro” la Trinità stessa. Recuperare il senso della libertà e della gioia nella comunità dei credenti.

Orazione finale: Signore Gesù Cristo, ti ringraziamo per la cura attenta con la quale hai istruito e sempre istruisci i tuoi discepoli. Lode a te, o Signore, vincitore del peccato e della morte, perché hai messo in gioco tutto quanto era tuo, persino la tua relazione infinita col Padre nello Spirito: tu l’hai posta di fronte a noi che rischiamo di non comprenderla, di banalizzarla, di dimenticarla, ce ne hai parlato affinché comprendessimo quale grande amore ci ha generati. Fa’, o Signore, che rimaniamo in te come i tralci rimangono uniti alla vite che li sostiene e li nutre e per questo fruttificano; donaci uno sguardo di fede e di speranza che sappia passare dalle parole, dai desideri alla concretezza delle opere, a immagine di te, che ci hai amato fino alla fine, donando la tua vita a noi perché avessimo la vita in te. Tu che vivi e regni con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
VI DOMENICA DI PASQUA


Letture:
At 26,1-23
Sal 21
1Cor 15,3-11
Gv 15,26-16,4

Vi manderò lo Spirito di verità
La sera di Pasqua, nel cenacolo, Gesù disse: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,21-22). Missione e Spirito Santo vanno assieme. La Chiesa è esplosa proprio il giorno di Pentecoste, effusione trasformante dello Spirito, che ha cambiato uomini timorosi in testimoni inarrestabili. Gesù l’aveva predetto: “Quando verrà il Paraclito egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza”. Pietro proclamerà solennemente nel suo testimoniare Cristo risorto: “Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” (At 5,32). Certamente testimoni oculari sono gli apostoli, e Pietro e Giovanni diranno: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20); ma la comprensione piena dei fatti capitati a Gerusalemme, viene dallo Spirito Santo che “Gesù manderà dal Padre, lo Spirito di verità, che darà testimonianza di me”. Assieme al coraggio e alla forza nelle contrarietà e nelle persecuzioni.
Lo Spirito di verità: Paolo scriverà un giorno: “I segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (1Cor 2,11-12). Il Signore Gesù, certamente bravo maestro, dopo tre anni coi suoi, ebbe a lamentarsi: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13), cioè vi farà capire tutto della mia vicenda. “Egli mi glorificherà, perché prenderà di quel che è mio e ve lo annuncierà” (Gv 16,14). E più chiaramente: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Anche oggi è lo Spirito Santo il vero maestro interiore. Sant’Agostino diceva: tutti ascoltano le stesse mie parole, ma ognuno le capisce in modo diverso, perché ad ognuno lo Spirito fa comprendere quel che più gli abbisogna (In 1Gv 3,13). La fede è frutto dello Spirito. “Nessuno può dire: Gesù è il Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Allo stesso modo tutta la vita cristiana dipende dallo Spirito: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). La preghiera stessa è sostenuta dallo Spirito: “Allo stesso modo lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27). E anche nelle persecuzioni, Gesù ci ha garantito l’assistenza dello Spirito Santo. “Sarete condotti davanti a governatori e a re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come e di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,18-20). Gesù ha promesso di non abbandonare i suoi: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Non vi lascerò orfani” (Gv 14,16.18).
Anche voi date testimonianza: “Anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio”. La prima testimonianza è di chi “ha visto coi proprio occhi, contemplato e toccato con le proprie mani del Verbo della vita” (cfr. 1Gv 1,1-3). Infatti Pietro designa un nuovo apostolo “tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto tra noi .. perché divenga testimone, insieme con noi, della sua risurrezione” (At 1,21-22). Paolo, dopo l’incontro con Cristo risorto, si sente investito della missione si essere “testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito” (Lett.). La sua fu una esperienza confortata e ben documentata da quanto aveva anche ricevuto dalla Chiesa, come racconta oggi nel brano di 1Cor 15 (cfr. Epist.). Di testimone in testimone, la fede nella risurrezione di Cristo è giunta fino a noi, quasi una fiaccola ora a noi affidata perché prosegua la sua corsa nel mondo. Nel mondo di oggi, come quello di ieri, non proprio così disponibile all’ascolto. “Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di render culto a Dio”. La sinagoga di oggi è la cultura dominante e pervasiva dei media; e .. quanto anticattolica e atea! In nome di un umanesimo autosufficiente, di una ragione chiusa entro il perimetro tecnologico-materialista e di un relativismo morale tutto quanto è “fuori coro” è visto come oscuratismo e “mistificazione”. Il “reale” è quel che si afferma da tutti o comunque dall’opinione corrente. Ma in realtà si tratta del peggior ideologismo. Il tutto “perché non hanno conosciuto né il Padre né me”, dice il Signore Gesù. È l’ignoranza o il misconoscimento del quadro creativo e redentivo operato da Cristo che rende l’uomo supponente e fuori verità: “In lui infatti furono create tutte le cose, per mezzo di lui e in vista di lui, e tutte in lui sussistono; per mezzo di lui e in vista di lui sono riconciliate tutte le cose” (Col 1,16-17). Lo specifico della missione è proclamare i “fatti” sorprendenti di un Dio che s’è coinvolto così intensamente con gli uomini, “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Dobbiamo essere - dice san Pietro - “pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, con dolcezza e rispetto” (1Pt 3,15-16).
“É duro per te rivoltarti contro il pungolo”, si sente dire Paolo caduto da cavallo sulla via di Damasco. “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4) ). E Gesù: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). È di Dio sempre l’iniziativa della salvezza, e offre una grazia sufficiente ed efficace per la conversione di ognuno. Il punto è .. resistere al pungolo. Il vero punto del peccato è il chiudere la porta, rifiutare i segni che Dio semina sulla strada di tutti, rifiutare.. la verità. Che è quello che si chiama il peccato contro lo Spirito Santo!
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MessaggioTitolo: sabato 19 marzo 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 15, 2012 11:27 am

SABATO 19 MAGGIO 2012

SABATO DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Dio, nostro Padre, disponi sempre al bene i nostri cuori, perché, nel continuo desiderio di elevarci a te, possiamo vivere pienamente il mistero pasquale.

Letture:
At 18,23-28 (Apollo dimostrava attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo)
Sal 46 (Dio è re di tutta la terra)
Gv 16,23-28 (Il Padre vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto)

Il Padre vi ama, perché mi avete amato e avete creduto
Gesù lascia un ultimo messaggio ai suoi discepoli. Egli sta andando al Padre, glorificato sulla Croce ci manifesta l’amore del Padre. È questo l’ultimo ed il primo dei suoi messaggi: Gesù è sceso sulla terra per amore e ritorna al Padre per amore. In questo arco ecco ci è portata un’altra consegna che è conseguenza diretta di questa. È la preghiera. È significativo che il suo lungo commiato con i discepoli si concluda con questa esortazione. Gesù stesso pregherà il Padre per noi; adesso ci invita a pregare. Preghiamo il Padre nel nome di Gesù Cristo; rivolgiamoci a Lui con fiducia chiedendo Cristo come Mediatore che si è offerto completamente al Padre. Non è semplice quello che ci chiede Gesù Cristo. Pregare nel suo nome non è immediato e significa un atto di vera conversione. La preghiera per essere efficace deve corrispondere ad un nostro preciso atteggiamento. Umiltà è l’ascolto vero delle Parole di Cristo, sono la base ed il fondamento della vera preghiera. Gesù ci dice anche che la preghiera deve nascere dalla fede e dall’amore perché abbiamo creduto in Lui e lo abbiamo amato. È ancora il comandamento dell’amore che deve informare la nostra vita. La preghiera è allora anche un cammino. La fede è il fondamento della preghiera e la preghiera alimenta la fede. L’amore è la base della preghiera e preghiamo per amare di più e meglio. La preghiera parte da una vera conversione e la conversione a Cristo fa sgorgare una preghiera pura ed efficace. La preghiera nasce dall’ascolto della Parola e la Sacra Scrittura tesse le nostre preghiere. È il circolo della vita cristiana basata sulla fede, sulla speranza e sulla carità.
Gesù continua ad aprirsi con i suoi nei giorni che precedono la passione. Gli piace anticipare le realtà sublimi che otterrà per i suoi attraverso la sua ormai prossima morte e la sua risurrezione. Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, ha reso possibile che ci fosse una sola famiglia nel cielo e sulla terra, la famiglia dei figli di Dio. Il Padre eterno è nostro Padre, il suo regno, la sua casa e la vita divina del Cristo sono anche nostri. “Il Padre - posso dire con Gesù - mi ama”. È in questo nuovo ordine che la preghiera cristiana trova il suo posto. Noi prima non sapevamo chiedere, e non potevamo farlo. Non si tratta di pregare ma “di avere una relazione di amicizia con colui che, noi lo sappiamo, ci ama” (Teresa di Gesù, Vita 8). Noi, prima, non sapevamo domandare e non potevamo farlo. Ma, attualmente, dato che il Padre ci ama e desidera la nostra amicizia, possiamo essere sicuri di essere ascoltati, e di ricevere una grande gioia da quella amorosa comunicazione con lui, che è la preghiera. La nostra preghiera non è soltanto nostra, essa è anche e soprattutto quella di Cristo. Così terminano le preghiere della liturgia e così deve terminare la nostra: per Cristo nostro Signore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».

Riflessione:
- Giovanni 16,23b: I discepoli hanno pieno accesso al Padre. È l’assicurazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli: possono accedere alla paternità di Dio in unione con Lui. La mediazione di Gesù porta i discepoli fino al Padre. È evidente che il ruolo di Gesù non è quello di sostituirsi ai «suoi»: non li assume mediante una funzione d’intercessione, ma li unisce a sé, e in comunione con Lui essi si presentano i loro bisogni e necessità. I discepoli hanno la certezza che Gesù dispone della ricchezza del Padre: «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (v.23b). In tale modalità, vale a dire, in unione con Lui, la richiesta diventa efficace. L’oggetto di qualunque domanda al Padre dev’essere sempre collegato a Gesù, vale a dire, al suo amore e al suo impegno di dare la vita per l’uomo (Gv 10,10). La preghiera rivolta al Padre nel nome di Gesù, in unione a Lui (Gv 14,13; 16,23), è esaudita. Finora i discepoli non hanno chiesto nulla nel nome di Gesù, ma lo potranno fare dopo la sua glorificazione (Gv 14,13s) quando riceveranno lo Spirito che li illuminerà pienamente sulla sua identità (Gv 4,22ss) e creerà l’unione con Lui. I suoi potranno chiedere e ricevere in pienezza di gioia quando passeranno dalla visione sensibile di Lui a quella della fede.
- Giovanni 16,24-25: In Gesù il contatto diretto col Padre. I credenti vengono assunti nel rapporto tra il Figlio e il Padre. In Gv 16,26 Gesù ritorna sul legame prodotto dallo Spirito e che permetterà ai suoi di presentare ogni richiesta al Padre in unione con Lui. Ciò avverrà «in quel giorno». Cosa vuol dire «quel giorno chiederete?». È il giorno in cui verrà dai suoi e comunicherà loro lo Spirito (Gv 20,19.22). È allora che i discepoli, conoscendo il rapporto tra Gesù e il Padre sapranno di essere esauditi. Non occorrerà che Gesù s’interponga fra il Padre e i discepoli per chiedere in loro favorire, non perché è finita la sua mediazione, ma essi avendo creduto nell’incarnazione del Verbo, ed essendo strettamente uniti a Cristo, saranno amati dal Padre come egli ama il Figlio (Gv 17,23.26). In Gesù i discepoli sperimentano il contatto diretto col Padre.
- Giovanni 16,26-27: La preghiera al Padre. Il pregare consiste, allora, nell’andare al Padre attraverso Gesù; rivolgersi al Padre nel nome di Gesù. Un’attenzione particolare merita l’espressione di Gesù al v. 26-27: «e non vi dico che pregherà il Padre per voi: il Padre stesso, infatti, vi ama». L’amore del Padre per i discepoli si fonda sull’adesione dei «suoi» a Gesù sulla fede nella sua provenienza, vale a dire, il riconoscimento di Gesù come dono del Padre. Dopo aver assimilato a sé i discepoli Gesù sembra ritirarsi dalla sua condizione di mediatore ma in realtà permette che solo il Padre ci prenda e ci afferri: «Chiedete ed otterrete perché la vostra gioia sia piena» (v. 24). Inseriti nel rapporto col Padre mediante l’unione in Lui, la nostra gioia è piena e la preghiera è perfetta. Dio offre sempre il suo amore al mondo intero, ma tale amore acquista il senso di reciprocità solo se l’uomo risponde. L’amore è incompleto se non diventa reciproco: finché l’uomo non lo accetta rimane in sospensione. Tuttavia i discepoli lo accettano nel momento in cui amano Gesù e così rendono operativo l’amore del Padre. La preghiera è questo rapporto d’amore. In fondo la storia di ciascuno di noi s’identifica con la storia della sua preghiera, anche quei momenti che non sembrano tali: l’ansia è già preghiera e così la ricerca, l’angoscia.

Per un confronto personale
- La mia preghiera personale e comunitaria avviene in uno stato di quiete, di pace e di grande tranquillità?
- Quale impegno dedico a crescere nell’amicizia con Gesù? Sei convinto di giungere a una reale identità attraverso la comunione con Lui e nell’amore del prossimo?

Preghiera finale: Dio è re di tutta la terra. Cantate inni con arte. Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo (Sal 46).
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MessaggioTitolo: domenica 20 maggio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 15, 2012 11:34 am

DOMENICA 20 MAGGIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
VII DOMENICA DI PASQUA
ASCENSIONE DEL SIGNORE


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
At 1,1-11 (Fu elevato in alto sotto i loro occhi)
Sal 46 (Ascende il Signore tra canti di gioia)
Ef 4,1-13 (Raggiungere la misura della pienezza di Cristo)
Mc 16,15-20 (Il Signore fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio)

Gesù è assunto in cielo e siede alla destra di Dio
La conclusione del Vangelo di Marco parla dell’Ascensione di Gesù al cielo. Il dato storico è però connotato precisamente come tempo, luogo e modalità. Il luogo è la Galilea; non è Gerusalemme – il luogo dove si manifesterà la Chiesa. Gesù appare ai suoi discepoli proprio da quei luoghi da dove era partito, là, da dove li aveva chiamati. È l’intervento di Dio nella storia; non solo in quella ufficiale che si svolge nei ricchi palazzi del potere. È la storia nel quotidiano; Dio agisce nella nostra vita personale per trasformarla. Il luogo ci dice allora che Dio è presente e l’Ascensione di Gesù è segno di una presenza, non di una assenza. L’Ascensione è poi inserita nel contesto e nei tempi delle apparizioni pasquali. Siamo quindi nel Mistero pasquale. L’irruzione di Dio nella nostra quotidianità è nella celebrazione del Mistero Pasquale. È questo che dà forza a questa presenza: la Pasqua di Cristo. Non è solo celebrazione liturgica ma la celebrazione nella nostra vita. Il tempo allora specifica la qualità di questa trasformazione nella Pasqua. Le parole di Gesù ci dicono come sarà presente ancora oggi. Alla celebrazione del Mistero pasquale partecipa il mistero di salvezza della Chiesa. La Chiesa rende presente e vivo Gesù in mezzo a noi. I Sacramenti e la Parola di Dio sono la possibilità concreta di renderci partecipi di questo Mistero di amore. La Chiesa è però anche un’entità capace di offrirci Gesù nella liturgia, nelle sue opera di sollecitudine sociale e nel servizio che essa sempre offre, con generosità, verso i più bisognosi. L’Ascensione ci richiama questa presenza che deve essere reale e concreta con il nostro contributo. Gesù è presente tra noi se saremo capaci a renderlo manifesto con la nostra opera.
La missione della Chiesa è presieduta da Gesù Cristo risorto, salito al cielo e intronizzato Signore alla destra del Padre. L’ascensione e l’invio degli apostoli sono inseparabili. Tra gli undici (Giuda il traditore ha seguito un altro cammino), inviati da Gesù e beneficiari della sua promessa fedele e potente, si trovano anche i successori degli apostoli e la Chiesa intera. Gesù ci invia, ci accompagna e ci dà la forza. Noi non siamo dei volontari spontanei, ma degli inviati. Appoggiandoci su Gesù Cristo vincitore della morte, possiamo obbedire quotidianamente al suo ordine di missione nella serenità e nella speranza. Gli apostoli sono i messaggeri di una Parola che tocca l’uomo nel centro della sua vita. Il Vangelo, affidato alla Chiesa, ci dà una risposta definitiva: se crediamo, siamo salvati, se rifiutiamo di credere o alziamo le spalle, siamo perduti. Attraverso la fede, che è il sì dato dall’uomo a Dio, noi riceviamo la vita. Il Signore conferma la predicazione degli apostoli con molti segni; e segni accompagnano anche i credenti. Attraverso questi segni, diversi e coestesi alla missione della Chiesa, Dio vuole garantire la sua azione in coloro che egli ha inviato e invita tutti gli uomini ad abbandonare ciò che è visibile e quindi attraente per il mistero della salvezza.

Approfondimento del Vangelo (Andate in tutto il mondo portando la Buona Novella)
Il testo: Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Una chiave di lettura: La liturgia di questa festa dell’Ascensione ci pone innanzi una scena nella quale Gesù appare ai discepoli e conferisce loro la missione di andare per il mondo intero, per annunciare la Buona Novella. Il testo del Vangelo di Marco (Mc 16,9-20) è la parte finale dell’appendice del Vangelo di Marco (Mc 16,15-20). Allarghiamo il breve commentario fino ad includere l’intera appendice. Durante la lettura del testo facciamo attenzione a questo punto: “A chi appare Gesù, quali sono i vari aspetti della missione e quali i segni della sua presenza nella comunità?”.

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- Marco 16,9-11: Gesù appare a Maria di Magdala
- Marco 16,12-13: Gesù appare a due discepoli
- Marco 16,14-18: Gesù appare agli Undici e da loro la missione
- Marco 16,19-20: Gesù sale al cielo davanti ai discepoli

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Qual è il punto di questo testo che vi è piaciuto di più o che di più ha richiamato la vostra attenzione? Perché?
- Chi sono le persone alle quali Gesù si manifesta vivo e come esse reagiscono?
- Nel testo che abbiamo letto, chi ha più difficoltà nel credere alla risurrezione?
- San Paolo dice: “Con Gesù Dio ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli” (Ef 2,6). In che modo questa affermazione aiuta a comprendere meglio il significato dell’Ascensione?
- Quali sono i segni della presenza di Gesù nelle comunità? Quale è il significato di ogni segno?
- Quali sono, oggi, i segni che convincono meglio le persone della presenza di Gesù in mezzo a noi?

Una chiave di lettura per approfondire il tema
Il contesto: L’appendice del vangelo di Marco offre una lista di apparizioni di Gesù (Mc 16,9-20). Ci sono altre liste, ma non sempre coincidono. La lista conservata da Paolo nella lettera ai Corinzi è ben differente (1Cor 15,3-8). Questa varietà mostra che, all’inizio, i cristiani non si preoccupavano di descrivere o provare la risurrezione. Per essi la fede nella risurrezione era talmente vivida ed evidente, che non c’era necessità di darne prova. Le comunità stesse, esistendo e resistendo in mezzo a tante contrarietà e persecuzioni dell’impero romano, erano una prova viva della verità della risurrezione.
Commento del testo:
- Marco 16,9-11: Gesù appare a Maria di Magdala, ma gli altri discepoli non la credono. Gesù appare prima di tutto a Maria Maddalena ed ella va ad annunciarlo agli altri. Per venire al mondo Dio volle dipendere dal sì di Maria di Nazareth (Lc 1,38). Per essere riconosciuto come Vivente in mezzo a noi, volle dipendere dall’annuncio di Maria di Magdala che era stata liberata da sette demoni. Marco dice che Gesù apparve anzitutto alla Maddalena. In questo egli concorda con gli altri tre evangelisti (cfr. Mt 28,9-10; Gv 20,16; Lc 24,9-11). Ma nella lista delle apparizioni trasmessa dalla Lettera ai Corinzi (1Cor 15,3-8), non ci sono le apparizioni alle donne. I primi cristiani ebbero difficoltà a credere alla testimonianza delle donne.
- Marco 16,12-13: Gesù appare a due discepoli. Questo racconto dell’apparizione ai due discepoli che se ne andavano in campagna è una probabile allusione all’episodio dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus che, al ritorno, condivisero la loro esperienza della risurrezione con “gli undici e i loro compagni” (Lc 24,33-34). Solo che qui in Marco, diversamente da quanto afferma Luca, gli altri non hanno creduto alla testimonianza dei due.
- Marco 16,14: Gesù rimprovera la incredulità degli undici. Infine Gesù appare agli undici discepoli riuniti a mensa e li rimprovera perché non hanno creduto alle persone che lo avevano visto risorto. Per la terza volta, Marco si riferisce alla resistenza dei discepoli nel credere alla testimonianza di quelli e quelle che avevano esperimentato la risurrezione di Gesù. Quale è il motivo di questa insistenza di Marco nel menzionare la incredulità dei discepoli? Probabilmente per insegnare due cose. Primo, che la fede in Gesù risorto passa per la fede nelle persone che ne danno testimonianza. Secondo, che nessuno deve perdersi d’animo, quando il dubbio o la perplessità nascono nel cuore. Perfino gli undici hanno avuto dubbi!
- Marco 16,15-18: I segni che accompagnano l’annuncio della Buona Novella. Subito Gesù conferisce la missione di annunciare la Buona Novella a tutte le creature. L’esigenza che egli pone per chi vuole essere salvo è questa: credere e essere battezzato. A quelli che hanno il coraggio di credere alla Buona Novella e si fanno battezzare, egli promette questi segni: (1) cacceranno i demoni, (2) parleranno lingue nuove, (3) prenderanno in mano i serpenti, (4) se berranno qualche veleno non farà loro male, (5) imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Questi segni accadono ancora oggi:
a) cacciare i demoni: è combattere il potere del male che strangola la vita. La vita di molte persone è diventata migliore da quando sono entrate in comunità ed hanno cominciato a vivere la buona novella della presenza di Dio. Partecipando alla vita della comunità, cacciano il male dalla loro vita;
b) parlare lingue nuove: è cominciare a comunicare con gli altri in modo nuovo. A volte incontriamo una persona che mai abbiamo visto prima, ma è come se già ci conoscessimo da molto tempo. È perché parliamo la stessa lingua, la lingua dell’amore;
c) prendere in mano serpenti e vincere il veleno: ci sono tante cose che avvelenano la convivenza. Molte chiacchiere che rovinano la relazione fra persone. Chi vive la presenza di Dio sa superare questo e non viene molestato da questo veleno mortifero;
d) curare i malati: dovunque appare una coscienza più chiara della presenza di Dio, appare anche una attenzione speciale verso le persone escluse e marginalizzate, soprattutto verso i malati. Quello che maggiormente favorisce la salute è quando la persona si sente accolta e amata.
- Marco 16,19-20: Attraverso la comunità Gesù continua la sua missione. Quel Gesù che là in Palestina accoglieva i poveri, rivelando loro l’amore del Padre, ora è lo stesso Gesù che continua presente in mezzo a noi, nelle nostre comunità. Attraverso di noi, egli continua la sua missione per rivelare la Buona Novella dell’amore di Dio ai poveri. Fino ad oggi, la risurrezione avviene. Nessun potere di questo mondo è capace di neutralizzare la forza che promana dalla fede nella risurrezione (Rom 8,35-39). Una comunità che vuole essere testimone della risurrezione deve essere segno di vita, deve lottare contro le forza di morte, perché il mondo sia un luogo favorevole alla vita, deve credere che un altro mondo è possibile. Soprattutto in quei luoghi dove la vita del popolo è in pericolo per causa del sistema di morte che ci è stato imposto, le comunità devono essere una prova viva della speranza che vince il mondo, senza timore di essere felici!

Ampliando le informazioni sul Vangelo di Marco (Le sorprese di Dio): Fin dall’inizio del Vangelo di Marco l’esigenza era questa: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino! Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Questa richiesta iniziale di conversione e di fede indica la porta, attraverso la quale abbiamo accesso a Gesù e alla Buona Novella di Dio che egli ci porta. Non c’è altro accesso. La fede esige di credere a Gesù, alla sua Parola, accettarlo senza imporre condizioni. Siamo invitati a non chiuderci in nessun nome o titolo, dottrina o uso, e a mantenerci sempre aperti alle sorprese di Dio, che chiedono una conversione costante. I nomi e i titoli, le dottrine e le abitudini, le devozioni e le suppliche, sono come la targhetta che portiamo sul petto per l’identificazione. La targhetta è importante, perché ci aiuta e ci orienta quando vogliamo incontrare una persona che cerchiamo. Ma quando si incontra, non si guarda più alla targhetta, ma al volto! La persona che cerchiamo, quando poi la incontriamo quasi sempre è differente dalla idea che ci eravamo fatti di lei. L’incontro sempre riserva delle sorprese! Soprattutto l’incontro con Dio in Gesù. Lungo l’evangelo di Marco le sorprese di Dio per i discepoli sono molte, e vengono da là dove meno si attendono:
- da un pagano che dà una lezione a Pietro, poiché riconosce la presenza di Dio nel crocifisso (Mc 15,39);
- da una povera vedova che offre del suo indispensabile per condividerlo con gli altri (Mc 12,43-44);
- da un cieco che gridando dà fastidio ai discepoli e non possiede neanche una dottrina certa (Mc 10,46-52);
- dai piccoli che vivono marginalizzati, ma credono in Gesù (Mc 9,42);
- da quelli che usano il nome di Gesù per combattere il male, ma non sono della “Chiesa” (Mc 9,38-40);
- da una donna anonima, che scandalizza i discepoli con il suo modo di fare (Mc 14,3-9);
- da un padre di famiglia che è costretto a portare la croce e diviene discepolo modello (Mc 15,21);
- da Giuseppe di Arimatea che rischia tutto chiedendo il corpo di Gesù per poterlo seppellire (Mc 15,43);
- dalle donne che, in quel tempo, non potevano essere testimoni ufficiali, ma sono scelte da Gesù come testimoni qualificate della sua risurrezione (Mc 15,40.47; 16,6.9-10).

Riassumendo: I dodici discepoli, chiamati in modo particolare da Gesù (Mc 3,13-19) e da lui inviati in missione (Mc 6,7-13), fallirono. Pietro rinnegò (Mc 14,6-72), Giuda tradì (Mc 14,44-45) e tutti fuggirono (Mc 14,50). Ma proprio nel loro fallimento appare la forza della fede degli altri che non facevano parte del gruppo dei dodici scelti. La comunità, la Chiesa, deve avere una coscienza ben chiara che essa non è proprietaria di Gesù e neppure possiede tutti i criteri dell’azione di Dio in mezzo a noi. Gesù non è nostro, ma noi, la comunità, la Chiesa, siamo di Gesù, e Gesù è di Dio (1Cor 3,23). La più grande sorpresa di tutte è la risurrezione.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo
Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore. Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25,35). Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3,13). Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui. Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1Cor 12,12). L’Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo. Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo (Disc. sull’Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98,1-2; PLS 2,494-495).

RITO AMBROSIANO

GIOVEDÌ 17 MAGGIO 2012
GIOVEDÌ DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA
ASCENSIONE DEL SIGNORE
SOLENNITÀ


Letture:
At 1,6-13a
Sal 46
Ef 4,7-13
Lc 24,36b-53

É stato assunto in cielo
La vicenda umana di questo Gesù di Nazaret - paradigma di ogni sana umanità che vuol realizzarsi secondo il disegno di Dio - termina “in cielo”, cioè nella partecipazione piena - proprio anche nella sua umanità - alla vita divina in Casa Trinità. Destino appunto anche nostro, così fissato dalle parole di Paolo: “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Epist.).
L’uomo perfetto: L’illusione pagana, da sempre, è quella di credere ad una autonoma misura di umanità, ad un progetto di riuscita umana indipendentemente da quanto Dio Creatore ha stabilito in noi, “predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1,4-5). La “misura”, cioè il progetto unico di uomo, è lui, Gesù, figlio di Dio e, con l’ascensione, erede, dove siede alla destra del Padre. Solo lì possiamo leggere la nostra vera vicenda e lo sbocco positivo che ci libera dalle angosce della morte e chiarisce molti enigmi della vita. Gesù è andato, come nostro fratello maggiore, “a prepararci un posto. E quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,2-3). Un destino anche di risurrezione del corpo. Nelle apparizioni ai discepoli, Gesù insiste molto sulla sua realtà di corpo risorto: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che ho io”. Come sia anche il nostro corpo nell’aldilà, Paolo afferma che sarà un corpo incorruttibile, nella gloria, risorto in potenza e spirituale, cioè sotto la signoria dello Spirito (cfr. 1Cor 15,35-53). Troppi, che si dicono cristiani, pensano ancora solo alla “immortalità dell’anima”; cose da vecchi filosofi greci! Gesù ha insistito sull’intimità con Dio, parte viva di Casa Trinità: “In verità io vi dico: si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). Saremo a cena da Dio, e lui nostro cameriere! “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). In cima al Monte degli Ulivi Gesù ha dato appuntamento: “Verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Prosegue Paolo: “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria” (Col 3,4). Tempo di attesa e nostalgia del cielo deve essere il nostro, come lo vivevano i Santi. “Carissimi - esorta san Giovanni - noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).
Mi sarete testimoni: “Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni”. Finito il tempo del Gesù terreno, inizia il tempo della Chiesa: “asceso in alto, ha distribuito doni agli uomini” (Epist.). Il mandato è stato dato agli apostoli, ma con la prospettiva universale: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. Per questo “egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero” (Epist.). Una testimonianza e un ministero già legato al battesimo, che si articola poi nei vari ministeri di una Chiesa sempre più viva e coordinata. Ma viva e coordinata non tanto dagli uomini, ma dallo Spirito Santo. “Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi” (Lett.). È opera di Dio direttamente la gestione della sua Chiesa: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,4-7). Anche Paolo, pur cosciente d’aver molto faticato per il vangelo, riconosce: “non però io, ma la grazia di Dio che è in me” (1Cor 15,10). Ma testimoni di che cosa? Vien da pensare che ci sia oggi un’enfasi sul caritativo e il sociale, e si dimentichi quella “nostalgia del cielo” della quale erano così provocatoriamente testimoni i Santi. San Paolo così pensava dei suoi cristiani di Corinto: “Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta” (2Cor 11,2). Troppi amori invadono la nostra vita. Ma siamo, se credenti, ormai fidanzati per un unico matrimonio che solo soddisfa pienamente il nostro bisogno d’amore. Sempre Paolo dichiara il suo unico amore: “Non vivo più io; ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Fossimo capaci di questa coerenza col nostro più vero essere!
Non c’è da meritare il Paradiso. Il buon Ladrone l’ha rubato all’ultimo momento, con un atto di fede nel Crocifisso. Sant’Agostino dice che il dono di Dio è in proporzione al desiderio. Abbiamo grandi desideri, e il Signore.. generoso li esaudirà!

DOMENICA 20 MAGGIO 2012
ANNO B
VII DI PASQUA
DOMENICA DOPO L’ASCENSIONE


Letture:
At 1,15-26
Sal 138
1Tm 3,14-16
Gv 17,11-19

Custodiscili nel tuo nome
Gesù è salito al cielo e la Chiesa ricorda la sua promessa di assistenza nei passi che ora intraprende nel mondo. È la grande preghiera di Gesù, fatta con commozione, come suo testamento alla vigilia della passione. “Padre, io non sono più nel mondo, essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome”. La Chiesa è stata voluta da Gesù, fondata sui Dodici Apostoli da lui raccolti; il numero dodici dice il prolungamento dall’antico Israele. Al venir meno di Giuda, si ricostituisce il numero. Ma soprattutto la Chiesa è fondata sullo Spirito Santo e la preghiera stessa di Gesù, perché sia fedele alla verità e unita nell’amore. È tutta la sua efficacia e la sua forza. E la sua missione: testimone del Signore Gesù.
Mandati nel mondo: “Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo”. Gesù vuole che la sua opera prosegua attraverso la Chiesa, fondata sugli Apostoli. È stata sua scelta precisa: “Salì sul monte, chiamò a se quelli che voleva ed essi andarono con lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli - perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc 3,13). Al venir meno di Giuda, Pietro si affretta a ricostituire il numero dei Dodici, e la scelta cadde su Mattia. Così aveva pregato: “Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato” (Lett.). È Dio che sceglie, come aveva fatto Gesù: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16). Anche Paolo rivendicherà la sua scelta straordinaria, avvenuta sulla via di Damasco: “apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio” (Rm 1,1). L’apostolo è testimone di Cristo; in particolare proprio quelli che sono chiamati a dire la loro esperienza diretta con Gesù, come con enfasi Giovanni dirà di sé: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi” (1Gv 1,1-3). Per questo Pietro lo porrà come criterio per la scelta: “Bisogna che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione” (idem). In questo senso concreto - cioè di testimoni diretti e oculari - si dice della nostra Chiesa essere “apostolica”. Criterio - questo dell’esperienza personale di Gesù - che certamente si estende agli altri “apostoli”, continuatori della loro missione di testimoni. Già ai primi discepoli Gesù aveva chiesto una sequela che era condivisione di vita: “Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,39). Per tre anni fu una convivenza che trasmise loro tutta la ricchezza dell’amore stesso di Dio Padre: “Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Per loro usò tutta la cura possibile: “Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome e li ho conservati”. È l’esperienza con Gesù la radice dell’apostolato anche oggi; per questo Gesù dirà a Pietro: “Se mi ami.. pasci!” (Gv 21,15ss).
Consacrati nella verità: La prima preghiera di Gesù è perché i suoi discepoli siano ben fermi nella professione di fede: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità”. È la parola di Dio che Gesù ha trasmesso, e che Paolo così sintetizza: “Non vi è dubbio che grande è il mistero della vera religiosità: egli fu manifestato in carne umana e riconosciuto giusto nello Spirito, fu visto dagli angeli e annunciato fra le genti, fu creduto nel mondo ed elevato nella gloria” (Epist.). Gesù darà ai suoi lo Spirito Santo, il Paràclito, colui che starà al loro fianco: “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). “Consacrati nella verità”, carisma dell’infallibilità nell’interpretare la Scrittura dato alla Chiesa, “colonna e sostegno della verità” (Epist.). Per Pietro in particolare Gesù aveva pregato: “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). La seconda preghiera è per l’unità, la comunione interna, quale prolungamento dell’unione Trinitaria: “Custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi”. E Luca dice che davvero “la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola.., e fra loro tutto era comune” (At 4,32). Ma più profondamente Gesù parlerà di una comunione non come ma con la stessa Trinità: prega “perché tutti siano un sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,21.23). Comunione certamente finale: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato” (Gv 17,24). Ma comunione già da oggi, con l’inabitazione Trinitaria nel cuore del credente: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). La terza preghiera di Gesù è “perché tu li custodisca dal Maligno”. Tentazioni interne e persecuzioni esterne. “Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. “La Chiesa- dice il Concilio - prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” (LG 8). Persecuzioni anche di oggi, nella sottile emarginazione del nostro secolarismo europeo, e nell’aperta persecuzione del fondamentalismo in Asia. Ma Gesù aveva promesso: “Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18). Veramente il Signore custodisce la sua Chiesa: nonostante duemila anni di guerre, interne ed esterne, la Chiesa è realtà ancora oggi viva e duratura.
Salito al cielo Gesù invia lo Spirito a dare sostanza alla sua Chiesa: “Quando verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13); assieme a forza e missione: “Riceverete la forza dello Spirito che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni fino alla fine della terra” (At 1,8). La Pentecoste si attualizza anche per la nostra Chiesa di oggi; come allora gli Apostoli, anche noi aspettiamo l’effusione dello Spirito “perseverando concordi nella preghiera, con Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui” (At 1,14).
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MessaggioTitolo: sabato 26 maggio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 22, 2012 9:49 am

SABATO 26 MAGGIO 2012

SAN FILIPPO NERI
SACERDOTE


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, che ci dai la gioia di portare a compimento i giorni della Pasqua, fa’ che tutta la nostra vita sia una testimonianza del Signore risorto.

Letture:
At 28,16-20.30-31 (Paolo rimase a Roma, annunciando il regno di Dio)
Sal 10 (Gli uomini retti, Signore, contempleranno il tuo volto)
Gv 21,20-25 (Questo è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e la sua testimonianza è vera)

Come accogliere il Regno di Dio
È ormai quasi istintivo in noi, dopo la triste esperienza del peccato, che ha annebbiato i sensi della nostra anima, pensare e credere che ciò ch’è infinitamente grande in tutte le sue perfezioni, debba essere per noi altrettanto complicato e inaccessibile. Ne facciamo esperienza quando con la fioca lanterna della nostra intelligenza tentiamo di immergerci in quel mare sconfinato che è il nostro Dio. Ci condanniamo così ad un inevitabile naufragio. Con una minuscola conchiglia vorremmo riversare tutta l’acqua dell’oceano nella piccola pozza che abbiamo scavato nella sabbia della spiaggia. Gesù ci indica una strada completamente diversa. Ci dice che le ascese più sublimi verso l’infinito, le possiamo fare quando abbiamo conservato o acquisito di nuovo la semplicità e la purezza del cuore. Sono le doti che si riscontrano nei bambini e sono annesse alla loro candida innocenza. È per questo che Gesù ci dice: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». Ribadirà più volte il Signore questa verità e ce ne darà la piena conferma quando si lascerà sconfiggere dalla cattiveria degli uomini fino a subire una assurda condanna, una atroce passione e la morte ignominiosa della croce. Dirà ad Erode che lo interroga prima di condannarlo: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Gli umili e i piccoli sanno accogliere le verità di Dio. Il cielo è velato per gli arroganti e i presuntuosi.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi comincia con la domanda di Pietro sul destino del discepolo amato: Signore, e lui? Gesù comincia a parlare con Pietro, annunciando il destino o il tipo di morte per mezzo del quale Pietro glorificherà Dio. E alla fine Gesù aggiunge: Seguimi (Gv 21,19).
- Giovanni 21,20-21: La domanda di Pietro sul destino di Giovanni. In quel momento, Pietro si girò e vide il discepolo amato da Gesù e chiese: Signore, e lui? Gesù ha appena indicato il destino di Pietro ed ora Pietro vuole sapere da Gesù qual è il destino di quest’altro discepolo. Curiosità che non merita la risposta adeguata da parte di Gesù.
- Giovanni 21,22: La risposta misteriosa di Gesù. Gesù dice: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”. Frase misteriosa che termina di nuovo con la stessa affermazione di prima: Seguimi! Gesù sembra voler frenare la curiosità di Pietro. Così come ognuno di noi ha la propria storia, così anche ognuno di noi ha il suo modo di seguire Gesù. Nessuno è la copia esatta di un’altra persona. Ognuno di noi deve essere creativo nel seguire Gesù.
- Giovanni 21,23: L’evangelista chiarisce il senso della risposta di Gesù. La tradizione antica identifica il Discepolo Amato con l’apostolo Giovanni e dice che morì molto anziano, quando aveva circa cento anni. Unendo l’età avanzata di Giovanni alla risposta misteriosa di Gesù, l’evangelista chiarisce dicendo: “Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto”. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?”. Forse è un avvertimento a stare molto attenti all’interpretazione delle parole di Gesù e non basarsi su qualsiasi diceria.
- Giovanni 21,24: Testimone del valore del vangelo. Il Capitolo 21 è un’appendice aggiunta quando venne fatta la redazione definitiva del Vangelo. Il Capitolo 20 termina con queste frasi: “Molti atri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31). Il libro era pronto. Ma c’erano molti altri fatti su Gesù. Per questo, in occasione dell’edizione definitiva del vangelo, alcuni di questi “molti altri fatti” su Gesù furono scelti ed aumentati, assai probabilmente per chiarire meglio i nuovi problemi della fine del primo secolo. Non sappiamo chi fece la redazione definitiva con l’appendice, ma sappiamo che è qualcuno di fiducia della comunità, poiché scrive: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”.
- Giovanni 21,25: Il mistero di Gesù è inesauribile. Frase bella per concludere il vangelo di Giovanni: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Sembra un’esagerazione, ma è la verità. Mai nessuno sarà in grado di scrivere tutte le cose che Gesù ha fatto e continua a fare nella vita delle persone che fino ad oggi seguono Gesù!

