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VINCENZO

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MessaggioTitolo: sabato 2 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 02, 2011 9:43 am

SABATO 2 LUGLIO 2011

CUORE IMMACOLATO DELLA BEATA VERGINE MARIA
MEMORIA
SABATO DOPO LA SOLENITTÀ DEL SACRO CUORE DI GESÙ


Preghiera iniziale: O Dio, che hai preparato una degna dimora dello Spirito Santo nel cuore della beata Vergine Maria, per sua intercessione concedi anche a noi, tuoi fedeli, di essere tempio vivo della tua gloria.

Letture:
Is 61,10-11 (Gioisco pienamente nel Signore)
Sal: 1Sam 2,1.4-8 (Il mio cuore esulta nel Signore, mio salvatore)
Lc 2,41-51 (Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo)

Memoria del Cuore Immacolato di Maria
Memoria mariana di origine devozionale istituita da Pio XII, l’odierna celebrazione ci invita a meditare sul mistero di Cristo e della Vergine nella sua interiorità e profondità. Maria, che custodisce la parola e i fatti del Signore meditandoli nel suo cuore (Lc 2,19), è dimora dello Spirito Santo, sede della sapienza (Lc 1,35), immagine e modello della Chiesa che ascolta e testimonia il messaggio del Signore. Lo Spirito Santo che ha preparato il Cuore della Vergine Maria a essere la dimora del Cristo e il tempio vivente di Dio. La grazia porta anche a noi la presenza divina, che ci consacra e ci dà gioia
Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: “Questa stanza è immacolata”, intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: “Appari immacolato” significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola “cuore” si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: “Abbi cuore” comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, “serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,51). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo. Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose, uno le serba nel suo cuore.

Lettura del Vangelo: I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.

Riflessione
- La dinamica del racconto. All’inizio c’è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell’osservanza della legge. Un angoscioso incidente – Gesù dodicenne si perde – offre l’occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v.47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L’evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv.39-40) e con quest’ultimo motivo (vv.51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.
- Dio come il Padre suo (v.51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio. Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell’obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo. La risposta ai genitori che l’hanno cercato e l’hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell’identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v.50).
- La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all’attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v.52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un’attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall’ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.

Per un confronto personale
- I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?
- Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?

Dagli scritti
Dai «Sermoni» di san Lorenzo Giustiniani, vescovo
Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore
Maria meditava nel suo cuore tutto ciò che assimilava con la lettura, la vista, l’udito, e che crescita grande realizzava nella fede, che acquisto faceva in meriti, di quanta saggezza veniva illuminata e di quale incendio di carità andava sempre più avvampando! Schiudeva verso di sé la porta dei misteri celesti e si colmava di gioia, si arricchiva copiosamente del dono dello Spirito, orientandosi verso Dio, e nel medesimo tempo si conservava nella sua profonda umiltà. L’opera del dono divino ha questo di caretteristico, che eleva dagli abissi al vertice e porta di gloria in gloria. Beato il cuore della Vergine Maria che, avendo in sé lo Spirito e godendo del suo insegnamento, rimaneva docile alla volontà del Verbo di Dio! Maria non era mossa da un suo sentimento o da proprie voglie, ma seguiva esternamente le vie della fede che la sapienza le suggeriva interiormente. E veramente si addiceva a quella Sapienza divina, che si costruisce a propria abitazione la casa della Chiesa, di servirsi di Maria santissima per inculcare l’osservanza della legge, la norma dell’unità e l’esigenza dell’offerta spirituale. O anima fedele, imita la Vergine Maria. Entra nel tempio del tuo cuore per essere spiritualmente rinnovata ed ottenere il perdono dei tuoi peccati. Ricordati che Dio ricerca piuttosto l’intenzione, con la quale compiamo le nostre azioni, che l’opera medesima che noi facciamo. Perciò sia che ci rivolgiamo con l’anima a Dio mediante la contemplazione e ci dedichiamo a lui, sia che attendiamo al progresso delle virtù e ci occupiamo assiduamente in opere buone a servizio del prossimo, tutto facciamo in modo da sentirci sempre spinti dalla carità. Ripetiamo, infatti, che l’offerta spirituale che purifica noi e sale gradita a Dio, non é tanto l’opera delle nostre mani in se stessa, quanto il sacrificio spirituale che si immola nel tempio del cuore, ravvivato dalla presenza e dal compiacimento di Cristo Signor nostro (Sermone 8, nella festa della Purificazione della B.V. Maria: Opera, 2, Venezia 1751, 38-39).

Preghiera finale: Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi, perché in esso è la mia gioia. Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del guadagno (Sal 118).
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MessaggioTitolo: domenica 3 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyDom Lug 03, 2011 10:01 am

DOMENICA 3 LUGLIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché Egli ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale Tu leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, sopratutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Zc 9,9-10 (Ecco, a te viene il tuo re umile)
Sal 144 (Benedirò il tuo nome per sempre, Signore)
Rm 8,9.11-13 (Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete)
Mt 11,25-30 (Io sono mite e umile di cuore)

Venite a me!
«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò». Ci giunge sempre propizio quest’invito del Signore, particolarmente in questo periodo dell’anno in cui sentiamo più urgente il bisogno di ristoro e di refrigerio. La stanchezza, l’oppressione fanno parte dell’esperienza umana, ne evidenziano i limiti e la fragilità, e spesso non bastono i nostri ristori per lenirli. Il Signore sa bene del peso del nostro giogo, egli stesso se ne è fatto carico. Vuole perciò liberarci di quel peso che ci opprimerebbe fino ad ucciderci se restasse sulle nostre spalle. Non ci risulta particolarmente difficile trovare un qualche refrigerio al nostro corpo, è arduo però trovare il vero conforto per l’anima quando è oppressa dal male e appesantito dalle avversità. Per questo il Signore ancora una volta ci chiama a se e ci sollecita ad un incontro personale con lui. Ci instilla per questo pensieri di umiltà e di mitezza, le virtù che egli ha praticato in modo sublime e che a noi consentirebbe di affidarci fiduciosamente a lui. La presunzione umana genera l’accumulo dei pesi sulle nostre fragili spalle fino a sommergerci in una tomba infernale costruita con le nostre mani. Ed ecco la preghiera di Gesù per noi: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Siamo noi i “piccoli” quando con semplicità di cuore e con sincera umiltà, riconoscendo i nostri limiti, la nostra fragilità, ci affidiamo al Signore nella preghiera assidua e costante, per attingere da lui la forza che non abbiamo. Questa è la via per conoscerlo e amarlo: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. La rivelazione si apre alla nostra migliore comprensione proprio quando facciamo esperienza della bontà di Dio, trovando in lui il vero e completo ristoro. Così il gioco, pesante sulle nostre fragili spalle diventa dolce e il carico delle nostre miserie leggero. “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione”. La vita sacramentaria è quindi la nostra forza: quel “venite a me” lo ascoltiamo con particolare interesse e sollecitudine nel giorno del Signore, quando come singoli e come comunità siamo invitati alla sua mensa.
Gesù prega. Si rivolge a suo Padre. La sua preghiera è un’azione di grazie. Egli loda suo Padre, non in quanto tale, ma per ciò che fa. Si meraviglia di vedere la spontaneità dei bambini e la gente senza cultura rispondere alla sua predicazione. Come, d’altra parte, si dispiace di vedere allontanarsi da sé coloro che avevano tutte le possibilità di riconoscerlo (Gv 9,40-41). Qui la gioia di Gesù esplode. Nessuno lo mette in discussione, nessuno lo fa passare al vaglio di una critica saccente. Vi sono anche coloro che lo accolgono semplicemente, che spontaneamente intuiscono che non si tratta di capire tutto, ma di accettare d’essere amati. È veramente necessario assomigliare a quei bambini che Gesù ama e accarezza (Mc 10,16), e che sono felici di essere amati, perché non sono discussi. È veramente necessario abbassare le armi davanti a lui, a rischio di passare di fianco al più bell’incontro che un uomo possa fare senza accorgersene. E per colui che lo accoglie in tal modo Gesù serba le rivelazioni più grandi, quelle che nessuno può conoscere (Mt 11,27) e che trattano del mistero di Dio stesso. C’è di più. Coloro che pregano ne fanno l’esperienza. Dio parla loro quando essi si confidano a lui. Essi comprendono quando non sono sulle difensive. Essi amano veramente quando accettano di essere amati, poiché Dio ci ama sempre per primo (1Gv 4,10) ma noi ci difendiamo, non vogliamo essere sensibili, e facciamo fatica a lasciarci andare. Noi ci complichiamo la vita spirituale. Cerchiamo il difficile dove le cose sono semplici. Il giogo del Signore è leggero, poiché egli lo porta per noi.

Approfondimento del Vangelo (Il Regno di Dio rivelato ai piccoli)
Il testo: In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Una chiave di lettura: Quando Gesù si rese conto che i piccoli capivano la buona novella del Regno, si rallegrò intensamente. Spontaneamente si rivolse al Padre con una preghiera di ringraziamento e fece un invito generoso a tutti i sofferenti, oppressi dal peso della vita. Il testo rivela la tenerezza di Gesù nell’accogliere i piccoli e la sua bontà nell’offrirsi ai poveri come fonte di riposo e di pace.

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- Mt 11,25-26: Preghiera di ringraziamento al Padre
- Mt 11,27: Gesù si presenta come via che porta al Padre
- Mt 11,28-30: Invito a tutti i sofferenti e gli oppressi.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto del testo che ha richiamato maggiormente la mia attenzione e che più mi piace?
b) Nella prima parte (25-27), Gesù si rivolge al Padre. Quale immagine del Padre Gesù rivela nella sua preghiera? Quali i motivi che lo spingono a dar lode al Padre? E io, quale immagine ho di Dio? Come e quando lodo il Padre?
c) A si chi rivolge Gesù nella seconda parte (28-30)? Quale era il giogo che maggiormente pesava sul popolo di allora? E oggi, quale è il giogo che più affatica?
d) Quale è il giogo che mi da ristoro?
e) Come le parole di Gesù possono aiutare la nostra comunità ad essere un luogo di riposo per le nostre vite?
f) Gesù si presenta come rivelatore e come via al Padre. Chi è Gesù per me?