Per un confronto personale
- C’è nella tua vita qualcosa che Gesù ha fatto e che potrebbe essere aggiunta a questo libro che non sarà mai scritto?
- Pietro si preoccupa molto dell’altro e dimentica di portare avanti il proprio “Seguimi”. Succede anche a te?

26 maggio: San Filippo Neri, sacerdote
Biografia: Ebbe i natali a Firenze da ricca famiglia nel 1515. Vivace e allegro, passò la sua fanciullezza in una singolare bontà, che lo faceva chiamare “Pippo il buono”. Si distinse nell’amore per il prossimo, la semplicità evangelica e il lieto servizio di Dio. Studente a Roma, per tre anni, abbandonò gli studi, come s’è detto, vendendo i libri, per dedicarsi interamente ad attività benefiche. Ordinato sacerdote nel 1551, diede vita poco dopo all’Oratorio, una Congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolare modo nell’educazione dei giovani. Ma la vita di S. Filippo rimase quella che era sempre stata, tanto originale quanto splendente di santità. Dio lo favorì col dono della profezia, dei miracoli e con frequenti visioni. Ritornò a Dio a ricevere il premio delle sue fatiche l’anno 1595.

Martirologio: Memoria di san Filippo Neri, sacerdote, che, adoperandosi per allontanare i giovani dal male, fondò a Roma un oratorio, nel quale si eseguivano letture spirituali, canti e opere di carità; rifulse per il suo amore verso il prossimo, la semplicità evangelica, la letizia d’animo, lo zelo esemplare e il fervore nel servire Dio.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
Rallegratevi nel Signore, sempre
L’Apostolo ci comanda di rallegrarci, ma nel Signore, non nel mondo. «Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gc 4,4), come ci assicura la Scrittura. Come un uomo non può servire a due padroni, così nessuno può rallegrarsi contemporaneamente nel mondo e nel Signore. Quindi abbia il sopravvento la gioia nel Signore, finché non sia finita la gioia nel mondo. Cresca sempre più la gioia nel Signore, mentre la gioia nel mondo diminuisca sempre finché sia finita. E noi affermiamo questo, non perché non dobbiamo rallegrarci mentre siamo nel mondo, ma perché, pur vivendo in questo mondo, ci rallegriamo già nel Signore. Ma qualcuno potrebbe obiettare: Sono nel mondo, allora, se debbo gioire, gioisco là dove mi trovo. Ma che dici? Perché sei nel mondo, non sei forse nel Signore? Ascolta il medesimo Apostolo che parla agli Ateniesi e negli Atti degli Apostoli dice del Dio e Signore nostro creatore: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Colui che é dappertutto, dove non é? Forse che non ci esortava a questo quando insegnava: «Il Signore è vicino! Non angustatevi per nulla»? (Fil 4,5-6). È una ineffabile realtà questa: ascese sopra tutti i cieli ed è vicinissimo a coloro che si trovano ancora sulla terra. Chi è costui, lontano e vicino al tempo stesso, se non colui che si è fatto prossimo a noi per la sua misericordia? Tutto il genere umano é quell’uomo che giaceva lungo la strada semivivo, abbandonato dai ladri. Il sacerdote e il levita, passando, lo disprezzarono, ma un samaritano di passaggio gli si accostò per curarlo e prestargli soccorso. Lontano da noi, immortale e giusto, egli dicesse fino a noi, che siamo mortali e peccatori, per diventare prossimo a noi. «Non ci tratta secondo i nostri peccati» (Sal 102,10). Siamo infatti figli. E come proviamo questo? Morì per noi l’Unico, per non rimanere solo. Non volle essere solo, egli che è morto solo. L’unico Figlio di Dio generò molti figli di Dio. Si acquistò dei fratelli con il suo sangue. Rese giusti i reprobi. Donandosi, ci ha redenti; disonorato, ci onorò; ucciso, ci procurò la vita. Perciò, fratelli, rallegratevi nel Signore, non nel mondo; cioè rallegratevi nella verità, non nel peccato; rallegratevi nella speranza dell’eternità, non nei fiori della vanità. Così rallegratevi: e dovunque e per tutto il tempo che starete in questo mondo, «il Signore é vicino! Non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6) (Disc. 171, 1-3. 5; PL 38, 933-935).

Preghiera finale: Giusto è il Signore, ama le cose giuste; gli uomini retti vedranno il suo volto (Sal 10).
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DOMENICA 27 MAGGIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
DOMENICA DI PENTECOSTE

MESSA DELLA VIGILIA


Letture:
Gen 11,1-9 (La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra)
Sal 32 (Su tutti i popoli regna il Signore)
Rm 8,22-27 (Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili)
Gv 7,37-39 (Sgorgheranno fiumi di acqua viva)

Il grido dell’uomo e il soffio dello Spirito
Sembra quasi di sentirlo quel grido della creazione di cui parla san Paolo nella lettera ai Romani (8,22-27), e che ci viene riproposto nella seconda lettura della Messa vigiliare di Pentecoste. «Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto». Sembra quasi che quel grido prenda forma e voce negli innumerevoli gemiti della nostra storia, nei sospiri e nelle sofferenze della nostra vita, nell’attesa a volte spasmodica del nostro cuore. Sì, anche noi gridiamo interiormente: «anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo». C’è infatti un senso di paura e di insicurezza che sempre percorre le nostre giornate. In fondo, ci sentiamo sempre un po’ orfani e spaesati davanti a questa nostra vita: abbiamo bisogno di un padre, di un redentore, di una guida che dia finalmente sicurezza e futuro ai nostri passi incerti. Proprio come accadde un giorno al popolo di Israele, durante la traversata del deserto narrata nel libro dell’Esodo: troppo lontana sembrava a loro quella terra promessa da Dio, lontana al punto da apparire più un miraggio che una realtà. Fu allora che il popolo alzò la sua voce, e gridò contro il Signore e contro Mosé. Quel grido di dolore era certo un grido giustificato, in quanto esprimeva tutta la sofferenza dei profughi di Israele, costretti a vagare nel deserto, assetati e affamati. E tuttavia quel grido di dolore era anche il grido di un popolo smemorato, che più non ricordava le grandi opere compiute dal Signore in Egitto, quando avevano attraversato illesi il Mar Rosso. «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me» (cfr. Es 19,3-8.16-20: prima lettura della Messa vigiliare di Pentecoste). Avevano certo visto gli israeliti queste grandi opere del Signore; ma già se ne erano scordati, e ora gridavano la loro sofferenza contro Dio e contro Mosé. Appunto la mancanza di memoria rende disperato il grido dell’uomo; appunto quando non siamo più capaci di ricordare la bontà del Signore ci accade di smarrire il nostro futuro, e di gridare senza speranza contro Dio e contro i fratelli. Non così invece fu il grido di Gesù sulla croce, quando si trovò faccia a faccia con la morte. L’evangelista Giovanni, testimone autorevole di quella morte, lo ricorda con nettezza: non fu la disperazione a far risuonare il grido di Gesù morente, ma fu lo Spirito Santo a gridare in lui. E fu un grido carico della memoria di Dio, un grido che si ricordava del Padre, ed affidava al Padre quella vita straziata, nella certezza della sua misericordia. Ebbene, questo grido dello Spirito oggi è donato anche a noi. La promessa di Gesù è chiara: «Chi ha sete venga a me e beva... Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (cfr. Gv 7,37-39: Vangelo della Messa vigiliare di Pentecoste). Anche noi, assetati e stanchi, possiamo cambiare il nostro grido disperato e senza memoria con il grido dello Spirito Santo, che ci dona una speranza, ricordandoci la bontà del Signore. Anche per noi lo Spirito Santo può diventare il soffio che dà finalmente voce ai nostri silenzi, alla frenesìa del nostro desiderio, al pianto dei nostri cuori... Anche noi, oggi e sempre, possiamo ripetere il grido pasquale di Gesù che si abbandona al Padre.

MESSA DEL GIORNO


Orazione iniziale: Quando verrà il Consolatore, o Padre mio? Quando mi raggiungerà il tuo Spirito di verità? Il Signore Gesù ce lo ha promesso, ha detto che lo avrebbe mandato dal tuo grembo fino a noi. Padre, spalanca allora il tuo cuore e invialo dai cieli santi, dalle tue alte dimore! Non tardare più, ma adempi la promessa antica; salvaci oggi, per sempre! Apri e libera il tuo Amore per noi, perché anch’io sia aperto e liberato da te, in te. Questa tua Parola di oggi sia il luogo santo del nostro incontro, sia la stanza nuziale per l’immersione in te, o Trinità Amore! Vieni in me e io in te; abita in me e io in te. Rimani, Padre! Rimani o Figlio Gesù Cristo! Rimani per sempre, Spirito Consolatore, non lasciarmi più! Amen.

Letture:
At 2,1-11 (Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare)
Sal 103 (Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra)
Gal 5,16-25 (Il frutto dello Spirito)
Gv 15,26-27; 16,12-15 (Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera)

Dio è amore
È la sua essenza che ci viene rivelata come alito vivificante sin dalla creazione. Abbiamo scoperto che è fonte di vita, fonte di tutte le forme di vita, riempie di sé l’universo. Sappiamo che lo Spirito ci rende somiglianti a Dio. Sappiamo che nella pienezza dei tempi ha adombrato la vergine di Nazareth e l’ha resa madre di Gesù redentore conservando intatta la sua verginità. Sappiamo che è lo stesso Spirito a rivelare ad Elisabetta che colei che la sta salutando è “la Madre del Signore”. Illumina nel tempio il santo Simeone e la profetessa Anna. Parla ai dottori per bocca del bambino Gesù. Rivela nelle acque del Giordano che il battezzato è il Figlio, l’Eletto. Viene ripetutamente annunciato e promesso dallo stesso Gesù agli Apostoli, inizialmente tristi alla notizia della sua prossima dipartita. Viene atteso e invocato nel cenacolo dagli undici, radunati in preghiera con la Madre Santissima. Oggi pentecoste scende sulla chiesa nascente: scende su tutta la chiesa per santificare, illuminare e fortificare. Scende affinché gli inviati nel mondo, quelli di allora e quelli di oggi, non si sentano soli, affinché non abbiano a temere, affinché sappiano superare le prove che li attendono, affinché siano pronti a dare la suprema testimonianza di fedeltà e di amore al loro maestro anche con il dono della vita. Scende sotto forma di lingue di fuoco: la Parola da annunciare ha in se un connaturale ardore divino e deve infuocare d’amore i cuori dei credenti. Sgorga dal cuore stesso di Dio, sgorga come un effluvio dalla croce di Cristo, sgorga dal suo costato trafitto dalla lancia. Sgorga dal cenacolo e dal sepolcro vuoto e dall’annuncio che ormai il mondo intero conosce: Egli è vivo, è risorto, ha vinto il peccato, ha vinto la morte, ci ha ridonato la vita. È l’Alito nuovo di Dio che fa rinascere le sue creature a vita nuova. Lo Spirito è entrato nella chiesa e i pavidi sono diventati araldi intrepidi del Vangelo. Anch’essi affrontano il “mondo” e vincono e cantano un canto nuovo, il canto dei risorti. I pescatori di pesci sono diventati pescatori di uomini e i tremanti e fuggitivi della passione, ora gridano nelle piazze e stanno cambiando il mondo. Pare che ora quello Spirito non sia più desiderato, invocato ed accolto. Sta prendendo il sopravvento lo spirito del mondo, quella insana presunzione che ci fa credere di poter agire e vivere senza di Lui. Allo Spirito di Dio si vuol sostituire l’intelligenza e la superbia dell’uomo. Stiamo costatando con spavento quali sono le terrificanti conseguenze di questo peccato contro lo Spirito Santo. Freddo e buio stanno calando sul mondo che trema. Che tristezza!
Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi. Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono. Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante - e non contro - la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei gesti della vita cristiana. Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa! Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere esercitata con misericordie con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.

Approfondimento del Vangelo (La testimonianza dello Spirito Santo e la testimonianza dei discepoli)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Per inserire il brano nel suo contesto: I pochi versetti che la liturgia ci offre oggi per la meditazione appartengono al grande discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli prima della Passione, che Giovanni estende da 13,31 fino alla fine del cap. 17. Qui Gesù comincia a parlare delle conseguenze inevitabili della sequela e della scelta di fede e amore per Lui; il discepolo deve essere pronto a soffrire persecuzione da parte del mondo. Ma in questa lotta, in questo dolore, c’è una Consolazione, c’è un Difensore, un Avvocato che testimonia per noi e ci salva: il dono dello Spirito illumina la vicenda umana del discepolo e la ricolma di speranza viva. Egli è inviato per farci comprendere il mistero di Cristo e per renderci partecipi di esso.

Per aiutare nella lettura del brano:
- 15,26-27: annuncia l’invio dello Spirito santo, quale Consolatore, quale Avvocato difensore; sarà Lui ad agire nel processo accusatorio che il mondo intenta contro i discepoli di Cristo. Sarà Lui a renderli forti nella persecuzione. Lo Spirito rende testimonianza al mondo riguardo al Signore Gesù; egli difende il Cristo, contestato, accusato, rifiutato. Ma è necessaria anche la testimonianza dei discepoli; lo Spirito deve servirsi di loro per proclamare con potenza il Signore Gesù in questo mondo. È la bellezza della nostra vita trasformata in testimonianza d’amore e fedeltà a Cristo.
- 16,12: Gesù pone i suoi discepoli ? e quindi anche noi ? di fronte alla loro condizione di povertà, di incapacità, per la quale non è loro dato di comprendere molto né delle parole di Gesù, né delle parole della Scrittura. La sua verità è ancora un peso, che non possono ricevere, sollevare e portare.
- 16,13-15: In questi ultimi versetti, la Parola di Gesù rivela ai discepoli quale sarà l’azione del suo Spirito nei loro confronti. Sarà Lui a guidarli in tutta la verità, cioè farà loro comprendere il mistero di Gesù in tutta la sua portata, nella totalità della sua verità. Egli guiderà, rivelerà, annuncerà, illuminerà, portando a noi discepoli le parole stesse del Padre. E così saremo condotti nell’incontro con Dio; per grazia saremo resi capaci di comprendere le profondità del Padre e del Figlio.

Un momento di silenzio orante: Ho letto il brano, ho cercato di comprendere la sua struttura, di afferrare le parole di Gesù, di entrare in contatto con le presenze che qui mi vengono offerte. Ora mi fermo, mi soffermo. Cerco di aprire ancora di più il mio cuore, la mia mente, tutto il mio essere, perché questo incontro con il santo evangelo di Gesù sia incontro d’amore, d’amicizia vera, di trasformazione. Faccio silenzio. Ripeto solo: “Vieni Spirito santo”. Di tanto in tanto, posso intervallare questo spazio di silenzio e ascolto, cantando sottovoce queste parole: “Manda il tuo Spirito e rinnova la terra”. Mi faccio terra silenziosa, terra in attesa.

Alcune domande: Adesso mi lascio scrutare dallo sguardo del Padre, mi lascio raggiungere dalla Presenza viva del Figlio, mi lascio avvolgere dal fuoco purificatore dello Spirito santo. Davanti alla Parola del Signore non voglio fuggire, né nascondermi; anzi, desidero mostrarmi a Lui in tutta verità, così come sono, povero, malato, bisognoso del suo aiuto, della guarigione che può venire solo da Lui. Lascio che la sua voce mi raggiunga; lascio che Lui mi interroghi.
a) “Quando verrà il Paraclito”. Gesù mi pone subito di fronte a una realtà ben precisa; Lui apre davanti a me un tempo nuovo, un tempo diverso e mi dice che c’è un’attesa nella mia vita. Sta per arrivare il Paraclito, lo Spirito santo. Non so se ci sia mai stato veramente spazio, in me, per questa attesa santa, amorosa. Mi chiedo, davanti a questo vangelo, se io abbia mai pensato a questo dono preparato per me; se mi sia mai reso conto che il Signore si prende cura di me, tanto da volermi mandare il suo Spirito, che è consolazione. Mi pesa, in questo momento di grazia, la mia distrazione, la mia leggerezza, la mia chiusura. Perché, Signore, io ti ho sempre atteso così poco, perché così fragile, così ipocrita è stata la mia attenzione per te? Tu mandi Qualcuno a cercarmi e io nemmeno me ne accorgo, nemmeno mostro di interessarmi. Perdonami, Signore, Amico fedele, Amico vero!
b) “Anche voi mi renderete testimonianza”. Afferma questo, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli di allora e di oggi; parla con Pietro, Giacomo, Giovanni, con Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, con Maddalena, Marta, Lazzaro; parla con Stefano, Paolo, Lorenzo... parla ancora oggi, qui, a casa mia. Parla proprio a me e mi dice: “Anche tu mi renderai testimonianza”. Signore, mi spavento e tremo! So che la testimonianza è sofferenza, è martirio... Preferisco restare chiuso in camera, correre via sullo scooter, fare viaggi lontani, andare a Messa, magari cantare nel coro, frequentare il gruppo lectio, ma poi scappo via. Ho paura, tu lo sai. Perché perdere la faccia davanti a tutti: ai miei compagni di scuola, di università, di squadra, ai miei amici, che mi invitano ad uscire con loro? Perché questa grande fatica? Non posso essere cristiano lo stesso? Mi sento messo in crisi da questa tua Parola così semplice, eppure così sconvolgente; vorrei quasi chiudere la Bibbia e andarmene via. Cerco di resistere, Signore; aiutami tu! Torno a leggere, ripetendo le tue parole. Vado fino in fondo e trovo: “perché siete stati con me fin dal principio”. Signore, tu mi ferisci il cuore, tu strappi il velo della mia cecità e menzogna! Davvero, anch’io ti ho conosciuto fin da principio, come dice san Giovanni (1Gv 2,13); da sempre tu mi conosci e mi ami. Mi tornano in mente quelle volte che a Messa io ti ho ascoltato, ti ho accolto, ho amato e gioito della tua Parola, che era fin dal principio. Sì, è vero: anch’io sono con te fin dal principio, come i tuoi discepoli. Tu sei il mio principio e la mia fine; tu sei l’intera mia esistenza! Come faccio, Signore, a non testimoniare? Come posso continuare a tacere così? No, io parlerò di te, Amico e racconterò che tu sei l’Amore vero, che sei la felicità! Vieni con me, o Gesù, non lasciarmi solo e sarò tuo testimone in questo mondo.
c) “Vi guiderà alla verità tutta intera”. Un’altra parola impegnativa. Lo Spirito è inviato per guidarmi. Non so se mi sento abbastanza docile, pronto, disponibile, aperto. Devo lasciarmi prendere per mano, condurre dove non so, dove non vorrei, dove non mi sarei mai immaginato di dover andare. Ho sempre programmato a puntino i miei spostamenti, le mie decisioni di cambiare; me la sono sempre cavata bene da solo. E adesso, Signore, tu mi dici che un Altro mi guiderà. Non è una scelta facile, te lo confesso. Però voglio provare, voglio accoglierti, o Tu, che sei l’Amore. Depongo davanti a te la mia autosufficienza, la mia convinzione testarda di bastare a me stesso, di far bene da solo, di capire dove devo andare. Mi spoglio, o Gesù, della mia veste di gloria, getto via il mio mantello e ti seguo. Mi lascio afferrare dal tuo Spirito. Mi condurrà nel deserto, come ha fatto con te (cfr. Lc 4,1)? Aprirà la mia vita, come ha aperto il grembo della vergine Maria (Lc 1,35)? Mi investirà, come già ha fatto con Pietro, con gli altri, con quanti credevano alla predicazione, come ci è narrato negli Atti degli apostoli? Non so cosa mi accadrà, ma voglio dirti di sì. Mi impegno, oggi, qui, a lasciarmi condurre, accompagnare, guidare dal tuo Spirito. Faccio alleanza con lo Spirito santo, in questa Pentecoste. Lo scrivo sul mio diario, o sulla Bibbia, mentre tu, o mio Dio, lo stai scrivendo sul mio cuore. Da oggi sono un uomo nuovo! Grazie, Padre mio.

Una chiave di lettura: Con la forza che mi è stata data dall’incontro con Gesù, torno a leggere il brano evangelico. Lo ripercorro, cercando di scorgere una pista precisa, il solco tracciato per me, perché possa giungere alla vera luce. Mi sembra di poter individuare un cammino in tre tappe, tre incontri, tre grandi rivelazioni, che sono tre doni immensi, inestimabili, al cui confronto l’oro è come un po’ di sabbia e come fango. I doni di Gesù sono questi: il Paraclito, la testimonianza, il Padre. Chiedo, in questo momento, la grazia di poterli accogliere nel mio spirito, nella mia vita.
- Lo Spirito santo Paraclito: In un primo momento questo termine può suonare un po’ strano; mi confonde, mi disorienta. So che è una parola greca abbastanza diffusa, già dall’antichità, un po’ in tutto il mondo mediterraneo. San Giovanni l’ha usata anche poco più sopra, dicendo: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14,16) e rivelando che lo Spirito viene a consolare, a rimanere accanto, a difendere e proteggere. Qui, però, in questo versetto, sembra emergere una sfumatura diversa: lo Spirito si presenta a noi come l’Avvocato, cioè colui che si fa accanto a noi nel giudizio, nelle accuse, nel tribunale della persecuzione. Lo sappiamo, tutta la storia, anche quella dei nostri giorni, porta nel suo cuore l’accusa, il disprezzo, la condanna per il Signore Gesù e per quanti lo amano. È storia quotidiana di tutti. Al banco degli accusati, accanto a Gesù, sediamo anche noi. Ma non da soli. Abbiamo un Avvocato. Lo Spirito del Signore viene e agisce in giudizio a nostro favore: fa dei discorsi, rende testimonianza, cerca di convincere e di provare. È immensa la sua opera in mezzo a noi, per noi. Presso il Padre, nostro Avvocato è Gesù, come scrive Giovanni nella sua prima lettera (1Gv 2,1); ma presso il mondo, nostro Avvocato è lo Spirito, che egli manda a noi dal Padre. Non dobbiamo preparare prima la nostra difesa (Lc 21,14), pensando di poterci discolpare da soli, ma dobbiamo fare spazio al soffio dello Spirito santo dentro di noi, lasciare che sia lui a parlare, a dire, a provare. Anche Paolo ha dovuto fare questa esperienza dura; lo scrive nella sua prima lettera a Timoteo: “Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato” (2Tim 4,16). E davvero è così: non c’è difesa per noi, non innocenza, liberazione, scarcerazione vera, se non nel rapporto intimo con lo Spirito del Signore. Egli viene mandato a noi, affinché ci lasciamo prendere dalla sua presenza, come in un abbraccio, come in rapporto intimo e intenso di amicizia, di confidenza, abbandono e amore.
- La testimonianza: Comincio a comprendere, continuando ad accogliere le parole di questo vangelo nel mio cuore, che il rapporto di noi discepoli con lo Spirito santo ha lo scopo di renderci capaci di dare la nostra testimonianza su Gesù. Noi veniamo uniti inscindibilmente con lo Spirito santo, veniamo afferrati da Lui, presi nel suo fuoco, che è l’Amore reciproco del Padre e del Figlio, per diventare anche noi luminosi, anche noi fonti d’amore in questo mondo. Rendere testimonianza significa attestare con chiarezza, dandone le prove. Per primo è lo Spirito a fare ciò, continuamente, in ogni luogo, in ogni tempo; con potenza egli opera, in noi e attorno a noi. È Lui che muove i cuori, che cambia i nostri pensieri alteri e induriti, che riavvicina, riconcilia, spinge al perdono, all’unione; è ancora Lui che guarisce l’anima, la psiche, il corpo e il cuore malati. E Lui che insegna, ammaestra e rende docili, rende saggi i semplici, i poveri, i puri. Rende testimonianza del Signore Gesù, il Salvatore, attraverso tutte queste sue operazioni, lievi tocchi d’amore e di comunione sulle nostre terre desolate e riarse. Lui attesta del Crocifisso, del Sofferente per amore; grida riguardo al Risorto, che ha sconfitto e calpestato la morte per sempre; testimonia del Vivente, del Glorificato, di Colui che è con noi fino alla fine dei tempi. Ecco, questa è la testimonianza. Lo Spirito la introduce nel nostro mondo, la porta fino a noi; non possiamo restare indifferenti, continuare a sonnecchiare, a scegliere un po’ qui, un po’ là. È Lui la verità. E di verità ce n’è una sola: quella di Dio, il Figlio suo Gesù Cristo. Siamo chiamati a testimoniare tutto questo, cioè a porre, a impegnare la nostra vita per amore di questa verità. Testimoniare è diventare martiri, per amore. Non da soli; non per forza nostra, per sapienza nostra. “Anche voi mi renderete testimonianza”, dice Gesù. Ma la nostra testimonianza può sussistere solamente dentro la testimonianza dello Spirito santo; non sono testimonianze parallele, ma vite fuse insieme: quella dello Spirito e la nostra. Questo accade davanti agli infiniti tribunali del mondo, ogni giorno. La nostra vita, allora, diventa luogo sacro, quasi santuario, della testimonianza al Signore Gesù. Non importa compiere grandi imprese, dimostrare sapienza e intelligenza, attirare folle di gente; no, basta una cosa sola: dire al mondo che il Signore è vivo, che è qui, in mezzo a noi e annunciare la sua misericordia, il suo infinito amore.
- Il Padre: Il contatto con lo Spirito santo, il lasciarci abbracciare e invadere da Lui, ci porta al Signore Gesù; ci conduce fino al suo cuore, fino alla sorgente del suo amore. E da lì noi giungiamo al Padre, noi riceviamo il Padre. Non avevamo nulla, nulla abbiamo potuto portare con noi, venendo in questo mondo ed ora, ecco, siamo stracolmi di doni! Impossibile contenerli tutti. Occorre lasciarli traboccare, lasciarli fluire al di fuori, verso i fratelli e le sorelle che ci è dato di incontrare, o anche solo di sfiorare appena, per brevissime esperienza di vita. Lo Spirito parla di Gesù e usa le parole del Padre; egli ripete a noi ciò che ode nel grembo del Padre. È il Padre la sua dimora, la sua casa; venendo a noi, lo Spirito porta con sé l’impronta, il sigillo di quella dimora, di quel luogo di comunione infinita, che è il seno del Padre. E noi capiamo bene che quella è la nostra casa; riconosciamo il luogo della nostra origine e del nostro fine. Riscopriamo, ricevendo lo Spirito di Gesù, che anche noi veniamo dal Padre, che da Lui nasciamo e in Lui viviamo. Se cerchiamo noi stessi, se vogliamo ritrovare la via, il senso del nostro vivere qui, tutto questo sta scritto nelle parole che lo Spirito pronuncia per noi, dentro di noi, riguardo a noi. Occorre davvero un grande silenzio per poterle ascoltare, per comprenderle. Occorre ritornare a casa, ripensare finalmente a nostro Padre e dire, dentro di noi: “Sì, basta ormai! Troppo tempo ho vagato lontano, già mi sono perso... Tornerò da mio Padre”. Vedo quante meraviglie può operare lo Spirito della verità, che il mio Signore Gesù Cristo manda a me dal Padre. Non sarà Pentecoste, se non mi lascerò prendere da Lui, portare con Lui fino al grembo del Padre, dove già mi attende il Cristo, dove già arde per me il fuoco dello Spirito santo.

Preghiera finale: Grazie, o Padre, per la venuta del Consolatore, dell’Avvocato; grazie per la sua testimonianza su Gesù nel mondo e in me, nella mia vita. Grazie, perché è Lui che mi rende capace di ricevere e di portare il peso glorioso del tuo Figlio e mio Signore. Grazie, perché egli mi guida nella verità, mi consegna alla verità tutta intera e mi rivela le parole che Tu stesso pronunci. Grazie, Padre mio, perché nella tua bontà e tenerezza tu mi hai raggiunto, oggi e mi hai attirato a te, mi hai fatto entrare nella casa del tuo cuore; mi hai immerso nel fuoco d’amore trinitario, dove tu e il Figlio Gesù siete una cosa sola nel bacio infinito dello Spirito santo. Qui sono anch’io e per questo la mia gioia è traboccante. Ti prego, Padre, fa’ che io doni a tutti questa gioia, nella testimonianza amorosa di Gesù salvatore, in ogni giorno della mia vita. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
DOMENICA DI PENTECOSTE
MESSA DEL GIORNO


Letture:
At 2,1-11
Sal 103
1Cor 12,1-11
Gv 14,15-20

Un altro Paraclito
“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio.. perché noi ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà!, Padre!” (Gal 4,4-6). Al colmo del disegno di Dio sta il nostro inserimento nel giro della famiglia di Dio per l’opera dello Spirito Santo che ci fa “figli nel Figlio”, cioè come il Figlio. Lo Spirito costruisce in noi il “Santo”, cioè la vita divina, che inizia col battesimo, cresce con l’azione interiore di “trasfigurazione”, e si completa con la risurrezione della carne. L’insieme dei santificati forma il “Sacro”, cioè la Chiesa, il luogo dove direttamente lo Spirito agisce attraverso i ministeri, i carismi e soprattutto nell’Eucaristia.
Il Santo: La promessa di Gesù: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”. È lo Spirito Santo, col battesimo, a “innestarci” in Cristo, quasi tralci sulla vite, dalla quale ricevere la linfa’ che nutre la vita divina. La linfa è appunto “lo Spirito del Figlio suo”. “Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). L’affermazione di Gesù è esplicita: “Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, quello che è nato dallo Spirito è spirito” (Gv 3,5-6). Lo Spirito - “lo Spirito della verità” - è costitutivo della nostra fede: “Nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anàtema!; e nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (Epist.). Questo Spirito - dice Gesù - “rimane presso di voi e sarà in voi”, e opera per la nostra trasformazione col “rivestirci di Cristo” (cfr. Rm 13,14). Scrive san Paolo: “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18). Lo Spirito sostiene i nostri atti, innerva le nostre capacità con la sua grazia, fino a procurare una inabitazione permanente di Dio nel cuore del credente, come aveva promesso Gesù: “Se uno mi ama.. il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Avverte san Paolo: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1Cor 3,16), cioè “abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,22). Alla fine questo Spirito, “che è Signore e dà la vita” non potrà che portare a compimento la sua opera in noi con la risurrezione della carne: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). È necessario conoscere di più la parte decisiva che lo Spirito Santo ha nella nostra esistenza cristiana e la sua permanente iniziativa, per non porvi ostacoli: “Non spegnete lo Spirito” (1Ts 5,19). Per questo san Paolo prega perché “il Padre vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito” (Ef 3,16).
Il Sacro: In quel giorno di Pentecoste a Gerusalemme “lingue come di fuoco si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (Lett.). La Chiesa esplode, per la forza dello Spirito, e corre “fino ai confini della terra” (At 1,8). In questa comunità Dio ha collocato gli strumenti che, per l’efficacia dello Spirito, portano, come in un fiume che attraversa la storia, gli elementi decisivi per la salvezza di tutti gli uomini: il ministero apostolico, la Parola di Dio, l’Eucaristia e gli altri sacramenti. È il deposito del “Sacro”, non contaminabile dalla soggettività del ministro che lo gestisce. Si dice: operano “ex opere operato”. La Chiesa, dice Paolo, è il Corpo di Cristo, dove a ogni membro è affidato un dono da mettere alla utilità comune: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (Epist.). Sono diverse le membra di un corpo, ma tutte cooperano al bene di tutto l’organismo. Una unità - o comunione - che non è uniformità, ma coordinamento di una multiforme ricchezza. “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, .. diverse attività, .. ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (Epist.). Si dice appunto che lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. In particolare, è opera dello Spirito “fare” l’Eucaristia e, attraverso questa, “fare” la Chiesa. Lo ripetiamo ogni giorno nella messa: “Padre, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore (Canone II). Ma lo Spirito trasforma i doni offerti in vista di giungere a trasformare gli offerenti. Prosegue il Canone II: “A noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. In altre parole, si passa dal corpo sacramentale di Cristo al corpo ecclesiale mediante il divenire eucaristico. Così dall’Eucaristia si fa la Chiesa: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,17).
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). Come si fa a sapere che si è guidati dallo Spirito? Basta verificarne i frutti. “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Vi è anche la controprova: “La carne ha desideri contrari allo Spirito. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,17.19-21).
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MessaggioTitolo: sabato 2 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 29, 2012 12:33 pm

SABATO 2 GIUGNO 2012

SABATO DELLA VIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Letture:
Gd 1,17.20-25 (Dio può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti)
Sal 62 (Ha sete di te, Signore, l’anima mia)
Mc 11,27-33 (Con quale autorità fai queste cose?)

I giudici di Cristo
Gli scribi e i farisei si ritengono i rappresentati qualificati della Legge e di conseguenza si arrògano il diritto di tutelarne l’integrità. Gli insegnamenti di Cristo risuonano come novità inattese e indesiderate per loro; spesso si ritengono gravemente offesi dalle sue affermazioni. Il loro imbarazzo, che sfocia in rabbia e aperta contestazione, cresce nel costatare che molti, sempre più numerosi e devoti, seguono Gesù, lo riconoscono come vero profeta e soprattutto notano che “Egli parla con autorità e non come i loro scribi”. Questo confronto particolarmente li ìrrita, per cui affrontano Gesù con una precisa domanda: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Non potendo contestare le verità che Gesù afferma né negare i prodigi che compie, fanno appello all’autorità e alla gerarchia. Vogliono accusare Gesù di millantato credito, di abuso di autorità. Non gli riconoscono il diritto di rivelare al mondo la verità e di proclamare la legge nuova dell’amore. Si érgono a giudici del Cristo, senza essere in grado di valutare con sapienza quanto sta accadendo nel loro mondo. Questa loro insipienza era già stata apostrofata da Signore: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”. Abbiamo ancora un esempio di ottusità mentale e di cecità spirituale. Un mal’esempio purtroppo seguito da molti. Quanti presumono di giudicare Dio e vorrebbero essere suggeritori dei suoi comportamenti con noi. Quell’iniquo ed assurdo giudizio con cui scribi e farisei condannarono Cristo si perpetua nella storia: i timidi osanna dei suoi fedeli vengono spesso soffocati dalle grida di morte di pochi scalmanati. Il passaggio poi da Cristo alla sua Chiesa è breve: non solo Cristo è motivo di scandalo e di contestazioni, ma anche coloro che lo rappresentano, i suoi ministri, i suoi seguaci. Tutto è stato già predetto dal Signore: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ma ci è stata data anche una indefettibile garanzia: “le porte degli inferi non prevarranno”.
L’evangelista Marco volle mostrare ai destinatari del suo Vangelo che, con la venuta di Gesù, il regno di Dio era già sulla terra. Ovunque Gesù lo proclama. Del resto le sue azioni mostrano, in modo ancora più evidente delle sue parole, che cosa significhi ciò per gli uomini: Gesù guarisce infatti molti malati, caccia molti demoni e compie tali azioni non solo a Cafarnao, ma in tutta la Galilea. Gli uomini troveranno così la santità dell’anima e del corpo. Giovanni riassume quest’esperienza nelle seguenti parole, pronunciate da Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Marco era convinto che chi avesse sentito parlare delle opere di Gesù, avrebbe dovuto riconoscere chi egli era; per questo l’evangelista mostra come rispondevano gli uomini alle azioni in cui Gesù manifestava i suoi poteri. Molti capivano che egli era il Messia, mentre i sommi sacerdoti e gli scribi non ci credevano. Del resto, costoro erano sempre stati e sarebbero sempre stati ostili a Gesù. In particolare, lo furono quando Gesù scacciò i mercanti dal tempio di Gerusalemme. In quell’occasione, Gesù “insegnò loro dicendo: Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”. I sommi sacerdoti e gli scribi, come si dice nel Vangelo di oggi, allora gli chiesero con quale autorità facesse queste cose. Ma Gesù, con una sola domanda, li fece tacere. Essi cercarono allora un modo di farlo morire, ma lo temevano perché tutto il popolo andava a lui ed era ammirato del suo insegnamento.
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MessaggioTitolo: domenica 3 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Mag 29, 2012 12:38 pm

DOMENICA 3 GIUGNO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
I DOMENICA DOPO PENTECOSTE
SANTISSIMA TRINITÀ
SOLENNITÀ


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Dt 4,32-34.39-40 (Il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro)
Sal 32 (Beato il popolo scelto dal Signore)
Rm 8,14-17 (Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»)
Mt 28,16-20 (Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo)

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito santo
Sant’Agostino passeggiava lungo la spiaggia meditando sul grande mistero della Trinità. Vede un bambino che, scavata un buca nella sabbia, vi versava l’acqua che attingeva con una conchiglia dal mare. - Che fai, bambino mio? Voglio mettere il mare in questa buca…- È impossibile… mettere il mare così vasto in una buca così piccola…- E allora… come puoi tu richiudere nella tua piccola testa Dio così infinito?… E l’angelo sparì. Non è possibile alla nostra corta e limitata intelligenza penetrare e scrutare il mistero. Sarebbe bello poterci tuffare in esso e scoprire le meravigliose armonie di amore che intercorrono tra il Padre e il Figlio, e tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Chi ha solo intravisto queste altezze e questa profondità della sapienza di Dio non ha saputo fare altro che balbettare… Nessuna mente al mondo può immaginare, nessuna lingua può esprime quello che Dio tiene pronto per i suoi figli! Più che indagare, si accresca in noi la gioia di accogliere la Parola di Gesù che ci rivela il Dio, Uno e Trino, parlandoci ripetutamente della vita trinitaria che è amore: Il Padre manda nel mondo il suo Figlio Gesù per amore verso le sue creature, il Figlio offre se stesso in sacrificio di espiazione per amore dell’uomo peccatore, lo Spirito Santo, spirito di amore, diffonde nel cuore dell’uomo la tenerezza di figli adottivi del Padre… Nella pratica della vita cristiana spesso viene adombrato questo mistero: All’inizio della giornata e di ogni azione importante ci segniamo con il segno della croce in cui esprimiamo, a volte inconsciamente, i due misteri principali della fede: Unità e Trinità di Dio e Incarnazione, passione morte e risurrezione del Signore Gesù. Convinti di essere tempio del Dio vivente, sarebbe un prezioso frutto della solennità odierna se riuscissimo ad adorare in noi stessi questo nostro Dio che dimora presso di noi, se lo amiamo e fare con attenzione, devozione e intelligenza il segno della croce.
Il Nuovo Testamento fonda l’universalità della missione nello speciale rapporto che Gesù risorto ha con ogni uomo. Il Vangelo dev’essere annunciato a ogni uomo, perché Gesù è la verità dell’uomo, ha ricevuto dal Padre ogni potere in cielo e in terra, perché ha fatto la volontà del Padre fino alla morte aprendo così per ogni uomo la via verso la pienezza della vita. Di qui le caratteristiche della missione:
- la forza che l’anima è lo Spirito Santo che da Gesù risorto viene promesso e trasmesso ai discepoli, come principio della vita nuova, che deve essere annunciata e comunicata a ogni uomo;
- il contenuto della missione è la sequela di Cristo, l’obbedienza al Vangelo, l’osservanza dei comandi di Gesù, l’adesione battesimale alla vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il distacco dalla vita incredula, implorando e accogliendo la remissione dei peccati;
- la speranza che sostiene i missionari nelle fatiche e nelle difficoltà è la certezza che Gesù è sempre con loro sino alla fine del mondo.