Una chiave di lettura per chi vuole approfondire maggiormente il contenuto
1) Il contesto letterario delle parole di Gesù: capitoli 10-12 del Vangelo di Matteo
- Nel Vangelo di Matteo, il discorso della Missione occupa tutto il capitolo 10. Nella parte narrativa, che segue dopo i capitoli 11 e 12, dove si descrive come Gesù realizza la Missione, appaiono incomprensioni e resistenze che Gesù deve affrontare. Giovanni Battista, che guardava Gesù con uno sguardo del passato, non lo comprende (Mt 11,1-15). Il popolo, che guardava Gesù a scopo di interesse, non è capace di capirlo (Mt 11,16-19). Le grandi città attorno al lago, che avevano udito la predicazione e avevano visto i miracoli, non vogliono aprirsi al suo messaggio ( Mt 11, 20-24). Gli scribi e i dottori, che giudicavano tutto a partire dalla loro scienza, non sono capaci di capire la predicazione di Gesù (Mt 11,25). Neppure i parenti lo capiscono (Mt 12,46-50). Solo i piccoli capiscono e accettano la buona novella del Regno. (Mt 11,25-30). Gli altri vogliono sacrifici, ma Gesù vuole misericordia (Mt 12,8). La resistenza contro Gesù porta i farisei a cercare di ucciderlo (Mt 12, 9-14). Essi lo chiamano Beelzebul (Mt 12,22-32). Ma Gesù non torna indietro: egli continua ad assumere la missione del Servo, descritto dal profeta Isaia (Is 42,1-4) e citato per intero da Matteo (Mt 12,15-21).
- Così, questo contesto dei capitoli 10-12 suggerisce che l’accettazione della buona novella da parte dei piccoli è la realizzazione della profezia di Isaia. Gesù è il Messia atteso, ma è diverso da quello che la maggioranza immaginava. Non è il Messia glorioso nazionalista, neppure un giudice severo, né un Messia re potente. Ma è il Messia umile e servo che “non spezza una canna incrinata, né spegnerà il lucignolo fumigante” (Mt 12,20). Egli proseguirà, lottando, fino a quando la giustizia e il diritto non prevarranno nel mondo (Mt 12,18.20-21). L’accoglienza del Regno da parte dei piccoli è la luce che brilla (Mt 5, 14), è il sale che dà sapore (Mt 5, 13), è il granello di senape che (una volta divenuto albero grande) permetterà agli uccelli del cielo di annidarsi fra i suoi rami (Mt 13, 31-32).
b) Breve commento alle parole di Gesù
- Matteo 11,25-26: Solo i piccoli possono capire e accettare la buona novella del Regno. Di fronte all’accoglienza del messaggio del Regno da parte dei piccoli, Gesù ha una grande gioia e, spontaneamente, trasforma la sua gioia in una preghiera di giubilo e di ringraziamento al Padre: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te”. I sapienti, i dottori di quel tempo, avevano creato una serie di leggi attorno alla purezza legale, che poi imponevano al popolo in nome di Dio (Mt 15, 1-9). Essi pensavano che Dio esigesse tutte quelle osservanze, perché il popolo potesse avere pace. Ma la legge dell’amore, rivelata da Gesù, affermava il contrario. Di fatto, quello che conta, non è ciò che facciamo per Dio, ma piuttosto quello che Dio, nel suo grande amore, fa per noi! I piccoli ascoltavano questa buona novella e si rallegravano. I sapienti e i dottori non riuscivano a capire un tale insegnamento. Oggi, come in quel tempo, Gesù sta insegnando molte cose ai poveri e ai piccoli. I sapienti e gli intelligenti farebbero bene a diventare alunni di questi piccoli. Gesù pregava molto! Pregava con i discepoli, pregava con il popolo, pregava da solo. Passava notti intere in preghiera. Giunse a riassumere tutto il suo messaggio in una preghiera di sette domande, che è il Padre Nostro. A volte, come in questo caso, i vangeli ci informano sul contenuto della preghiera di Gesù (Mt 11,25-26; 26,39; Gv 11,41-42; 17,1-26). Altre volte, ci fanno sapere che Gesù pregava i Salmi (Mt 26, 30; 27,46). Nella maggioranza dei casi, però, dicono semplicemente che Gesù pregava. Oggi ovunque si stanno moltiplicando i gruppi di orazione. Nel vangelo di Matteo, il termine piccoli (elachistoi, mikroi, nepioi) a volte indica i bambini, altre volte indica i settori esclusi della società. Non è facile distinguere. A volte ciò che è detto piccolo in un vangelo, è chiamato bambino in un altro. Inoltre non sempre è facile distinguere fra quello che appartiene all’epoca di Gesù e quello che è invece del tempo delle comunità per le quali sono stati scritti i vangeli. Ma anche così, ciò che risulta chiaro è il contesto di esclusione che vigeva in quell’epoca e l’immagine di persona accogliente verso i piccoli che le comunità primitive si facevano di Gesù.
- Matteo 11,27: L’origine della nuova Legge: il Figlio conosce il Padre. Gesù, essendo il Figlio, conosce il Padre e sa quello che il Padre voleva quando, in passato, aveva chiamato Abramo e Sara per formare un popolo o quando consegnò la Legge a Mosè per stringere l’alleanza. L’esperienza di Dio come Padre aiutava Gesù a intendere in maniera nuova le cose che Dio aveva detto in passato. Lo aiutava a riconoscere errori e limiti, dentro i quali la buona novella di Dio era stata imprigionata dall’ideologia dominante. L’intimità con il Padre gli offriva un criterio nuovo che lo collocava a diretto contatto con l’autore della Bibbia. Gesù non andava dalla lettera alla radice, ma dalla radice alla lettera. Egli cercava il senso nella fonte. Per capire il senso di una lettera, è importante studiare le parole che contiene. Ma l’amicizia con l’autore della lettera può aiutare a scoprire una dimensione più profonda in quelle parole, che il solo studio non è capace di rivelare.
- Matteo 11,28-30: Gesù invita tutti coloro che sono stanchi e promette loro riposo. Il popolo di quel tempo viveva stanco, sotto il duplice peso delle imposte e delle osservanze esigite dalle leggi di purità. E Gesù disse: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. Attraverso il profeta Geremia, Dio aveva invitato il popolo a scrutare nel passato per conoscere quale cammino buono poteva dar ristoro alle anime (Ger 6,16). Questa strada buona appare ora in Gesù. Gesù offre ristoro alle anime. Egli è la via (Gv 14,6). Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Come Mosè, Gesù era mite e umile (Num 12,3). Molte volte questa frase è stata manipolata per chiedere al popolo sottomissione, mansuetudine e passività. Quello che Gesù vuol dire è il contrario. Egli chiede che il popolo, per poter capire le cose del Regno, non dia tanta importanza ai “sapienti e dottori”, cioè ai professori ufficiali della religione del tempo, e che confidi di più nei piccoli. Gli oppressi devono cominciare ad imparare da lui, da Gesù, che è “mite e umile di cuore”. Nella Bibbia molte volte la parola umile è sinonimo di umiliato. Gesù non faceva come gli scribi che si vantavano della loro scienza, ma era come il popolo umile e umiliato. Egli, il nostro Maestro, sapeva per esperienza che cosa passasse per il cuore del popolo e quanto il popolo soffrisse nella vita di ogni giorno.
c) Per fare luce sull’atteggiamento di Gesù
- Lo stile di Gesù nell’annuncio della buona novella del Regno. Nel suo modo di annunciare la buona novella del Regno, Gesù rivela una grande passione per il Padre e per il popolo umiliato. Diverso dai dottori del tempo, Gesù annuncia la buona novella di Dio in qualunque luogo dove incontra gente che lo ascolta. Nelle sinagoghe durante la celebrazione della Parola (Mt 4,23). Nelle case degli amici (Mt 13,36). Camminando per strada con i discepoli (Mt 12,1-8). Lungo il mare, sulla riva della spiaggia, seduto sulla barca (Mt 13,1-3). Sulla montagna, da dove proclama le beatitudini (Mt 5,1). Nelle piazze dei villaggi e delle città, dove il popolo trasporta i malati (Mt 14,34-36). Anche nel tempio di Gerusalemme, durante i pellegrinaggi (Mt 26,55)! In Gesù, tutto è rivelazione di quello che dentro lo anima! Non solo annuncia la buona novella del Regno, ma è egli stesso una prova viva del Regno. In lui appare ciò che accade quando una persona umana lascia che Dio regni e prenda possesso della sua vita.
- L’invito della Sapienza Divina a tutti quelli che la cercano. Gesù invita tutti coloro che soffrono sotto il peso della vita a trovare in lui riposo e sollievo (Mt 11,25-30). In questo invito risuonano le parole tanto belle di Isaia che consolava il popolo stanco per l’esilio (Is 55,1-3). Questo invito è in relazione con la Sapienza divina, che convoca attorno a sé le persone (Sir 24, 18-19), affermando che “le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere” (Pro 3,17). Essa dice ancora: “La Sapienza educa i suoi figli e si prende cura di quanti la cercano. Chi la ama, ama la vita, quanti la cercano solleciti saranno ricolmi di gioia” (Sir 4,11-12). Questo invito rivela un aspetto molto importante del volto femminile di Dio: la tenerezza e l’accoglimento che consola, rivitalizza le persone e le fa sentire bene. Gesù è il sollievo che Dio offre al popolo affaticato!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

3 luglio: san Tommaso, Apostolo
Biografia: Tommaso è soprannominato “Didimo”, cioè gemello. Tutto quel che sappiamo per certo sul suo conto si trova nei Vangeli, dove si ritrova protagonista dell’episodio relativo alla sua incredulità e alla sua successiva professione di fede nella risurrezione di Cristo (Gv 20, 24ss). Secondo una tradizione molto antica predicò in India e vi fu martirizzato, ma non esistono prove decisive. Gli antichi scritti come il Vangelo di Tommaso risalgono a secoli posteriori (dal secondo al quarto) e non sono autentici. Nell’arte Tommaso è raffigurato come un uomo anziano con una lancia , o trafitto da una lancia, oppure inginocchiato davanti a Nostro Signore e nell’atto di toccargli il costato.

Dagli scritti
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20,24). Questo solo discepolo era assente. Quando ritornò udì il racconto dei fatti accaduti, ma rifiutò di credere a quello che aveva sentito. Venne ancora il Signore e al discepolo incredulo offrì il costato da toccare, mostrò le mani e, indicando la cicatrice delle sue ferite, guarì quella della sua incredulità. Che cosa, fratelli, intravvedere in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto? No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell’incredulità. L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il supermercato di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione. Toccò ed esclamò: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto» (Gv 20,28-29). Siccome l’apostolo Paolo dice: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono», è chiaro che la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli vien detto: «Perché mi hai veduto, ha creduto?» Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e riconobbe Dio, dicendo: «Mio Signore e mio Dio!». Credette pertanto vedendo. Vide un vero uomo e disse che era quel Dio che non poteva vedere. Ci reca grande gioia quello che segue: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece san Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1,6). E Giacomo scrive: «La fede senza le opere é morta» (Gc 2,26).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
III DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 2,4b-17
Sal 103
Rom 5,12-17
Gv 3,16-21

Dio ha mandato il figlio perché il mondo sia salvato
Se si è scomodato Dio a venirci a salvare, significa che nell’uomo c’è qualcosa di rotto che da sé non riesce ad aggiustare. E qualcosa di decisivo.., quale è la morte! La Bibbia dice che ciò che ha rotto l’uomo è il peccato. Realtà non facile da capire: complessa perché riguarda sia Adamo sia ogni uomo con la sua responsabilità. Conviene chiarire allora anzitutto cosa si intende per peccato, che c’entra Adamo e quale sia il ruolo di ognuno di noi. Ma questa del peccato non è tutta la realtà oggi esistente; e neanche mai esistita nel disegno stesso di Dio. Al peccato s’è contrapposto subito un Salvatore. Detto sinteticamente: l’uomo è stato previsto schiavo del peccato e liberato da Cristo. La sua definizione tecnica - è di sant’Ambrogio - è quella oggi di essere un “liberto”, appunto uno schiavo emancipato.
Schiavo: La pagina della creazione dell’uomo mette in luce che l’uomo non si è fatto da sé, ma è creatura di Dio. Dio gli ha affidato il creato perché lo “coltivasse e lo custodisse” (Lett.), non che se ne sentisse padrone assoluto. L’immagine del mangiare “dell’albero della conoscenza del bene e del male” significa la pretesa dell’uomo di sentirsi criterio ultimo di valore su ciò che esiste, e che ha già una sua legge intrinseca precedente la libertà dell’uomo. È stata la tentazione di Adamo e dell’uomo di sempre, e oggi così enfatizzata dalla nostra cultura secolarizzata, soggettivista e relativista. In questo consiste propriamente il peccato: sentirsi Dio al posto di Dio, l’uomo che presume di essere l’unico criterio della verità. Padrone di manipolare anche la vita, oltre che il creato. E alla fine anche manipolatore della coscienza, l’ultima voce interiore di ciò che è bene e male! “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, perché tutti hanno peccato” (Epist.). Il peccato originale compiuto da Adamo, in quanto capostipite e rappresentante di tutta l’umanità, ha lasciato tracce in ogni uomo, quasi “una goccia di veleno” (Benedetto XVI) che inquina la libertà, procurando in ognuno il sospetto nei confronti di Dio. Sospetto e ribellione che ogni uomo poi nella vita ratifica con suoi atti personali liberi. “In conseguenza del peccato originale, la natura umana è sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte” (Catechismo Chiesa Cattolica, nn. 76-77), e all’egoismo; mali che si aggravano e si “organizzano” in pesanti condizionamenti che determinano addirittura “strutture di peccato” nei quali l’uomo rimane coinvolto. Paolo parla di “un corpo di morte: nella mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato” (Rm 7,23). Fino a dichiarare: “In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). Bisogna prendere coscienza di questa ferita che inquina nel profondo la nostra esistenza causando grandi guai. Delle guerre, violenze e ingiustizie.. magari troviamo spiegazione. Inspiegabile alla nostra ragione invece è dolore, sofferenza e morte ..: costituiscono l’enigma della vita e provocano ribellione e disperazione. Solo la Bibbia indica la radice e la causa di ogni male, appunto nella ribellione a Dio e in quel che provoca nell’uomo. Solo la fede dice fino in fondo la verità dell’enigma uomo; e contro ogni sguardo ottimista (o autosufficiente) della vicenda umana indica nel peccato il male radicale. Tocca a noi cristiani crederci e proclamare tale verità con realismo. Tenendo presente che questo male non si vince né con la buona volontà né attraverso riforme o soluzioni umane. Proprio da qui nasce la necessità di un intervento divino.
Liberto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Dio poteva inventare mondi diversi; ha fatto questo attuale incentrandolo in Cristo Redentore. Ha previsto insieme un uomo peccatore entro però l’orizzonte positivo di un Salvatore. Probabilmente perché voleva un mondo in cui brillasse di più la sua misericordia che non la sua benevolenza. O anche perché si valorizzasse la libertà dell’uomo. O soprattutto perché più concretamente l’uomo capisse che la vita piena non è sua conquista ma solo suo dono. Avendolo creato e destinato ad essere come Dio, erede di Casa Trinità, si manifestasse chiaramente che questo è un destino oltre le forze umane; ma anche oltre ogni opera meritoria umana, cioè attraverso un superdono che è il perdono. “Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). Paolo è meravigliato della “stravincita” in perdono voluta da Dio: “Il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono versati in abbondanza su tutti” (Epist.). Questo è progetto fin dall’inizio. Pietro parla “dell’Agnello senza difetti e senza macchia predestinato già prima della fondazione del mondo” (1Pt 1,19-20). Già previsto il male, ma subito già deciso il riscatto. L’umanità non è mai esistita da sola, cioè priva della solidarietà di Gesù Redentore, senza cioè la grazia del suo sacrificio e del suo perdono. Sant’Ambrogio cantava: “O Signore Gesù, sono più debitore ai tuoi oltraggi per la mia redenzione, che non alla tua potenza per la mia creazione. Sarebbe stato inutile per noi nascere, se non ci avesse giovato venire redenti” (In Luca). Libertà e grazia sono il binomio inscindibile perché l’uomo cammini a costruire una vita buona quaggiù e a raggiunga un destino di vita eterna. Purché la libertà guarita dalla grazia collabori: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. La nostra volontà è sì guarita, ma sempre libera di chiudersi alla luce e di rifiutare la medicina: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce. Chiunque fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate”. Chi si danna all’inferno è solo per colpa sua, duplice colpa: rifiuto della gratuita giustificazione nel battesimo e della grazia che sostiene, cioè la medicina dei sacramenti.
“Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?” (Is 5,4), sembra lamentarsi il Signore! A volte lo accusiamo dei guai della vita; ma lui.. “che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?” (Rm 8,32). Guardare la vita sullo sfondo vero del disegno di Dio apre il cuore (e la ragione) a una serenità (e razionalità) maggiore, e soprattutto a una grande speranza. Veramente solo il vangelo è “buona notizia”!
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MessaggioTitolo: sabato 9 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 09, 2011 9:54 am