Approfondimento del Vangelo
Il testo: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Una chiave di lettura: La liturgia della domenica della Santissima Trinità riporta gli ultimi versetti del Vangelo di Matteo (Mt 28,16-20). All’inizio del Vangelo, Matteo presentava Gesù come Emmanuele, Dio con noi (Mt 1,23). Ora, nell’ultimo versetto del suo Vangelo, Gesù comunica la stessa certezza: “Sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Questo era il punto centrale della fede delle comunità degli anni ottanta (dC), e continua ad essere il punto centrale della nostra fede. Gesù è l’Emmanuele, Dio con noi. È anche la prospettiva per adorare il mistero della SS. Trinità.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto che più ha richiamato la tua attenzione nel testo? Perché?
b) Qual è l’immagine di Gesù che questo testo ci comunica?
c) In quale maniera il mistero della Trinità appare in questo testo?
d) In Atti 1,5 Gesù annuncia il battesimo nello Spirito santo. In Atti 2,38 Pietro parla del battesimo nel nome del Signore Gesù. Qui si parla del battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Qual’è la differenza tra queste tre affermazioni, o si tratta di uno stesso battesimo?
e) Qual è esattamente la missione che Gesù conferisce agli Undici? Quale è oggi la missione delle nostre comunità come discepoli e discepole di Gesù? Secondo il testo, dove possiamo trovare la forza e il coraggio per compiere la nostra missione?

Una chiave di lettura per approfondire il tema
a) Il contesto: Matteo scrive per le comunità giudeo-cristiane di Siria-Palestina. Erano criticate dai fratelli giudei che affermavano che Gesù non poteva essere il messia promesso e, pertanto, il loro modo di vivere era sbagliato. Matteo cerca di offrire un sostegno per la loro fede e le aiuta a comprendere che Gesù è realmente il messia che è venuto a realizzare le promesse fatte da Dio in passato, attraverso i profeti. Un riassunto del messaggio di Matteo alle comunità si trova nella promessa finale di Gesù ai discepoli, che meditiamo in questa domenica della SS. Trinità.
b) Commento del testo:
- Matteo 28,16: La prima e ultima apparizione di Gesù risorto agli Undici discepoli. Gesù apparve anzitutto alle donne (Mt 28,9) e, attraverso le donne, fece sapere agli uomini che dovevano andare in Galilea per vederlo di nuovo. In Galilea avevano ricevuto la prima chiamata (Mt 4,12.18) e la prima missione ufficiale (Mt 10,1-16). È là, in Galilea, che tutto ricomincerà di nuovo: una nuova chiamata, una nuova missione! Come nell’Antico Testamento, le cose importanti accadono sempre sulla montagna, la Montagna di Dio.
- Matteo 28,17: Alcuni dubitavano. Al vedere Gesù, i discepoli si prostrano davanti a lui. La prostrazione è la posizione di chi crede e accoglie la presenza di Dio, anche se essa sorprende e oltrepassa la capacità umana di comprensione. Alcuni, pertanto, dubitano. Tutti i quattro Evangeli accentuano il dubbio e l’incredulità dei discepoli di fronte alla risurrezione di Gesù (Mt 28,17; Mc 16,11.13.14; Lc 24,11.24.37-38; Gv 20,25). Serve a mostrare che gli apostoli non erano stati ingenui, e per animare le comunità degli anni ottanta (dC) che avevano ancora dei dubbi.
- Matteo 28,18: L’autorità di Gesù. “Mi è stato dato ogni potere sulla terra”. Frase solenne che assomiglia molto a quell’altra affermazione: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio” (Mt 11,27). Simili sono alcune affermazioni di Gesù riportate nel vangelo di Giovanni: “Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani” (Gv 13,3) e “Tutto ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è tuo è mio” (Gv 17,10). La stessa convinzione di fede riguardo a Gesù traspare nei cantici conservati nelle lettere di Paolo (Ef 1,3-14; Fil 2,6-11; Col 1,15-20). In Gesù si manifestò la pienezza della divinità (Col 1,19). Questa autorità di Gesù, nata dalla sua identità con Dio Padre, dà fondamento alla missione che gli Undici stanno per ricevere ed è la base della nostra fede nella SS. Trinità.
- Matteo 28,19-20a: La triplice missione. Gesù comunica una triplice missione: (1) far discepole tutte le nazioni, (2) battezzarle nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e (3) insegnar loro ad osservare tutto quello che aveva comandato.
1) Diventare discepolo/discepola: Il discepolo convive con il maestro e da questo impara nella convivenza quotidiana. Forma comunità con il maestro e lo segue, cercando di imitare il suo modo di vivere e di convivere. Discepolo è quella persona che non assolutizza il proprio pensiero, ma è sempre disposto ad imparare. Come il “servo di Yahvé”, il discepolo, la discepola, tende l’orecchio per ascoltare quello che Dio ha da dire (Is 50,4).
2) Battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo: La Buona Novella di Dio che Gesù ci ha portato è la rivelazione che Dio è il Padre e che pertanto tutti siamo fratelli e sorelle. Questa nuova esperienza di Dio, Gesù l’ha vissuta e ottenuta a nostro vantaggio con la sua morte e risurrezione. È il nuovo Spirito che egli ha diffuso sui seguaci nel giorno di Pentecoste. In quel tempo, essere battezzato in nome di qualcuno significava assumere pubblicamente l’impegno di osservarne il messaggio annunciato. Per cui, essere battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo era lo stesso che essere battezzato nel nome di Gesù (At 2,38) e lo stesso che essere battezzato nello Spirito Santo (At 1,5). Significava e significa assumere pubblicamente l’impegno di vivere la Buona Novella che Gesù ci ha dato: rivelare attraverso la fraternità profetica che Dio è Padre e lottare perché siano superate le divisioni e le separazioni tra gli esseri umani, e affermare che tutti siamo figli e figlie di Dio.
3) Insegnare ad osservare tutto quello che Gesù ha ordinato: Non insegniamo dottrine nuove né nostre, ma riveliamo il volto di Dio che Gesù ci ha rivelato. È da questo che deriva tutta la dottrina che ci fu trasmessa dagli apostoli.
- Matteo 28,20b: Dio con noi fino alla fine dei tempi. Questa è la grande promessa, la sintesi di tutto quello che è stato rivelato fin dall’inizio. È il riassunto del Nome di Dio, il riassunto di tutto l’Antico Testamento, di tutte le promesse, di tutte le aspirazioni del cuore umano. È il riassunto finale della buona novella di Dio, trasmessa dal Vangelo di Matteo.
c) La storia della rivelazione del Nome di Dio Uno e Trino: Un nome, quando lo si sente per la prima volta, è appena un nome. Ma nella misura in cui si convive con la persona, il nome diviene la sintesi della persona. Quanto maggiore è la convivenza con la persona, tanto maggiore sarà il significato e il valore del suo nome. Nella Bibbia Dio riceve molti nomi e molti titoli che esprimono ciò che egli significa o può significare per noi. Il nome proprio di Dio è YHWH. Questo nome appare già nella seconda narrazione della creazione, nella Genesi (Gen 2,4). Ma il suo significato profondo (risultato di una lunga convivenza attraverso i secoli, e passato anche per la “notte oscura” della crisi dell’esilio in Babilonia) è descritto nel libro dell’Esodo in occasione della vocazione di Mosè (Es 3,7-15). La convivenza con Dio lungo i secoli diede significato e densità a questo nome di Dio. Dio disse a Mosè: “Vai a liberare il mio popolo” (Es 3,10). Mosè ha paura e si giustifica fingendo ragioni di umiltà: “Chi sono io?” (Es 3,11). Dio risponde: “Vai! Io sarò con te” (Es 3,12). Anche se sa che Dio starà con lui nella missione di liberare il popolo oppresso dal faraone, Mosè ha paura e si giustifica nuovamente, domanda sul nome di Dio. Dio risponde riaffermando semplicemente quello che stava dicendo: “Io sono colui che sono”. Ossia, certamente sono con te, di questo non puoi dubitare. E il testo continua dicendo: “Dirai al popolo: Io-Sono mi ha mandato a voi!”. E termina concludendo: Questo è il mio nome per sempre: questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione” (Es 3,14-15). Questo breve testo, di grande densità teologica esprime la convinzione più profonda della fede del popolo di Dio: Dio è con noi. Egli è l’Emmanuele. Presenza intima, amica, liberatrice. Tutto questo si riassume nelle quattro lettere YHWH del nome che noi pronunciamo come Yahwhè: Egli è in mezzo a noi. È la stessa certezza che Gesù comunica ai discepoli e discepole nella promessa finale sulla montagna: “Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Mt 28,20). La Bibbia permette di avere dubbi di tutto, meno di una cosa: del Nome di Dio, cioè della presenza di Dio in mezzo a noi, espressa dal suo stesso nome Yahwhè: “Egli è in mezzo a noi”. Il nome Yahwhè appare più di 7000 volte, solamente nell’Antico Testamento! È lo stoppino della candela attorno alla quale si collocò la cera delle storie. Il tragico successe (e continua a succedere) quando nei secoli posteriori all’esilio in Babilonia, il fondamentalismo, il moralismo e il ritualismo fecero sì che, poco a poco, quello che era una volto vivo e amico, presente e amato, diventasse una figura rigida e severa, appesa, indebitamente, nelle pareti della Sacra Scrittura, e che faceva crescere paura e distanza tra Dio e il suo popolo. Così negli ultimi secoli prima di Cristo, il nome YHWH non si poteva più pronunciare. Al suo posto, si diceva Adonai, tradotto poi con Kyrios, che significa Signore. La religione strutturata attorno alla osservanza delle leggi, il culto centrato nel tempio di Gerusalemme e la chiusura nella razza, crearono una nuova schiavitù che soffocava l’esperienza mistica e impediva il contatto con il Dio vivo. Il Nome che doveva essere come un vetro trasparente per rivelare la Buona Novella del volto amico e attraente di Dio, diventò uno specchio che mostrava solamente la faccia di colui che in esso si rimirava. Tragico inganno dell’auto-contemplazione! Non bevevano più direttamente dalla fonte, ma dall’acqua imbottigliata dai dottori della legge. Fino ad oggi continuiamo a bere molta acqua dal deposito, e non dalla sorgente. Con la sua morte e risurrezione Gesù tolse le chiusure (Col 2,14), ruppe lo specchio dell’auto-contemplazione idolatra e aprì di nuovo la finestra attraverso la quale Dio ci mostra il suo volto e ci attrae a sé. Citando un cantico della comunità, san Paolo proclama nella lettera ai Filippesi: “Gesù ha ricevuto un nome che è al di sopra ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,9-11). Nel giorno di Pentecoste Pietro terminò il suo primo annuncio rivelando la grande scoperta che l’esperienza della risurrezione aveva significato per lui: “Che tutto il popolo sappia: Dio ha costituito Gesù Cristo Signore”. Gesù morto e risorto, è la rivelazione che Dio, lo stesso di sempre, è e continua ad essere YHWH (Adonai, Kyrios, Signore), presenza intima, amica e liberatrice in mezzo al suo popolo, vincitore di ogni barriera, anche della propria morte. A partire da Gesù e in Gesù, il Dio dei padri, che sembrava tanto distante e severo, acquistò i tratti di un Padre buono, pieno di tenerezza. Abba! Padre Nostro! Per noi cristiani, la cosa più importante non è confessare che Gesù è Dio, ma testimoniare che Dio è Gesù! Dio si fa conoscere in Gesù. Gesù è la chiave per una nuova lettura dell’Antico Testamento. Egli è il nuovo Nome di Dio. Questa nuova rivelazione del Nome di Dio in Gesù è frutto della totale gratuità dell’amor di Dio, della sua fedeltà al proprio Nome. Ma può giungere fino a noi, questa fedeltà, grazie all’obbedienza totale e radicale di Gesù: “Obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8). Gesù giunse a identificarsi in tutto con la volontà di Dio. Egli stesso disse: “Io faccio sempre quello che il Padre mi comanda” (Gv 12,50). “Il mio cibo è fare la volontà del Padre” (Gv 4,34). Per questo egli è totale trasparenza, rivelazione del Padre: “Chi vede me vede il Padre!” (Gv 14,9). In lui abitava la “pienezza della divinità” (Col 1,19). “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Questa obbedienza non è facile. Gesù ha avuto momenti difficili, nei quali giunse a gridare: “Passi da me questo calice!” (Mc 14,36). Come dice la lettera agli Ebrei: “Con forti grida e lacrime supplicò colui che poteva salvarlo da morte” (Ebr 5,7). Vinse per mezzo dell’orazione. Per questo diventò per noi rivelazione e manifestazione piena del Nome, di quello che il Nome significa per noi. L’obbedienza di Gesù non è di tipo disciplinare, ma è profetica. È azione rivelatrice del Padre. Per mezzo di essa, si spezzarono i vincoli e si squarciò il velo che nascondeva il volto di Dio. Si aprì per noi un nuovo cammino fino a Dio. Meritò per noi il dono dello Spirito che egli ci ottiene quando lo chiediamo al Padre nel suo nome nella preghiera (Lc 11,13). Lo Spirito è acqua viva che egli ci meritò con la sua risurrezione (Gv 7,39). È attraverso il suo Spirito che egli ci istruisce, rivelando il volto di Dio Padre (Gv 14,26; 16,12-13).

Dagli scritti
Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo
Luce, splendore e grazia della Trinità
Non sarebbe cosa inutile ricercare l’antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale. La nostra fede é questa: la Trinità santa e perfetta é quella che é distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma é tutta potenza creatrice e forza operativa. Una é la sua natura, identica a se stessa. Uno é il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, é mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che é al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed é in tutte le cose (cfr. Ef 4,6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo. L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo é lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo é il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo é Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6). Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito é in noi, é anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi é anche il Padre, e così si realizza quanto é detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Dove infatti vi é la luce, là vi é anche lo splendore; e dove vi é lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia. Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13,13). Infatti la grazia é il dono che viene dato nella Trinità, é concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito (Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26,594-595.599).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
I DOMENICA DOPO PENTECOSTE
SANTISSIMA TRINITÀ
SOLENNITÀ DEL SIGNORE


Letture:
Es 33,18-23;34,5-7a
Sal 62
Rm 8,1-9b
Gv 15,24-27

Mostrami la tua Gloria!
Non è facile conoscere Dio. Tutti lo cercano, come Mosè: “Mostrami la tua gloria!”; ma anche lui ha solo potuto vederlo alle spalle: “Ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vederlo” (Lett.). È lo sforzo di ogni forma religiosa. Ma non tutte le ipotesi sono la verità su Dio. Anzi. Per essere radicali nella sincerità, l’evangelista Giovanni scrive: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Anche quando si parla di “monoteismi” (l’ebraico, il cristiano e il musulmano), bisogna distinguere bene, perché non sono per nulla la stessa cosa! Oggi impariamo da Gesù a conoscere il vero volto di Dio e la strada sicura per giungervi a capirne qualcosa.
La strada per Dio: C’è in ogni uomo come una “nostalgia” di Dio. Forse perché, dice Agostino, “ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Perché cioè siamo fatti “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26) e come una sua impronta qualifica la nostra più profonda identità. Questo, che chiamiamo “senso religioso”, si sviluppa poi in una ricerca, appunto in ipotesi, a partire anche dal creato, opera certamente di un Architetto mirabile: “Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). È questa una strada possibile, praticata da filosofie e da varie religioni. Ma è intuizione confusa, anzi inquinata da un pregiudizio e da un sospetto, che lascia spazio all’ambiguità e alla problematicità quando si pone di fronte ai grandi temi del male, dell’ingiustizia e della morte. Dio allora si mette su questa strada, incrocia la ricerca dell’uomo e manifesta gradualmente la sua identità personale attraverso fatti e parole raccolte oggi nella Bibbia. Attraverso l’esperienza di grandi uomini religiosi (i profeti) Dio stesso ha aiutato a leggere negli interventi operati nella storia d’Israele, delle caratteristiche nuove e sorprendenti del Suo volto. In particolare quella di un Dio premuroso del suo popolo, e capace di perdono e di misericordia. Ecco il biglietto da visita che questo Dio ha lasciato a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Lett.). Il vertice di questa manifestazione è la persona stessa di Gesù di Nazaret, il Dio fatto uomo. A chi gli chiedeva: “Mostraci il Padre”.., Gesù rispose: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,8-9). Ma non è tutto. Scrive Paolo: “I segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Ora noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (1Cor 2,10-12). Proprio quello che ha promesso Gesù: “Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me”. “Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Per capire in un modo significativo ciò che Gesù stesso ha rivelato di Dio, è necessario un Maestro interiore, lo Spirito Santo, che Gesù ha effuso sui suoi la sera di Pasqua e nella esplosione di Pentecoste. Lì gli Apostoli hanno capito il mistero di Cristo, ed è nata così la Chiesa.
La famiglia di Dio: Da quel che ci hanno rivelato Cristo e lo Spirito Santo, veniamo a conoscere qualcosa di specifico di quel che è Dio in se stesso. Certamente è, il nostro, un Dio appassionato al nostro bene e alla nostra salvezza. Un Dio che ha mostrato assoluta gratuità e generosità nell’amarci, quando noi eravamo ancora suoi nemici e peccatori. Un Dio “che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?” (Rm 8,31-39). Un Dio, alla fine, “che è AMORE” (1Gv 4,16). “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura - dice Paolo -, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abba!” (Rm 8,15). Papà!, appunto, come un bimbo chiama il suo babbo. Questa è la prima acquisizione dell’anima credente: la serenità e la sicurezza di avere Dio che è Padre, non padrone. Un Dio tutto diverso quindi da quello che hanno ipotizzati le altre religioni. Gesù ci ha fatto conoscere la vita intima di questa speciale famiglia: lì c’è un Padre che ama un Figlio, un Figlio che riama pienamente il Padre, e il legame tra i due è realtà così viva da essere una Persona, lo Spirito Santo. Una e identica, non moltiplicabile, è la natura divina dei Tre, e quindi uno solo è Dio; ma vivace nella sua attività interna da esprimersi in tre vere e distinte Persone. “Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo - professiamo oggi nel prefazio - sei un solo Dio e un solo Signore, non nell’unità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Nel proclamare te Dio vero ed eterno, noi adoriamo la Trinità delle Persone, l’unità della natura, l’uguaglianza della maestà divina”. È una famiglia, una comunione di persone che proprio per la trasparenza reciproca, il dono e l’intimità che li unisce, vivono l’esperienza più alta della FELICITA’, quella appunto che deriva dall’amore. Proviamo a ripensare ai nostri brevi attimi d’amore, quelli più veri e profondi: sono essi che ci hanno dato felicità e soddisfazione. Ma queste sono pallidissime esperienze d’amore rispetto all’amore puro e pieno di Dio. Quale meraviglia di felicità ci deve essere in Dio! Ecco: se Dio è amore, Dio è felicità. Massima, somma, perenne. Forse non pensiamo mai che Dio significa prima di tutto vita felice, piena, gioia, soddisfazione oltre ogni nostra immaginazione. Ebbene, a questa famiglia di Dio noi siamo chiamati a unirci, per divenire partecipi della sua stessa gioia. Questo è il Dio cristiano; questa è la vocazione cristiana.
Nel giro di questa vita Trinitaria noi entriamo il giorno del battesimo. Da allora una presenza sempre più amorosa e premurosa si istaura nel cuore di chi vi si apre con una cosciente e calorosa intimità: “Se uno mi ama - ha detto Gesù -, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). E cresce fino a raggiungere quell’unità che fa della Trinità e di noi una cosa sola: “Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Dio ha fatto la sua parte. Gesù è esplicito: “Io ho compiuto in mezzo a loro opere che nessuno altro ha mai compiuto; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre. Mi hanno odiato senza ragione”. Tocca a noi vedere senza pregiudizi e credere.
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MessaggioTitolo: sabato 9 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Giu 06, 2012 1:02 pm

SABATO 9 GIUGNO 2012

SABATO DELLA IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: O Dio, che nella tua provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza, allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene.

Letture:
2Tm 4,1-8 (Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo. Io sto già per essere versato in offerta e il Signore mi consegnerà la corona di giustizia)
Sal 70 (La mia bocca, Signore, racconterà la tua giustizia)
Mc 12,38-44 (Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri)

“Questa povera vedova ha messo più di tutti”
Gesù durante il suo ministero si è imbattuto continuamente negli scribi e nei farisei, esponenti della pietà giudaica, ma ha dovuto spesso apertamente apostrofarli, perché nel rapporto con Dio e con il prossimo, cercavano principalmente se stessi. Essi ambivano ad apparire, “pavoneggiandosi in lunghe vesti, nelle piazze, nelle sinagoghe e nei banchetti”. E perfino, per qualche necessaria prestazione giuridica, “divorano le case delle vedove”. Gesù, inviato in modo speciale ai poveri, costantemente presenti al suo cuore, manifesta un suo sguardo compiacente su un gesto non visibile all’occhio umano. Gesù stava osservando coloro che gettavano denaro nel tesoro del tempio e, quando vide una donna offrire i pochi spiccioli, fece questo commento ai suoi discepoli: “In verità vi dico: questa vedova ha messo nel tesoro più di tutti gli altri, poiché gli altri hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, ha messo tutto quel che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Siamo di fronte ad uno di quei casi del Vangelo in cui tutto è rovesciato, in cui le cose più umili, le cose più insignificanti ci manifestano come pensa Dio e ci svelano il suo effettivo giudizio. Il gesto della vedova è divenuto il modello dell’agire cristiano. Beati noi quando riusciamo a rivestire le nostre giornate di semplicità e di generosità. La carità esterna diventa importante quando l’amore interiore ci spinge a farla diventare grande, quando noi siamo capaci di dare quel poco, ma tutto senza riserve. Possiamo ben capire che il figlio dell’uomo, venuto per dare tutto a noi, esaltasse la grandezza di questa misera offerta. Egli si ritrova in questa povera creatura che gioca la vita nella luce dell’amore di Dio. Facciamoci coinvolgere dal Signore che “spogliò se stesso assumendo la condizione di servo”, divenendo povero per la nostra salvezza!
Gli scribi erano i dottori della legge (Torah) e i maestri di scuola. Dovevano dare l’esempio, cioè dovevano mettere in pratica il loro insegnamento così sapientemente impartito. Questo non succedeva. Ma chi osava rimproverarli? Bisognava essere più potenti di loro e, soprattutto, più “perfetti” di loro. Gesù lo fa, a nome di tutti coloro che non hanno il diritto di parola, di coloro che devono rispettare la legge e che non possono esprimersi se non per adulare e lodare i loro capi, mentre questi stessi capi sono molto spesso lontani dall’essere maestri da prendere come esempio. Nel cuore di ognuno di noi sonnecchia uno scriba. Ma nel cuore di ognuno di noi sonnecchia anche un Gesù. Permettiamogli allora di convertire lo scriba che è in noi, affinché, essendo il nostro cuore abitato solo dal suo Spirito, il nostro sforzo di rendere il mondo conforme alla volontà di Gesù diventi operante e credibile. La volontà di Gesù corrisponde alle nostre aspirazioni più intime, poiché, come dice Tertulliano, il nostro cuore è per natura cristiano. Alla domanda: “Cosa fare per rendere migliore il nostro mondo?”, un saggio tedesco di settant’anni rispondeva: “A vent’anni ero convinto di poter cambiare radicalmente il mondo e, per dieci anni, rimasi affiliato ad una organizzazione internazionale. A trent’anni, poiché l’esperienza mi obbligava ad un maggiore realismo, la mia ambizione era quella di cambiare l’Europa. A quarant’anni le mie illusioni, ridotte drasticamente, si focalizzarono sulla sola Germania. A cinquant’anni, mi accontentai modestamente di cercare di cambiare una provincia. A sessant’anni non oltrepassavo più i limiti di una città. A settant’anni capii infine che dovevo cominciare col cambiare me stesso. Fatto ciò, cambiai il mio vicino, il quale cambiò il suo vicino...”. “Un’anima che si eleva, innalza il mondo intero”, afferma santa Teresa. Sfortunatamente, è vero anche il contrario, e cioè che un’anima che cade, abbassa tutto il mondo.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Riflessione:
- Nel vangelo di oggi stiamo giungendo alla fine del lungo insegnamento di Gesù ai discepoli. Dalla prima guarigione del cieco (Mc 8,22-26) fino alla guarigione del cieco Bartimeo a Gerico (10,46-52), i discepoli camminano con Gesù verso Gerusalemme, ricevendo da Lui molte istruzioni sulla passione, morte e risurrezione e le conseguenze per la vita del discepolo. Giunti a Gerusalemme, assistono ai dibattiti di Gesù con i commercianti nel Tempio (Mc 11,15-19), con i sommi sacerdoti e scribi (Mc 11,27 a 12,12), con i farisei, erodiani e sadducei (Mc 12,13-27), con i dottori della legge (Mc 12,28-37). Ora, nel vangelo di oggi, dopo l’ultima critica contro gli scribi (Mc 12,38-40), Gesù istruisce i discepoli. Seduto di fronte al tesoro del Tempio, richiamava la loro attenzione sul gesto della condivisione da parte di una vedova povera. In questo gesto loro devono cercare la manifestazione della volontà di Dio (Mc 12,41-44).
- Marco 12,38-40: La critica dei dottori della Legge. Gesù richiama l’attenzione dei discepoli sul comportamento tracotante ed ipocrita di alcuni dottori della legge. A loro piaceva immensamente girare per le piazze indossando lunghe tuniche, ricevere il saluto della gente, occupare i primi posti nelle sinagoghe ed avere posti d’onore nei banchetti. A loro piaceva entrare nelle case delle vedove e fare lunghe preci in cambio di denaro! E Gesù dice: “Questa gente riceverà una grave condanna!”.
- Marco 12,41-42. L’obolo della vedova. Gesù e i suoi discepoli, seduti dinanzi al tesoro del Tempio, osservano che tutti lasciano lì la loro elemosina. I poveri gettano pochi centesimi, i ricchi gettano monete di grande valore. Il tesoro del Tempio riceveva molto denaro. Tutti portavano qualcosa per la manutenzione del culto, per il sostentamento del clero e per la conservazione dell’edificio. Una parte di questo denaro era usata per aiutare i poveri, perché in quel tempo non c’era la previdenza sociale. I poveri dipendevano dalla carità pubblica. E i poveri che avevano bisogno di maggiore aiuto, erano gli orfani e le vedove. Loro non avevano nulla. Dipendevano in tutto dall’aiuto degli altri. Ma pur senza avere nulla, loro si sforzavano di condividere. Così, una vedova molto povera, mette la sua elemosina nel tesoro del Tempio. Appena pochi centesimi!
- Marco 12,43-44. Gesù indica dove si manifesta la volontà di Dio. Cosa vale di più: i dieci centesimi della vedova o i mille dollari dei ricchi? Per i discepoli, i mille dollari dei ricchi erano molto più utili dei dieci centesimi della vedova. Loro pensavano che i problemi della gente potevano risolversi solo con molto denaro. In occasione della moltiplicazione dei pani, avevano detto a Gesù: “Dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?” (Mc 6,37). Infatti, per chi pensa così, i dieci centesimi della vedova non servono a nulla. Ma Gesù dice: “Questa vedova che è povera ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”. Gesù ha criteri diversi. Richiama l’attenzione dei suoi discepoli sul gesto della vedova, ed insegna loro dove loro e noi dobbiamo cercare la manifestazione della volontà di Dio: nei poveri e nella condivisione. Molti poveri di oggi fanno lo stesso. La gente dice: “Il povero non lascia morire di fame un altro povero”. Ma a volte, nemmeno questo è possibile. La signora Cícera che dalla zona interna di Paraíba, Brasile, andò a vivere nella periferia della capitale, diceva: “All’interno, la gente era povera, ma aveva sempre una cosetta da dividere con il povero che bussava alla porta. Ora che sono nella grande città, quando vedo un povero che bussa alla porta, mi nascondo di vergogna, perché in casa non ho nulla da condividere con lui!”. Da un lato, gente ricca che ha tutto, ma che non vuole condividere. Dall’altro: gente povera che non ha quasi nulla, ma che vuole condividere il poco che ha.
- Elemosina, condivisione, ricchezza. La pratica dell’elemosina era molto importante per i giudei. Era considerata una “buona opera”, poiché la legge dell’Antico Testamento diceva: “Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comandamento e ti dico: apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,11). Le elemosine, depositate nel tesoro del Tempio, sia per il culto, sia per i bisognosi, per gli orfani e per le vedove, erano considerate un’azione gradita a Dio. Dare l’elemosina era un modo di riconoscere che tutti i beni appartengono a Dio e che noi siamo semplici amministratori di questi beni, in modo che ci sia vita abbondante per tutti. La pratica della condivisione e della solidarietà è una delle caratteristiche delle prime comunità cristiane: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli” (At 4,34-35; 2,44-45). Il denaro della vendita, offerto agli apostoli, non era accumulato, bensì “poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (At 4,35b; 2,45). L’entrata di persone più ricche nelle comunità fece entrare nella comunità la mentalità dell’accumulazione e bloccò il movimento di solidarietà e di condivisione. Giacomo avverte queste persone: “E ora voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano. Le vostre ricchezze sono imputridite, e le vostre vesti sono state divorate dalle tarme” (Gc 5,1-3). Per imparare il cammino del Regno, tutti abbiamo bisogno di diventare alunni di quella vedova povera, che condivise tutto ciò che aveva, il necessario per vivere (Mc 12,41-44).

Per un confronto personale
- Come mai i due spiccioli della vedova possono valere più dei mille dollari dei ricchi? Guarda bene il testo e dì perché Gesù elogia la vedova povera. Quale messaggio racchiude oggi per noi questo testo?
- Quali difficoltà e quali gioie hai incontrato nella tua vita nel praticare la solidarietà e la condivisione con gli altri?

Preghiera finale: Della tua lode, Signore, è piena la mia bocca, della tua gloria, tutto il giorno. Non mi respingere nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze (Sal 70).
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MessaggioTitolo: domenica 10 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Giu 06, 2012 1:11 pm

DOMENICA 10 GIUGNO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
SOLENNITÀ


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Es 24,3-8 (Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi)
Sal 115 (Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore)
Eb 9,11-15 (Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza)
Mc 14,12-16.22-26 (Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue)

Nota: nel rito ambrosiano la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo si festeggia il giovedì successivo alla I Domenica dopo Pentecoste (per quest’anno giovedì 7 giugno) e le letture sono le stesse del rito romano.

“Questo è il mio corpo, dato per voi”
Oggi ci viene ricordato che la suprema manifestazione del ‘sacro’ avviene attraverso segni umili e semplici, il pane e il vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Così l’Eucaristia stimola anche noi ad assumere la logica di Dio, quella di trasformare le nostre piccole cose in ‘sacri segni’. Nell’ispirazione dell’evangelista Marco la celebrazione dell’ultima cena di Gesù specificatamente entra nella grande festa della Pasqua. “Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua”, i discepoli chiedono al Maestro dove dovevano prepararla. Nella descrizione poi della cena, l’evangelista nota solo i gesti e le parole di Gesù, che sono basilari del nuovo memoriale, che sarà celebrato in sua memoria. Gesù, nell’intimità del cenacolo in mezzo ai suoi, e prima della sua passione, attua quello che annuncia: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”. Nella ritualità di questa particolare cena, la gioia, che di solito seguiva al patto stipulato, al momento viene procrastinata, perché Gesù, entrando nella sua funzione di vittima e di sacerdote, descrive e interpreta tutto la sua passione e la sua morte in croce. Sicuramente saranno state parole sconcertanti, che devono aver sorpreso gli apostoli. Naturalmente erano parole profetiche, che offrivano il significato di ciò che stava per compiersi. Quel vino sarà veramente il suo sangue della nuova ed eterna Alleanza, sangue versato dalla croce per ogni uomo. Dentro il dramma della passione e della morte, infatti c’è un mistero di amore, che Dio, attraverso la contemplazione della croce, pone allo sguardo dell’umanità. La celebrazione del “Corpus Domini” è proprio questo: il dono di sé, che Gesù fa ai suoi discepoli di ieri, di oggi e di sempre. Ci garantisce, nel pane e nel vino consacrati, la sua presenza sacramentale. Senza questo punto di appoggio, tutto diventa prima o poi un non senso. Aver fede nell’Eucaristia significa credere in Dio, che ha stretto un patto con ogni uomo in cammino nel deserto della vita.
Gesù ci ha promesso di stare con noi fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Egli ha mantenuto la sua parola in molti modi. Egli è con noi nella sua parola, che è sempre una parola viva e santa, che conduce al Padre chi ad essa si affida. Egli è presente, ancora di più, nel sacramento del suo corpo e del suo sangue. E ciò merita certo una festa. Questo sacramento ci colma, innanzi tutto perché fa arrivare fino a noi l’”incarnazione” del Verbo divino: Dio continua a venire per restare. Non ci abbandonerà più. In secondo luogo, questo sacramento ci nutre: alimenta in noi quella vita divina che è la nostra vera vita, poiché è eterna. Questo sacramento, infine, ci fa vedere, sotto forma di pane e di vino, colui che gli apostoli hanno visto, ma, proprio come Gesù di Nazaret non era visto da tutti come il Messia, il sacramento del suo corpo e del suo sangue non convince tutti. Per chi si ferma alle apparenze, tale sacramento non costituisce una prova, poiché ciò che si vede non basta. Infatti si vede solo ciò che si lascia vedere. Per il credente invece, cioè per chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio, questo sacramento è il più grande fra i segni, il segno che mette in comunione con Gesù stesso. Il credente è da esso trasfigurato, il suo peccato è purificato, grazie ad esso pregusta il banchetto promesso: quello delle nozze del Figlio.

Approfondimento del Vangelo (L’istituzione dell’Eucaristia. La suprema prova dell’amore)
Il testo: Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.

Chiave di lettura: Oggi, festa del Corpus Christi, la Chiesa ci pone dinanzi l’Ultima Cena, l’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli. Fu un incontro teso, pieno di contraddizioni. Giuda aveva già deciso di tradire Gesù (Mc 14,10). Pietro lo ha negato già (Mc 14,30). Gesù lo sapeva. Ma non perdette la calma né il senso dell’amicizia. Al contrario, proprio durante quest’Ultima Cena istituì l’Eucaristia e realizzò il supremo gesto del suo amore per loro (Gv 13,1). I quattro versi che descrivono l’eucaristia (Mc 14,22-25) fanno parte di un contesto assai più ampio (Mc 14,1-31). I diversi eventi, narrati prima e dopo l’eucaristia, aiutano molto a capire meglio il significato del gesto di Gesù. Prima del gesto dell’eucaristia, Marco narra la decisione delle autorità di uccidere Gesù (Mc 1,1-2), il gesto di fedeltà della donna anonima che unge Gesù in vista della sua sepoltura (Mc 14,3-9), il patto del tradimento di Giuda (Mc 14,10-11), la preparazione della pasqua (Mc 14,12-16) e l’indicazione del traditore (Mc 14,17-21). Dopo quel gesto, segue l’avviso di fuga da parte di tutti (Mc 14,26-28) e l’annuncio della negazione di Pietro (Mc 14,29-31). La liturgia di questo giorno taglia un pezzettino del testo, pero mantiene l’essenziale della narrazione dell’istituzione dell’Eucaristia (Mc 14,12-16.22-26). Nel testo che trascriviamo conserviamo i versi 17-21 ed i versi 27-31, omessi nel testo della Messa. Nel commento potremmo limitarci al testo proposto dalla liturgia del giorno. Nel corso della lettura, pensiamo di stare con Gesù ed i discepoli nella sala, partecipando all’Ultima Cena, e cerchiamo di fissare la nostra attenzione in ciò che più ci colpisce e che tocca il nostro cuore.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Marco 14,12: I discepoli vogliono sapere dove celebrare la Pasqua
- Marco 14,13-15: Gesù dà istruzioni su dove e come preparare la Pasqua
- Marco 14,16: I discepoli fanno ciò che Gesù dice loro di fare
- Marco 14,17-21: L’annuncio del tradimento di Giuda
- Marco 14,22-24: Gesù dà un senso nuovo al pane ed al vino
- Marco 14,25-26: Parole finali
- Marco 14,27-31: L’annuncio della dispersione di tutti e della negazione di Pietro

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che ti ha colpito di più e purché?
b) Quali sono, uno per uno, i diversi eventi che il testo descrive?
c) Qual è l’atteggiamento di Gesù davanti a Giuda che lo tradisce, e davanti a Pietro che lo nega?
d) Cosa significa il gesto di Gesù che spezza il pane dicendo: “Prendete e mangiate! Questo è il mio corpo che sarà dato per voi!” Come aiuta questo testo a capire meglio l’Eucaristia?
e) Guarda nello specchio del testo, entra nel tuo cuore e chiediti: “Sono come Pietro che negò? Sono come Giuda che tradì? Sono come i dodici che fuggirono? O sono come la donna anonima che rimase fedele (Mc 14,3-9)?”.