SABATO 9 LUGLIO 2011

SABATO DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna.

Letture:
Gn 49,29-33; 50,15-24 (Dio verrà a visitarvi e vi farà uscire da questa terra)
Sal 104 (Voi che cercate Dio, fatevi coraggio)
Mt 10,24-33 (Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo)

Non abbiate paura!
La violenza ingiustificata genera timori e paure in coloro che la subiscono, è normale per noi esseri umani. Le predizioni e le promesse rassicuranti di Gesù, per quanto indispensabili a sorreggere la fede dei suoi e generare in loro la fiducia, se non vissute in pienezza, non scansano la paura nei deboli. Il primo effetto della paura potrebbe essere quello di cedere alla tentazione di desistere dal proclamare e vivere il vangelo e dare la dovuta testimonianza. Tacere e nascondersi significherebbe però tradire il mandato ricevuto e venir meno alle promesse di fedeltà al Signore. Quindi Gesù ripete con forza la sua esortazione: «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti». La verità, quella che Dio ci ha donato nella rivelazione, non può essere taciuta e mai può diventare oggetto di compromesso. Riguardo poi alle violenze, egli con divina sapienza, ci invita innanzi tutto a discernere tra coloro che ci possono uccidere nel corpo, ma non hanno potere di uccidere la nostra anima e colui che ha il potere di uccidere l’anima e il corpo. Quello Spirito che è l’anima stessa della Chiesa e la forza dei suoi ministri e testimoni, ci guida nella fede verso una valutazione sapienziale dei valori della vita: siamo sollecitati a saper distinguere tra tempo ed eternità, tra anima e corpo, tra la forza, la potenza e le trame degli uomini e l’onnipotenza e la protezione di Dio. Con questa saggia valutazioni leggiamo e viviamo la storia, in questa prospettiva di salvezza siamo capaci di credere senza esitazioni che dobbiamo deporre ogni timore o paura perché «perfino i capelli del nostro capo sono tutti contati!». È stata poi la storia ad illuminarci ulteriormente, facendoci comprendere nella realtà dei fatti che i veri vittoriosi non sono mai stai i carnefici e i persecutori, ma i santi e martiri, che la Chiesa venera e il mondo ammira.
La conclusione della storia di Giuseppe ci illumina sul modo di porsi di fronte al male. Tanta gente si scandalizza e si chiede come mai Dio permetta tanti avvenimenti tragici, apportatori di sofferenze e di male. La storia di Giuseppe dà una duplice risposta: Dio rispetta la libertà delle sue creature; Dio permette il male perché può farlo servire al bene. Sono risposte che vanno approfondite. Dio ha permesso che i fratelli di Giuseppe agissero malvagiamente nei suoi confronti, e non li ha costretti ad agire bene perché ci ha creati liberi, rispetta la nostra libertà e vuole il nostro bene. Costringere qualcuno a fare il bene, infatti, non è mai efficace. Chi fa il bene perché vi è costretto non compie veramente il bene, ma subisce una dura oppressione e nel suo cuore continuerà a desiderare di compiere il male. Perciò Dio, volendo la nostra felicità, rispetta la libertà che ci ha dato perché possiamo agire bene liberamente, con amore e non per costrizione. Dall’altro lato Dio permette il male perché può farlo servire al bene. Afferma Giuseppe: “Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene”. È una riflessione profonda: Dio è in grado di capovolgere il senso delle azioni umane, ha questa misteriosa potenza che viene dalla sua infinita generosità. Però occorre fare un’osservazione: Dio cerca persone che accolgano questa sua azione. Giuseppe ha accolto il pensiero di Dio: invece di rispondere al male con il male, conoscendo la bontà e la misericordia di Dio ha agito come lui: ha rinunciato alla vendetta e ha perdonato. Quando ci poniamo il problema del male, dobbiamo farci sempre questa domanda: “Accetto le intenzioni che Dio ha su di me?”. Esse richiedono infatti una conversione che ci fa rispondere al male con il bene. Nella storia di Giuseppe possiamo vedere anticipato il mistero della croce. La croce di Gesù è l’esempio più straordinario del capovolgimento del male in bene, un capovolgimento che si è potuto realizzare perché Gesù ha aperto totalmente il suo cuore all’intenzione positiva di Dio di far servire al massimo bene il male tramato dagli uomini. il segreto della redenzione sta proprio nella generosa apertura di Gesù ad accogliere la volontà salvifica del Padre e a farla propria.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci presenta diverse istruzioni di Gesù sul comportamento che i discepoli devono adottare nell’esercizio della loro missione. Ciò che maggiormente colpisce in queste istruzioni sono due avvertenze: (a) la frequenza con cui Gesù allude alle persecuzioni e alle sofferenze che dovranno sopportare; (b) l’insistenza tre volte ripetuta al discepolo di non avere paura.
- Matteo 10,24-25: Persecuzioni e sofferenze che marcano la vita dei discepoli. Questi due versetti costituiscono la parte finale di una avvertenza di Gesù ai discepoli riguardo alle persecuzioni. I discepoli devono sapere che, per il fatto di essere discepoli di Gesù, saranno perseguitati. (Mt 10,17-23). Ma ciò non deve essere per loro motivo di preoccupazione, poiché un discepolo deve imitare la vita del maestro e condividere con lui le prove. Questo fa parte del discepolato. “Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone”. Se hanno chiamato Belzebù a Gesù, quanto più insulteranno i suoi discepoli! Con altre parole, il discepolo di Gesù dovrà preoccuparsi seriamente se nella sua vita non spuntano persecuzioni.
- Matteo 10,26-27: Non abbiate timore di dire la verità. I discepoli non devono aver paura di essere perseguitati. Coloro che li perseguitano, riescono a sovvertire il senso dei fatti e spargono calunnie che cambiano la verità in menzogna, e la menzogna in verità. Ma per grande che sia la menzogna, la verità alla fine trionferà e farà crollare la menzogna. Per questo, non dobbiamo aver paura di proclamare la verità, le cose che Gesù ha insegnato. Oggigiorno, i mezzi di comunicazione riescono a sovvertire il significato delle cose e le persone che proclamano la verità sono considerate criminali; fanno apparire giusto il sistema neoliberale che sovverte il senso della vita umana.
- Matteo 10,28: Non aver paura di coloro che possono uccidere il corpo. I discepoli non devono aver paura di coloro che uccidono il corpo, che torturano, che colpiscono e fanno soffrire. I torturatori possono uccidere il corpo, ma non riescono ad uccidere la libertà e lo spirito nel corpo. Devono aver paura, questo sì, del fatto che il timore di soffrire li porti a nascondere o a negare la verità, e ciò li spinga ad offendere Dio. Perché chi si allontana da Dio si perde per sempre.
- Matteo 10,29-31: Non aver paura, ma avere fiducia nella Provvidenza Divina. I discepoli non devono temere nulla, perché stanno nella mano di Dio. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Due passeri si vendono per un soldo, ma nessuno di essi cadrà a terra senza che il Padre lo voglia. Tutti i nostri capelli sono contati. Luca dice che nessun capello cade senza che il Padre lo voglia (Lc 21,18). E sono tanti i capelli che cadono! Per questo, “non abbiate timore. Voi valete più di molti passeri”. È la lezione che Gesù trae dalla contemplazione della natura.
- Matteo 10,32-33: Non aver paura di essere testimone di Gesù. Alla fine, Gesù riassume tutto nella frase: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. Sapendo che stiamo nelle mani di Dio e che Dio è con noi, in ogni momento, abbiamo il coraggio e la pace necessari per rendere testimonianza ed essere discepoli e discepole di Gesù.

Per un confronto personale
- Tu hai paura? Paura di cosa? Perché?
- A volte, sei stato/a perseguitato/a a causa del tuo impegno con l’annuncio della Buona Notizia di Dio che Gesù ci ha annunziato?

Preghiera finale: Degni di fede sono i tuoi insegnamenti, la santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore (Sal 92).
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MessaggioTitolo: domenica 10 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyDom Lug 10, 2011 10:28 am

DOMENICA 10 LUGLIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: La preghiera è, anche, disponibilità all’ascolto; è il momento propizio in cui avviene il vero incontro con Dio. Oggi, domenica del seminatore, vogliamo aprire il cuore all’ascolto della parola di Gesù con le parole di San Giovanni Crisostomo, per divenire, anche noi, ascoltatori docili e disponibili della Parola che salva: «Fa’, o Signore, che ascolti con attenzione e ricordi costantemente il tuo insegnamento, che lo metta in pratica con forza e coraggio, disprezzando le ricchezze e allontanando tutte le inquietudini della vita mondana...Fa’ che mi fortifichi da ogni parte e mediti le tue parole mettendo profonde radici e purificandomi da tutti gli attacchi mondani» (San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo secondo San Matteo 44,3-4).

Letture:
Is 55,10-11 8 La pioggia fa germogliare la terra)
Sal 64 (Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli)
Rm 8,18-23 (L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio)
Mt 13,1-23 (Il seminatore uscì a seminare); Mt 13,1-9 (forma breve)

Dove cade il seme di Dio
È dal principio, dalla creazione, che Dio va spargendo il suo buon seme nel mondo. Alitando su una massa informe, dopo aver creato dal nulla l’universo, ha fatto di noi, dandoci la vita, le sue creature predilette; creandoci a sua immagine e somiglianza e ha nobilitato la nostra natura, dotandoci di intelligenza e volontà. Anche quando, a causa del peccato, abbiamo deturpato la nostra immagine e rotto l’armonia che ci legava al Signore, Egli si è posto subito amorevolmente alla nostra ricerca, spargendo ancora il seme della sua parola nel cuore dell’uomo, nel tentativo di riprendere con noi un dialogo e ristabilire un’alleanza colpevolmente infranta. Ha affidato i suoi messaggi di salvezza a persone da lui stesso prescelte e dando loro il compito di profetare nel suo nome. Ancora una volta però quel seme, quelle parole, quelle sacrosante verità, non hanno trovato sempre la dovuta accoglienza: invece di cuori di carne ha trovato cuori di pietra, non accoglienti e incapaci di far fruttificare il seme. Ha trovato uomini dalla dura cervice: menti immerse nei grovigli delle passioni umane e nei mille affanni della vita e anche lì il seme è rimasto soffocato e il frutto non ha potuto maturare. Noi tutti conosciamo bene il «peso» di quella pietra, che grava sul nostro spirito: è la stessa che fu posta poi sul sepolcro di Cristo nell’insane tentativo di chiuderlo per sempre nelle viscere della terra. Anche quella pietra è stata definitivamente rimossa. Sappiamo bene anche il significato dei rovi e delle spine che soffocano la parola di Dio; andranno poi a coronare il capo del divino Salvatore nella sua passione. Comprendiamo anche il significato dell’ordine perentorio che Cristo darà dinanzi alla tomba del suo amico Lazzaro: «Togliete la pietra!». È la condizione per risorgere, per uscire dal buio della morte e del cuore, per poter poi ascoltare e percepire con chiarezza la Parola che rigenera e da vita. Ai nostri giorni viviamo ancora le stesse condizioni e corriamo gli stessi pericoli: la durezza del cuore è ancora una malattia frequente dello spirito e i grovigli delle spine e della umane preoccupazioni ci assillano più che mai. Dissodare il terreno dello spirito per renderlo capace di accogliere il seme di Dio che feconda ogni umana esistenza, significa concretamente imparare a stimare i valori dell’anima, spiritualizzare la vita, recuperare la vista e l’udito per accorgerci ancora del Dio che passa seminando i suoi splendidi doni nei solchi della nostra esistenza. Sembrerebbe contraddittorio, ma per rendere fecondo il terreno della nostra anima dobbiamo distogliere lo sguardo dalla terra e rivolgersi con la migliore intensità alle cose del cielo, al pensiero di Dio. Lo diceva già San Paolo: «Cercate le cose di lassù e non quelle della terra». Chiediamo la grazia di riuscirci sempre.
Il Vangelo ci racconta - se si eccettua l’ultima frase - la storia di una catastrofe. Tutto comincia nella speranza e, nonostante questo, non tarda ad essere ridotto ad un nulla: gli uccelli mangiano il seme; il terreno pietroso gli impedisce di mettere le radici; le piante spinose lo soffocano... tutto segue il suo corso disperante. Tuttavia, in mezzo a questa catastrofe, Dio annuncia il suo “ma”: in mezzo al campo di concentramento di Auschwitz, padre Kolbe - morendo di denutrizione - loda ancora Dio onnipotente. Nella parabola del seminatore si incontra il “ma” di Dio: ci sono poche speranze, ma vi è almeno una terra buona per portare cento frutti. È con gli occhi di Gesù che bisogna leggerle questo genere di storie catastrofiche. E bisogna leggerle con Gesù fino in fondo. La prima parte mostra che tutto è vano. Eppure la storia di questa sconfitta porta ad una conclusione inattesa. Dio, nella sua infinita misericordia, non lascia che il seminatore soccomba come un personaggio tragico. Forse abbiamo qui, davanti a noi, una legge che vale per tutte le azioni di Dio nel mondo. Poiché la causa di Dio nel mondo è spesso povera e poco appariscente. Quando la si prende a cuore, si può soccombere alla tentazione della disperazione. Ma le storie di Dio hanno un lieto fine. Anche se all’inizio nulla lascia presagirlo. Forse Gesù non racconta solo questa storia alle persone che sono sulle rive del lago. Forse la racconta a se stesso per consolarsi. Si chiede: cosa sarà di ciò che intraprendo? Si scontra con la cecità, il rifiuto, la pedanteria e la violenza. Non è ignaro delle sconfitte. “Ma” la sua parola porta i suoi frutti nel cuore degli uomini.