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto: Siamo nella sala dell’Ultima Cena. Gli eventi di due giorni prima aumentarono le tensioni tra Gesù e le autorità. L’entrata solenne di Gesù a Gerusalemme (Mc 11,1-11), l’espulsione dei venditori dal tempio (Mc 11,12-26), le discussioni con i sacerdoti, gli scribi e gli anziani (Mc 11,27 a 12,12), con i farisei e gli erodiani (Mc 12,13-17), con i sadducei (Mc 12,18-27), con gli scribi (Mc 12,28-40), la riflessione sulle offerte dei ricchi e dei poveri (Mc 12,41-44), l’annuncio della distruzione del Tempio (Mc 13,1-3) ed il discorso del giudizio finale (Mc 13,4-37): tutto ciò fece crescere l’opposizione dei grandi contro Gesù. Da un lato la donna anonima, una discepola fedele, che accettava Gesù come Messia, e crocifisso (Mc 14,2-9). Dall’altro i discepoli, che non riuscivano a capire né tanto meno ad accettare la Croce, e che volevano fuggire, negare e tradire (Mc 14,17-21.27-31). Ed in mezzo a questo ambiente teso e minacciante, avviene il gesto d’amore di Gesù che si dona totalmente spezzando il pane per i suoi discepoli. Negli anni ‘70, all’epoca di Marco, molti cristiani per paura, avevano rifiutato, negato o tradito la loro fede. Ed ora loro si chiedevano: “Noi abbiamo rotto il rapporto con Gesù. Non sarà che anche lui ruppe il rapporto con noi? Forse possiamo ritornare?” Non c’era una risposta chiara. Gesù non ha lasciato scritto nulla. E fu riflettendo sui fatti e ricordando l’amore di Gesù come i cristiani furono scoprendo la risposta. Come vedremo nel commento, Marco, nel modo di descrivere l’Ultima Cena, comunica la risposta che scopre a queste domande delle comunità. E cioè, l’accoglienza e l’amore di Gesù superano la sconfitta ed il fallimento dei discepoli. Il ritorno è possibile sempre!
b) Commento del testo:
- Marco 14,12-16: Preparazione della Cena Pasquale. In totale contrasto con la discepola anonima che unse Gesù, Giuda, uno dei dodici, decise di tradire Gesù e cospirò con i nemici che gli promisero denaro (Mc 14,10-12). Gesù sa che sarà tradito. Ma pur anche così, cerca di fraternizzare con i discepoli nell’ultima cena. Sicuramente avranno speso bastante denaro per poter affittare “quella sala grande, al piano superiore, con tappeti” (Mc 14,15). Poi, essendo la notte di pasqua, la città era super affollata di gente di passaggio. E quindi la popolazione triplicava. Era difficile trovare una sala per riunirsi. Nella notte di Pasqua, le famiglie venute da tutte le parti del paese, portavano il loro agnello per essere sacrificato nel tempio e, subito dopo, ogni famiglia nella celebrazione intima e ben familiare in casa, celebravano la Cena Pasquale e mangiavano l’agnello. La celebrazione della Cena pasquale era presieduta dal padre di famiglia. Per questo, Gesù, presiedeva la cerimonia e celebrava la pasqua insieme ai suoi discepoli, la sua nuova “famiglia” (cfr. Mc 3,33-35). Quella “sala grande al piano superiore” rimase nella memoria dei primi cristiani come il luogo della prima eucaristia. E l¡ dove si riunirono dopo l’Ascensione del Signore di Gesù (At 1,13), e lì stavano riuniti quando scese lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste (At 2,1). Deve essere stato nella stessa sala dove si riunivano per pregare durante la persecuzione (At 4,23.31) e dove Pietro li incontrò dopo la sua liberazione (At 12,12). La memoria è concreta, legata a tempi e luoghi della vita.
- Marco 14,22-26: L’Eucaristia: il gesto supremo d’amore. L’ultimo incontro di Gesù con i discepoli si svolge nell’ambiente solenne della tradizionale celebrazione di Pasqua. Il contrasto è molto grande. Da un lato, i discepoli, che si sentono insicuri, e non capiscono nulla di quanto succede. Dall’altro lato, Gesù, calmo e padrone della situazione, che presiede la cena e compie il gesto di spezzare il pane, invitando gli amici a prendere il suo corpo ed il suo sangue. Lui fa ciò per cui sempre pregò: dare la sua vita affinché i suoi amici potessero vivere. È questo il senso profondo dell’eucaristia: imparare da Gesù a distribuirsi, a darsi, senza paura delle forze che minacciano la vita. Perché la vita è più forte della morte. La fede nella risurrezione annulla il potere della morte. Terminata la cena, uscendo con i suoi amici verso l’Orto, Gesù annuncia che tutti l’abbandoneranno: Fuggiranno o si disperderanno! Ma già li avvisa: “Dopo la risurrezione, vi precederò in Galilea!” Loro rompono il rapporto con Gesù, ma non Gesù con loro! Lui continua ad aspettarli in Galilea, nello stesso luogo dove, tre anni prima, li aveva chiamati per la prima volta. Ossia, la certezza della presenza di Gesù nella vita del discepolo è più forte dell’abbandono e della fuga! Gesù continua a chiamare. Chiama sempre! Il ritorno è sempre possibile! È questo l’annuncio di Marco ai cristiani degli anni ‘70 e per tutti noi. Per il suo modo di descrivere l’Eucaristia, Marco accentua ancor più il contrasto tra il gesto di Gesù e l’atteggiamento dei discepoli. Prima del gesto d’amore, parla del tradimento di Giuda (Mc 14,17-21) e, dopo il gesto di Gesù, parla dell’annuncio della negazione di Pietro e della fuga dei discepoli (Mc 14,26-31). In questo modo, pone l’accento sull’amore incondizionato di Gesù, che supera il tradimento, la negazione e la fuga degli amici. È la rivelazione dell’amore gratuito del Padre! Chi lo sperimenterà dirà: “Né potenze, né altezza, né profondità, ne alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore!” (Rm 8,39).

Ampliando le informazioni:
- La celebrazione della Pasqua nel tempo di Gesù. La Pasqua era la festa principale dei giudei. In essa si commemorava la liberazione dall’Egitto, che si trova all’origine del popolo di Dio. Ma più che una semplice memoria dell’Esodo, la Pasqua era una porta che si apriva, di nuovo ogni anno, affinché tutte le generazioni potessero avere accesso a quella stessa azione liberatrice di Dio che, nel passato, aveva generato il popolo. Mediante la celebrazione della Pasqua, ogni generazione, ogni persona, attingeva dalla stessa fonte da cui avevano attinto i padri, nel passato, all’essere liberati dalla schiavitù d’Egitto. La celebrazione era come una rinascita annuale. Nel tempo di Gesù, la celebrazione della Pasqua era fatta in modo tale che i partecipanti potessero percorrere lo stesso cammino che fu percorso dal popolo, dopo la liberazione dall’Egitto. Affinché questo potesse avvenire, la celebrazione si svolgeva con molti simboli: erbe amare, agnello mal arrostito, pane senza fermentare, calice di vino, ed altro. Durante la celebrazione, il figlio minore doveva chiedere al padre: “Papà, perché questa notte è diversa dalle altre? Perché mangiamo erbe amare? Perché l’agnello è mal cotto? Perché il pane non è fermentato?” Ed il padre rispondeva, raccontando con libertà i fatti del passato: “Le erbe amare ci permettono di sperimentare la durezza e l’amarezza della schiavitù. L’agnello mal cotto evoca la rapidità dell’azione divina che libera il popolo. Il pane non fermentato indica il bisogno di rinnovamento e di conversione costanti. Ricorda anche la mancanza di tempo per preparare il tutto, essendo assai rapida l’azione divina”. Questo modo di celebrare la Pasqua, presieduta dal padre di famiglia, dava libertà e creatività al presidente nel modo di condurre la celebrazione.
- Eucaristia: La Pasqua celebrata da Gesù nell’Ultima Cena. Fu con l’intenzione di celebrare la Pasqua dei giudei che Gesù, alla vigilia della sua morte, si riunì con i suoi discepoli. Era il suo ultimo incontro con loro. Per questo, lo chiamiamo incontro dell’ “Ultima Cena” (Mc 14, 22-26; Mt 26, 26-29; Lc 22,14-20). I molti aspetti della Pasqua dei giudei continuano ad essere validi per la celebrazione della Pasqua di Gesù e ne sono lo sfondo. Aiutano a capire tutta la portata dell’Eucaristia. Approfittando della libertà che il rituale gli dava, Gesù dette un nuovo significato ai simboli del pane e del vino. Nel distribuire il pane disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi!”. Nel distribuire il calice con il vino disse: “Prendete e bevete, questo è il mio sangue sparso per voi e per molti”. Ed infine, consapevole del fatto che si trattava dell’ultimo incontro, l’ “ultima cena” Gesù disse: “Io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” (Mc 14,25). In questo modo, lui univa la sua dedizione, simbolizzata nel pane spezzato e condiviso, all’utopia del Regno. Eucaristia vuol dire celebrare la memoria di Gesù che dà la sua vita per noi, affinché ci sia possibile di vivere in Dio ed avere accesso al Padre. Ecco il senso profondo dell’eucaristia: rendere presente in mezzo a noi, e sperimentare nella propria vita, l’esperienza di Gesù che si dona, morendo e risuscitando.
- La celebrazione dell’Eucaristia da parte dei primi cristiani. Non sempre i cristiani sono riusciti a mantenere questo ideale dell’Eucaristia. Negli anni ‘50, Paolo critica la comunità di Corinto che, nel celebrare la cena del Signore faceva esattamente il contrario, poiché alcuni prendono prima il loro pasto, e così uno ha fame, l’altro è ubriaco (1Cor 11,20-22). Celebrare l’eucaristia come memoriale di Gesù vuol dire assumere il progetto di Gesù. Vuol dire assimilare il progetto di Gesù. Vuol dire assimilare la sua vita condivisa, messa completamente al servizio della vita dei poveri. Al termine del primo secolo, il vangelo di Giovanni, invece di descrivere il rito dell’Eucaristia, descrive come Gesù si inginocchiava per compiere il servizio più comune di quel tempo: lavare i piedi. Al termine del servizio, Gesù non disse: “Fate questo in memoria di me” (come nell’istituzione dell’Eucaristia in Lc 22,19; 1Cor 11,24), ma disse: “Fate ciò che io ho fatto” (Gv 13,15). Invece di ordinare di ripetere il rito, il vangelo di Giovanni chiede atteggiamenti di vita che mantengano viva la memoria del dono senza limiti che Gesù fa di se. I cristiani della comunità di Giovanni sentivano il bisogno di insistere più nel significato dell’Eucaristia come servizio, che del rito in sé.
- Riassumendo. Dimenticare la ricchezza della pasqua dei giudei, quando si celebra un’Eucaristia, è come gettare a terra la parete dove è appeso il quadro. La ricchezza della celebrazione della Pasqua, così come veniva fatta nel Vecchio Testamento e nel tempo di Gesù, aiuta ad approfondire il senso dell’Eucaristia ed evita la routine che banalizza tutto. Riassumendo quanto visto, ecco alcuni aspetti che possono arricchire le nostre celebrazioni:
- Prendere coscienza dell’oppressione in cui viviamo ancora - masticare erbe amare
- Ricordare la liberazione dall’oppressione - la risposta del padre alle domande del figlio
- Sperimentare la rapidità della forza liberatrice di Dio - carne mal cotta e pane senza fermentare
- Celebrare l’Alleanza, assumere di nuovo l’impegno - impegnarsi mangiando il pane che Gesù offre
- Ringraziare per le meraviglie di Dio per noi - gesti di lode
- Rianimare la fede, la speranza e l’amore - animazione reciproca
- Ricordare quanto già fatto e ancora non fatto - ricordare ciò che Dio fece per noi
- Ricreare in noi lo stesso dono che Gesù fece di se - lavare i piedi
- Vivere la passione, la morte e la risurrezione - del mistero permanente della vita
- Compiere la comunione, generatrice di fraternità - gesti di pace e di aiuto

Dagli scritti
Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa
O prezioso e meraviglioso convito!
L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, déi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino. O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà é più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti. Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione. Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L’Eucaristia é il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini. (Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
II DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Sir 16,24-30
Sal 148
Rm 1,16-21
Lc 12,22-31

Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta
Dio è provvidenza per ogni uomo. La sua provvidenza la esercita però nel quadro della fedeltà della sua creatura all’alleanza già stipulata o da stipulare con Lui. Dio è fedele all’uomo nella fedeltà dell’uomo alla sua Legge, ai suoi comandamenti, alla sua Parola. Per comprendere questa verità ci lasceremo aiutare dalla Scrittura Santa.
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa (Lc 15,11-24).
Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno. Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce in mano a un guerriero sono i figli avuti in giovinezza. Beato l’uomo che ne ha piena la faretra: non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici (Sal 127 (126) 1-5).
Quando il Signore nutre il figlio? Quando egli ritorna nella sua casa. A chi il Signore dona il pane nel sonno? A quanti sono suoi amici. Si ritorna nella casa del Padre ritornando nella sua obbedienza, nell’ascolto della sua Parola. Si diviene amici di Dio quando si fa la sua volontà, si osservano i suoi comandamenti. Gesù non si discosta da questa verità. La sua Parola è di assoluta fedeltà alla Parola ricolta da Dio ai Padri.
Poi disse ai suoi discepoli: «Per questo io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non séminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così bene l’erba nel campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede. E voi, non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta.
Oggi la casa di Dio è il Vangelo. Se uno entra nel Vangelo, troverà sempre il Padre celeste che si prenderà cura di Lui. Ma cosa significa entrare nel Vangelo? Forse vivere di ozio, con le mani in mano, attendendo che il corvo ci porti la cerne di sera e il pane di mattina? Significa mettere ogni intelligenza e sapienza di Spirito Santo a compiere bene il proprio lavoro. Vuol dire stare lontano da ogni vizio. Conquistare tutte le sante virtù. Vivere una vita ordinata, evangelicamente esemplare in tutto. Noi vi mettiamo la nostra scienza, intelligenza, buona volontà, impegno, responsabilità, serietà, acume, diligenza, il Signore vi mette la sua benedizione e la sua grazia e l’uomo vivrà senza alcun affanno, perché vive di regno e per il regno.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero regno di Dio oggi.
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MessaggioTitolo: sabato 16 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyGio Giu 14, 2012 3:08 pm

SABATO 16 GIUGNO 2012

CUORE IMMACOLATO DELLA BEATA VERGINE MARIA
MEMORIA



Preghiera iniziale: O Dio, che hai preparato una degna dimora dello Spirito Santo nel cuore della beata Vergine Maria, per sua intercessione concedi anche a noi, tuoi fedeli, di essere tempio vivo della tua gloria.

Letture:
Is 61,10-11 (Gioisco pienamente nel Signore)
Sal 1Sam 2,1.4-8 (Il mio cuore esulta nel Signore, mio salvatore)
Lc 2,41-51 (Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo)

Memoria del Cuore Immacolato di Maria
Memoria mariana di origine devozionale istituita dal papa Pio XII, l’odierna celebrazione ci invita a meditare sul mistero di Cristo e della Vergine nella sua interiorità e profondità. Maria, che custodisce la parola e i fatti del Signore meditandoli nel suo cuore (Lc 2,19), è dimora dello Spirito Santo, sede della sapienza (Lc 1,35), immagine e modello della Chiesa che ascolta e testimonia il messaggio del Signore. Lo Spirito Santo che ha preparato il Cuore della Vergine Maria a essere la dimora del Cristo e il tempio vivente di Dio. La grazia porta anche a noi la presenza divina, che ci consacra e ci dà gioia.
Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: “Questa stanza è immacolata”, intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: “Appari immacolato” significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola “cuore” si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: “Abbi cuore” comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, “serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo. Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore.

Lettura del Vangelo: I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.

Riflessione:
- La dinamica del racconto. All’inizio c’è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell’osservanza della legge. Un angoscioso incidente “Gesù dodicenne si perde” offre l’occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v.47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L’evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv.39-40) e con quest’ultimo motivo (vv.51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.
- Dio come il Padre suo (v.51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio. Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell’obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo. La risposta ai genitori che l’hanno cercato e l’hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell’identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v.50).
- La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all’attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v.52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un’attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall’ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.

Per un confronto personale
- I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?
- Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?

Dagli scritti
Dai «Sermoni» di san Lorenzo Giustiniani, vescovo
Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore
Maria meditava nel suo cuore tutto ciò che assimilava con la lettura, la vista, l’udito, e che crescita grande realizzava nella fede, che acquisto faceva in meriti, di quanta saggezza veniva illuminata e di quale incendio di carità andava sempre più avvampando! Schiudeva verso di sé la porta dei misteri celesti e si colmava di gioia, si arricchiva copiosamente del dono dello Spirito, orientandosi verso Dio, e nel medesimo tempo si conservava nella sua profonda umiltà. L’opera del dono divino ha questo di caretteristico, che eleva dagli abissi al vertice e porta di gloria in gloria. Beato il cuore della Vergine Maria che, avendo in sé lo Spirito e godendo del suo insegnamento, rimaneva docile alla volontà del Verbo di Dio! Maria non era mossa da un suo sentimento o da proprie voglie, ma seguiva esternamente le vie della fede che la sapienza le suggeriva interiormente. E veramente si addiceva a quella Sapienza divina, che si costruisce a propria abitazione la casa della Chiesa, di servirsi di Maria santissima per inculcare l’osservanza della legge, la norma dell’unità e l’esigenza dell’offerta spirituale. O anima fedele, imita la Vergine Maria. Entra nel tempio del tuo cuore per essere spiritualmente rinnovata ed ottenere il perdono dei tuoi peccati. Ricordati che Dio ricerca piuttosto l’intenzione, con la quale compiamo le nostre azioni, che l’opera medesima che noi facciamo. Perciò sia che ci rivolgiamo con l’anima a Dio mediante la contemplazione e ci dedichiamo a lui, sia che attendiamo al progresso delle virtù e ci occupiamo assiduamente in opere buone a servizio del prossimo, tutto facciamo in modo da sentirci sempre spinti dalla carità. Ripetiamo, infatti, che l’offerta spirituale che purifica noi e sale gradita a Dio, non é tanto l’opera delle nostre mani in se stessa, quanto il sacrificio spirituale che si immola nel tempio del cuore, ravvivato dalla presenza e dal compiacimento di Cristo Signor nostro (Sermone 8, nella festa della Purificazione della B.V. Maria: Opera, 2, Venezia 1751, 38-39).

Preghiera finale: Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi, perché in esso è la mia gioia. Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del guadagno (Sal 118).
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MessaggioTitolo: DOMENICA 17 GIUGNO 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyGio Giu 14, 2012 3:11 pm

DOMENICA 17 GIUGNO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone.

Letture:
Ez 17,22-24 (Io innalzo l’albero basso)
Sal 91 (È bello rendere grazie al Signore)
2Cor 5,6-10 (Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere graditi al Signore)
Mc 4,26-34 (È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto)

Da un piccolo seme un grande albero
Una volta seminato nel cuore dell’uomo, il regno di Dio cresce da sé. È una meraviglia di Dio tanto grande e tanto bella quanto grande e bella è la crescita delle piante, e tanto misteriosa quanto misteriosa è la trasformazione di un bambino che cresce e diventa uomo. Così la crescita del regno di Dio non dipende dalle forze umane; essa supera le capacità umane poiché ha in sé un proprio dinamismo. Questo messaggio è un messaggio di speranza, poiché, adottando una prospettiva umana, potremmo dubitare del trionfo del regno di Dio. Esso si scontra con tanti ostacoli. Esso è qui rifiutato, là respinto, o, in molti luoghi, sconosciuto del tutto. Noi stessi costituiamo un ostacolo alla realizzazione del regno di Dio con la nostra cattiva volontà e con i nostri peccati. È bene dunque che sappiamo che, a poco a poco con una logica che non è quella umana, con un ritmo che a noi sembra troppo lento, il regno di Dio cresce. San Paolo, che era ispirato, percepiva già i gemiti di tale crescita (Rm 8,19-22). Bisogna conservare la speranza (Eb 3,6b). Bisogna ripetere ogni giorno: “Venga il tuo regno!”. Bisogna coltivare la pazienza, quella del seminatore che non può affrettare l’ora della mietitura (Gc 5,7-8). Bisogna soprattutto non dubitare della realtà dell’azione di Dio nel mondo e nei nostri cuori. Gesù ci dice questo poiché sa che il pericolo più grande per noi è quello di perdere la pazienza, di scoraggiarci, di abbandonare la via e di fermarci. Noi non conosciamo né il giorno né l’ora del nostro ingresso nel regno o del ritorno di Cristo. La mietitura ci sembra ancora molto lontana, ma il tempo passa in fretta: la mietitura è forse per domani.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Riflessione
- É bello vedere Gesù che, sempre di nuovo, cerca nella vita e negli avvenimenti, elementi ed immagini che possano aiutare la gente a percepire e sperimentare la presenza del Regno. Nel vangelo di oggi, di nuovo, racconta due brevi storie che avvengono tutti i giorni nella vita di tutti noi: “La storia del seme che cresce da solo” e “la storia del piccolo seme di senape che cresce e diventa grande”.
- La storia del seme che cresce da solo. L’agricoltore che pianta conosce il processo: seme, filino verde, foglia, spiga, grano. L’agricoltore sa aspettare, non falcia il grano prima del tempo. Ma non sa come la terra, la pioggia, il sole ed il seme hanno questa forza di far crescere una pianta dal nulla fino alla frutta. Così è il Regno di Dio. È un processo, ci sono tappe e momenti di crescita. Avviene nel tempo. Produce frutto al momento giusto, ma nessuno sa spiegare la sua forza misteriosa. Nessuno ne è il padrone! Solo Dio!
- La storia del piccolo granello di senape che cresce e diventa grande. Il granello di senape è piccolo, ma cresce ed alla fine, gli uccelli fanno il loro nido tra i suoi rami. Così è il Regno. Inizia molto piccolo, cresce ed estende i suoi rami. La parabola lascia aperta una domanda che riceverà una risposta nel vangelo, più tardi: chi sono gli uccellini? Il testo suggerisce che si tratta dei pagani che non potranno entrare in comunità e partecipare al Regno.
- Perché Gesù insegna per mezzo di parabole. Gesù racconta molte parabole. Tutte tratte dalla vita della gente! Così aiutava le persone a scoprire le cose di Dio nella vita di ogni giorno, vita che diventava trasparente. Poiché lo straordinario di Dio si nasconde nelle cose ordinarie e comuni della vita di ogni giorno. La gente capiva le cose della vita. Nelle parabole riceve la chiave per aprirla e trovare in essa i segni di Dio.

Per un confronto personale
- Gesù non spiega le parabole. Racconta le storie e sveglia negli altri l’immaginazione e la riflessione della scoperta. Cosa hai scoperto tu nelle due parabole?
- L’obiettivo delle parole è rendere la vita trasparente. Lungo gli anni, la tua vita è diventata più trasparente o è avvenuto il contrario?

Preghiera finale: Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato (Sal 50).

RITO AMBROSIANO
ANNO B
III DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 2,18-25
Sal 8
Ef 5,21-33
Mc 10,1-12

L’Amore tra un uomo e una donna
L’amore tra un uomo e una donna è tutto per una vita. Ne sentiamo il fascino, vi dedichiamo tutte le nostre risorse perché da lì scaturisce la nostra felicità. D’altro canto ne sentiamo trepidazione e timore. Dubitiamo della resistenza del nostro e altrui sentimento. Intuiamo che l’amore vero è una tal somma di elementi psicologici, spirituali, fisici, morali e soprannaturali, che ci sembrano difficili da combinare assieme con equilibrio e reciprocità totale. Per cui spesso si entra nell’amore già con quella riserva sul tempo che ne taglia il vigore e ne inquina la più profonda soddisfazione. Eppure anche quello dell’indissolubilità è elemento costitutivo, e quindi decisivo, per la riuscita dell’amore umano. Ce ne parla oggi Gesù, riconducendoci al fondamento dell’amore tra un uomo e una donna, segnalando il male che lo minaccia e aprendolo alla grazia di Dio che salva.
All’inizio: La radice dell’amore tra un uomo e una donna sta nell’atto creativo di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Crea la donna, tratta dall’uomo, a dire quanto le sia simile, quanto sia della stessa dignità, anzi della stessa carne; e quindi ad esigerne l’unione, la complementarietà, il ritornare ad essere “una carne sola”. Allora l’uomo esce in quel primo canto d’amore che dice la soddisfazione profonda dell’opera fatta da Dio: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne della mia carne”. Io, uomo, ne sento tutta la sintonia, la risonanza, trovando in lei comprensione, reciprocità, fisica e spirituale, appunto: completamento. Se l’amore è la struttura dell’uomo e della donna, ne costituisce il progetto, il fine, il traguardo, - noi diciamo: la chiamata. Non è indifferente per l’uomo e per la donna la realizzazione piena di questo amore. Il suo fallimento è fallimento d’un progetto di Dio, d’una “macchina” già essenzialmente strutturata, affidata alle nostre mani da far funzionare, da portare a pieni giri perché esplichi tutte le sue risorse di felicità e di vita. L’amore combacia con la vita. La nostra vita è una scintilla di quel fuoco d’amore che è Dio: siamo stati fatti a sua immagine per riprodurre il suo elemento qualificante, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8). Ne deriva che l’amore è la realtà più alta e più matura nell’esistenza di una persona, e anche la più ardua e difficile, la più complessa e piena, proprio perché è la vita stessa - dicevamo -, che determina il nostro destino terrestre ed eterno. È certamente sentimento ed emozione spontanea iniziale, che poi richiede di divenire atto pienamente umano, cioè esercizio della intelligenza e della volontà, atto libero, consapevole e responsabile. E ancora: allenamento al dono, al rispetto, all’accoglienza, alla convivenza, alla reciprocità del dare e anche del ricevere. Alla fine deve avere una dimensione anche religiosa, cioè collegata a Dio per capirne l’origine, per raggiungerne il fine, per essere redento nelle sue fragilità, debolezze e insufficienze. L’amore non è un gioco da bambini, ma vuole il massimo delle potenzialità umane e spirituali. Altrimenti necessariamente fallisce!
La sclerocardia: Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma”. Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio, gioco...; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto di Dio a determinare il fallimento del matrimonio. Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita, indebolita dal peccato, e il nostro cuore ha ricevuto come una iniezione di veleno, cioè di egoismo. Scrive san Paolo: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne. É necessario far rifluire di nuovo quella capacità e quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi. Il riferimento e il modello dell’autentico amore è Cristo “che ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”, per fare della Chiesa la sua sposa “senza macchia né ruga, ma santa e immacolata” (Epist.). Si prende cura di Lei come del proprio Corpo, “poiché siamo membra del suo corpo”. “Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo”. Questo dell’amore tra marito e moglie “è mistero grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. Non è allora un di più folklorico o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di ignorarlo, si rischia la pelle!
Dice una bella sentenza rabbinica commentando la pagina della Genesi che abbiamo letto come prima lettura: “Dio non ha tratto la donna dalla testa dell’uomo, perché gli comandasse; né dai suoi piedi, perché fosse la sua schiava; ma dal suo fianco, perché fosse sempre vicina al suo cuore” (Talmud). Evitare che l’amore divenga possesso, che la comunicazione si sciupi in banalità e cose, scommettere sempre sulla sincerità e la tenerezza, e... alla fine avere il coraggio del perdono, costituiscono quel primo mazzetto di virtù che abbellisce ogni nuova famiglia che nasce e la profuma dei valori più sicuri e necessari alla felicità del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna.
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MessaggioTitolo: sabato 23 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Giu 20, 2012 10:51 am

SABATO 23 GIUGNO 2012

SABATO DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Letture:
2Cr 24,17-25 (Avete ucciso Zaccarìa tra il santuario e l’altare)
Sal 88 (La bontà del Signore dura in eterno)
Mt 6,24-34 (Non preoccupatevi del domani)

Gli inutili affanni del mondo
O il mondo e le sue attrattive (è il «mammona» del vangelo odierno) o Dio; è l’esigenza di una scelta radicale, sgorga dalla coerenza e dalla fede che il cristiano vuole professare e vivere. «Non potete servire a Dio e a mammona». Ci sono nella nostra vita compromessi irrealizzabili, anche se spesso siamo tentati di attuarli. Certamente il Signore non disconosce l’importanza del nutrimento, del vestire e di quanto serve alla vita di ogni giorno. Vuole farci comprendere però che non è questo che dà il vero senso alla vita e vuole metterci in guardia da quegli eccessivi affanni che inutilmente ci affliggono e da quell’attaccamento alle cose che ci procura solo amare delusioni. Vuole far rinascere in noi la fede nel Dio provvido, che ai nostri giorni sembra quasi scomparsa. Sollecitandoci alla preghiera ci ricorda Gesù che il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glie lo chiediamo. Ci sollecita perciò a guardare con intelligenza spirituale gli uccelli de cielo, che, non ammassano nei granai, pure sono nutriti dal Padre celeste e i gigli del campo che provvidenzialmente si adornano di tutta la loro splendida bellezza. La conclusione e di quelle che dovrebbero entrare pienamente nel programma di vita di ogni cristiano: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Capita invece che proprio perché colpevolmente privi di beni spirituali, ci attacchiamo ai surrogati del mondo. Si tratta di spiritualizzare la nostra vita per imparare a cogliere i valori che davvero possono essere fonte della nostra gioia. Il materialismo si è sempre alleato all’ateismo l’uno a supporto dell’altro.
Che Cristo non abbia esitato a porre (anche se solo verbalmente) Dio e il denaro uno di fianco all’altro, questo ci sbalordisce. Eppure il Denaro (con la D maiuscola) è troppo spesso venerato come un Dio. Lo si cerca, se ne è sedotti, stregati, lo si adula, lo si adora, per esso si uccide, si fa la guerra e non ci si ferma se non ci conviene, ci si vende per esso. E Cristo ci chiede di scegliere tra lui e il denaro. Alcuni seguono Cristo, altri il denaro, ed altri immaginano che, per non perdere nulla, potranno servire tutti e due nello stesso tempo. Ma Cristo è categorico: “Non potete servire Dio e il denaro”. Ciò mi ricorda un gruppo di universitari libanesi in visita ad un vecchio saggio sulla montagna, pacifico e felice nella sua evidente povertà. “Parlaci del denaro”, chiedono i giovani. Il saggio sorride e dice: “Guardate attraverso il vetro della mia finestra. Che cosa vedete?”. “Il cielo, il sole, la montagna, gli alberi, la gente che passa...”. Il saggio, allora, tende loro, un piccolo specchio e dice: “Guardate in questo specchio. Che cosa vedete?”. “I nostri volti, evidentemente”, rispondono i giovani, meravigliati. Il saggio riprende lo specchio, vi toglie la lamina d’argento e lo porge di nuovo ai suoi visitatori. “Ed ora, che cosa vedete?”. “Questo specchio non è che un vetro, dicono, non ci si vede più, ma si vedono gli altri”. Credo che abbiate capito come loro hanno capito.

Lettura del Vangelo: In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro (Mt 6,24) e il nostro rapporto con la Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). I consigli dati da Gesù suscitano varie domande di difficile risposta. Per esempio, come capire oggi l’affermazione: “Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24)? Come capire la raccomandazione di non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito(Mt 6,25)?
- Matteo 6,24: Non potete servire Dio e mammona. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona”. Ognuno dovrà fare la propria scelta. Dovrà chiedersi: “Chi pongo al primo posto nella mia vita. Dio o il denaro?”. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, bensì di una scelta di vita ben concreta che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.
- Matteo 6,25: Gesù critica la preoccupazione eccessiva per il mangiare e il bere. Questa critica di Gesù causa fino ai nostri giorni molto spavento nella gente, perché la grande preoccupazione di tutti i genitori è come procurarsi cibo e vestiti per i figli. Il motivo della critica è che la vita vale più del cibo e il corpo vale più del vestito. Per chiarire la sua critica, Gesù presenta due parabole: i passeri e i fiori.
- Matteo 6,26-27: La parabola degli uccelli: la vita vale più del cibo. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Non seminano, non raccolgono, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. “Non contate voi, forse, più di loro!”. Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della vita delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.
- Matteo 6,28-30: La parabola dei gigli: il corpo vale più del vestito. Gesù chiede di guardare i fiori, i gigli del campo. Con che eleganza e bellezza Dio li veste! “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, non farà assai più per voi, gente di poca fede!”. Gesù dice di guardare le cose della natura, perché così vedendo i fiori e il campo, la gente ricordi la missione che abbiamo: lottare per il Regno e creare una convivenza nuova che possa garantire il cibo e il vestito per tutti.
- Matteo 6,31-32: Non essere come i pagani. Gesù riprende e critica la preoccupazione eccessiva per il cibo, la bevanda e il vestito. E conclude: “Di queste cose si preoccupano i pagani!”. Ci deve essere una differenza nella vita di coloro che hanno fede in Gesù e di coloro che non hanno fede in Gesù. Coloro che hanno fede in Gesù condividono con lui l’esperienza della gratuità di Dio Padre, Abba. Questa esperienza di paternità deve rivoluzionare la convivenza. Deve generare una vita comunitaria che sia fraterna, seme di una nuova società.
- Matteo 6,33-34: Il Regno al primo posto. Gesù indica due criteri: “Cercare prima il Regno di Dio” e “Non preoccuparsi per il domani”. Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia significa cercare di fare la volontà di Dio e lasciare regnare Dio nella nostra vita. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna e giusta. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare.
- Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Il Regno di Dio deve stare al centro di tutte le nostre preoccupazioni. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona si sente responsabile dell’altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori, perché per Gesù la Provvidenza Divina passa attraverso l’organizzazione fraterna. Preoccuparsi del Regno e della sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi di accettare Dio Padre ed essere fratello e sorella degli altri. Dinanzi all’impoverimento crescente causato dal neoliberalismo economico, la forma concreta che il vangelo ci presenta e grazie alla quale i poveri potranno vivere è la solidarietà e l’organizzazione.
- Un coltello affilato in mano ad un bambino può essere un’arma mortale. Un coltello affilato in mano ad una persona appesa ad una corda è l’arma che salva. Così sono le parole di Gesù sulla Provvidenza Divina. Sarebbe antievangelico dire ad un padre disoccupato, povero, con otto figli, e moglie malata: “Non ti preoccupare del cibo e delle bevande! Perché preoccuparsi del vestito e della salute?” (Mt 6,25.28). Questo possiamo dirlo solo quando noi stessi, imitando Gesù, ci organizziamo tra di noi per condividere, garantendo così al fratello la possibilità di sopravvivere. Altrimenti, siamo come i tre amici di Giobbe che, per difendere Dio, raccontavano menzogne sulla vita umana (Giobbe 1-3,7). Sarebbe come ingannare un orfano e un amico (Giobbe 1-7). In bocca al sistema dei ricchi, queste parole posso essere un’arma mortale contro i poveri. In bocca al povero, possono essere uno sbocco reale e concreto per una convivenza migliore, più giusta e fraterna.

Per un confronto personale
- Cosa intendo io per Provvidenza Divina? Ho fiducia nella Provvidenza Divina?
- Noi cristiani abbiamo la missione di dare un’espressione concreta a ciò che portiamo dentro. Qual è l’espressione che stiamo dando alla nostra fiducia nella Provvidenza Divina?

Preghiera finale: Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore (Sal 118).
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MessaggioTitolo: domenica 24 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Giu 20, 2012 10:55 am

DOMENICA 24 GIUGNO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA
SOLENNITÀ

MESSA DELLA VIGILIA


Letture:
Ger 1,4-10 (Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto)
Sal 70 (Dal grembo di mia madre sei tu il mio sostegno)
1Pt 1,8-12 (Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti)
Lc 1,5-17 (Ti darà un figlio e tu lo chiamerai Giovanni)

Giovanni è il suo nome
La storia della salvezza è un mistero che è sempre, perennemente, nelle mani del nostro Dio e Signore. Essa si fonda su una sola promessa di Dio fatta all’umanità, fin dalla sua origine dopo il peccato. Da quando questa frase è risuonata nella storia, con puntualità sorprendente sempre il Signore ha mantenuto fede a questa sua promessa. Sempre si è dato pensiero per portare a compimento la sua parola data. Nei momenti più bui del mondo, quando l’uomo potrebbe essere tentato di pensare che Dio si sia dimenticato della sua parola data, ecco che all’improvviso, come un baleno, irrompe nella storia e la rischiara di una speranza nuova, la ricolma di una grazia inattesa, inaspettata, le dona un chiaro principio di salvezza e di redenzione. Che sia il Signore ad operare lo attesta la stessa incredulità dell’uomo chiamato a cooperare con il suo Dio. Così è stato con Zaccaria, che a motivo della sua incredulità, rimase muto per ben nove mesi, dal concepimento alla nascita e alla circoncisione del figlio della promessa e soprattutto della grazia di Dio. Zaccaria oggi è il testimone che ogni parola di Dio si compie alla lettera. Così come il Signore dice o profetizza così avverrà. All’uomo è richiesta una cosa sola: la fede in ogni parola che è uscita e che esce dalla bocca dell’Altissimo. Ogni altra cosa la farà per lui il Signore. La farà dal nulla dell’uomo e della storia, come dal nulla di Elisabetta, perché sterile ed avanzata negli anni, Dio ha tratto il precursore del suo Messia. La fede è la sola via attraverso la quale il Signore irrompe con potenza nella nostra storia. Per la fede Dio redime la vita, perché la ricolma di grazia e di verità. Per la non fede la morte è entrata nel mondo. Per la fede essa sarà sconfitta per sempre. La fede però è sempre preceduta dalla grazia di Dio che si riversa sulla sua creatura e la prepara perché possa sempre rispondere ad ogni richiesta che il Signore dovesse rivolgerle. Senza la fede siamo come uccelli senza le ali, come animali senza i piedi, come alberi senza le radici, come pesci senza acqua. Senza la fede non c’è vita per noi, perché siamo esposti perennemente alla morte. Vergine Maria, Madre della Redenzione, Donna dalla fede perfettissima, ottieni la grazia di credere in ogni Parola del tuo Figlio Gesù. Angeli e Santi di Dio fate sì che mai ci lasciamo conquistare dalla non fede e dalla non obbedienza al Vangelo del nostro Dio, Signore e Creatore nostro.
Giovanni Battista è l’unico santo, oltre la Madre del Signore, del quale si celebra con la nascita al cielo anche la nascita secondo la carne. Fu il più grande fra i profeti (Lc 7,26-28), perché poté additare l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29.36). La sua vocazione profetica fin dal grembo materno è circondata di eventi straordinari, pieni di gioia messianica, che prepararono la nascita di Gesù (cfr. Lc 1,14.58). Giovanni è il Precursore del Cristo con la parola e con la vita (Mc 6,17-29). Il battesimo di penitenza che accompagna l’annunzio degli ultimi tempi è figura del Battesimo secondo lo Spirito (Mt 3,11). La data della festa, tre mesi dopo l’annunciazione e sei mesi prima del Natale, risponde alle indicazioni di Luca (1,39.56-57).

MESSA DEL GIORNO


Raccogliamoci in preghiera (Preghiera del Card. Mercier allo Spirito Santo): O Dio, che hai istruito i tuoi fedeli, illuminando i loro cuori con la luce dello Spirito Santo, concedi a noi di avere nello stesso Spirito il gusto del bene e di godere sempre del suo conforto. Gloria, adorazione, amore, benedizione a te eterno divino Spirito, che ci hai portato sulla terra il Salvatore delle anime nostre. E gloria e onore al Suo adorabilissimo cuore che ci ama di infinito amore. O Spirito Santo, anima dell’anima mia, io Ti adoro: illuminami, guidami, fortificami, consolami, insegnami ciò che devo fare, dammi i tuoi ordini. Ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada: fammi solo conoscere la tua Volontà.

Letture:
Is 49,1-6 (Ti renderò luce delle nazioni)
Sal 138 (Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda)
At 13,22-26 (Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo)
Lc 1,57-66.80 (Giovanni è il suo nome)

Camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia
Dio si serve degli uomini; con noi e per noi realizza i suoi piani di salvezza. Sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Egli sa rendere fecondo ciò che è sterile e aprire la bocca ai muti. Intreccia le sue con le nostre storie affinché ciò che egli vuole si compia in cielo e sulla terra. Rende feconda la vergine Maria affinché generi il Salvatore del Mondo, ma concede la maternità anche ad Elisabetta, sterile e avanti negli anni. Predispone un incontro tra le due mamme e i rispettivi nascituri e già sgorga la gioia messianica! È riconosciuta la Madre del Signore e il futuro battezzatore freme e sussulta di gioia nel grembo della madre sua. È lo stesso angelo ad annunciare a Zaccaria i motivi della gioia: “Elisabetta ti darà un figlio… Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita”. Il suo compito sarà quello di preparare la via al Signore affinché Egli trovi un popolo ben disposto. Umanamente parlando, dato l’evolversi degli eventi e la sorte toccata a Cristo e allo stesso Giovanni Battista, potremmo anche concludere che la sua missione sia fallita. Ciò però eventualmente nulla toglie alla fedeltà del Precursore e interviene a sciogliere ogni dubbio il magnifico elogio che Cristo stesso ne tesse. Al più potremmo con migliore saggezza, concludere che la missione che Dio ci affida va sempre vista e valutata nel contesto di un ben più ampio progetto di salvezza e solo in quella luce assume la sua vera dimensione il suo pieno valore. Egli, infatti, precede e annuncia il Messia, l’Agnello di Dio, ma poi sa che deve farsi da parte e lasciare spazio a Colui dinanzi al quale egli si prostra e non si sente degno neanche di sciogliergli i legacci dei sandali. Lo precederà anche nel martirio: pagherà con la vita la sua coerenza e la sua incrollabile fermezza, ignaro delle prepotenze dei grandi e delle losche trame di due donne. Così egli concluderà la sua missione, alla stessa maniera di Cristo; così lo vediamo brillare nella chiesa come ultimo dei profeti dell’Antico Testamento e il primo dei tempi messianici.
Per bocca del profeta Dio annunciò: “Per voi... cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla” (Ml 3,20). L’inno di Zaccaria è il mirabile sviluppo di questa profezia. Quando, obbedendo all’ingiunzione dell’angelo, diede a suo figlio il nome di Giovanni (che significa: Dio è misericordioso), avendo fornito la prova di una fede senza indugi e senza riserve, la sua pena finì. E, avendo ritrovato la parola, Zaccaria cantò un inno di riconoscenza contenente tutta la speranza del popolo eletto. La prima parte, in forma di salmo, è una lode a Dio per le opere da lui compiute per la salvezza. La seconda parte è un canto in onore della nascita di Giovanni e una profezia sulla sua futura missione di profeta dell’Altissimo. Giovanni sarà l’annunciatore della misericordia divina, che si manifesta nel perdono concesso da Dio ai peccatori. La prova più meravigliosa di questa pietà divina sarà il Messia che apparirà sulla terra come il sole nascente. Un sole che strapperà alle tenebre i pagani immersi nelle eresie e nella depravazione morale, rivelando loro la vera fede, mentre, al popolo eletto, che conosceva già il vero Dio, concederà la pace. L’inno di Zaccaria sulla misericordia divina può diventare la nostra preghiera quotidiana.

Approfondimento del Vangelo (Nascita del Precursore del Signore)
Il testo: Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Chiave di lettura: Questo brano del vangelo fa parte dei così detti racconti dell’infanzia di Gesù. In modo particolare questo testo segue la scena della visitazione di Maria “nella casa di Zaccaria” (Lc 1,40) dopo l’evento dell’annunciazione dell’angelo messaggero della nuova creazione. L’annunciazione infatti inaugura gioiosamente il compimento delle promesse di Dio al suo popolo (Lc 1,26-38). La gioia dei tempi nuovi, che ha riempito Maria, inonda adesso il cuore di Elisabetta. Essa gioisce dell’annuncio portato da Maria (Lc 1,41). Maria d’altronde “magnifica il Signore” (Lc 1,46) perché ha operato in lei grandi cose, come ha operato grandi prodigi per il suo popolo bisognoso di salvezza. L’espressione “si compì il tempo” ci ricorda che questa realtà non colpisce soltanto Elisabetta partoriente, ma rivela anche qualcosa del progetto di Dio. San Paolo infatti ci dice che quando il tempo fu compiuto, Dio mandò il suo Unigenito “nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” di Dio (Gal 4,4). Nel vangelo Gesù parla infatti del compimento dei tempi, specialmente nel vangelo di Giovanni. Due di questi istanti sono le nozze di Cana (Gv 2,1-12) e l’agonia sulla croce dove Gesù proclama che “tutto è compiuto” (Gv 19,30). Nel compimento dei tempi Gesù inaugura un’era di salvezza. La nascita di Giovanni Battista inaugura questo tempo di salvezza. Egli, infatti, all’arrivo del Messia esulta e sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta sua madre (Lc 1,44). Più tardi egli definirà se stesso come l’amico dello sposo (Gesù) che esulta e gioisce per l’avvenimento delle nozze con la sua sposa, la Chiesa (Gv 3,29). Il figlio non si chiamerà per suo padre Zaccaria ma Giovanni. Zaccaria ci ricorda che Dio non dimentica il suo popolo. Il suo nome infatti significa “Dio ricorda”. Suo figlio, adesso non potrà essere chiamato “Dio ricorda”, perché le promesse di Dio stavano compiendosi. La missione profetica di Giovanni deve indicare la misericordia di Dio. Egli infatti si chiamerà Johanan, cioè “Dio è misericordia”. Questa misericordia si manifesta nella visita al popolo, proprio “come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un tempo” (Lc 1,67-70). Il nome indica perciò l’identità e la missione del nascituro. Zaccaria scriverà il nome di suo figlio su una tavoletta perché tutti potessero vedere con meraviglia (Lc 1,63). Questa tavola fa eco ad un’altra iscrizione, scritta da Pilato per essere appesa alla croce di Gesù. Questa iscrizione rivelava l’identità e la missione del crocifisso: “Gesù nazareno re dei Giudei” (Gv 19,19). Anche questa scritta provocò la meraviglia di coloro che stavano a Gerusalemme per la festa. In tutto Giovanni è precursore di Cristo. Già dalla sua nascita e infanzia egli punta a Cristo. “Chi sarà mai questo bambino?”. Egli è “la voce che grida nel deserto” (Gv 1,23), incitando tutti a preparare le vie del Signore. Non è lui il Messia (Gv 1,20), ma lo indica con la sua predicazione e soprattutto con il suo stile di vita di ascesi nel deserto. Egli intanto “cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80).

Domande per orientare la meditazione e l’attualizzazione
- Cosa ti ha colpito in questo brano e nella riflessione?
- Giovanni si identifica come l’amico dello sposo. Secondo te, che significato ha questa immagine?
- La chiesa ha sempre visto in Giovanni Battista il suo tipo. Egli è colui che prepara la strada del Signore. Ha questo una rilevanza per la nostra vita quotidiana?

24 giugno: Natività di San Giovanni Battista
Martirologio: Solennità della Natività di san Giovanni Battista, precursore del Signore; già nel grembo della madre, ricolma di Spirito Santo, esultò di gioia alla venuta dell’umana salvezza; la sua stessa nascita fu profezia di Cristo Signore; in lui tanta grazia rifulse, che il Signore stesso disse a suo riguardo che nessuno dei nati da donna era più grande di Giovanni Battista.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede. Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all’arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l’accaduto per spiegare l’immagine della realtà. Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola. Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1,19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1,23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1,1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.

Contemplazione (Adoriamo insieme la misericordia e la bontà di Dio ripetendo in silenzio): Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 18,17-21;19,1.12-13.15.23-29
Sal 32
1Cor 6,9-12
Mt 22,1-14

Una festa di nozze
Un’altra immagine, e tra le più affascinanti, del Regno di Dio: è una grande festa di nozze cui ogni uomo è invitato. Chi si sposa è il Figlio stesso di Dio con la nostra umanità, che vuol unire a Sé per un destino di intimità con la Trinità. Tocca ad ognuno di noi accogliere l’invito e rispondere di sì. Deve essere un sì che impegna la vita, perché i doni di Dio, benché gratuiti, sono esigenti. Ogni domenica a messa risuona questo invito: “Beati gli invitati alla Cena del Signore”. La Chiesa ci mette sulle labbra la stima e la trepidazione davanti a tanto dono: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa”. È invito immeritato, Signore; però lo stimo e ne sono lusingato: sono i sentimenti e la preghiera che oggi la Parola di Dio vuole suscitare in noi.
Venite alle nozze: Ecco la più bella storia del mondo: una storia d’amore! C’era una volta un Dio felice, tanto felice che volle condividere con altri la sua felicità. Questo Dio viveva d’amore: erano tre Persone che si volevano bene, che si scambiavano reciprocamente gioia infinita, in totale trasparenza e condivisione assoluta. Una soddisfazione perenne! Un giorno Dio decise di sposare l’umanità per introdurla nella sua famiglia, nella sua vita, nel suo amore. Avvenne con l’Incarnazione del Figlio. “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio”. Sì, Dio sposa suo Figlio; Gesù è innamorato dell’umanità, ci ama con passione. “Ecco, ho preparato il mio pranzo; venite alle nozze!”. Questo sposalizio è iniziato per ognuno di noi col battesimo; è cresciuto lungo la vita coi vari appuntamenti alla cena eucaristica, fino al compimento definitivo quando “il Signore preparerà per tutti i popoli un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto...” (Is 25,6-7). Troppo grande è l’avvenimento - è lo sposalizio dei secoli! - e Dio rinnova l’invito, con insistenza. San Paolo sognava di fare di ogni suo cristiano un partner entusiasta in questo sposalizio: “Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta a” (2Cor 11,2). Ma Dio rimane deluso: “Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire; non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Storia amara di una umanità ribelle, incomprensibile stupidità che snobba i doni di Dio per diventare creduloni di idoli e meschinità! Parole di un’attualità bruciante! - “Come volete che vada a messa? Non ho che la domenica per fare footing o tennis...”, - dice uno. “È l’unico giorno per andare al lago!”. Come è possibile che si arrivi a preferire i nostri piccoli affari all’invito di Dio?! Certamente la maggior parte non si rende conto di quel che fa. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), deve continuamente pregare Gesù dalla croce. E Dio non si ferma. “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Ciò è accaduto per i giudei del tempo di Gesù: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,43). La distruzione di Gerusalemme “data alle fiamme” nell’anno ‘70 ne era stata una immagine tragica. Oggi è per noi d’ammonimento: se diciamo di no all’invito, ce ne sono cento altri che prenderanno il nostro posto. L’invito di Dio è per tutti gli uomini, gratuito e generoso: “Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali”. Nessuno può dire: io non sono stato invitato, io non ho avuto il dono della fede. L’occasione è data a tutti. Dio offre ad ogni uomo una grazia sufficiente ed efficace per la salvezza. Solo che non sfonda la porta della nostra libertà. Stimola, ma è discreto e rispettoso. Tocca a noi la responsabilità di un sì o di un no che determina il nostro destino.
Amico, perché senza abito nuziale?: Aderire a Dio è cosa seria. Corrispondere all’amore di Dio che ha dato la vita per noi, richiede altrettanto rigore e totalitarietà. Ci sorprende il contrasto tra la larghezza nell’invito e la rigidità della selezione. “Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. L’abito nuziale sono le opere di giustizia che esprimono la coerenza e la sincerità della nostra risposta. Quando l’umanità giungerà alle soglie dell’eternità, sarà come “una sposa pronta - dice l’Apocalisse - per le nozze dell’Agnello; e le fu data una veste di lino puro splendente. La veste di lino sono le opere giuste dei santi” (Ap 19,7-8). Dio ci rispetta troppo, non vuol fare di noi degli assistiti: la salvezza non è automatica, richiede accoglienza, collaborazione e responsabilità. Il castigo è severo: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. È “la seconda morte” (Ap 20,14). San Paolo oggi non è meno drastico: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti (cfr. Lett.), né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”. Parlando dell’Eucaristia, ancora Paolo ci mette in guardia di non trovarci indegni davanti al Mistero: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). Forse abbiamo bisogno di ricuperare un po’ il senso della trascendenza di Dio, o per lo meno, la serietà. E non essere faciloni nel dire: Vado a far la comunione senza confessarmi spesso, tanto non ho peccati! Non confondiamo la misericordia di Dio con l’indifferenza. C’è pure scritto: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 13,41-42). “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Tutti vengono alla chiesa, ma... chi fa il cristiano seriamente così da meritarsi la salvezza? Non ci è assicurato il posto in paradiso perché abbiamo il nome sul registro di battesimo, o perché frequentiamo la chiesa e siamo del giro. “In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità” (Mt 7,22-23). Questa parola mette un po’ in crisi la nostra facile sicurezza: né l’abitudine né il culto festivo è sufficiente. Il Signore vuole il cuore e la vita!
“Ma voi siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (Epist.). Come Lot, siamo stati strappati da una “generazione malvagia e adultera” (Mt 16,4). Ogni domenica la cena di Dio ci è imbandita. Cresciamo in questa “consuetudine” con Dio per non rimanere estranei al banchetto eterno che Dio imbandisce in cielo per noi.
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MessaggioTitolo: sabato 30 giugno 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyGio Giu 28, 2012 9:22 am

SABATO 30 GIUGNO 2012

SABATO DELLA XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.

Letture:
Lam 2,2.10-14.18-19 (Grida dal tuo cuore al Signore, gemi, figlia di Sion)
Sal 73 (Non dimenticare, Signore, la vita dei tuoi poveri)
Mt 8,5-17 (Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe)

La fede a distanza
È vero che la malattia genera debolezza nell’essere umano, ma spesso accade che proprio in quello stato con maggiore fiducia ed intensità ci si rivolga a Colui che si è definito medico dei corpi e delle anime. Nel definire la sua missione Gesù dice alle folle: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Questi sono i motivi che ci spiegano quel continuo afflusso di gente malata che da sempre ricorre a Gesù, che lo segue e lo insegue, che cerca di lambire il suo mantello o addirittura di sperimentare quel prodigio tocco di Gesù che guarisce e salva. Oggi è la volta di un paralitico, che audacemente si accosta a Gesù per mezzo del suo padrone, si prostra ai suoi piedi e umilmente invoca: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi». La fede vera ed intensa, alimentata anche dall’urgenza della richiesta, non ammette dubbi. La potenza dell’uomo Dio è più forte di ogni male. Quell’intervento del padrone è un bell’ornamento alla preghiera del malato: tutto possiamo chiedere a Dio, ma sempre dobbiamo umilmente rimetterci alla sua santissima volontà. Lo stesso Gesù dinanzi all’agonia nell’orto del Getsemani dirà: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Anche la risposta di Gesù getta luce nel nostro spirito ed alimenta la nostra fiducia: «Và, e sia fatto secondo la tua fede». La nostra guarigione coincide con la volontà di Cristo: Egli afferma: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». L’invito finale è un velato riferimento al sacramento dell’eucaristia: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». Ringraziarlo ogni giorno è un nostro dovere.
Egli ha preso su di sé le nostre infermità, si è caricato delle nostre malattie. Pascal scriverà, facendo parlare Gesù: “I medici non ti guariranno! Sono io che guarisco e rendo il corpo immortale!”. Gesù si prende carico di tutte le nostre infermità, di tutte le nostre malattie, sia fisiche che morali. Non dobbiamo avere paura di parlargliene! Sappiamo parlargliene con la fede del centurione, con quella della suocera di Pietro, dei parenti degli indemoniati, con quella dei malati. Egli potrà dirci, come al centurione: “Va’, e sia fatto secondo la tua fede”. Egli potrà, come la suocera di Pietro, toccare la nostra mano. Potrà cacciare i nostri demoni per mezzo della sua parola. “Signore Gesù, i medici non mi guariranno, ma sei tu che guarisci! Infondi in me la fede del centurione, quella della suocera di Pietro. Guariscimi, caccia i miei demoni. Toccami. Di’ una parola ed io sarò guarito!”.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi continua la descrizione delle attività di Gesù per indicare come metteva in pratica la Legge di Dio, proclamata sulla Montagna delle Beatitudini. Dopo la guarigione del lebbroso del vangelo di ieri (Mt 8,1-4), ora segue la descrizione di altre guarigioni.
- Matteo 8,5-7: La richiesta del centurione e la risposta di Gesù. Analizzando i testi del vangelo, è sempre bene fare attenzione ai piccoli dettagli. Il centurione è un pagano, uno straniero. Non chiede nulla, informa soltanto Gesù dicendo che il suo impiegato sta male e che soffre terribilmente. Dietro questo atteggiamento della gente nei confronti di Gesù, c’è la convinzione che non era necessario chiedere le cose a Gesù. Bastava comunicargli il problema. E Gesù avrebbe fatto il resto. Atteggiamento di fiducia illimitata! Infatti, la reazione di Gesù è immediata: “Io verrò e lo curerò!”.
- Matteo 8,8: La reazione del centurione. Il centurione non aspettava un gesto così immediato e così generoso. Non si aspetta che Gesù vada fino a casa sua. E partendo dalla sua esperienza di “capo” trae un esempio per esprimere la fede e la fiducia che aveva in Gesù. Gli dice: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Questa reazione di uno straniero dinanzi a Gesù rivela qual era l’opinione della gente nei riguardi di Gesù. Gesù era una persona in cui potevano aver fiducia e che non avrebbe allontanato colui o colei che fosse ricorso/a a lui per rivelargli i suoi problemi. È questa l’immagine di Gesù che il vangelo di Matteo comunica fino ad oggi a noi che lo leggiamo nel XXI secolo.
- Matteo 8,10-13: Il commento di Gesù. L’ufficiale rimase ammirato dalla reazione di Gesù e Gesù rimase ammirato dalla reazione dell’ufficiale: “In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande”. E Gesù prevedeva già ciò che stava accadendo quando Matteo scrisse il vangelo: “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. Il messaggio di Gesù, la nuova Legge di Dio proclamata dall’alto della Montagna delle Beatitudini è una risposta ai desideri più profondi del cuore umano. I pagani sinceri ed onesti come il centurione e tanti altri venuti da Oriente o da Occidente, percepiscono in Gesù la risposta alle loro ansie e la accolgono. Il messaggio di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né un rito o un insieme di norme, ma un’esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano desidera. Se oggi molti si allontanano dalla chiesa o cercano altre religioni, la colpa non è sempre la loro, ma può essere la nostra, perché non sappiamo vivere né irradiare il messaggio di Gesù.
- Matteo 8,14-15: La guarigione della suocera di Pietro. Gesù entra in casa di Pietro e sana sua suocera. Lei era malata. Nella seconda metà del primo secolo, quando Matteo scrive, l’espressione “Casa di Pietro” evocava la Chiesa, costruita sulla roccia che era Pietro. Gesù entra in questa casa e salva la suocera di Pietro: “Le toccò la mano e la febbre scomparve. Poi ella si alzò e si mise a servirlo”. Il verbo usato in greco è diakonew, servire. Una donna diventa diaconessa in Casa di Pietro. Era ciò che stava avvenendo nelle comunità di quel tempo. Nella lettera ai Romani, Paolo menziona la diaconessa Febe della comunità di Cencreia (Rom 16,1). Abbiamo molto da imparare dai primi cristiani.
- Matteo 8,16-17: La realizzazione della profezia di Isaia. Matteo dice che “giunta la notte”, portarono da Gesù molte persone che erano possedute dal demonio. Perché solo di notte? Perché nel vangelo di Marco, da cui Matteo trae la sua informazione, si trattava di un giorno di sabato (Mc 1,21), ed il sabato terminava nel momento in cui spuntava in cielo la prima stella. Allora la gente poteva uscire dalla casa, caricarsi del peso e portare i malati fino a Gesù. E “Gesù, con la sua parola, scacciava gli spiriti e guariva tutti i malati!”. Usando un testo di Isaia, Matteo illumina il significato di questo gesto di Gesù: “Perché si compisse quello che era stato detto. Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori”. In questo modo, Matteo insegna che Gesù era il Messia-Servo, annunciato da Isaia (Is 53,4; cfr. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Matteo faceva ciò che fanno oggi le nostre comunità: usa la Bibbia per illuminare ed interpretare gli eventi e scoprire la presenza della parola creatrice di Dio.

Per un confronto personale
- Paragona l’immagine che hai di Dio con quella del centurione e della gente, che seguiva Gesù.
- La Buona Novella di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né è un rito o un insieme di norme, ma è un’esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano anela. La Buona Novella, come si ripercuote in te, nella tua vita e nel tuo cuore?

Preghiera finale: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato (Sal 33).
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MessaggioTitolo: domenica 1° luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyGio Giu 28, 2012 9:27 am

DOMENICA 1° LUGLIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Sap 1,13-15; 2,23-24 (Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo)
Sal 29 (Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato)
2Cor 8,7.9.13-15 (La vostra abbondanza supplisca all’indigenza dei fratelli poveri)
Mc5,21-43; forma breve: Mc 5, 21-24.35b-43 (Fanciulla, io ti dico: Àlzati!)

Perché fate tanto strepito e piangete?
Due gesti decisivi di Gesù di fronte all’estrema miseria umana, si intrecciano in questo racconto: una donna malata, impura e una giovinetta ormai morta. La donna che soffriva d’una perdita di sangue da dodici anni, aveva un’altra più grave menomazione sociale, quella dell’impurità secondo la legge. Era, quindi severamente vietato ogni contatto umano con lei. Ma ecco, è proprio da un contatto, quello del mantello di Gesù, che rinasce in lei la salute e la speranza di una vita normale. “Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò verso la folla”, non voleva che tutto si esaurisse in un atto miracoloso. Allora egli cerca la donna, la quale tremante si gettò ai suoi piedi, dicendogli “tutta la verità”. Ed è proprio a questo punto che Gesù le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Passiamo al secondo episodio. La notizia della morte della giovinetta sembra mettere fine alla speranza della guarigione. Ma Gesù, rivolgendosi al padre addolorato, gli chiede di “continuare ad aver fede”. Attraverso Gesù, Dio vuole cambiare la faccia del mondo e dare una risposta insperata alle vere e tante attese degli uomini. Ma lo fa in modo semplice, attraverso un rapporto che nasce dall’amore, dalla compassione, e attende, da noi, una risposta che esprima una fiducia a tutta prova. Gesù prende la fanciulla per mano, - facendo tacere tutto quel chiasso di spregevole opposizione, che si era levato e si leva davanti alla silenziosa azione di Dio – e le dice semplicemente: “Alzati!”. In quel gesto e in quella parola noi possiamo riconoscere l’opera di Dio dalla Creazione fino alla fine dei secoli, quando su ognuno e su tutti, sentiremo “svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà”. Questi due racconti ci richiamano verso una fede pura e totale, fiduciosa solo nel Dio della vita. Da imperfetta come quella della donna, persino disperata come quella di Giairo, la fede può crescere e suscitare eventi di vita. Questi nascono sempre dall’incontro tra la forza risanatrice che viene da Dio e la fiducia di chi gli si affida.
Ecco due miracoli di Gesù legati uno all’altro. Il loro messaggio è complementare. Si tratta di due donne: una all’inizio della sua vita, l’altra al termine di lunghe sofferenze che la sfiniscono. Né l’una né l’altra possono più essere salvate dagli uomini (vv. 23 e 26). Ma sia l’una che l’altra saranno salvate dall’azione congiunta della forza che emana da Gesù e dalla fede: per la donna la propria fede, per la bambina la fede di suo padre (vv. 34 e 36). Bisogna notare soprattutto che la bambina ha dodici anni (v. 42) e che la donna soffre da dodici anni (v. 25). Questo numero non è dato a caso. C’è un grande valore simbolico poiché esso è legato a qualcosa che si compie. Ci ricordiamo che Gesù fa la sua prima profezia a dodici anni (Lc 2,42 e 49). Gesù sceglie dodici apostoli, poiché è giunto il tempo. Significano la stessa cosa le dodici ceste di pane con le quali Gesù sfama i suoi discepoli (Mc 6,43). E la fine dei tempi è simboleggiata dalle dodici porte della Gerusalemme celeste (Ap 21,12-21). Così come la donna dell’Apocalisse (immagine di Maria, della Chiesa) è coronata da dodici stelle (Ap 12,1). Senza parlare dell’albero della vita originale che si trova, in un parco, al centro della città e dà dodici raccolti. E quando sappiamo che il giorno per Gesù conta dodici ore (Gv 11,9) capiamo che i nostri due miracoli non sono semplici gesti di misericordia, ma che nascondono una rivelazione: essendo giunto il tempo, l’umanità peccatrice (Gen 3,12) è liberata dai suoi mali. Gli uomini non possono fare nulla per lei, e lo riconoscono (v. 35), ma per Dio nulla è impossibile (Lc 1,37). Gesù non chiede che due cose: “Non temere, continua solo ad aver fede” (v. 36).

Approfondimento del Vangelo (Gesù cura due donne. Vincere il potere della morte ed aprire un nuovo cammino verso Dio)
Il testo: In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Chiave di lettura: In questa 13ª Domenica del Tempo Ordinario la Chiesa ci propone una meditazione di due miracoli di Gesù a favore di due donne. Il primo a favore di una donna, considerata impura a causa di un’emorragia di cui pativa da dodici anni. L’altro a favore di una fanciulla di 12 anni, appena morta. Secondo la mentalità dell’epoca, qualsiasi persona che toccasse il sangue o un cadavere era considerata impura. Sangue e morte erano fattori di esclusione! Per questo, le due donne erano emarginate, escluse dalla partecipazione nella comunità. Anche oggi ci sono categorie di persone che sono escluse o che si sentono escluse dalla partecipazione nella comunità cristiana. Quali sono oggi i fattori che causano l’esclusione, sia nella Chiesa che nella società? Marco descrive i due miracoli con immagini assai vive. Il testo è lungo. Durante la lettura, fai conto di stare in mezzo alla folla accompagnando Gesù verso la casa di Giàiro. E mentre cammini in silenzio, cerca di fare attenzione agli atteggiamenti così variegati delle persone che appaiono nella descrizione dei due miracoli: Giàiro, il padre della bambina, la folla, la donna che soffre a causa dell’emorragia, i discepoli, la fanciulla. Chiediti, quale sarebbe il tuo atteggiamento.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Marco 5,21-24: Il punto di partenza: Giàiro perde la figlia. Gesù va con lui, la folla lo segue
- Marco 5,25-26: La situazione della donna che soffre di un’emorragia irregolare
- Marco 5,27-28: Il ragionamento della donna davanti a Gesù
- Marco 5,29: La donna riesce nel suo intento e guarisce
- Marco 5,30-32: La reazione di Gesù e dei discepoli
- Marco 5,33-34: La conversazione tra Gesù e la donna curata per la fede
- Marco 5,35-36: La conversazione tra Gesù e Giàiro
- Marco 5,37-40: L’arrivo a casa di Giàiro e la reazione della folla
- Marco 5,41-43: La risurrezione della fanciulla

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che ti piace di più o che ti ha maggiormente colpito? Perché?
b) Qual è l’atteggiamento della donna che ha toccato Gesù? E cos’è che le da forza per avere il coraggio di toccarlo?
c) Perché i suoi discepoli non capivano ciò che succedeva tra Gesù e la folla?
d) Chi era Giàiro? Qual è l’atteggiamento di Gesù con lui e con sua moglie e sua figlia?
e) Una donna è curata ed integrata di nuovo nella convivenza della comunità. Una fanciulla viene alzata dal suo letto di morte. Cosa ci insegnano oggi queste due azioni di Gesù, per la nostra vita di famiglia ed in comunità?

Per coloro che desiderano approfondire il tema
a) Contesto di ieri e di oggi:
- Lungo le pagine del suo Vangelo, Marco aumenta le informazioni sulla persona di Gesù. Fa vedere come il mistero del Regno si rispecchia nel potere che Gesù esercita a favore dei discepoli e della folla e, sopratutto, a favore degli esclusi e degli emarginati. Nello stesso tempo, nella misura in cui questo potere si manifesta, aumenta nei discepoli l’incapacità di capire, ed è sempre più chiaro che devono cambiare le idee che hanno sul messia. Altrimenti, l’incomprensione crescerà e corrono il pericolo di allontanarsi da Gesù.
- Negli anni settanta, epoca in cui Marco scriveva il suo vangelo, c’era una tensione molto grande nelle comunità cristiane tra i giudei convertiti ed i pagani convertiti. Alcuni giudei, soprattutto coloro che avevano appartenuto al gruppo dei farisei, continuavano fedeli all’osservanza delle norme di purezza della loro cultura millenaria e, per questo, avevano difficoltà a vivere con i pagani convertiti, perché pensavano di questi che vivevano nell’impurezza. Per questo, la narrazione dei due miracoli di Gesù a favore delle due donne era di grande aiuto per superare i vecchi tabù.
b) Commento del testo:
- Marco 5,21-24: Il punto di partenza: Giàiro perde la figlia. Gesù va con lui e la folla lo segue. La folla si unisce a Gesù che viene dall’altra riva. Giàiro, capo della sinagoga, chiede aiuto per sua figlia che sta morendo. Gesù va con lui e la folla lo accompagna, spingendolo da tutte le parti, perché tutti vogliono stare vicini a Gesù quando sta per fare un miracolo. È questo il punto di partenza dei due episodi che seguono: la guarigione della donna che patisce da dodici anni a causa di un’emorragia e la risurrezione della fanciulla di dodici anni.
- Marco 5,25-26. La situazione della donna che soffre a causa di un’emorragia irregolare. Dodici anni di emorragia! Per questo, questa donna viveva esclusa, poiché in quel tempo il sangue rendeva impura la persona e chiunque la toccava. Marco dice che la donna aveva speso tutta la sua fortuna con i medici, ma invece di migliorare era peggiorata. Situazione senza soluzione!
- Marco 5,27-28. Il ragionamento della donna davanti a Gesù. Lei sentì parlare di Gesù. Nacque in lei una speranza nuova. Disse tra se: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. Il catechismo dell’epoca diceva: “Se tocco il suo mantello, io divento impuro”. La donna pensa esattamente il contrario! Segno questo di molto coraggio. Segno anche del fatto che le donne non erano completamente d’accordo con ciò che le autorità insegnavano. La donna si mette in mezzo alla folla che spingeva Gesù da tutte le parti, e quasi di nascosto, riesce a toccare Gesù.
- Marco 5,29: La donna riesce nel suo intento e guarisce. Proprio in quel momento avverte nel suo corpo la guarigione. Fino ad oggi, in Palestina, in una curva del cammino vicino al lago di Galilea, vicino a Cafarnao, si legge su una pietra l’iscrizione: “Qui, in questo luogo, la donna considerata impura ma piena di fede, toccò Gesù e guarì!”.
- Marco 5,30-32. La reazione di Gesù e dei discepoli. Anche Gesù sente uscire da lui una forza “Chi mi ha toccato?”. I discepoli reagiscono: “Tu vedi la folla che ti stringe attorno e chiedi: Chi mi ha toccato?”. Ecco di nuovo un piccolo scontro tra Gesù ed i discepoli. Gesù aveva una sensibilità che non viene percepita dai discepoli. Questi reagiscono come tutti e non capiscono la reazione diversa di Gesù: Ma Gesù non rinuncia e continua a chiedere.
- Marco 5,33-34. La conversazione tra Gesù e la donna curata per la fede. La donna si rende conto che è stata scoperta. È per lei un momento difficile e pericoloso. Poi, secondo la credenza dell’epoca, una persona impura che, come quella donna, si metteva in mezzo alla folla, contaminava tutti toccandola semplicemente. Rendeva tutti impuri davanti a Dio (Lv 15,19-30). Per questo, il castigo era che poteva essere emarginata e colpita con pietre. Ma malgrado ciò, la donna ha il coraggio di assumere ciò che ha fatto. Ma la donna, impaurita e tremante, gli si getta ai piedi e racconta la sua verità. Gesù pronuncia allora la parola finale dicendo: “Figlia, la tua fede ti ha salvato, va in pace e sii guarita dal tuo male!”. Belle parole, molto umane. Con la parola “Figlia”, Gesù accoglie la donna nella nuova famiglia, nella comunità, che si forma attorno a lui. Avvenne ciò che lei pensava. Gesù riconosce che senza la fede di quella donna lui non avrebbe potuto operare il miracolo.
- Marco 5,35-36. La conversazione tra Gesù e Giàiro. Ecco che in questo momento arriva il personale della casa di Giàiro per comunicargli che sua figlia è morta. Non c’era più bisogno, quindi, di disturbare Gesù. Per loro la morte era la grande frontiera e Gesù non riuscirà a superarla! Gesù ascolta, guarda verso Giàiro e gli applica ciò che ha appena visto, cioè che la fede è capace di fare ciò che la persona crede. E gli dice: “Non temere, credi solamente!”.
- Marco 5,37-40. L’arrivo di Gesù a casa di Giàiro e la reazione della folla. Gesù si separa dalla folla e solo permette ad alcuni discepoli di andare con lui. Giunti alla casa di Giàiro, vede le persone che piangono per la morte della fanciulla. E dice: “La fanciulla non è morta, sta dormendo”. Il personale della casa ride. La gente sa quando una persona dorme o quando è morta. È la risata di Abramo e di Sara, cioè di coloro che non riescono a credere che nulla è impossibile per Dio!” (Gv 17,17; 18,12-14; Lc 1,37). Anche per loro, la morta è una barriera che non è possibile superare. Le parole di Gesù hanno un significato assai più profondo. La situazione delle comunità del tempo di Marco sembrava una situazione di morte. Loro dovevano udire: “Non è morte! Voi state dormendo! Svegliatevi!”. Gesù non da importanza alla risata ed entra nella stanza dove si trova la fanciulla, lui, i tre discepoli ed il padre della fanciulla.
- Marco 5,41-43. La risurrezione della fanciulla. Gesù prende per mano la fanciulla e dice: “Talita kúmi!”. E lei si alza. Grande strepitio! Gesù conserva la calma e chiede di dare da mangiare alla fanciulla. Guarigione di due donne! Una ha dodici anni e l’altra da dodici anni ha l’emorragia, dodici anni di esclusione! L’esclusione della fanciulla comincia all’età di dodici anni, perché iniziano le mestruazioni. Comincia a morire! Gesù ha un potere maggiore e la risuscita: “Alzati!”.
c) Ampliando le informazioni: Le donne nei Vangeli. All’epoca del Nuovo Testamento, la donna viveva emarginata per il semplice fatto di essere donna (cfr. Lv 15,19-27; 12,1-5). Nella sinagoga non partecipava alla vita pubblica, non poteva essere testimone. Per questo molte donne resistevano contro questa esclusione. Fin dai tempi di Esdra, quando l’emarginazione della donna era più pesante ancora, (cfr. Esd 9,1-2;10,2-3), cresceva la sua resistenza, come appare nelle storie di Giuditta, Ester, Ruth, Noemi, Susanna, la Sulamita ed altre. Questa resistenza incontra eco ed accoglienza in Gesù. Ecco alcuni episodi in cui appaiono l’inconformismo e la resistenza delle donne nella vita quotidiana e l’accoglienza che Gesù dà loro. La prostituta ha il coraggio di sfidare le norme della società e della religione. Entra in casa di un fariseo per incontrarsi con Gesù. Incontrando lui, incontra amore e perdono e riceve difesa contro i farisei. La donna curva non sente nemmeno le grida del capo della sinagoga. Cerca la guarigione, anche se è sabato. Gesù l’accoglie come una figlia e la difenda contro il capo della sinagoga (Lc 13, 10-17). La donna considerata impura causa della perdita di sangue, ha il coraggio di mettersi in mezzo alla gente e di pensare esattamente il contrario della dottrina ufficiale. La dottrina diceva: “Chi la tocca, rimane impuro!”. Ma lei diceva: “Se riesco a toccarlo, guarirò!” (Mc 5,28). È accolta senza censura e viene curata. Gesù dichiara che la guarigione è il frutto della fede (Mc 5,25-34). La Samaritana, disprezzata perché considerata eretica, ha il coraggio di interpellare Gesù e di cambiare il verso della conversazione da lui iniziata (cfr. Gv 4,19.25). Nel vangelo di Giovanni, è la prima persona che riceve il segreto che Gesù è il Messia (Gv 4,26). La donna straniera della regione di Tiro e Sidone non accetta la sua esclusione e sa parlare in modo tale da ottenere da Gesù l’essere da lui ascoltata (Mc 7, 24-30). Le madri con figli piccoli affrontano i discepoli e sono accolte e benedette da Gesù (Mt 19,13-15; Mc 10,13-16). Le donne che sfidarono il potere e rimasero accanto alla croce di Gesù (Mc 15,40; Mt 27,55-56.61), furono anche le prime a sperimentare la presenza di Gesù risorto (Mc 16,5-8; Mt 28,9-10). Tra di loro si trovava Maria Maddalena, considerata posseduta da spiriti cattivi, ma curata da Gesù (Lc 8,2). Lei ricevette l’ordine di trasmettere la Buona Notizia della risurrezione agli apostoli (Gv 20,16-18). Marco dice che “loro avevano seguito e servito Gesù quando era ancora in Galilea. C’erano anche molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Marco si serve di tre parole importanti per definire la vita di queste donne: seguire, servire, salire a Gerusalemme. Sono le tre parole che definiscono il discepolo e la discepola ideale. Rappresentano il modello per gli altri discepoli che sono fuggiti!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
V DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 17,1b-16
Sal 104
Rm 4,3-12
Gv 12,35-50

La fede di Abramo
Queste domeniche dopo Pentecoste rievocano le grandi tappe della storia della salvezza, iniziata con la creazione del mondo, segnata dalla ribellione dell’uomo, ripresa dalla iniziativa di Dio con l’Alleanza proposta al popolo di Israele, fino al compimento in Gesù di Nazaret, vertice della passione salvifica di Dio per tutti gli uomini. Ogni tappa richiama l’antico intervento di Dio, visto però come inizio e prefigurazione di quanto Cristo farà in modo definitivo con la sua rivelazione piena e i suoi gesti di salvezza. Oggi si rievoca l’Alleanza proposta ad Abramo e la sua risposta di fede, per capire la nuova alleanza proposta da Gesù e l’accoglienza di fede che vi corrisponde.
L’alleanza con Abramo: Dopo che l’umanità, inquinata dal peccato di Adamo, si era dispersa lontana da Dio, si riprendono ora le fila di un dialogo, quasi spezzato con il diluvio, tra Dio e l’umanità: è l’iniziativa della alleanza che il Signore propone ad Abramo, promettendogli una terra e una lunga discendenza: “Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne” (Lett.). Ha già uno sguardo lungo il Signore! Come contropartita è richiesta la fedeltà a questa alleanza: “Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro” (Lett.). Fedeltà richiamata dal segno della circoncisione: “Da parte tua devi osservare la mia alleanza: sia circonciso tra voi ogni maschio” (Lett.). L’iniziativa è di Dio e precede ogni merito e opera umana. Nulla è dovuto all’uomo; l’alleanza è un dono gratuito, unilaterale e incondizionato. Dio ama sempre per primo e gioca d’anticipo, facendo credito all’uomo. “A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora (cioè non ha pretese di meriti), ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia” (Epist.). San Paolo lo esplicita bene meditando la gratuità dell’opera di Cristo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi” (Rm 5,8). E proprio perché gratuita, l’alleanza è universale, ben oltre il cerchio della discendenza fisica: “In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia” (Epist.). A gratuità deve corrispondere gratuità. Certo il patto richiede una risposta, quella fede cioè che è pura accoglienza fiduciosa e d’amore: “Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia” (Epist.). È l’umiltà di chi sente la sproporzione tra il dono di Dio e la propria piccolezza, anzi spesso la propria ribellione. “Beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere”, si sente cioè oggetto della premura “graziosa” di Dio e cammina quindi “sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione” (Epist.), e - si deve aggiungere - prima della grande prova! “Chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, preciserà Gesù, non entrerà in esso” (Lc 18,17).
La luce di Gesù: Il compimento dell’alleanza è offerto da Gesù: egli porta il dono del Padre, che è “vita eterna”. “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. La nuova ed eterna alleanza l’ha compiuta Gesù sulla croce, offerta gratuitamente da colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Egli è l’incarnazione dell’amore del Padre: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Il Padre che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire”. La sua è stata l’opera della piena riconciliazione dell’umanità con Dio, la definitiva alleanza: “È piaciuto a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Ef 1,19-20). A messa ogni giorno il sacerdote ripete: “Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. L’offerta richiede la risposta, e anzitutto il riconoscimento dell’opera di Gesù: “Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce”. Ma i fatti si possono anche misconoscere: “Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui”. Riconoscimento esplicito, pubblico, visibile: “Anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano”. Si richiede una scelta senza paura: “Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”. Accettare l’opera di Gesù è accettare l’iniziativa del Padre: “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato”. Anche questa, sempre frutto della gratuità, proposta non imposta: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”. Non è però indifferente alla vita accettare o meno l’alleanza con Dio in Cristo: “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”. Se sempre grande e preveniente è l’iniziativa di Dio per salvarci, essa rimane comunque sempre condizionata dal nostro sì, dalla libertà che sa accogliere. Dice sant’Agostino: “Dio che ha creato te senza di te, non salverà senza di te”. Questa, non della paura, ma dell’amore è la reciprocità richiesta dal patto voluto da Dio con l’uomo. In sostanza, si tratta di una fede che sa stimare il dono di Dio e lo ritiene significativo, anzi decisivo, per la pienezza di vita che è iscritto nel cuore dell’uomo.
Parlare di fede oggi non è più così ovvio: l’uomo si fa da sé, anzi non si crede più neanche ad una libertà perché tutto è solo biologia, e quindi determinismo e caso ciò che avviene in lui. Abbandonarsi a Dio sembra una castrazione della propria autonomia; e per altri una illusione mitologica che non tiene conto della realtà pesante che costringe la nostra vita quotidiana. Leggere la Bibbia è incontrare uomini coraggiosi come Abramo - o come Gesù - pienamente fiduciosi e abbandonati a Dio, creduto come un padre appassionato alla nostra vita, e per di più fedele e misericordioso!
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MessaggioTitolo: sabato 7 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Lug 04, 2012 4:18 pm

SABATO 7 LUGLIO 2012

SABATO DELLA XIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità.