Approfondimento del Vangelo (La parabola della semente in terra)
Il testo: Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca! Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Contesto: Matteo colloca la parabola della semente con gli eventi precedenti dei capitoli 11 e 12 dove è menzionato il regno di Dio che soffre violenza. Il tema della nostra parabola, come di tutto il discorso in parabole nel capitolo 13, è il regno di Dio. La “casa” da cui Gesù esce è quella in cui aveva preso dimora a Cafarnao e dove si ritrova con i suoi discepoli (v.1: Quel giorno uscì di casa) e la sua uscita viene messa in relazione con quella del seminatore (v.3: e il seminatore uscì per seminare). Il suo “uscire” ha come approdo fisico o concreto la riva del lago (v.1: e si sedette presso il lago); tale luogo richiama il momento in cui Gesù aveva chiamato i suoi discepoli (4,18), ma, il mare è il luogo di passaggio verso i popoli pagani, quindi, rappresentava la frontiera fra Israele e il mondo pagano. Lo sfondo del discorso in parabole è, quindi, il lago di Genesaret, chiamato “mare” secondo l’opinione della gente. La sua uscita attira le folle. E mentre Gesù è seduto in riva al mare, sorpreso dalle stesse folle che affluiscono a lui, è costretto a salire in barca. Questa diventa la cattedra del suo insegnare. Gesù si rivolge ai suoi ascoltatori mediante un “parlare in parabole” che è diverso dall’insegnare o annunciare.

Un momento di silenzio orante: nel nostro agire frettoloso, che ci porta a essere protesi all’esterno, sentiamo il bisogno di una sosta pacata nel silenzio... in questo momento diventiamo ricettivi al fuoco della Parola...

Interpretare il testo
a) L’azione del seminatore: Il racconto parabolico parla di un seminatore, non di un contadino e la sua attività è caratterizzata dal contrasto tra perdita dei semi (13,4-7) e frutto abbondante (13,8). Inoltre una differenza è da notare tra la ricchezza dei particolari con cui viene descritta la perdita dei semi e la forma concisa del frutto abbondante. Ma alla quantità delle esperienze di insuccesso e di delusione rappresentate dalle varie perdite dei semi (lungo la strada... sul terreno roccioso... tra le spine...) si contrappone il grande raccolto che fa dimenticare l’esperienza negativa della perdita. Inoltre, nella parabola c’è una differenza temporale tra la fase d’inizio della semina e quella della fine che coincide con il frutto del raccolto. Se nei vari tentativi della semina il frutto è assente, tale mancanza rimanda al Regno di Dio, al momento in cui ci sarà il grande raccolto. Gesù, il seminatore, semina la parola del regno (13,19) che rende presente la signoria di Dio sul mondo, sugli uomini e che realizza il frutto finale. La parabola ha un tale forza persuasiva da portare l’ascoltatore ad avere fiducia nell’opera di Gesù che, per quanto segnata da insuccessi o delusioni, alla fine avrà un esito di successo.
b) Gesù, in disparte, comunica ai discepoli lo scopo del parlare in parabole (13,10-17): Dopo il racconto della parabola e prima della sua spiegazione (13,18-23) i discepoli si avvicinano a Gesù (il verbo avvicinarsi esprime il rapporto intimo con Gesù) e gli pongono una domanda esplicita, non vedono per quale motivo Gesù parli in parabole alla folla (v.10: Perché parli a loro in parabole?). La risposta alla loro domanda i discepoli la ricevono al v.13: «...parlo a loro in parabole, perché essi, pur vedendo, non vedono e, pur udendo, non odono né capiscono». É come dire: le folle non percepiscono né comprendono. Gesù non intende forzarle a capire. Infatti finora Gesù ha parlato e agito con chiarezza, ma le folle non hanno compreso; ma, essendo venuta meno la condizione per continuare a esporre il suo messaggio nella sua radicalità - cioè la comprensione - ricorre al linguaggio delle parabole che, essendo più velato potrà stimolare le folle a pensare di più, a riflettere sugli ostacoli che impediscono la loro comprensione dell’insegnamento di Gesù. Sembrano ripetersi le circostanze del tempo di Isaia, quando il popolo era chiuso al messaggio di Dio (Is 6,9-10) e come tale situazione di rifiuto previsto dalla tradizione biblica si ripeta ora nella folla che “vede-ascolta” ma non comprende. Rispetto alla folla i discepoli hanno una posizione privilegiata (13,11). Gesù lo mostra nella prima parte della risposta quando distingue tra quelli che vengono messi a conoscenza dei del regno e quelli che ne vengono esclusi. La conoscenza dei misteri di Dio – cioè il piano di Dio - è possibile con un intervento di Dio e non con le proprie forze umane. I discepoli vengono presentati come coloro che comprendono la parola di Gesù non perché sono più intelligenti, ma perché è lui stesso a spiegare loro la sua parola. L’incomprensione delle folle diventa la causa del parlare in parabole: esse non capiscono Gesù, quindi, mettono in evidenza la loro palese incomprensione ostinata o meglio l’incapacità a discernere. I discepoli, al contrario, sono dichiarati come beati perché possono vedere e ascoltare.
c) La spiegazione della parabola (13,18-23): Gesù, dopo aver espresso i motivi del suo parlare in parabole, illustra la sorte della parola del Regno nei singoli ascoltatori. Sebbene vengano elencati quattro tipi di terreni, due sono le tipologie di ascoltatori che vengono messe a confronto: chi ascolta la Parola e non comprende (13,19) e chi ascolta la Parola e comprende (13,23). Interessante è notare che Matteo, a differenza di Marco, racconta la storia al singolare. É l’impegno personale il banco di verifica del vero ascolto e della vera comprensione. La prima categoria di ascoltatori evidenza l’ascolto della Parola (19), ma non la comprende. La comprensione della Parola è qui da intendere non a livello intellettuale, ma sapienziale, è necessario entrare nel suo significato profondo e salvifico. Nella seconda (13,20-21) la Parola, oltre che a essere ascoltata, è accolta con gioia. Tale accoglienza (mancanza di radici) diventa instabile quando all’entusiasmo dell’inizio segue la discontinuità della scelta, dovuta sicuramente a esperienze di sofferenza e persecuzione, inevitabili in ogni cammino di fedeltà all’ascolto di Dio. La terza possibilità evoca le preoccupazioni materiali che possono soffocare la Parola (13,22). Infine, l’esito positivo: il seme perduto nel triplice terreno viene compensato dal risultato fruttuoso. In sintesi vengono evocate nella parabola tre aspetti che segnano l’atto del credere, attivo e perseverante: l’ascoltare, il comprendere e il portare frutto.