Letture:
Am 9,11-15 (Muterò le sorti del mio popolo, li pianterò nella loro terra)
Sal 84 (Il Signore annuncia la pace per il suo popolo)
Mt 9,14-17 (Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?)

“Possono forse digiunare quando lo sposo è con loro?”
I farisei si lamentavano che Gesù mangiasse con i peccatori. Qui lo si accusa di non digiunare. La risposta di Cristo è significativa: Gesù inaugura il tempo messianico – il tempo delle nozze, già prefigurato dai profeti. – che è tempo di gioia. I discepoli non digiunano, perché Cristo è con loro. Questo è per il presente, ma per il futuro Gesù prevede che “verranno però giorni nei quali lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”. Afflizione e digiuno vanno di pari passo, e la pratica ascetica del digiunare caratterizzerà i giorni nei quali “lo sposo sarà tolto”. Per il tempo che corre tra il momento in cui lo sposo ci viene tolto e il suo ritorno, il digiuno acquista un nuovo significato: non è soltanto pratica di penitenza, è attesa, disponibilità per un più significativo incontro. Così ci sentiamo otri nuovi perché, evidentemente, la gioia del Vangelo è già in noi e in questo senso dobbiamo essere novità per l’ambiente in cui viviamo. E ci sentiamo contemporaneamente otri ancora vecchi – atteggiamento di penitenza - perché nessuno di noi può dire di essere già stato completamente raggiunto dal Vangelo. Nessuno come il cristiano deve continuamente vivere in questi due ruoli: un evangelizzato che evangelizza, e nel medesimo tempo un uomo ancora da evangelizzare. È appunto per questo che ascoltiamo la Parola ogni giorno e cerchiamo di far sì che ogni giorno ci dica qualcosa che ci illumini. Ambedue le immagini finali mettono di fronte l’antico e il nuovo. Ora è il tempo del nuovo: effervescente come vino giovane, forte e resistente come panno grezzo. Ha la sua legge propria, la legge della gioia e di una pienezza traboccante. “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete e udire ciò che voi udite”.
La novità di Gesù - tanto nelle sue parole che nei suoi gesti - non si trova nell’Antico Testamento. Quando appare Cristo, appaiono la Verità, la Saggezza, la Vita. È lo sposo che Israele aspetta. È il Messia. La venuta di Cristo è paragonata al vino, simbolo dell’esultanza messianica. Gesù a Cana offre il vino migliore, la cui origine è sconosciuta, perché Dio solo lo offre, alla sua ora, al suo momento. Gesù è questo vino che rallegra il cuore della Chiesa; è colui che offre il vino della salvezza; è il dono di Dio per gli uomini. Per capire Gesù, o piuttosto, per riceverlo, quello che è vecchio non basta. Bisogna nascere di nuovo, dall’acqua e dallo Spirito. La legge di Mosè non basta; bisogna ricevere le beatitudini. Il digiuno non basta; è necessaria la povertà del cuore, cioè l’atteggiamento spirituale che ci dispone a ricevere qualsiasi cosa da Dio. Cristo non è il risultato della nostra opera, ma il dono del Padre; non è il frutto della nostra ricerca, ma lo splendore di Dio che brilla gratuitamente sulla scena umana. Ciò che è vecchio è passato. La nuova creazione è cominciata.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».

Riflessione
- Matteo 9,14: La domanda dei discepoli di Giovanni circa la pratica del digiuno. Il digiuno è un’usanza assai antica, praticata da quasi tutte le religioni. Gesù stesso la praticò per quaranta giorni (Mt 4,2). Ma non insiste con i discepoli affinché facciano la stessa cosa. Li lascia liberi. Per questo, i discepoli di Giovanni Battista e dei farisei, che erano obbligati a digiunare, vogliono sapere perché Gesù non insiste nel digiuno: “Noi e i farisei digiuniamo. Perché i tuoi discepoli non digiunano?”.
- Matteo 9,15: La risposta di Gesù. Gesù risponde con un paragone sotto forma di domanda: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro?”. Gesù associa il digiuno al lutto, e lui si considera lo sposo. Quando lo sposo si trova con i suoi amici, cioè durante la festa delle nozze, loro non hanno bisogno di digiunare. Quando Gesù è con loro, con i discepoli, è festa, la festa della nozze. Non devono quindi digiunare. Ma un giorno lo sposo andrà via. Sarà un giorno di lutto. Allora sì che, se vogliono, potranno digiunare. Gesù allude alla sua morte. Sa che, e sente che, se continua per questo cammino di libertà, le autorità lo vorranno uccidere.
- Matteo 9,16-17: Vino nuovo in otri nuovi! In questi due versi, il vangelo di Matteo riporta due frasi separate di Gesù sul rammendo nuovo su una tela vecchia e sul vino nuovo in otre nuovo. Queste parole gettano luce sulle discussioni ed i conflitti di Gesù con le autorità religiose dell’epoca. Non si pone un rammendo di tela nuova su una tela vecchia. Perché nel lavarla, il rammendo nuovo tira ancora di più il vestito vecchio, e lo strappo è maggiore. Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, perché il vino nuovo a causa della fermentazione, rompe l’otre vecchio. Vino nuovo in otre nuovo! La religione difesa dalle autorità religiose era come una vecchia tela, come un otre vecchio. Sia i discepoli di Giovanni che i farisei, cercavano di rinnovare la religione. In realtà, facevano soltanto rattoppi e, per questo, correvano il pericolo di compromettere e danneggiare sia la novità che le vecchie usanze. Non bisogna voler combinare la novità che Gesù ci porta con le vecchie usanze. O l’uno, o l’altro! Il vino nuovo che Gesù ci porta fa scoppiare l’otre vecchio. Bisogna saper separare le cose. Assai probabilmente, Matteo presenta queste parole di Gesù per orientare le comunità degli anni 80. C’era un gruppo di giudei-cristiani che volevano ridurre la novità di Gesù al giudaismo di prima della venuta di Gesù. Gesù non è contro ciò che è “vecchio”. Non vuole che ciò che è vecchio si imponga a ciò che è nuovo e, impedisca di manifestarsi. Non si può rileggere il Vaticano II con la mentalità preconciliare, come alcuni cercano di fare oggi.

Per un confronto personale
- Quali sono i conflitti attorno alle pratiche religiose che oggi fanno soffrire tante persone e sono motivo di accesa discussione e polemica? Qual è l’immagine di Dio che sta dietro tutti questi preconcetti, queste norme e queste proibizioni?
- Come capire la frase di Gesù: “Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio”. Qual è il messaggio che emerge da tutto questo per la tua comunità di oggi?

Preghiera finale: Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore (Sal 84).
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MessaggioTitolo: domenica 8 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Lug 04, 2012 4:25 pm

DOMENICA 8 LUGLIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Ez 2,2-5 8Sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro)
Sal 122 (I nostri occhi sono rivolti al Signore)
2Cor 12,7-10 (Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo)
Mc 6,1-6 (Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria)

“Si scandalizzarono di lui”
Gesù annunciando il suo insegnamento nella sua città suscita contraddizioni; alcuni si stupiscono della sua sapienza, altri la rifiutano. Il suo ministero in Galilea, con questo insegnamento di sabato nella sinagoga, subisce un fallimento totale. Non per nulla nella finale del racconto, Marco annota che Gesù “si meravigliava della loro incredulità”. Ora qual’è il motivo di questa chiusura nei suoi riguardi? La si intuisce molto bene dalle reazioni riferite dall’evangelista. “Donde gli vengono queste cose? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo?”. Come può insegnare tutto questo? Cosa presume di essere? È nato da povera gente, niente formazione particolare da un grande rabbì, ha imparato un mestiere nella bottega artigianale di Giuseppe. Tutti l’hanno visto crescere. La conoscenza diretta del suo ambiente familiare impedisce loro di riconoscere in lui un inviato di Dio. Egli rimane sempre per loro soltanto “il falegname”. A tutto questo fa eco la famosa dichiarazione di Natanaele: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”. Anche se gli stessi nazaretani a mostrano stupore per la sapienza che esce dalla sua bocca. La situazione poi precipita, quando Gesù notando questo forte rifiuto nei suoi confronti, solennemente afferma: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, fra i suoi”. Gesù non fa nulla per accattivarsi la loro simpatia. È troppo importante la scelta di Dio per farne una merce di scambio al fine di ottenere popolarità e consenso. Vale sempre l’agire del Signore: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”. Gesù si mette davanti ad ogni uomo con la sua debolezza e con la sua proposta di salvezza: tocca ad ognuno decidere se accoglierlo o rifiutarlo.
Nella storia, nel quotidiano più ordinario, il Dio eterno si fa prossimo dell’uomo. Attira la sua attenzione e gli invia dei “segni”: per esempio, facciamo l’esperienza inattesa del suo aiuto; incontriamo un uomo che testimonia di lui con forza. La sua preghiera ci coinvolge e noi “prendiamo gusto a essere con Dio”. Ascoltiamo la sua parola in modo nuovo. Scopriamo subito il suo intervento negli avvenimenti della nostra vita e scopriamo sempre più chiaramente il “filo conduttore”. Ma può accadere che talvolta percepiamo l’incontro con lui come una esigenza che ci disturba, che ci irrita e ci provoca. È necessario abbandonare la terra ferma, osar affrontare l’ignoto, forse cambiare. E subito ricominciamo a fare questi ragionamenti: Perché dare un senso particolare a tale avvenimento? Non è piuttosto il caso a ordinare tutto, le leggi naturali come gli obblighi sociali? Perché prendere le elucubrazioni del nostro spirito come “messaggi di Dio”? Uno psicologo potrebbe spiegare meglio i diversi motivi delle nostre reazioni. Il nostro io percepisce un rischio, e rifiuta, per pigrizia o per autodifesa. Peggio: la nostra vita prende allora una cattiva direzione. Gesù viene nella sua città natale. L’interesse che suscita aumenta sempre di più. Il suo insegnamento suscita meraviglia. Da lui emana una saggezza indicibile. Ma molto presto l’attrattiva che egli esercita si altera: La gente è stupita: “Donde gli vengono queste cose? Non è costui il carpentiere?”, rampollo di una famiglia ordinaria? E trasmetterebbe una nuova dottrina? Annuncerebbe una esigenza? Era certamente in gioco l’invidia. E soprattutto il “buon senso”. È per questa ragione che i contemporanei di Gesù rifiutano di riconoscere l’azione di Dio nell’avvenimento. E non è tutto: deformano l’evento di Cristo e lo trasformano in “scandalo”, in una forza del male che spinge al peccato. Tale interpretazione “tenebrosa” finisce per rassicurarli, dopo una simile provocazione. Ecco una tranquillità pagata molto cara! La fede in Dio e la redenzione in Gesù Cristo diventano inaccessibili. Invece, gli abitanti di Nazaret avrebbero dovuto rischiare di abbandonarsi. Soltanto colui che ha una relazione di intimità con il Redentore sarà salvato. Colui che si è blindato nell’autoconservazione rimane chiuso alla salvezza. E sospettare con cattiveria che l’attrazione di Cristo sia una tentazione contro Dio in realtà non fa che rassicurare il suo egoismo, per quanto “ragionevoli” possano apparire i suoi argomenti.

Approfondimento del Vangelo (La missione di tutti: ricreare la Comunità)
Il testo: In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Chiave di lettura: In questa 14ª Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa ci pone dinanzi il rifiuto di Gesù da parte della gente di Nazaret. Il passaggio per Nazaret fu doloroso per Gesù. Quella che prima era la sua comunità, ora non lo è più. Qualcosa è cambiato. Coloro che prima lo accoglievano, ora lo rifiutano. Come vedremo dopo, questa esperienza di rifiuto portò Gesù a dare un passo ed a cambiare la sua pratica. Da quando hai iniziato a partecipare in comunità, è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con la famiglia o con gli amici? La partecipazione nella comunità ti ha aiutato ad accogliere e ad aver più fiducia nelle persone, sopratutto nelle persone più semplici e povere?

Una divisione del testo per aiutarne la lettura
- Marco 6,1: L’arrivo di Gesù a Nazaret, sua comunità di origine
- Marco 6,2-3: La reazione della gente di Nazaret dinanzi a Gesù
- Marco 6,4: Il modo in cui Gesù accoglie la critica
- Marco 6,5-6: La mancanza di fede impedisce di compiere il miracolo

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che più ti è piaciuto o che ti ha maggiormente colpito? Perché?
b) Qual è l’atteggiamento di Nazaret dinanzi a Gesù? Perché non credono in lui?
c) A causa della mancanza di fede della gente, Gesù non può compiere molti miracoli a Nazaret. Perché la fede è così importante? Sarà che Gesù non può compiere miracoli senza la fede delle persone?
d) Quali sono i punti che devono caratterizzare la missione dei discepoli?
e) Qual’e il punto della missione degli apostoli che oggi riveste per noi maggiore importanza? Perché?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il tema
a) Contesto di ieri e di oggi:
- Lungo le pagine del suo Vangelo, Marco indica che la presenza e l’azione di Gesù costituiscono una fonte crescente di gioia per alcuni e un motivo di rifiuto per altri. Cresce il conflitto, appare il mistero di Dio che avvolge la persona di Gesù. Con il capitolo 6, nella narrazione ci troviamo dinanzi ad una curva. La gente di Nazaret si chiude davanti a Gesù (Mc 6,1-6). E Gesù, davanti alla chiusura della gente della sua comunità, si apre a gente di altre comunità. Si dirige verso la gente della Galilea e manda i suoi discepoli in missione, insegnando come deve essere il rapporto con le persone, in modo che sia vero rapporto comunitario, che non esclude come avviene tra la gente di Nazaret (Mc 6,7-13).
- Quando Marco scrive il suo Vangelo, le comunità cristiane vivevano in una situazione difficile, senza orizzonti. Umanamente parlando non c’era futuro per loro. La descrizione del conflitto che Gesù vive a Nazaret e dell’invio dei discepoli, che allarga la missione, le rende creative. Per coloro che credono in Gesù non ci può essere una situazione senza orizzonte.
b) Commento del testo:
- Marco 6,1-3. Reazione della gente di Nazaret dinanzi a Gesù. È sempre bene ritornare verso la nostra terra. Dopo una lunga assenza, anche Gesù ritorna e, come al solito, nel giorno di sabato va ad una riunione della comunità. Gesù non era il coordinatore, ma prese comunque la parola. Segno questo che le persone potevano partecipare ed esprimere la loro opinione. Ma alla gente non piacquero le parole pronunciate da Gesù e rimase scandalizzata. Gesù, da loro conosciuto fin da piccolo, come mai ora era così diverso? La gente di Cafarnao aveva accettato l’insegnamento di Gesù (Mc 1,22), ma la gente di Nazaret ne era rimasta scandalizzata e non l’aveva accettato. Qual’è il motivo di questo rifiuto? “Non è forse costui il carpentiere, il figlio di Maria?”. Non accettavano il mistero di Dio presente in una persona così comune come loro! Per poter parlare di Dio lui doveva essere diverso da loro! L’accoglienza per Gesù non fu sempre bella. Le persone che avrebbero dovuto essere le prime ad accettare la Buona Novella, sono proprio loro le prime a non accettarla. Il conflitto non è solo quindi con quelli di fuori, ma anche con i parenti e con la gente di Nazaret. Loro non accettano, perché non riescono a capire il mistero che avvolge la persona di Gesù: “Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”. Non riescono a credere. L’espressione “fratelli di Gesù” causa molta polemica tra cattolici e protestanti. Basandosi in questo ed in altri testi, i protestanti dicono che Gesù ebbe più fratelli e sorelle e che Maria ebbe più figli! Noi cattolici diciamo che Maria non ebbe altri figli. Cosa pensare di ciò? In primo luogo, le due posizioni, sia quella dei cattolici che quella dei protestanti, traggono argomenti dalla Bibbia e dall’antica Tradizione delle loro rispettive Chiese. Per questo, non conviene discutere queste questioni con argomenti razionali, frutto delle nostre idee. Si tratta di convinzioni profonde che hanno a che fare con la fede ed il sentimento della gente. L’argomento sostenuto solo da idee non riesce a smontare una convinzione della fede le cui radici si trovano nel cuore! Solo irrita e sconvolge! Ma anche se non sono d’accordo con l’opinione dell’altro, devo sempre rispettarla. In secondo luogo, invece di discutere attorno ai testi, noi tutti, cattolici e protestanti, dovremmo unirci molto di più per lottare in difesa della vita, creata da Dio, vita così tanto trasfigurata dalla povertà, dall’ingiustizia, dalla mancanza di fede. Dovremmo ricordare altre frasi di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). “Perché tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). “Non glielo proibite. Chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9, 39.40).
- Marco 6,4-6a. Reazione di Gesù dinanzi all’atteggiamento della gente di Nazaret. Gesù sa molto bene che “il santo della casa non compie miracoli”. E dice: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua!”. Infatti, lì dove non c’è accettazione nella fede, la gente non può fare nulla. Il preconcetto lo impedisce. Gesù, pur volendolo, non può fare nulla e rimane attonito dinanzi alla loro mancanza di fede.

Informazioni sul Vangelo di Marco: Quest’anno la liturgia ci presenta in modo particolare il Vangelo di Marco. Per questo vale la pena di dare qualche informazione che aiuti a scoprire meglio il messaggio che Marco ci vuole comunicare.
- Il disegno del volto di Dio nella parete del Vangelo di Marco. Gesù morì attorno all’anno 33. Quando Marco scrive il suo Vangelo attorno all’anno 70, le comunità cristiane vivevano già disperse nell’impero romano. Alcuni dicono che Marco scrisse per le comunità d’Italia. Altri dicono che lo fece per quelle della Siria. Difficile saperlo con certezza. Comunque, una cosa è certa. I problemi non mancavano: l’Impero Romano perseguitava i cristiani, nelle comunità si infiltrava la propaganda dell’Impero, i giudei della Palestina si ribellavano contro l’invasione romana, c’erano tensioni interne dovute a diverse tendenze, dottrine e capi... Marco scrive il suo vangelo per aiutare le comunità a trovare una risposta a questi loro problemi e preoccupazioni. Raccoglie vari episodi e parole di Gesù e li unisce tra di essi come mattoni su una parete. I mattoni erano già antichi e conosciuti. Venivano dalle comunità, dove erano trasmessi oralmente nelle riunioni e celebrazioni. Il disegno formato dai mattoni era nuovo. Veniva da Marco, dalla sua esperienza di Gesù. Lui voleva che le comunità, leggendo ciò che Gesù fece e disse, trovassero una risposta a queste domande: “Chi è Gesù per noi e chi siamo noi per Gesù? Come essere suo discepolo? Come annunciare la Buona Novella di Dio, che lui ci ha rivelato? Come percorrere il cammino da lui tracciato?”.
- Tre chiavi per capire le divisioni nel Vangelo di Marco
- 1ª chiave: Il Vangelo di Marco è stato scritto per essere letto ed ascoltato in comunità. Quando si legge un libro da soli, si può sempre tornare indietro, per unire una cosa all’altra, ma quando si è in comunità ed una persona davanti a noi sta leggendo il Vangelo, non è possibile dire: “Fermati! Leggi ancora una volta! Non ho capito bene!”. Come vedremo un libro scritto per essere ascoltato nelle celebrazioni comunitarie ha un modo diverso di dividere il tema rispetto ad un libro scritto per essere letto da soli.
- 2ª chiave: Il Vangelo di Marco è una narrazione. Una narrazione è come un fiume. Percorrendo il fiume in barca, non ci si rende conto di divisioni nell’acqua. Il fiume non ha divisioni. È costituito da un solo flusso, dall’inizio alla fine. Nel fiume, le divisioni, si fanno a partire dalla riva. Per esempio si dice: “Quel bel tratto che va da quella casa fino alla curva dove si trova la palma, tre curve dopo”. Ma nell’acqua non si vede nessuna divisione. La narrazione di Marco scorre come un fiume. Le sue divisioni, coloro che ascoltano le trovano al margine, vale a dire, nei luoghi dove Gesù passava, nella geografia, nelle persone che incontra, lungo le strade che percorre. Queste indicazioni al margine aiutano chi ascolta a non perdersi in mezzo a tante parole ed azioni di Gesù e su Gesù. Il quadro geografico aiuta il lettore a camminare con Gesù, passo a passo, dalla Galilea fino a Gerusalemme, dal lago fino al calvario.
- 3ª chiave: Il Vangelo di Marco è stato scritto per essere letto in una sola volta. Così facevano i giudei con i libri brevi del Vecchio Testamento. Per esempio, nella notte di Pasqua, leggevano tutto il libro del Cantico dei Cantici. Alcuni studiosi affermano che il Vangelo di Marco è stato scritto per essere letto, tutto intero, nel corso della lunga veglia della notte di Pasqua. Orbene, al fine di non stancare le persone che ascoltavano, la lettura doveva essere divisa ed avere pause. Inoltre, quando una narrazione è lunga, come quella del Vangelo di Marco, la sua lettura deve essere interrotta ogni tanto. In certi momenti c’è bisogno di una pausa, altrimenti gli ascoltatori si perderebbero. Queste pause erano state previste dall’autore stesso della narrazione. Ed erano scandite da piccoli riassunti, tra due letture lunghe. Praticamente la stessa cosa che avviene in televisione. Tutti i giorni, all’inizio del teleromanzo si ripetono alcune scene della trasmissione precedente. Quando terminano, si presentano alcune scene del giorno successivo. Questi riassunti sono come dei cardini che raccolgono ciò che è stato letto ed aprono a ciò che verrà dopo. Permettono di fermarsi e ricominciare, senza interrompere o disturbare la sequenza della narrazione. Aiutano chi ascolta a collocarsi nel fiume della narrazione che scorre. Nel Vangelo di Marco ci sono diversi riassunti di questo tipo o pause, che ci permettono di scoprire e seguire il filo della Buona Novella di Dio che Gesù ci ha rivelato e che Marco ci racconta. In tutto si tratta di sette blocchi o letture più lunghe, intercalate da piccoli riassunti o cardini, dove è possibile fare una pausa.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Es 3,1-15
Sal 67
1Cor 2,1-7
Mt 11,27-30

La missione di Mosè
Il libro dell’Esodo, il secondo della Bibbia, è chiamato il “vangelo del Primo Testamento”; in esso sono narrati fatti storici avvenuti nella vicenda dell’antico Israele, ma letti dalla Scrittura come prefigurazione di ciò che avverrà in pienezza col nuovo Israele e il nuovo Mosè, cioè il Messia, Gesù di Nazaret. In più, questi episodi sono presentati come emblematici delle tappe e dello stile con cui Dio opera la salvezza col suo popolo di sempre: una liberazione, per mano di un suo inviato, una alleanza, la prova del deserto per giungere alla terra promessa di felicità e di vita che è la vita eterna del paradiso. Leggiamo l’Esodo e Mosè pensando al Cristo.
Il nome: Per segni, anzitutto, Dio rivela qualcosa della sua identità: il roveto ardente che non si consuma, il rispetto richiesto per il luogo santo (“Togliti i sandali”), la dichiarazione di un legame antico (“Il Signore, Dio dei vostri padri”) e infine la rivelazione del nome misterioso. Il roveto allude alla perennità di vita di Dio, al suo bruciare vitale, segno di un amore incandescente (ricordiamo: “Dio è amore”, 1Gv 4,8.16), e insieme alla trascendenza, e quindi invito all’adorazione. Il “Dio dei padri” allude ad un disegno antico di Dio sull’uomo per chiamarlo, già dai tempi di Abramo, ad una alleanza, frutto di una sua iniziativa di salvezza per farsi un popolo che gli appartenga. Infine il Nome: Io sono Colui che sono.., cioè Colui che scoprirai esserti vicino e liberatore coi fatti che mi vedrai compiere in mezzo a questo popolo! “Ho osservato la miseria del mio popolo, conosco le sue sofferenze, ..e sono sceso a liberarlo”. Questa è l’opera di Dio: una liberazione e una salvezza; e a Mosè affida la missione. “Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me”. Non diciamo mai che Dio non sa: sente sempre il grido del povero che a lui si rivolge; ma la sua onnipotenza si slega solo al grido d’aiuto di una preghiera fiduciosa. “Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo”. L’agire di Dio passa dentro la storia: per intermediari, per eventi all’apparenza comuni, addirittura attraverso anche fatti negativi, quali possono essere le colpe degli uomini, per.. scrivere dritto anche sulle nostre righe storte! I mezzi e lo stile di Dio sono però .. così diversi dai nostri! “Chi sono io per andare dal faraone?”. E più avanti, sempre titubante e restio, dirà: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore. Manda chi vuoi mandare!” (Es 4,10.13). Mandane un altro, io non me la sento! Mosè s’era già buttato con entusiasmo giovanile a liberare il suo popolo.., ma per iniziativa sua, forse con spavalderia personale; ed era fallito. Ritiratosi a vita privata, ora non credeva più a grandi imprese né presumeva più di sé. È proprio qui che Dio lo chiama, ma per agire a nome e con la potenza di Dio: “Va’, Io sarò con te!”. Dirà san Paolo, proprio parlando delle imprese di Dio: “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono (nel caso, la potenza d’Egitto), perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 2,27-28). Perché cioè si veda che l’opera è tutta di Dio e non risorsa umana.
Il figlio: Il nuovo Mosè, che è Gesù, si presenta anzitutto come il rivelatore pieno del Padre: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Tutto il vangelo di Giovanni presenta Gesù come l’incarnazione del Dio invisibile, resosi visibile in quel suo Figlio, fino giungere costui a dire: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9 ), perché “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Al tempo stesso dichiara esplicitamente di fare tutto e solo quello che il Padre gli ha detto, e agire per sua delega e sua forza: “Tutto è stato dato a me dal padre mio”. In lui siamo venuti a conoscere ben oltre il Nome di Dio; addirittura svelandoci la Sua vita più privata, quando Gesù ci ha parlato della Trinità e del suo progetto sull’uomo di chiamare ognuno a farvi parte. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò”. Ritorna qui il medesimo termine: ‘oppressione’. Di Gesù si dice: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). Ben pesante è la schiavitù dell’uomo di fronte alla morte, alla fragilità della sua volontà di bene, alla poca coscienza del senso vero della sua vita e all’incertezza della suo destino; senza parlare dei mali e dei guai del vivere sociale, e degli imprevisti e delle sofferenze della vita quotidiana. E magari anche delle schiavitù fisiche e delle illibertà che abitano ancora molta parte del nostro pianeta. L’opera di Cristo e della Chiesa si qualifica appunto in una redenzione, col far conoscere l’amore di Dio e nell’operare una promozione e liberazione nell’esercizio della carità. Cosa sarebbe il mondo senza la speranza cristiana? Ma nello stile della debolezza e della piena confidenza nella forza di Dio. È stata l’esperienza anche di Paolo: “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione” (Epist.). Orgoglioso della sua missione, ma trepidante per la propria inadeguatezza al compito, e appoggiandosi solo sulla grazia di Cristo. “La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”. Quando si lamentava col Signore, si sentiva ripetere: “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12,9). Coraggio, io sono con te! È la formula della vera efficacia dell’apostolato, “perché la fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza divina”. Credere per Dio e in Dio, non per la... simpatia dell’uomo!
Anche la mansuetudine fa parte dello stile apostolico. “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Lo raccomandava san Pietro: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1Pt 3,15-16). Anche di Mosè è scritto: “Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra” (Nm 12,3). Così che appaia davvero che “il giogo del Signore è dolce e il suo peso leggero”.
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MessaggioTitolo: sabato 14 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Lug 11, 2012 9:13 am

SABATO 14 LUGLIO 2012

SABATO DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna.

Letture:
Is 6,1-8 (Uomo dalle labbra impure io sono eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti)
Sal 92 (Il Signore regna, si riveste di maestà)
Mt 10,24-33 (Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo)

Non abbiate paura!
La violenza ingiustificata genera timori e paure in coloro che la subiscono, è normale per noi esseri umani. Le predizioni e le promesse rassicuranti di Gesù, per quanto indispensabili a sorreggere la fede dei suoi e generare in loro la fiducia, se non vissute in pienezza, non scansano la paura nei deboli. Il primo effetto della paura potrebbe essere quello di cedere alla tentazione di desistere dal proclamare e vivere il vangelo e dare la dovuta testimonianza. Tacere e nascondersi significherebbe però tradire il mandato ricevuto e venir meno alle promesse di fedeltà al Signore. Quindi Gesù ripete con forza la sua esortazione: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”. La verità, quella che Dio ci ha donato nella rivelazione, non può essere taciuta e mai può diventare oggetto di compromesso. Riguardo poi alle violenze, egli con divina sapienza, ci invita innanzi tutto a discernere tra coloro che ci possono uccidere nel corpo, ma non hanno potere di uccidere la nostra anima e colui che ha il potere di uccidere l’anima e il corpo. Quello Spirito che è l’anima stessa della chiesa e la forza dei suoi ministri e testimoni, ci guida nella fede verso una valutazione sapienziale dei valori della vita: siamo sollecitati a saper distinguere tra tempo ed eternità, tra anima e corpo, tra la forza. La potenza e le trame degli uomini e l’onnipotenza e la protezione di Dio. Con questa sagge valutazioni leggiamo e viviamo la storia, in questa prospettiva di salvezza siamo capaci di credere senza esitazioni che dobbiamo deporre ogni timore o paura perché “Perfino i capelli del nostro capo sono tutti contati!”. È stata poi la storia ad illuminarci ulteriormente, facendoci comprendere nella realtà dei fatti che i veri vittoriosi non sono mai stai i carnefici e i persecutori, ma i santi e martiri, che la chiesa venera e il mondo ammira.
Nel nostro Vangelo di oggi troviamo la meravigliosa parola di Gesù sull’attenzione che porta Dio ai discepoli (Mt 10,29-31). Ma non contiene qualche cosa di ingenuo, di diverso dalla realtà? Innanzitutto: Gesù stesso ha vissuto nella fiducia assoluta. Egli era profondamente colmo di questa certezza: il Padre mi accompagna, sa cosa mi succede, è molto vicino a me. Gesù stesso ha dovuto lottare per conservare la fiducia: sul monte degli Ulivi e sulla croce dove Dio sembrava essere molto lontano da lui. La comunità che ci ha trasmesso le parole di Gesù che menzionano i passeri e i capelli e l’evangelista che le ha trascritte per noi conoscono la fine fatta da Gesù sulla croce. San Matteo e la sua comunità sono essi stessi perseguitati, attaccati, rifiutati. Vivono amaramente i difficili conflitti dove li porta la loro professione di fede per Gesù. Ma, in mezzo a queste esperienze deprimenti, si attaccano a questa parola di Gesù: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate quindi timore”. Non è una parola credula ed estranea alla realtà, è una parola di fiducia profonda che ha passato le sue prove, proprio nel periodo della crisi delle persecuzioni, è la professione di fede e l’esperienza stessa di una comunità che viene martirizzata. Può contare sulla presenza di Dio. E noi, lo ascoltiamo quando ci invita ad avere tale fiducia?

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci presenta diverse istruzioni di Gesù sul comportamento che i discepoli devono adottare nell’esercizio della loro missione. Ciò che maggiormente colpisce in queste istruzioni sono due avvertenze: (a) la frequenza con cui Gesù allude alle persecuzioni e alle sofferenze che dovranno sopportare; (b) l’insistenza tre volte ripetuta al discepolo di non avere paura.
- Matteo 10,24-25: Persecuzioni e sofferenze che marcano la vita dei discepoli. Questi due versetti costituiscono la parte finale di una avvertenza di Gesù ai discepoli riguardo alle persecuzioni. I discepoli devono sapere che, per il fatto di essere discepoli di Gesù, saranno perseguitati. (Mt 10,17-23). Ma ciò non deve essere per loro motivo di preoccupazione, poiché un discepolo deve imitare la vita del maestro e condividere con lui le prove. Questo fa parte del discepolato. “Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone”. Se hanno chiamato Belzebù a Gesù, quanto più insulteranno i suoi discepoli! Con altre parole, il discepolo di Gesù dovrà preoccuparsi seriamente se nella sua vita non spuntano persecuzioni.
- Matteo 10,26-27: Non abbiate timore di dire la verità. I discepoli non devono aver paura di essere perseguitati. Coloro che li perseguitano, riescono a sovvertire il senso dei fatti e spargono calunnie che cambiano la verità in menzogna, e la menzogna in verità. Ma per grande che sia la menzogna, la verità alla fine trionferà e farà crollare la menzogna. Per questo, non dobbiamo aver paura di proclamare la verità, le cose che Gesù ha insegnato. Oggigiorno, i mezzi di comunicazione riescono a sovvertire il significato delle cose e le persone che proclamano la verità sono considerate criminali; fanno apparire giusto il sistema neoliberale che sovverte il senso della vita umana.
- Matteo 10,28: Non aver paura di coloro che possono uccidere il corpo. I discepoli non devono aver paura di coloro che uccidono il corpo, che torturano, che colpiscono e fanno soffrire. I torturatori possono uccidere il corpo, ma non riescono ad uccidere la libertà e lo spirito nel corpo. Devono aver paura, questo sì, del fatto che il timore di soffrire li porti a nascondere o a negare la verità, e ciò li spinga ad offendere Dio. Perché chi si allontana da Dio si perde per sempre.
- Matteo 10,29-31: Non aver paura, ma avere fiducia nella Provvidenza Divina. I discepoli non devono temere nulla, perché stanno nella mano di Dio. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Due passeri si vendono per un soldo, ma nessuno di essi cadrà a terra senza che il Padre lo voglia. Tutti i nostri capelli sono contati. Luca dice che nessun capello cade senza che il Padre lo voglia (Lc 21,18). E sono tanti i capelli che cadono! Per questo, “non abbiate timore. Voi valete più di molti passeri”. È la lezione che Gesù trae dalla contemplazione della natura.
- Matteo 10,32-33: Non aver paura di essere testimone di Gesù. Alla fine, Gesù riassume tutto nella frase: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. Sapendo che stiamo nelle mani di Dio e che Dio è con noi, in ogni momento, abbiamo il coraggio e la pace necessari per rendere testimonianza ed essere discepoli e discepole di Gesù.

Per un confronto personale
- Tu hai paura? Paura di cosa? Perché?
- A volte, sei stato/a perseguitato/a a causa del tuo impegno con l’annuncio della Buona Notizia di Dio che Gesù ci ha annunziato?

Preghiera finale: Degni di fede sono i tuoi insegnamenti, la santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore (Sal 92).
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MessaggioTitolo: domenica 15 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMer Lug 11, 2012 9:17 am

DOMENICA 15 LUGLIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Donaci, o Padre, di riconoscere nel Figlio il volto del tuo amore, la Parola di salvezza e di misericordia, perché lo seguiamo con cuore generoso e lo annunciamo con le opere e le parole ai fratelli e alle sorelle che attendono il Regno e la sua giustizia. Colmaci del tuo Spirito perché il nostro ascolto sia attento e la nostra testimonianza sia autentica e libera, anche nei momenti di difficoltà e di incomprensione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Letture:
Am 7,12-15 (Va’, profetizza al mio popolo)
Sal 84 (Mostraci, Signore, la tua misericordia)
Ef 1,3-14; forma breve Ef 1, 3-1) (In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo)
Mc 6,7-13 (Prese a mandarli)

I missionari della buona novella
Domenica scorsa abbiamo incontrato Gesù che, dopo il pellegrinaggio sulla terra di Israele tornava alla sua città nativa, a Nàzaret. Tutti si meravigliavano: come un carpentiere può fare queste cose… Non credevano che Gesù non era solo un carpentiere. Cristo era un Profeta, un annunciatore della volontà di Dio, il Messia, Dio stesso. Anche oggi la parola di Dio ci parla dei profeti, dei missionari. Gesù nel Vangelo invia i suoi, i Dodici, coloro che sono stati con lui, sono stati nella sua scuola. Qualcuno potrebbe chiedersi: ma come mai li manda a due a due…? Non potevano andare da soli? Avrebbero potuto raggiungere più paesi… Forse la ragione di questo la dobbiamo cercare nella cultura del tempo e del popolo ebreo. A che cosa Gesù li manda? Li manda a dare la loro testimonianza. E nella cultura giudaica la testimonianza era valida, era credibile, attendibile solo se erano presenti due testimoni. Ecco allora i due testimoni, due apostoli. E qual è il messaggio che devono portare? Loro avevano sentito parlare Gesù, lo avevano sentito parlare del Padre, del regno dei celi, avevano sentito le beatitudini. Avevano visto la gioia dei malati guariti. Ecco ora devono comunicare questa gioia, questa gioiosa esperienza. Sono mandati non tanto per predicare la teologia, la dottrina quanto annunziare una persona, la persona che è Gesù. Non tanto a dire: Venite con noi, vedrete grandi miracoli, troverete il Messia che vi siete costruiti, il Messia che aspettate, il Messia che risolverà tutti i vostri problemi. Il loro messaggio è molto più semplice: guardate, noi abbiamo incontrato un uomo, Gesù. Gesù ci ha detto e fatto cose meravigliose, e di questo noi siamo testimoni. Ci ha ridato la gioia di credere in Dio, nostro padre, che ci fa una promessa, che se saremo con lui, lui non ci lascerà mai e vivremo in eterno. Che cosa impariamo da questo vangelo di oggi. Credo che la cosa più importante è capire che tutti siamo missionari. Tutti noi il Signore manda, ci manda ad annunziare la gioia di essere cristiani, di essere uomini della speranza, uomini redenti da lui. Non tutto nella vita andrà sempre bene. Anche noi troveremo sul nostro cammino delle persone davanti alle quali scuoteremo, con amore, la polvere dai nostri piedi. Ma proprio in quei momenti difficili, in quei momenti salvifici potremo unirci più profondamente a lui. Facciamoci un proposito, un piccolo proposito per questa settimana. Proveremo ad essere i missionari nelle nostre piccole cose d’ogni giorno.
Per mezzo dei suoi messaggeri, Dio ha preparato l’umanità, nel corso di una lunga storia, alla venuta di suo Figlio e alla rivelazione della salvezza da lui portata. Partendo dal popolo di Israele, il suo amore redentore doveva estendersi a tutti gli uomini. È il motivo per cui Gesù ha chiamato i Dodici a formare il nucleo del popolo definitivo di Dio e li ha fatti suoi collaboratori. Sono stati incaricati di vincere il potere del male, di guarire e di salvare gli uomini che avessero creduto al loro messaggio. Solo una piccola parte del popolo di Israele ha creduto in Gesù e in quelli che egli ha mandato. Dopo la sua risurrezione, Gesù ha di nuovo mandato i suo discepoli e accresciuto la loro missione e i loro poteri. Da allora gli inviati di Dio si recano presso tutti i popoli per offrire agli uomini il perdono di Dio e la vita nuova. Ma non vi è che una piccola parte dell’umanità che ha sentito l’offerta divina e ha trovato la fede nell’amore di Dio e nella sua salvezza. Oggi che sono state smascherate le ideologie moderne del razionalismo e del nazionalismo, del fascismo e del socialismo, che si sono rivelate false dottrine di salvezza, si è operata una nuova apertura per il Vangelo presso molti popoli e molti uomini. E noi cristiani siamo tenuti, in modo nuovo, a portare la nostra testimonianza al nostro prossimo: per mezzo della nostra preghiera e del nostro impegno personale. Da questa testimonianza dipende non solo l’avvenire dell’umanità, ma anche quello della comunità ecclesiale ed il destino di ogni cristiano.

Approfondimento del Vangelo (La missione dei Dodici)
Il testo: In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Il contesto: Dopo la chiamata (nel testo “istituzione”) dei dodici (Mc 3, 13-19) Gesù offre insegnamenti e guarigioni, per fare loro scuola. Ora giunge l’ora del loro primo esercizio pubblico: devono fare una prima esperienza di annuncio. A due a due vanno fra la gente, con dei compiti che, in Marco, appaiono abbastanza ridotti: un generico annuncio per la conversione, e vari tipi di prodigi, contro il male. Gesù non si lascia spaventare dal rifiuto violento dei suoi di Nazaret, raccontato subito prima da Marco: Mc 6,1-6. Non rinuncia alla sua missione, perché non sono le nostre chiusure a bloccarlo. Gli altri due Sinottici (Mt 10, 1-42; Lc 9, 1-10) riferiscono con maggiore precisione compiti e sfide che incontreranno. Comunque in tutti è importante il fatto che la missione nasce per incarico di Gesù e dopo aver appreso da lui stile e temi. Il numero “dodici” - così ricorrente nel riferimento alla fondazione della nuova comunità, fino agli splendori dell’Apocalisse - vuole significare la continuità, ma anche il superamento dell’economia salvifica precedente. L’invio “a due a due” si comprende nella mentalità giudaica che accetta la testimonianza solo se portata da una “comunità” (almeno minima) e non dal singolo.

Momento di silenzio orante per rileggere il testo col cuore e riconoscere attraverso le frasi e la struttura la presenza del mistero del Dio vivente.

Alcune domande per cogliere nel testo i nuclei importanti e cominciare ad assimilarlo.
a) Perché in Marco è così importante l’aspetto della cacciata degli spirito immondi?
b) Questa insistenza sulla povertà di mezzi che senso ha?
c) Quale è il contenuto di questa prima predicazione?
d) Assieme alla povertà, Gesù invita ad avere coraggio e libertà: perché li mette insieme?
e) Perché la predicazione è itinerante e non stabile?
f) In che cosa gli altri sinottici si spiegano meglio?

Alcuni approfondimenti di lettura
- “Incominciò a mandarli a due a due”. La missione dei discepoli non avviene per entusiasmo personale, per mania di grandezza: essa comincia quando Gesù ritiene che sono in grado di parlare in base a quello che hanno ascoltato e assimilato. Secondo Marco fino a questo momento hanno visto vari miracoli, hanno ascoltato alcuni insegnamenti, fra cui importante il tema del seme che cresce in varie maniere; hanno anche assistito a qualche polemica fra Gesù e i capi. La sua prassi di guaritore, la sua chiamata alla conversione, la sua disponibilità a muoversi in mezzo alla gente, la sua predicazione itinerante, questi dovranno essere i punti a cui riferirsi. Non sono certamente ancora del tutto maturi, ma anche l’esercizio aiuterà a maturare. Sotto la supervisione di Gesù possono imparare e migliorare: troveranno le parole giuste, i gesti adeguati. Proveranno l’entusiasmo di un successo strepitoso, ma alla fine dovranno superare anche la concentrazione sui miracoli, per annunciare la morte e la risurrezione del Salvatore.
- “Diede loro potere sugli spiriti immondi...”. Si tratta di quella “exousia” che anche Gesù esercitava: vengono quindi abilitati e autorizzati a usare lo stesso potere. Sembra quasi che per Marco questo sia l’esercizio principale in questo momento; del resto lui stesso si concentra su questo aspetto di Gesù “taumaturgo”, e scacciatore di spiriti maligni. Dobbiamo pensare che per “spiriti immondi” si intendeva allora molte cose insieme: infermità psichica, forme di epilessia, le forze spirituali distruttrici, il potere schiavizzante della legge, ogni forma di disagio psichico, malformazioni fisiche, ecc. Il potere si esercita camminando in mezzo a queste sofferenze: accettando la sfida che esse danno alla fiducia in Dio, alla convivenza solidale, alla dignità di ogni persona umana. Non dobbiamo identificare “immondo” con impurità di tipo sessuale o legale. Si tratta di “purità” alla luce di Dio: che è amore, solidarietà, giustizia, misericordia, collaborazione, accoglienza, ecc. Perciò i dodici dovranno chiamare “a conversione” da questi pregiudizi e da queste forme perverse e “immonde” di vivere da figli di Dio.
- “Oltre il bastone, nulla per il viaggio...”. La missione deve essere itinerante, non sedentaria; cioè dovrà sempre di nuovo stimolare l’andare, l’incontro nuovo, il distacco dai risultati, la libertà interiore ed esteriore. Per questo la raccomandazione, che tutti i Sinottici riportano con evidenza, della povertà materiale del vestire e del mangiare, delle sicurezze e delle garanzie. Probabilmente si tratta anche della brevità dell’esperienza: non doveva durare a lungo questo primo esercizio, e quindi dovevano andare leggeri, sciolti, puntare più sulla immediatezza dell’annuncio che sul consolidamento dei risultati. Ma quando questo testo è stato scritto, la situazione della comunità dei discepoli era molto più sviluppata e consolidata. E quindi la memoria di queste raccomandazioni non serviva solo per ricordare quella prima esperienza gioiosa e avventurosa. Serviva anche per confrontare lo stile originario e la prassi di quel momento, ormai lontano dal tempo di Gesù. È quindi un richiamo ad uno slancio missionario meno impaurito dalle esigenze di confort e di sicurezza.
- “Andandovene scuotete la polvere...”. Le raccomandazioni del Signore mettono insieme due aspetti, solo all’apparenza in contrasto. Da un lato devono andare con totale disponibilità, per incontrare la gente, senza preoccupazione di guadagno o di sopravvivenza. Devono cercare chi è malato - per ragioni personali o sociali, per l’oppressione della legge o per la malvagità umana - e liberarlo, consolarlo con l’olio, risanarne le ferite e le piaghe del cuore. Ma dall’altro lato devono anche evitare di accettare qualsiasi ipocrisia, il buonismo senza responsabilità. Accanto alla carità e premura per le sofferenze, devono anche avere il coraggio di smascherare le ipocrisie, di reagire alle chiusure, di accettare la sconfitta personale. Devono andarsene, senza rimpianti né debolezze, da là dove l’accoglienza non c’è, il rifiuto o l’ipocrisia rendono sterile l’annuncio e la testimonianza. Una rottura chiara e inequivocabile, che forse neppure Gesù ha molto vissuto. Egli ha sempre cercato di tornare a dialogare, ha sofferto per le chiusure dei farisei e degli scribi, ha sfidato il loro sbarramento tenace e insidioso. Eppure ora impone ai discepoli di non perdere tempo con chi non li vuole. Probabilmente in questa raccomandazione, c’è anche un adattamento alla situazione della comunità: non deve rimpiangere una intesa con la comunità israelitica. C’è stata una chiusura totale, un rifiuto feroce e aggressivo: ebbene, questo Gesù lo aveva anche previsto. Non si diano pena. Passino ad altri popoli, non perdano tempo a recuperare quello che non è recuperabile.

Orazione finale: Signore Dio nostro, distogli i discepoli del Figlio tuo dai cammini facili della popolarità, della gloria a poco prezzo, e portali sulle strade dei poveri e dei flagellati della terra, perché sappiano riconoscere nel loro volto il volto del Maestro e Redentore. Dona occhi per vedere i percorsi possibili alla giustizia e alla solidarietà; orecchi per ascoltare le domande di senso e di salvezza di tanti che cercano come a tastoni; arricchisci il loro cuore di fedeltà generosa e di delicatezza e comprensione perché si facciano compagni di strada e testimoni veri e sinceri della gloria che splende nel crocifisso risorto e vittorioso. Egli vive e regna glorioso con te, o Padre, nei secoli eterni.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gs 10,6-15
Sal 19
Rm 8,31b-39
Gv 16,33-17,3

La vittoria di Giosuè
Prosegue il racconto delle vicende di Israele con la faticosa conquista della terra promessa, guidata da Giosuè. Ma è Dio che guida alla vittoria il suo popolo, come il Signore sostiene sempre ognuno di noi nelle battaglie difficili della vita. “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Epist.). E Gesù assicura: “Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo”. La Madonna nel Magnificat esalta il Signore.. perché dispiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi, rovescia i potenti ed innalza gli umili (cfr. Lc 1,51-52). Confidando nel Signore, anche noi come Paolo, possiamo dire: “In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Epist.). Sta tutta qui la forza - e la serenità - con la quale il credente affronta la vita con le sue prove... e le sue vittorie.
Fermati, sole: È pagina famosa, questa. Con accento epico Giosuè vuol ricordare quella giornata di vittoria, riconoscendo che tutto fu merito di Dio: “Né prima né poi vi fu giorno come quello,.. perché il Signore combatteva per Israele”. Infatti “morirono per le pietre della grandine più di quanti ne avessero uccisi gli Israeliti con la spada” (Lett.). Riconoscere l’iniziativa di Dio anche nelle nostre imprese riuscite, è il vero tratto di fede che qualifica il credente. Ci fa dire oggi il Salmo: “Chi fa affidamento sui carri, chi sui cavalli: noi invochiamo il nome del Signore, nostro Dio”. L’orgoglio dell’uomo - soprattutto quando gli van bene le cose - fa dimenticare che “in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Tutto è dono di Dio e sua azione preveniente anche nel fare il bene: “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1Cor 4,7). Infatti “è Dio che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore” (Fil 2,13). Il coraggio di Giosuè era fondato sulla promessa di Dio: “Non aver paura di loro, perché li consegno in mano tua”. La vita è fatta di prove, e quindi è naturale la paura. “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!”. Appoggiarsi su Dio e sul suo aiuto è forse l’aspetto più spontaneo della fede. Ricorrere a lui per un aiuto è preghiera legittima. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano.., liberaci dal male”, ci fa pregare Gesù nel ‘Padre nostro’ ogni giorno. La fiducia nella sua Provvidenza è la prima sicurezza da nutrire, anche nelle nostre necessità materiali. Tanto più in quelle spirituali. “Signore salvami!” (Mt 14,30), ha gridato Pietro mentre affondava nelle acque. E Gesù gli stende la mano. “Non è troppo corta la mano del Signore per salvare” (Is 59,1). Il coraggio si trasforma in speranza che comunque “tutto concorre al bene per quelli che amano Dio” (Rm 8,28). Il Signore aiuta magari non sempre secondo le nostre immediate attese, ma certamente non lascia cadere la nostra invocazione e, per strade a noi ignote, guida la nostra vita alla sua piena realizzazione secondo il suo disegno. Anche dal male sa trarre un bene. Perché lui vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me, cioè lui ha un progetto ben più grande d’ogni mia stessa attesa. Giungere a questa interiore certezza - che Dio comunque conduce al bene la mia vita - è la più grande conquista dell’esistenza credente, il vertice della fede. “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me”.
Io ho vinto il mondo: Vittoria speciale quella di Cristo sul mondo. Mondo inteso anzitutto come tentazione di vivere la sua missione coi criteri umani opposti al disegno di Dio; ne abbiamo l’esemplificazione alle tentazioni nel deserto. Mondo inteso come reazione naturale di paura di fronte alla croce, come appare nella scelta del Getsemani: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 23,42). Mondo inteso come “potere delle tenebre” (Lc 22,53), satana, principio del male, e quindi sconfitta del peccato e delle sue conseguenze, come appare chiaramente nell’atto di obbedienza al Padre - fatto a nome nostro - fino alla morte di croce. La croce è la “glorificazione” di Cristo e la “gloria del Padre” che mostra in lui tutto il dono di sé agli uomini. “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”. In vista di quella difficile vittoria da raggiungere - la croce -, Gesù con trepidazione e umiltà chiede l’aiuto al Padre, perché lo sostenga in quella lotta (Lc 23,44), cioè in quella battaglia tanto difficile. Luca dice che Gesù, quanto più era in angoscia, tanto più pregava. E un angelo venne a confortarlo; cioè il Padre l’ha sostenuto. La sua forza, capace di vittoria, l’ha ottenuta dal Padre, nel quale aveva posto ogni confidenza: “Offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono in lui, venne esaudito” (Eb 5,7). Da questa vittoria è scaturita per noi la salvezza. La speranza e il coraggio del credente si fondano ora proprio su questo dono totale di Dio all’uomo, in Cristo, che costituisce il massimo segno di affidabilità e premura di Dio per ognuno di noi. “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui?” (Epist.). Non c’è più d’aver paura, neanche del giudizio di Dio: “Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica”, cioè Dio perdona. “Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!” (Epist.). Paolo esplode allora in un grido di entusiasmo e di sicurezza: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Niente potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Epist.).
Sta bene oggi la preghiera del Prefazio, che facciamo nostra: “Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito, donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Con sorprendente larghezza hai infuso nei nostri cuori lo Spirito Santo e ci hai dato di condividere con Cristo risorto l’eterna eredità della tua gloria”. Dalla miseria dell’inimicizia alla fortuna di essere figli, alla sorpresa di divenire eredi di Dio. Una vittoria, quella del cristiano, giocata tutta sulla iniziativa gratuita e l’opera potente di Dio!
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MessaggioTitolo: sabato 21 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Lug 17, 2012 7:07 pm

SABATO 21 LUGLIO 2012

SABATO DELLE XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme.

Letture:
Mic 2,1-5 (Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono)
Sal 9 (Non dimenticare i poveri, Signore!)
Mt 12,14-21 (Impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto)

Gesù “servo” e “prediletto” di Dio
Si alternano nel Vangelo nei confronti del Cristo e del suo annunzio, momenti di sdegnoso rifiuto ed altri di corale e simpatica accoglienza. Resta per noi misterioso come avvenga che le volontà degli uomini dinanzi alla stessa verità, dinanzi alla stessa persona, dinanzi al figlio di Dio incarnato, abbiano comportamenti così diversi e talvolta contrastanti. Molti lo seguono, alcuni cercano addirittura di toglierlo di mezzo. Gesù non si arresta alle minacce degli uomini, rimane perseverante a compiere la sua missione di sanare e guarire. Egli, quell’umile “servo” di cui parla Isaia, deve annunciare il diritto e la giustizia alle genti. Gode delle compiacenze del Padre ed è stato da Lui prescelto per essere luce delle nazioni, deve annunciare a tutti la verità incontestabile che sgorga dallo stesso Spirito, ma, come è sempre lo stile di Dio nei nostri confronti, “Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce”. Il parlare divino non è mai violento, ma assomiglia al “mormorio di un vento leggero”. Sono le sue amorevoli carezze che sono percettibili soltanto da chi ha il cuore semplice e puro, dove anche i sussurri giungono chiari e trovano accoglienza. Il suo nome diventerà motivo di salvezza per tutti; nel suo nome spereranno le genti. Così canterà San Paolo scrivendo ai Filippesi: “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. È l’esplosione della fede e l’affermazione del Regno di Dio sulla terra. Il “servo” patisce la sua passione, subirà la condanna degli uomini che tenteranno di “toglierlo di mezzo” definitivamente, ma in quel gesto insane il Signore troverà la via della vittoria finale e il motivo del nostro definitivo riscatto nel trionfo della risurrezione.
Il Vangelo di oggi ci dice che Dio vuole la nostra felicità. Capisco veramente che cosa significa ciò? Dio vuole la felicità di noi tutti, qualunque siano i nostri limiti. Ciò che è straordinario è che tutto ciò che costituisce la nostra sofferenza o la nostra felicità si trova espresso nella Bibbia. Noi vi ci ritroviamo interamente: noi e le nostre esperienze. È in Gesù che la parola decisiva di Dio ci è rivelata, ed è in lui che ci è rivelato il “Sì” di Dio. Dio non può dirci di più, e con maggiore insistenza, che attraverso Gesù, suo Figlio, nostro Salvatore. Gesù ci ha detto prima di tutto questo: siamo accettati nella nostra vita. Ecco ciò che esprime la parola di Dio. Lo capiamo? Gesù dice: “Voglio la tua felicità infinita. Nella tua vita l’afflizione non avrà l’ultima parola quando sarai a pezzi, il tuo lume di speranza si sarà spento, e tu dirai: “Io sono cattivo””. Colui che accoglie le parole di Dio imparerà che, al di là di queste parole che gli sfuggono, la vita rinasce. La Chiesa non vive, se la Bibbia non raggiunge la vita nel cuore delle comunità. E la nostra vita è così spesso gelata! Le cose che escono dal congelatore sembrano spesso scipite, senza gusto, riconoscibili solo dalla loro etichetta. Ma è sufficiente che siano riscaldate perché riprendano gusto. Anche la nostra vita è spesso gelata, come pure le nostre relazioni. Ma la parola di Dio riscalda. La Bibbia ci dice: per quanto la sua situazione sia disperata, ciascuno di noi può ripartire da zero. Perché è chiamato, e può cominciare a sentire che cos’è la vita, la sapienza, la capacità d’amare. Troverà un senso nella sua vita, se questa sarà impregnata d’amore per la parola che l’ha raggiunto e l’ha reso capace di aprirsi sempre più a se stesso. Egli non ha niente di meglio da dire su ciò che può essere la vita. Metti la tua vita sotto il segno della parola, e vedrai tu stesso il risultato.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi consta di due parti legate tra di loro: (a) Descrive le diverse reazioni dei farisei e della gente che ascolta la predicazione di Gesù; (b) Descrive ciò che Matteo vede in questa diversa reazione: la realizzazione della profezia del Servo di Yavè, annunciato da Isaia.
- Matteo 12,14: La reazione dei farisei: decidono di uccidere Gesù. Questo verso è la conclusione dell’episodio precedente, in cui Gesù sfida la malizia dei farisei, curando l’uomo che aveva la mano inarridita (Mt 12,9-14). La reazione dei farisei è stata di tenere un consiglio contro Gesù. Si arriva così alla rottura della relazione tra le autorità religiose e Gesù. In Marco questo episodio è molto più esplicito e provocante (Mc 3,1-6). Dice che la decisione di uccidere Gesù non era solo dei farisei, ma anche degli erodiani (Mc 3,6). Altare e Trono si uniranno contro Gesù.
- Matteo 12,15-16: La reazione della gente: seguire Gesù. Quando viene a conoscenza della decisione dei farisei, Gesù si allontana dal luogo dove si trova. La gente lo segue. Pur sapendo che le autorità religiose hanno deciso di uccidere Gesù, la gente non si allontana da Gesù, anzi lo segue. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, ordinando loro di non divulgarlo. La gente sa discernere. Gesù chiede di non divulgare la notizia, di non dire ciò che sta facendo. Grande contrasto. Da un lato, il conflitto di vita e morte, tra Gesù e le autorità religiose, dall’altro il movimento della gente desiderosa di incontrare Gesù! Soprattutto gli emarginati e gli esclusi che si presentavano a Gesù con le loro malattie e i loro mali. Loro che non erano accolti in società, e nell’ambito religioso, erano accolti da Gesù.
- Matteo 12,17: La preoccupazione di Matteo: Gesù è il nostro Messia. Questa reazione diversa da parte dei farisei e della gente spinse Matteo a vedere in questo una realizzazione della profezia del Servo. Da un lato, il Servo, era perseguitato dalle autorità che lo hanno insultato e gli hanno sputato in faccia, ma lui non si volta indietro. Rese la sua faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso (Is 50,5-7). Dall’altro il Servo è cercato ed atteso dalla gente. La folla venuta da lontano aspetta il suo insegnamento (Is 42,4). È esattamente ciò che sta avvenendo con Gesù.
- Matteo 12,18-21: Gesù adempie la profezia del Servo. Matteo riporta interamente il primo cantico del Servo. Leggi il testo lentamente, pensando a Gesù e ai poveri che oggi sono esclusi: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni».

Per un confronto personale:
- Conosci qualche fatto in cui le autorità religiose, in nome della religione, decisero di perseguitare ed uccidere persone che, come Gesù, facevano bene alla gente?
- Nella nostra comunità siamo servi di Dio per la gente? Cosa ci manca?

Preghiera finale: Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie (Sal 35).
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MessaggioTitolo: DOMENICA 22 LUGLIO 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Lug 17, 2012 7:15 pm

DOMENICA 22 LUGLIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Ger 23,1-6 (Radunerò il resto delle mie pecore, costituirò sopra di esse pastori)
Sal 22 (Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla)
Ef 2,13-18 (Egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola)
Mc 6,30-34 (Erano come pecore che non hanno pastore)

Venite in disparte, in luogo solitario, e riposatevi un po’
Il brano di oggi è commovente per la delicatezza che Gesù mostra verso i discepoli ed i suoi seguaci. Gesù, il buon Pastore, si mostra sempre attento alle necessita materiali e spirituali di tutti. Il suo intervento è in due direzioni, che potrebbero sembrare in opposizione: una verso i discepoli e l’altra verso le persone che sono «come pecore senza pastore». In tutte e due i casi è la stessa misericordia di Gesù che opera. Gesù ha inviato i suoi discepoli con un mandato ben preciso; Egli è consapevole che l’impegno che richiede è totale e completo. Anche gli spiriti più pronti e ferventi hanno però bisogno di un momento di riposo per poter adempiere al mandato con dedizione assoluta. Gesù vuol stare un momento con i suoi discepoli proprio per poterli rinfrancare. È un momento di riposo con Gesù; non di totale ozio improduttivo. Nel momento in cui i discepoli sentono la necessità di rallentare il ritmo delle loro attività stanno però sempre con il Signore; possiamo dire che, in questo momento, sono a Lui più vicini di quando sono inviati in missione di villaggio in villaggio. Gesù però non si dimentica di tutti gli altri; sente che tra i suoi seguaci vi è un momento di sbandamento che può produrre rilassatezza; ed ecco che di nuovo si riprendere la missione ed è Gesù che opera in prima persona, come un pastore che guarda prima di tutto al bene del suo gregge. In questa dinamica leggiamo delle utili indicazioni per noi che ricerchiamo un momento di legittimo riposo dopo un anno di lavoro. Le vacanze estive sono un periodo di riposo ma possiamo dimenticarci di essere cristiani? Lo spirito non va in vacanza e non possiamo trascurare che ha sempre bisogno di essere alimentato dalla presenza del Signore.
Come mostra la prima lettura, e il Vangelo stesso, oggi al centro della parola che la liturgia ci porta c’è il fatto che Dio ha concretizzato le sue promesse in Gesù di Nazaret: attraverso il suo Salvatore egli veglia sul suo popolo. Il Vangelo descrive la “piccola” gente di Galilea che si affolla al seguito di Gesù come una comunità di uomini sfiniti di cui nessuno si occupa. Essi hanno sentito che Gesù si preoccupa sinceramente di loro, e che ha il potere di venire loro veramente in aiuto. È ciò che fa, portando l’indispensabile salvezza a tutti quelli che si rivolgono a lui fiduciosi, nella loro disgrazia sia fisica che sociale o spirituale. La Chiesa non cerca oggi di distrarci con delle belle storie che parlano dei tempi passati. Attira la nostra attenzione sul fatto che Gesù Cristo risuscitato continua ad agire come il Salvatore di Dio. Egli può e vuole aiutarci nella nostra disgrazia. Compatisce le nostre preoccupazioni. Nella nostra miseria possiamo rivolgerci a lui. Egli ci consolerà, ci darà la forza, ci esaudirà. È lui che ci fa trovare le vie per uscire dalla disgrazia, che ci mette accanto delle persone che ci aiutino. E soprattutto, Gesù Cristo conosce l’ultima e la peggiore delle nostre miserie: la nostra ricerca di una salvezza duratura e felice, che sia per noi o per tutti quelli che amiamo, dei quali ci preoccupiamo, e che abitano con noi questo mondo.

Approfondimento del Vangelo (Gesù ha compassione della gente ed invita alla condivisione)
Il testo: In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Chiave di lettura: Il testo che mediteremo questa 16ª Domenica del Tempo Ordinario è breve. Solo cinque versetti. A prima vista, queste poche linee sembrano essere solo una breve introduzione al miracolo della moltiplicazione dei pani nel deserto (Mc 6,34-44). Se però, la Liturgia di questa domenica ha separato dal resto e sottolineato questi cinque versetti, vuol dire che racchiudono qualcosa di molto importante che forse non si noterebbe se servissero solo per introdurre il miracolo della moltiplicazione dei pani. Infatti questi cinque versetti rivelano una caratteristica di Gesù che ha sempre colpito e continua a farlo: la sua preoccupazione per la salute e la formazione dei discepoli, la sua umanità accogliente verso la gente povera di Galilea, la sua tenerezza verso le persone. Se la Chiesa, per mezzo della liturgia della domenica, ci invita a riflettere su questi aspetti dell’attività di Gesù è per spingerci a prolungare questo stesso atteggiamento di Gesù nel rapporto che abbiamo con gli altri. Durante la lettura presteremo attenzione ai minimi dettagli dell’atteggiamento di Gesù verso gli altri.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Marco 6,30: Revisione dell’opera apostolica
- Marco 6,31-32: Preoccupazione di Gesù per il riposo dei discepoli
- Marco 6,33: La gente ha altri criteri e segue Gesù
- Marco 6,34: Mosso dalla compassione, Gesù cambia il suo piano ed accoglie la gente

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual’è l’aspetto dell’atteggiamento di Gesù che più ti è piaciuto e che ha destato più ammirazione tra la gente al tempo di Gesù?
b) La preoccupazione di Gesù verso i discepoli e la preoccupazione di accogliere bene la gente: le due sono importanti. Quale delle due prevale nell’atteggiamento di Gesù?
c) Paragona l’atteggiamento di Gesù all’atteggiamento del Buon Pastore del Salmo 23. Cosa colpisce maggiormente?
d) L’atteggiamento della nostra comunità è lo stesso di Gesù?

Per coloro che volessero approfondire maggiormente il tema
a) Il contesto che illumina il testo:
1) Il capitolo 6 di Marco mostra un enorme contrasto! Da un lato Marco parla del banchetto della morte, promosso da Erode con i grandi di Galilea, nel palazzo della Capitale, durante il quale viene ucciso Giovanni Battista (Mc 6,17-29). Dall’altro, il banchetto della vita, promosso da Gesù per la gente di Galilea, affamata nel deserto, in modo che non perissero lungo il cammino (Mc 6,35-44). I cinque versetti della lettura di questa domenica (Mc 6, 30-34) sono collocati esattamente tra questi due banchetti.
2) Questi cinque versetti sottolineano due cose:
- offrono un ritratto di Gesù formatore dei discepoli;
- indicano che annunciare la Buona Novella di Gesù non è solo una questione di dottrina, ma soprattutto di accoglienza, di bontà, di tenerezza, di disponibilità, di rivelazione dell’amore di Dio.

b) Commento del testo:
- Marco 6,30-32: L’accoglienza data ai discepoli. Questi versetti indicano che Gesù formava i nuovi leaders. Coinvolgeva i discepoli nella missione e soleva subito portarli verso un luogo più tranquillo per poter riposare e fare una revisione (cfr. Lc 10,17-20). Si preoccupava del loro alimento e del loro riposo, poiché l’opera della missione era tale che non avevano tempo per mangiare (cfr. Gv 21,9-13).
- Marco 6,33-34: Mosso dalla compassione, Gesù cambia il suo piano ed accoglie la gente. La gente percepisce che Gesù era andato all’altra riva del lago, e lo seguì. Quando Gesù, scendendo dalla barca, vide quella moltitudine, rinunciò al riposo e cominciò ad insegnare. Qui appare l’abbandono della gente. Gesù rimase commosso, “perché erano come pecore senza pastore”. Chi legge queste parole ricorda il salmo del buon pastore (Sl 23). Quando Gesù si rende conto che la gente non ha pastore, comincia lui ad esserlo. Comincia ad insegnare. Guida la moltitudine nel deserto della vita, e la moltitudine poteva così cantare: “Il Signore è il mio pastore! Non manco di nulla!”.

c) Ampliando le informazioni:
1) Un ritratto di Gesù, formatore: “Seguire” era il termine che faceva parte del sistema educativo dell’epoca. Era usato per indicare il rapporto tra il discepolo ed il maestro. Il rapporto maestro-discepolo è diverso dal rapporto professore-alunno. Gli alunni assistono alle classi del professore su una determinata materia. I discepoli “seguono” il maestro e vivono con lui. Ed è proprio durante questa “convivenza” di tre anni con Gesù che i discepoli ricevettero la loro formazione. Gesù, il Maestro, è l’asse, il centro ed il modello della formazione. Nei suoi atteggiamenti è una prova del Regno, incarna l’amore di Dio e lo rivela (Mc 6,31; Mt 10,30-31; Lc 15,11-32). Molti piccoli gesti rispecchiano questa testimonianza di vita con cui Gesù indicava la sua presenza nella vita dei discepoli, preparandoli alla vita ed alla missione. Era il suo modo di dare una forma umana all’esperienza che lui stesso aveva avuto con il Padre:
- coinvolgere nella missione (Mc 6,7; Lc 9,1-2;10,1),
- una volta, la rivede con loro (Lc 10,17-20),
- li corregge quando sbagliano o quando vogliono essere i primi (Mc 10,13-15; Lc 9,46-48),
- aspetta il momento opportuno per correggerli (Mc 9,33-35),
- li aiuta a discernere (Mc 9,28-29),
- li interpella quando sono lenti (Mc 4,13; 8,14-21),
- li prepara per il conflitto (Gv 16,33; Mt 10,17-25),
- li manda ad osservare ed analizzare la realtà (Mc 8,27-29; Jo 4,35; Mt 16,1-3),
- riflette con loro sulle questioni del momento (Lc 13,1-5),
- mette loro dinanzi i bisogni della moltitudine (Gv 6,5),
- corregge la mentalità di vendetta (Lc 9,54-55),
- insegna che i bisogni della moltitudine stanno al di sopra delle prescrizioni rituali (Mt 12,7.12),
- lotta contro la mentalità che considera la malattia come un castigo di Dio (Gv 9,2-3),
- passa del tempo solo con loro per poterli istruire (Mc 4,34; 7,17; 9,30-31; 10,10; 13,3),
- sa ascoltare, anche quando il dialogo è difficile, (Gv 4,7-42),
- li aiuta ad accettarsi (Lc 22,32),
- è esigente e chiede loro di lasciare tutto per lui (Mc 10,17-31),
- è severo con l’ipocrisia (Lc 11,37-53),
- pone più domande che risposte (Mc 8,17-21),
- è fermo e non si lascia deviare dal cammino (Mc 8,33; Lc 9,54-55).
Ecco un ritratto di Gesù formatore. La formazione della “sequela di Gesù” non era in primo luogo la trasmissione di verità da imparare a memoria, bensì una comunicazione della nuova esperienza di Dio e della vita che irradiava da Gesù per i discepoli. La comunità che si formava attorno a Gesù era l’espressione di questa nuova esperienza. La formazione portava le persone ad avere altri occhi, altri atteggiamenti. Faceva nascere in loro una nuova consapevolezza nei riguardi della missione e di loro stessi. Faceva sì che mettessero i loro piedi accanto a quelli degli esclusi. Produceva, in alcuni, la “conversione” per aver accettato la Buona Novella.
2) Come Gesù annuncia la Buona Novella alla moltitudine: Il fatto che Giovanni fosse in prigione spinse Gesù a ritornare ed iniziare l’annuncio della Buona Novella. Fu un inizio esplosivo e creativo! Gesù percorre tutta la Galilea: i villaggi, i paesi, le città (Mc 1,39). Visita le comunità. Perfino cambia la residenza e va a vivere a Cafarnao (Mc 1,21; 2,1), città crocevia di diversi cammini, e questo facilitava la divulgazione del messaggio. Quasi non si ferma mai, è sempre in cammino. I discepoli vanno con lui, ovunque. Nei prati, lungo le strade, in montagna, nel deserto, in barca, nelle sinagoghe, nelle case. Con molto entusiasmo! Gesù aiuta la gente servendo in molti modi: scaccia gli spiriti immondi (Mc 1,39), cura i malati e coloro che sono maltrattati (Mc 1,34), purifica coloro che sono esclusi a causa di impurezze (Mc 1,40-45), accoglie gli emarginati e confraternizza con loro (Mc 2,15). Annuncia, chiama e convoca. Attrae, consola ed aiuta. È una passione che si rivela. Passione per il Padre e per la gente povera ed abbandonata della sua terra. Lì dove trova gente che lo ascolta, parla e trasmette la Buona Novella. In qualsiasi luogo. In Gesù, tutto è rivelazione che lo avvince dal di dentro! Lui stesso è la prova, il testimone vivente del Regno. In lui appare ciò che avviene quando una persona lascia regnare Dio, lascia che Dio guidi la sua vita. Nel suo modo di agire e di vivere insieme agli altri, Gesù rivelava ciò che Dio aveva in mente quando chiamava nel tempo di Abramo e di Mosè. Gesù trasformò la nostalgia in speranza! Improvvisamente la gente capì: “Era questo ciò che Dio voleva per il suo popolo!”. E fu questo l’inizio dell’annuncio della Buona Novella del Regno che si divulgava rapidamente nei villaggi della Galilea. In modo piccolo, come un seme, che poi crebbe fino a diventare albero grande, dove la gente poteva ripararsi (Mc 4,31-32). E la gente si incaricava di diffondere la notizia. La gente della Galilea rimaneva impressionata dal modo di insegnare di Gesù. “Un insegnamento nuovo! Dato con autorevolezza! Diverso da quello degli scribi!” (Mc 1,22.27). Ciò che più faceva Gesù era insegnare (Mc 2,13; 4,1-2; 6,34). È ciò che soleva fare (Mc 10,1). Più di quindici volte il vangelo di Marco dice che Gesù insegnava. Ma Marco non dice quasi mai ciò che insegnava. Forse non gli interessa il contenuto? Dipende da ciò che la gente intende per contenuto! Insegnare non vuol dire solo insegnare verità nuove così la gente le impara a memoria. Il contenuto che Gesù ha da dare non trasparisce solo nelle parole, ma nei gesti e nel modo in cui entra in rapporto con le persone. Il contenuto non è mai separato dalla persona che lo comunica. Gesù era una persona accogliente (Mc 6,34). Amava la gente. La bontà e l’amore che traspariscono dalla sue parole formavano parte del contenuto. Costituiscono il suo temperamento. Un contenuto buono senza bontà è come latte versato. Marco definisce il contenuto dell’insegnamento di Gesù come “Buona Novella di Dio” (Mc 1,14). La Buona Novella che Gesù proclama viene da Dio e rivela qualcosa su Dio. In tutto ciò che Dio dice e fa’, traspariscono i tratti del volto di Dio. Traspare l’esperienza che lui stesso ha di Dio, l’esperienza di Padre. Rivelare Dio come Padre è la fonte, il contenuto e lo scopo della Buona Novella di Gesù.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gdc 2,6-17
Sal 105
1Ts 2,1-2. 4-12
Mc 10, 35-45

Giudici, Autorità e Servizio
Rievocando fatti e ribellioni di Israele così come le narra la Bibbia, Paolo scrive: “Tutte queste cose sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1Cor 10,11). Stiamo facendo questo esercizio nelle domeniche dopo Pentecoste: ricordare la vicenda di Israele per imparare quale sia il giusto atteggiamento nei confronti di Dio e di noi stessi. Infatti, “tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia” (2Tm 3,16). Oggi si parla dell’allontanarsi da Dio da parte del popolo, e delle conseguenze negative anche sociali che ne derivano. Ma Dio, premuroso, provvede a inviare uomini per guidarlo a salvezza, anche se, purtroppo, con guide poco ascoltate. I riflessi sottolineati dal Nuovo Testamento riguardano in particolare l’apostolato e la pastorale nella vita della Chiesa entro il mondo di oggi.
L’autorità: Il popolo si allontana da Dio e cade in mano dei nemici. “Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore, abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto”. Allora il Signore “li mise in mano a predatori che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno, ed essi non potevano più tener testa ai loro nemici. Furono ridotti all’estremo” (Lett.). Quando si perdono i valori etici, fondati sull’assoluto di Dio, si cade nel relativismo, nel soggettivismo e quindi, alla fine, nel caos sociale. Il bene comune è frustrato dall’interesse privato. Va notato che il distacco da Dio nasce dalla dimenticanza dei suoi precedenti benefici. L’orgoglio dell’uomo di oggi nasce proprio dal sentirsi l’unico padrone di sé e del mondo, dimentico che è creatura, con regole oggettive cui è decisivo obbedire. Ma Dio non si rassegna. Suscita suoi uomini che divengano salvezza per tutto il popolo, proprio nei momenti di maggior pericolo. Là erano i Giudici e i profeti. Oggi è la Chiesa, che tra gli uomini diviene seme di riconciliazione, proposta di valori perenni e irrinunciabili alla convivenza civile, offre il servizio della carità con un “volontariato” e un impegno nel “terzo settore” quale lievito ed educazione, quando non anche supplenza in settori scoperti della società civile. Naturalmente non sempre stimata, ascoltata e seguita. Quando non emarginata e perseguitata. Quanti eroi della carità e imprese di giustizia sono boiccotati da forme di burocrazia ostile, o da opinione pubblica volutamente anticristiana. Questo agire di Dio vale soprattutto per l’interno del popolo di Dio, cioè per la vita pastorale ed ecclesiale. Dio non lascia mai mancare di suscitare santi e uomini straordinari che divengano riferimento di rinnovamento e riforma all’interno della Chiesa. La storia della Chiesa è lì tutta a dire la premura del Grande Pastore che nei momenti più difficili “manda operai” eccezionali nella sua vigna. E ad ogni stagione l’uomo giusto. Pensiamo alle figure dei Papi recenti; ma anche a fondatori di ordini religiosi, a maestri e profeti che sanno stimolare ed aprire a prospettive nuove il cammino a volte rallentato del popolo di Dio. In questo senso, sia nel civile come nell’ecclesiale, ha un grande valore morale l’autorità che Dio sa inviare come guida autorevole del suo popolo.
Il servizio: L’autorità deve però sentirsi di agire a nome di Dio, quale suo strumento, senza presunzioni o arrivismi. Significativo è l’incidente raccontato oggi tra gli Apostoli stessi di Gesù. “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. - Voi non sapete quello che chiedete”. E Gesù aggiunge una lezione ben esigente: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Tutt’altro modo cioè di concepire l’autorità: come servizio disinteressato e retto, fatto di dedizione ben oltre il diritto, nella carità rispettosa della legalità, della giustizia, ma fondamentalmente attenta ai più deboli. L’esempio di Paolo riguarda più direttamente il campo dell’evangelizzazione e della gestione interna alla comunità cristiana. Amorevole come una madre, fino al dono della vita se necessario. Premuroso e forte come un padre che si cura dell’educazione esigente nei confronti dei figli. Nello stile del disinteresse, senza cercare favori o approvazioni: “mai abbiamo usato parole di adulazione, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia” (Epist.). Con la discrezione e la delicatezza di non approfittare di niente: “lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi”. Con un comportamento “santo, giusto e irreprensibile”. E senza arrivismi: “non abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo”. Se davvero anche oggi nella Chiesa ci fossero pastori così sinceri, modesti e... magari senza tanti fronzoli che sono mascherature di prestigio! Il riferimento ultimo e decisivo è a Cristo. “Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Lui ha saputo “bere il calice” ed essere battezzato con “un battesimo” che sulla croce ha espresso un servizio e “amore ai suoi fino alla fine” (Gv 13,1). Alla fine è lì che bisogna guardare. Quel suo “svuotare se stesso, assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7), gli è valso l’esaltazione di Dio, fatto “Signore, cui ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra”. Alla fine, la radice anche di ogni retto vivere civile e ogni onesto e generoso vivere ecclesiale, sta in quella alta forma di vita “normale” che è la santità. Cioè il legame e la novità interiore prodotta dalla grazia di Cristo. Si potrebbe concludere: quanto più si è cristiani autentici si diviene cittadini onesti e utili. “Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”. Questi in fondo avevano chiesto un posto privilegiato in cielo; ma i loro colleghi (e l’insegnamento tratto dal vangelo) fa riferimento a privilegi terreni. Forse Giacomo e Giovanni li possiamo perdonare: non è male aspirare alto per il cielo, tanto più se si è disponibili a guadagnarselo con fatica: “lo possiamo”.
Un mio vecchio parroco, intelligente e dotto, però mi avvertiva: “Noi accontentiamoci di andare in un angolino del paradiso, altrimenti il Signore... te lo fa pagare!”. A leggere la purificazione dei mistici..., io sarei tentato di seguire la via più modesta.
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MessaggioTitolo: sabato 28 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Lug 24, 2012 3:29 pm

SABATO 28 LUGLIO 2012

SABATO DELLA XVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO PARI


Preghiera iniziale: Dio dei nostri padri, che ai santi Gioacchino e Anna hai dato il privilegio di avere come figlia Maria, madre del Signore, per loro intercessione concedi ai tuoi fedeli di godere i beni della salvezza eterna.

Letture:
Ger 7,1-11 (Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome?)
Sal 83 (Quanto sono amabili le tue dimore,Signore degli eserciti!)
Mt 13,24-30 (Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura)

Dio è più grande del nostro cuore!
Le parabole che ci sono state proposte dalla liturgia durante questa settimana, vanno lette tutte in una chiave positiva. Anzi, direi che vanno riviste sotto una diversa luce: certamente più di qualcuno avrà usato tali passi evangelici per incutere timore e, prospettando per i réprobi fiamme, fuoco e zolfo, avrà contribuito a dare una visione distorta dell’economia della salvezza. Gesù, attraverso questi insegnamenti ci dice che nessuno, non solo non deve disperare della salvezza, ma nemmeno deve affliggersi per l’ingiustizia che scopre intorno a lui e dentro di lui. «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 2,20b) è questo un insegnamento fondamentale della Parola di Dio, esso risulta essere punto di partenza per ogni rapporto equilibrato con il Signore ed è anche una vera palestra di riconoscimento tranquillo e sereno dei propri limiti e dei propri difetti, nella consapevolezza che tutto avrà compimento e risoluzione in Lui e attraverso di Lui. In tal modo, la «mietitura» non sarà più uno spaventapasseri, ma costituirà il termine di confronto per tutta la vita di fede, maturazione di una concezione religiosa che esce dall’infantilismo per divenire pienezza di una relazione con un «Tu» che dispiega tutte le potenzialità del nostro essere. Ecco allora: «Accogliamo con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarci alla salvezza».
Anche oggi una parabola del seme. Anzitutto del “buon seme” seminato da Gesù nel campo della Chiesa e del mondo. Un rilievo importante che fa giustizia di ogni visione pessimistica della realtà umana. Il bene è sempre presente e opera dappertutto, anche se non sempre e non dovunque fa notizia. Al contrario del male che ha sempre l’onore delle prime pagine dei giornali. E al male fa anche riferimento la parabola: alla “zizzania” seminata dal “nemico”, ossia a tutto ciò che è in contrasto col regno, l’unico progetto di vita degno dell’uomo. Sconcerta il fatto che la zizzania venga seminata dal nemico, “mentre tutti dormono”: per mancanza cioè di vigilanza da parte dei servi e dei collaboratori del padrone. Interpella perciò la responsabilità delle nostre omissioni: non è male soltanto il farlo ma anche non impedirlo per quanto e come lo dobbiamo e lo possiamo. Conforta, tuttavia, la tolleranza e la misericordia del Signore, il quale, nell’attesa del giudizio e della condanna definitiva, lascia che il bene e il male crescano insieme: non solo nel mondo ma anche nella Chiesa e in ciascuno di noi. Siamo perciò capaci di attese fiduciose e pazienti: come lo è il cuore di Dio.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci parla della parabola del grano. Sia nella società come nelle comunità e nella nostra vita di famiglia e personale, si intrecciano qualità buone ed incoerenze, limiti ed errori. Nelle comunità si riuniscono persone di diverse origini, ciascuna con la sua propria storia, con il suo vissuto, la sua opinione, i suoi aneliti, le sue differenze. Ci sono persone che non sanno convivere con le differenze. Vogliono essere giudici degli altri. Pensano che solo loro sono nel giusto, e che le altre sono nell’errore. La parabola del grano e della zizzania ci aiuta a non cadere nella tentazione di escludere dalla comunità coloro che non pensano come noi.
- Lo sfondo della parabola del grano e della zizzania. Per secoli, a causa dell’osservanza delle leggi della purezza, i giudei erano vissuti separati dalle altre nazioni. Questo isolamento li aveva marcati. Anche dopo essersi convertiti, alcuni continuavano a seguire questa osservanza che li separava dagli altri. Volevano la purezza totale! Qualsiasi segno di impurità doveva essere estirpato in nome di Dio. “Il peccato non può essere tollerato” dicevano alcuni. Ma altri, come per esempio Paolo, insegnavano che la nuova legge che Gesù chiedeva di osservare, diceva il contrario! “Il peccato non può essere tollerato, ma bisogna essere tolleranti con il peccatore!”.
- Matteo 13,24-26: La situazione: grano e zizzania crescono insieme. La parola di Dio che fa nascere la comunità è buon seme, però nelle comunità a volte ci sono cose contrarie alla parola di Dio. Da dove vengono? Ecco la discussione, il mistero, che conduce a ricordare la parabola del grano e della zizzania.
- Matteo 13,27-28a: L’origine della mescolanza che c’è nella vita. Gli operai chiesero al padrone: “Signore, non seminasti il buon seme nel tuo campo? Come mai ora c’è zizzania?”. Il padrone risponde. Un nemico ha fatto questo. Chi è questo nemico? Il nemico, l’avversario, satana o diavolo (Mt 13,39), è colui che divide, che allontana dalla buona strada. La tendenza alla divisione esiste nella comunità e in ognuno di noi. Il desiderio di dominare, di approfittarsi della comunità per essere più importanti e tanti altri desideri interessati dividono, sono il nemico che dorme in ognuno di noi.
- Matteo 13,28b-30: La reazione diversa dinanzi all’ambiguità. Dinanzi a questa mescolanza di bene e di male, gli operai vogliono eliminare la zizzania. Pensavano: “Se lasciamo tutto nella comunità, perdiamo la nostra ragione d’essere! Perdiamo l’identità!”. Volevano mandare via coloro che pensavano essere diversi. Ma non è questa la decisione del Padrone della terra. Lui dice: “Lasciate che l’uno e l’altra crescano insieme fino alla mietitura!”. Ciò che è decisivo non è ciò che ognuno parla e dice, ma ciò che ognuno vive e fa. Dio ci giudicherà per il frutto che produciamo (Mt 12,33). La forza e il dinamismo del Regno si manifesteranno nella comunità. Pur essendo piccola e piena di contraddizioni, è un segno del Regno. Ma non è la padrona o la proprietaria del Regno, né può considerarsi totalmente giusta. La parabola del grano e della zizzania spiega il modo in cui la forza del Regno agisce nella storia. È necessario fare una scelta chiara per la giustizia del regno, e nello stesso tempo, insieme alla lotta per la giustizia, avere pazienza ed imparare a vivere e a dialogare con le differenze e con le contraddizioni. Quando avverrà la mietitura avverrà la separazione.
- L’insegnamento in parabole. La parabola è uno strumento pedagogico che si serve della vita di ogni giorno per indicare che la vita ci parla di Dio. Diventa una realtà e rende contemplativo lo sguardo della gente. Una parabola tende verso le cose della vita, e per questo è un insegnamento aperto, perché tutti abbiamo qualche esperienza delle cose della vita. L’insegnamento in parabole fa sì che la persona parta dalle esperienze che ha: seme, luce, pecora, fiore, uccello, padre, rete, piccoli, pesce, etc. Così la vita di ogni giorno diventa trasparente, rivelatrice della presenza e dell’azione di Dio. Gesù non soleva spiegare le parabole. Ne lasciava aperto il senso, non lo determinava. Segno questo, che credeva nella capacità della gente di scoprire il senso della parabola partendo dalla sua esperienza di vita. Ogni tanto, a richiesta dei discepoli, lui spiegava il senso (Mt 13,10.36). Per esempio, come fa con la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,36-43).

Per un confronto personale:
- Come si manifesta oggi nella nostra comunità la mescolanza tra grano e zizzania? Quali conseguenze per la nostra vita?
- Guardando nello specchio della parabola, con chi mi sento più in sintonia: con gli operai che vogliono raccogliere la zizzania, o con il padrone del campo che ordina di aspettare il tempo della mietitura?

Preghiera finale: L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente (Sal 83).
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MessaggioTitolo: domenica 29 luglio 2012   LECTIO - Pagina 12 EmptyMar Lug 24, 2012 3:33 pm

DOMENICA 29 LUGLIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Invochiamo lo Spirito santo: Padre nostro che sei nei cieli e ci hai consegnato il tuo Figlio prediletto, manda a noi il tuo Spirito, perché possiamo mangiare e gustare ciò che tu ci doni. Dacci oggi il pane quotidiano del corpo e dello spirito e fa’ che esso susciti in noi la fame e la sete di te, della tua Parola e del tuo banchetto, dove ci sazierai della tua presenza e del tuo amore, nella gioia della comunione con i fratelli che tu ci doni oggi, perché condividiamo con loro il pane materiale e spirituale. Amen.

Letture:
2Re 4,42-44 (Ne mangeranno e ne faranno avanzare)
Sal 144 (Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente)
Ef 4,1-6 (Un solo corpo, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo)
Gv 6,1-15 (Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano)

Pane di vita
“C’era molta erba in quel luogo”, ma c’erano soltanto cinque pani e due pesci e tanta, tanta gente da sfamare, circa cinquemila persone. Potrebbe sembrare a prima vista che i conti siano sballati e che le quantità non siano state ben proporzionate. In questo contesto di evidente squilibrio intervengono i segni e i prodigi divini. I calcoli dell’amore e della provvidenza di Dio non coincidono affatto con i nostri. I conti che fa l’apostolo Filippo, la sua idea di “comprare”, non corrispondono a quelli di Gesù. “Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente”, diceva il salmista rivolgendosi a Dio. La mano aperta è segno della munificenza del Signore; è il segno visibile del perenne miracolo che Egli compie a favore delle sue creature nutrendole e dando loro incessantemente il necessario. Una piccola focaccia può dare all’uomo fedele energia sufficiente per camminare nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti. È la risposta alla preghiera che lo stesso Cristo ci ha insegnato: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Purtroppo intervengono poi gli umani egoismi e la bramosie a creare squilibri di ogni genere, a generare sacche di povertà e peccaminosi sprechi. Capita così che ciò che ci viene dato da Dio come cibo di condivisione, di pace e di comunione diventa causa di dissidi, di penose divisioni e perfino di guerre. I cinque pani e due pesci sfameranno circa cinquemila persone. Potremmo aggiungere che piccolissime ostie e poche gocce di vino consacrati sui nostri altari saranno cibo e bevanda per una schiera innumerevole di fedeli e di martiri, di eroi e di santi di ogni epoca e di ogni parte del mondo. È abbastanza evidente infatti l’allusione alla santa Eucaristia, a quel pane moltiplicato all’infinito, cibo di vita eterna. È doveroso per noi che godiamo della gratuità dei doni divini, ricordare che il pane va spezzato e condiviso e non solo come accade nelle comunioni sacramentali, ma anche nelle nostre più ampie celebrazioni caritative.
Tutti gli evangelisti ci riportano il racconto del miracolo della moltiplicazione dei pani. Si tratta di nutrire una grande folla di persone e di seguaci di Gesù, radunati sulla riva nord-est del lago di Tiberiade (cfr. Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10b-17). Come dimostra l’atteggiamento dei partecipanti, essi interpretano questo pasto come un segno messianico. La tradizione ebraica voleva che il Messia rinnovasse i miracoli compiuti da Mosè durante la traversata del deserto. Ecco perché, secondo questa attesa messianica, si chiamava “profeta” il futuro Salvatore, cioè “l’ultimo Mosè”. Infatti, secondo il Deuteronomio, Dio aveva promesso a Mosè prima della sua morte: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò” (Dt 18,18). Ecco perché le persone che sono presenti durante la moltiplicazione dei pani cercano di proclamare re Gesù. Ma Gesù si rifiuta, perché la sua missione non è politica, ma religiosa. Se la Chiesa riporta questo episodio nella celebrazione liturgica è perché essa ha la convinzione che Gesù Cristo risuscitato nutre con il suo miracolo, durante l’Eucaristia, il nuovo popolo di Dio. E che gli dà le forze per continuare la sua strada lungo la storia. Egli precede il suo popolo per mostrargli la via grazie alla sua parola. Coloro che attraversano la storia in compagnia della Chiesa raggiungeranno la meta di tutte le vie, l’eredità eterna di Dio (cfr. Gv 14,1-7).

Approfondimento del Vangelo (Mangiare e condividere il pane della vita)
Il testo: In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Suddivisione del testo, per comprenderlo meglio:
- vv. 1-4: Introduzione temporale, geografica e liturgica
- vv. 5-10: Il dialogo preparatorio fra Gesù e i discepoli
- vv. 11-13: Il pasto “moltiplicato” e sovrabbondante
- vv. 14-15: Le reazioni di Gesù e della gente

Le premesse e la chiave di lettura biblica e liturgica:
- Il nostro brano ha una singolare particolarità: narra l’unico episodio “inflazionato” nei vangeli. Infatti, nel totale, è raccontato per sei volte (una volta Luca e Giovanni, due volte ciascuno Marco e Matteo). Al di là della valutazione storico - critica di questa insolita frequenza, è evidente che la tradizione cristiana primitiva ha dato a quest’episodio un grande risalto.
- I rapporti letterari con gli altri racconti evangelici sono molto discussi, ma attualmente non si può stabilire definitivamente se ci siano e quali siano i rapporti diretti e indiretti fra i diversi racconti evangelici. Il parallelo più vicino a Giovanni sembra essere, qui, il primo testo di Marco (6,30-54), ma Giovanni avrebbe comunque attinto a una fonte autonoma, che ha rielaborata in modo che fosse in stretta relazione con il discorso seguente.
- Come avviene di solito nel quarto vangelo, al “segno”, che in questo caso è un miracolo, è strettamente abbinato un discorso di grande importanza teologica. In questo caso, il discorso che segue copre quasi per intero il lungo capitolo sesto: è il discorso sul “pane della vita” (6,26-59), la grande fonte di riflessione teologica sul sacramento dell’Eucaristia.
- In tutto il testo, vi sono vari richiami a gesti, parole e idee caratteristici della liturgia cristiana, per cui sembra essere molto stretto il legame di questo brano con la tradizione liturgica della celebrazione eucaristica, soprattutto alla luce del fatto che il vangelo di Giovanni non riferisce l’istituzione dell’Eucaristia.
- Nel ciclo liturgico di quest’anno, basato sul vangelo di Marco, s’inserisce qui una serie di vangeli domenicali tratti da Giovanni. L’inserzione avviene proprio nel punto in cui si sarebbe dovuta leggere la moltiplicazione dei pani. La scelta della prima lettura è un classico esempio di illuminazione reciproca fra i Testamenti: si tratta di una moltiplicazione di pani operata dal profeta Eliseo (2Re 4,42-44). Il parallelo fra i miracoli illumina anche l’aspetto profetico della persona di Gesù. A sua volta, la seconda lettura (Ef 4,1-6) sottolinea uno degli aspetti della vita eucaristica della Chiesa: la comunione che si costruisce attorno a Cristo e si alimenta dell’unico pane eucaristico.
- I temi maggiori di questo brano, sono quelli che riguardano la simbologia del pane e della condivisione del pasto, anche in prospettiva escatologica. Altri motivi importanti presenti nel testo sono quelli della fede in Gesù e del suo modo di interpretare il messianismo, qui mostrato attraverso la filigrana della figura veterotestamentaria di Mosè.

La Parola che ci è donata
- Il “libro dei segni” del quarto vangelo: Il nostro brano si colloca nella parte del vangelo chiamata “libro dei segni” (da 1,19 a 12,50), nella quale sono descritti e commentati i sette grandi “segni” di autorivelazione (semeion, miracolo o azione simbolica) compiuti da Gesù in questo vangelo. Discorsi e “segni” sono strettamente correlati: si spiegano i “segni” con i discorsi teologici e nei “segni” si presentano plasticamente i contenuti dei discorsi, in un progressivo approfondimento della rivelazione divina e nel conseguente crescere dell’ostilità verso Gesù.
- Il capitolo 6 di Giovanni: Alcuni, per cercare di chiarificare la sistemazione dei particolari cronologici e geografici del capitolo 6, propongono di invertirne la posizione con il capitolo 5, ma ciò, comunque, non risolverebbe tutti i problemi. Meglio, dunque, rispettare e tenere ciò che la tradizione ci ha consegnato, pur avendo ben presenti le problematiche storico - redazionali, per non “accentuare indebitamente qualcosa che non sembra sia stato di grande importanza per l’evangelista” (R. Brown).
- Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade: Il lago viene identificato con una doppia denominazione; la prima è quella tradizionale, la seconda è adottata solo da Giovanni nel Nuovo Testamento (anche in 21,1), forse perché è emersa solo recentemente rispetto alla vita di Gesù e, quindi, è divenuta di uso comune nel periodo successivo alla sua morte e si è diffusa soprattutto in ambito ellenistico.
- Una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi: In precedenza (2,23-25) ritroviamo una situazione simile, nella quale molti credono in Gesù poiché avevano visto i “segni” che egli compiva. In entrambe le situazioni, Gesù mostra chiaramente di disapprovare tale motivazione (2,24-25; 6,5.26). I “segni” sugli infermi, cioè le guarigioni, che Gesù avrebbe compiuti in Galilea non sono narrati da Giovanni, a eccezione della guarigione del figlio del funzionario regio (4,46-54). Lo stesso evangelista, tuttavia, lascia intendere, con queste parole, di non aver narrato tutti gli avvenimenti e di aver compiuto una scelta fra le molte cose che avrebbe potuto consegnare ai lettori (cfr. anche 21,25).
- Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli: Non c’è modo di individuare quale sia questo monte. Gesù che, come Mosè, si siede attorniato dai suoi discepoli, è un tema che ritorna anche negli altri vangeli (cfr. Mc 4,1; Mt 5,1; Lc 4,20). Il gesto di sedersi per insegnare era normale per i rabbini, ma Giovanni - al contrario di Mc 6,34 - non accenna al fatto che Gesù abbia insegnato in questa circostanza.
- Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei: Nel quarto vangelo si fa riferimento a tre celebrazioni della Pasqua di Gesù, durante la vita pubblica. Questa sarebbe la seconda (la prima: 2,13; la terza: 11,55) e dà l’ambiente religioso e teologico di tutto quanto viene detto e fatto nel capitolo 6: il “pane donato” da Dio come la manna, la salita sul monte di Gesù come Mosè, il passaggio del mare come fu durante l’esodo (nell’episodio seguente: 6,16-21), il discorso centrato sul tema del pane che viene da Dio. A proposito del rapporto fra la manna donata a Israele nel deserto e la moltiplicazione dei pani, si registrano, inoltre, vari paralleli e richiami con Numeri 11 (vv. 1. 7-9. 13.22). Alcuni gesti di Gesù (a es. lo spezzare e dare il pane), come i molti dei temi teologici che toccherà nel discorso seguente, sono degli evidenti riferimenti ai gesti della liturgia del seder di Pasqua e alle letture della liturgia sinagogale della festa. La Pasqua, poi, è una festa primaverile e, infatti, Giovanni annota che vi “era molta erba in quel luogo” (6,10; cfr. Mt 14,19 e Mc 6,39).
- Gesù vide che una grande folla veniva da lui: In precedenza, all’inizio del racconto, sembrava che la gente lo seguisse da prima, mentre qui Giovanni sembra dire che la folla sta arrivando. Forse vi è qui un richiamo a uno dei temi teologici preferiti da Giovanni e molto sottolineati in questo capitolo: il venire a Gesù, espressione sinonima dell’adesione totale alla fede (3,21; 5,40; 6,35.37.45; 7,37 e altri).
- Disse a Filippo... Andrea, fratello di Simon Pietro: Sono due dei Dodici che in questo vangelo sembrano avere un ruolo particolare (cfr. 1,44 e 12,21-22), mentre negli altri vangeli restano in ombra. Pare che fossero particolarmente venerati in Asia minore, luogo in cui ha avuto origine il vangelo di Giovanni.
- “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”: La domanda a Filippo, forse si giustifica col fatto che egli proveniva da quella zona geografica. Se interpretiamo questa domanda alla luce di quelle simili presenti nell’intero vangelo (1,48; 2,9; 4,11; 7,27-28; 8,14; 9,9-30; 19,9), ne scopriamo la valenza Cristologica: chiedere da dove proviene il dono, vuol dire cercare di comprendere anche l’origine del donatore che, in questo caso, è Gesù; dunque la domanda conduce alla ricerca dell’origine divina di Gesù.
- Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare: Il “mettere alla prova” le reazioni del discepolo è indicato con un verbo (peirazein) che ha di solito un significato negativo, di tentazione, verifica o inganno. Il ruolo di questa frase, però, è di mettere al riparo il lettore dal dubbio che la domanda precedente di Gesù sia interpretata come espressione di ignoranza.
- “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un piccolo pezzo”: La cifra equivale al salario di duecento giorni di lavoro di un operaio (cfr. Mt 20,13; 22,2). Marco (6,37) si esprime in modo da far pensare che una tal quantità di pane sarebbe stata sufficiente alla necessità, ma Giovanni vuol sottolineare la grandiosità dell’opera divina e la sproporzione delle risorse umane. Allo stesso fine rispondono le parole di Andrea che seguono: “... ma che cos’è questo per tanta gente?”.
- “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesciolini secchi”: Il ragazzo, a giudicare dalla parola doppiamente diminutiva usata nel testo greco (paidarion) è proprio un “ragazzetto”: una persona senza alcuna importanza sociale. Lo stesso termine è usato in 2Re (4,12.14.25; 5,20) per il servo di Eliseo, Giezi. Il pane d’orzo, al contrario di quello fatto col frumento, era un cibo particolarmente semplice e a buon mercato, usato dai poveri. Sembrerebbe (cfr. Lc 11,5) che il pasto adatto a una persona fosse costituito da tre pani. I pesci secchi (opsarion, di nuovo indicati con un doppio diminutivo) erano il cibo comune da consumare con il pane.
- “Fateli sedere”... erano circa cinquemila uomini: In realtà, secondo l’uso del tempo, Gesù comanda di “farli adagiare” o “distendere”: il pasto dev’essere consumato in tutta comodità, proprio com’è prescritto per il pasto rituale della Pasqua e com’è d’obbligo nei banchetti. Tutti i racconti evangelici di quest’episodio riferiscono solo il numero degli uomini presenti.
- Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì... e lo stesso fece dei pesci: Questi gesti e parole di Gesù sono molto vicini a quelli del rito eucaristico, anche se non si può dire che l’uno derivi dall’altro. “Rese grazie” traduce qui eucharistein, che era comunemente usato in modo distinto da eulogein, benedire, che è il verbo usato dai vangeli sinottici i questo luogo; il primo verbo è caratteristico dell’ambiente di lingua greca, il secondo direttamente proveniente dagli ambienti di cultura ebraica. Se consideriamo il linguaggio in uso all’epoca in cui i vangeli furono redatti, non possiamo dire che fra le due espressioni evangeliche vi sia una notevole differenza di contenuti, anche se il richiamo di Giovanni ai sacramento eucaristico risulta molto più diretto per noi, abituati al linguaggio liturgico cristiano. Tant’è vero che il quarto evangelista utilizza lo stesso verbo anche in 11,41, dove non troviamo alcun richiamo al sacramento. Come il presidente della tavola rituale pasquale, Gesù spezza di persona il pane e lo distribuisce direttamente alla gente. Allo stesso modo farà nell’ultima cena. Con tutta probabilità, però, i fatti sono andati come raccontano i vangeli sinottici: Gesù diede il pane spezzato ai discepoli perché lo distribuissero, la folla infatti era davvero troppo grande perché Egli potesse fare tutto da solo. Giovanni vuole dunque concentrare tutta l’attenzione dei suoi lettori sulla persona di Gesù, vero e unico donatore del “pane del cielo”. Osserviamo bene l’andamento dei fatti: la moltiplicazione avviene solo dopo la divisione e la divisione del pane avviene solo dopo che un “piccolo” mette arditamente a disposizione di tutti le sue risorse irrisorie. Quei poveri, piccoli pani si moltiplicano man mano che si dividono! Gesù moltiplica ciò che noi accettiamo, un po’ alla cieca, di dividere con Lui e con gli altri.
- Finché ne vollero... furono saziati: È l’abbondanza promessa dai profeti per il tempo della salom e per il festoso banchetto escatologico (cfr. a es. Is 25,6; 30,23; 49,9; 56,7-9; Os 11,4; Sal 37,19; 81,17; 132,15). Dunque, non sbaglia la folla, quando afferma che Gesù “è davvero il profeta che deve venire nel mondo”: profeta che realizza la promessa divina dell’invio di un profeta “uguale a Mosè” (Dt 18,15-18) e che inaugura i tempi messianici imbandendo un banchetto gratuito e abbondante, come promesso dai profeti antichi.
- “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”: Entrano in scena i discepoli, con il compito di fare in modo che non si sprechi questo prezioso pane. Infatti, anche questo è un “pane che perisce” e non può reggere il confronto con il vero “pane del cielo” (cfr. 6,24). Il comando di raccogliere (synagein) gli avanzi rimanda a quanto prescritto riguardo la manna (cfr. Es 16,16 ss.).
- Riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati: Non si può stabilire con certezza se il numero dei canestri sia un voluto richiamo al numero dei discepoli. Di sicuro, la frase vuol sottolineare di nuovo la grande abbondanza di cibo venuta da quei piccoli pani d’orzo benedetti da Gesù. Giovanni sembra fare ben poca attenzione ai due pesciolini che erano stati offerti con i pani, forse perché il discorso che segue è tutto incentrato solo sul pane.
- Visto il segno: La motivazione che Giovanni ci riferisce per il miracolo appena compiuto non è la compassione per le folle; essa sarebbe stata ben compresa dai discepoli presenti che, invece, secondo Marco (6,52 e 8,14-21), non compresero il significato dell’avvenimento. Il quarto vangelo, quindi, mette in evidenza il significato di “segno” del miracolo.
- Stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo: Contrariamente agli altri evangelisti, Giovanni riferisce il motivo dell’improvvisa scomparsa di Gesù dopo il miracolo: voleva evitare che il suo ruolo di Messia fosse “inquinato” da manifestazioni politiche da parte della folla. Gesù conferma ancora una volta le sue scelte (cfr. Mt 4,1-10), che ribadirà fino alla fine, dinanzi a Pilato (19,33-37).

Alcune domande per orientare la riflessione e l’attuazione
a) Il pane viene moltiplicato perché qualcuno “molto piccolo” trova il coraggio di rinunciare ad aggrapparsi alle proprie sicurezze (anche se sono infime, ci sono: un po’ come le “cipolle d’ Egitto”) per rischiare un fallimento o una brutta figura. Il “ragazzetto” del racconto evangelico si fida di Gesù, anche se questi non aveva promesso nulla, in questo frangente. Io, noi faremmo la stessa cosa?
b) Il ragazzo è una persona insignificante, i pani sono pochi e i pesci ancora meno. Passando dalle mani di Gesù, tutto diventa grande e bello. C’è una grande sproporzione fra ciò che noi siamo e ciò che Dio ci fa diventare, se ci mettiamo a sua disposizione. “Nulla è impossibile a Dio”: né convertire i cuori più duri, né trasformare il male in strumento del bene... Dio colma ogni sproporzione fra noi e lui. Ci credo davvero, fino in fondo, anche quando tutto lo contraddice?
c) Il pane materiale che viene donato da Dio ci rimanda a quello che dovremmo condividere con i troppi uomini e donne che, sulla stessa terra che noi abitiamo e di cui sciupiamo spensieratamente le risorse, lottano disperatamente per un tozzo di pane. Quando preghiamo “dacci il nostro pane quotidiano” rivolgiamo almeno un pensiero a coloro che di questo pane mancano e a come potremmo andare loro incontro?
d) La fame fisica e il pane materiale ci rimandano anche alla “fame di Dio” e al banchetto escatologico. Sono realtà che spesso allontaniamo dal nostro pensiero, che preferiamo pensare lontane e distanti da noi. Eppure, tenerle sempre presenti ci aiuterebbe a relativizzare tante realtà e altrettanti problemi che ci sembrano troppo più grandi di noi, a vivere più serenamente preoccupandoci solo di ciò che è davvero essenziale. Quando, durante la celebrazione eucaristica acclamiamo “... nell’attesa della tua venuta” siamo davvero in attesa fervente del ritorno glorioso di Colui che ci ama e si d’ora provvede a noi?

Orazione finale: La Chiesa, sin dai suoi primi passi, ha celebrato l’Eucaristia quale cena pasquale del Signore in cui riecheggia l’evento della moltiplicazione dei pani. La nostra preghiera finale, perciò, oggi beneficia dell’eredità dai Cristiani del primo secolo: Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli. Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo servo. A te gloria nei secoli. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria del tuo nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali e la vita eterna per mezzo del tuo servo. Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te gloria nei secoli. Ricordati, Signore, della tua Chiesa, di preservarla da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli. Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di David. (dalla Didaché, 9-10).

RITO AMBROSIANO
ANNO B
IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
2Sam 6,12b-22
Sal 131
1Cor 1,25-31
Mt 8,34-38

L’umilità di Davide
Anche oggi, un episodio della vicenda di Israele come icona e preannuncio di un insegnamento ben più articolato che Gesù e Paolo esplicitano. Si tratta del re Davide che, pur nella sua grandezza, è felice di umiliarsi nella danza e nella festa in onore all’Arca di Jahvé insediata con solennità a Gerusalemme. L’insegnamento di Gesù esprime la logica di fondo dell’atteggiamento di Dio nei nostri confronti, lui “che svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7); e, di conseguenza, la logica del primato di Dio da riconoscere nell’agire cristiano, perché nella debolezza appaia sempre la potenza di Dio: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7). Ce n’è per non spaventarsi di una Chiesa che è minoranza, “piccolo gregge” (Lc 12,32), nel numero e nei mezzi; anzi di sentire quanto essa sia autentica quando si esprime nella logica della croce.
L’atteggiamento di Davide: Di Davide conosciamo anzitutto la sua giovanile impresa di vincere, lui inesperto ragazzo, la tracotanza di Golia: “Ti vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere di Israele, che tu hai sfidato (1Sam 17,45). La sua forza sta nel nome di Dio. Tutta la Bibbia, dall’impresa dell’Esodo alle conquiste di Israele, sottolinea l’agire prevalente di Dio; come, a partire da Mosè a tutti i profeti, la loro azione è sotto l’influsso di Dio. Il gesto ricordato oggi di un Davide tutto gioioso per aver dato una casa al suo Dio, esprime la sua umiltà e la sua grande stima per Colui che dal gregge l’aveva chiamato a divenire re di Israele. Riconosce che tutta la sua grandezza sta nella iniziativa di Dio. Dal nulla Dio ha chiamato Davide. Addirittura dall’essere persecutore della Chiesa, il Signore ha chiamato Paolo a divenire apostolo. “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (1Cor 15,9-10). Paolo ha ben coscienza, e diviene il suo messaggio centrale, che Dio ha scelto lui per pura misericordia perché la sua stessa vicende parlasse della gratuità e magnanimità di Dio: “Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm 1,15-16). Nel suo ministero Paolo ha sperimentato contrasti, persecuzioni, debolezze e prove. E così li legge: “È stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia; il Signore mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,7-10). È la logica di ogni apostolato, che mette in luce il prevalere dell’azione di Dio, e proprio là dove le risorse umane sembrano inadeguate. Per questo è scritto oggi: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a lui” (Epist.).
L’insegnamento di Gesù: Il paradosso del cristianesimo è la croce. Un Dio che salva con un fallimento umano. Ma quel fallimento umano di Gesù esprime in un modo radicale l’assoluta fiducia che la vita la dà Iddio, non le nostre capacità o conquiste umane. “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte. Per questo Dio lo esaltò” (Fil 2,5-10). L’ultima sua parola fu: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Quella resa a Dio gli ha fruttato la risurrezione e la vita. Gesù oggi è esplicito: “Chi vuol salvare la propria vita, la perderà. Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?”. Di fronte alla morte non c’è sbocco se non quello di legarsi al Signore della vita: “Chi si vergognerà di me.., anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria”. Il primato di Dio nella questione della.. pelle da salvare, si traduce poi nel suo primato anche nell’ambito della salvezza individuale. La Grazia precede e prevale su ogni nostra iniziativa di bene; è l’azione dello Spirito ciò che veramente trasfigura la nostra esistenza cristiana conformandola a Cristo. Non che sia negata la nostra parte di responsabilità, ma il risultato e il frutto della santità è ben oltre il nostro merito, ..e la nostra afficienza. In questo senso dice oggi Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. È la croce della obbedienza a Dio e della docilità allo Spirito, il scegliere cioè più il volere di Dio e le sue ispirazioni che non le nostre inventive e i nostri criteri di autorealizzazione. Il che suggerisce anche lo stile del Regno di Dio da costruire, che è lo spirito delle Beatitudini. “Poveri in spirito.., miti, misericordiosi, perseguitati per la giustizia..” (cfr. Mt 5,3-12). Il vangelo si trasmette non con il prestigio o il potere, né appoggiandosi sui mezzi umani della imposizione o dell’imbonimento mediatico, ma coi mezzi della persuasione, della testimonianza, della discrezione...: del contagio - diceva Martini! E più profondamente col credere e collaborare all’agire stesso di Dio, come strumenti congiunti nella santità, nella preghiera, e.. nel mezzo più povero ai nostri occhi: la preghiera di intercessione! Infine, entro “una generazione adultera e peccatrice” è da mettere in conto anche la persecuzione, la derisione, l’emarginazione. Ma “chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.
Immagine esemplare di affidamento pieno e di umiltà è sempre Maria, la madre di Gesù: “Ha guardato l’umiltà (la pochezza) della sua serva.., grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,48-49). La più grande attività è la docilità. Anche contro la nostra logica. Pietro dice: Non ho preso nulla.., ma “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Anzi, anche contro le nostre mancanze e peccati, perché proprio Pietro - pentitosi - fu scelto per essere il capo. Alla fine si è salvati.. non dalle opere nostre, ma dal perdono! È tutta una logica diversa.., che aveva già sconcertato la stessa moglie di Davide tremila anni fa.
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