Piste meditative per la prassi ecclesiale
- La parabola cosa può dire alla Chiesa oggi? Quale terreno presenta la nostra comunità ecclesiale? E a livello personale quale disponibilità interiore e comprensione manifestiamo davanti all’ascolto della Parola?
- Non è vero che i pericoli segnalati da Gesù ai suoi discepoli circa l’accoglienza della Parola interessano anche noi? Per esempio: l’incostanza di fronte alle difficoltà, la negligenza, la pigrizia, l’ansia per il futuro, le preoccupazioni quotidiane?
- I discepoli sono stati capaci di domandare a Gesù, di interrogarlo sulle loro preoccupazioni e difficoltà. Nel tuo cammino di fedeltà alla Parola di Dio a chi rivolgi i tuoi interrogativi, le tue domande? Dalla qualità delle nostre domande dipendono anche le risposte che Gesù sa comunicarci nel rapporto intimo e personale con lui.
- La figura del seminatore richiama quella della Chiesa nel suo impegno di evangelizzazione: saper comunicare in maniera nuova la figura di Gesù e i valori del vangelo. La Chiesa deve distinguersi per l’autorevolezza del suo insegnamento, per la franchezza del suo dire e per la forza della sua azione. Oggi si necessita di evangelizzatori fiduciosi, solerti e infaticabili. Ogni comunità ecclesiale è sollecitata dalla parabola del seminatore a non svolgere un’azione di selezione circa le persone o contesti sociali dove annunciare il vangelo; è necessario avere larghezza di vedute e dedicarsi anche alle situazioni che sembrano impossibili per comunicare il vangelo. Ogni azione pastorale di evangelizzazione conosce un primo momento di effimero entusiasmo, al quale, però, può seguire una risposta di freddezza e opposizione. I vari tentativi della pastorale, paragonabili al triplice tentativo del seminatore, alla fine sono ricompensati dall’abbondanza del triplice frutto. Certamente la parola di Gesù germoglia e fruttifica in cuori disponibili alla sua azione, ma non bisogna desistere nello scuotere il torpore, l’indecisione e la durezza d’ascolto di molti credenti.

Preghiera finale: Signore, la tua parabola sul seminatore, riguarda ognuno di noi, le strade della nostra vita, la durezza del vivere quotidiano, le difficoltà e i momenti di docilità e che costituiscono il nostro paesaggio interiore. Siamo tutti, di volta in volta: strada, sassi, spine. Ed anche terra fertile, buona. Liberaci dalla tentazione delle potenze negative che tentano di annullare la forza della tua Parola. Fortifica la nostra volontà quando emozioni fuggevoli, incostanze rendono meno efficace la seduzione della tua Parola. Aiutaci a conservare la gioia che l’incontro con la tua Parola sa generare nel nostro cuore. Rendi forte il nostro cuore perché nella tribolazione non ci sentiamo indifesi e quindi esposti allo scoramento. Donaci la forza di resistere alle resistenze che poniamo alla tua Parola quando sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, o siamo ingannati dal miraggio del denaro, sedotti dal piacere, dalla vanità di apparire. Rendici terreno buono, persone accoglienti, per essere capaci di rendere il nostro servizio alla tua Parola. Amen!

RITO AMBROSIANO
ANNO A
IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 6,1-22
Sal 13
Gal 5,16-25
Lc 17,26-30.33

Come avvenne nei giorni di Noè
Estate, tempo di vacanza..., anche dell’anima! Sulla spiaggia, nel villaggio, in tourné.. chi ha tempo e voglia di pensare a Dio? trovare la chiesa per la messa? Siamo in un mondo che vive.. come se Dio non fosse! Lavoro, affari, preoccupazioni..: basta pensieri seri, almeno un po’ di svago senza troppo rigore! Poi capita di aprire gli occhi in occasione di qualche disgrazia, di qualche fallimento, .. e la disperazione perché s’è perso il senso della vita, le certezze e le verità che ci possono aprire a qualche speranza, al coraggio per la ripresa. Si soccombe con la depressione, o si evade per non pensarci più: si sopravvive! Ma è vita? Dobbiamo sparire nel gorgo di un mare che ci sommerge .. fino alla morte, o c’è un’àncora di salvezza, un appiglio e una prospettiva di vita diversa? Appunto, un’arca che ci faccia galleggiare sul diluvio e ci garantisca una vita, una vita piena, felice; o meglio, una vita vera! Oggi la Parola di Dio ci richiama alla nostra responsabilità e ci prospetta uno sbocco positivo offertoci da Dio.
Non si accorsero di nulla: A sentire i discorsi al bar o sulla piazza, vien da pensare che spesso .. si viva fuori della realtà, si evada in centomila interessi fasulli, anzi contrari ai valori del Regno; distratti, come gli uomini del tempo di Noè.. che “non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti” (Mt 24,39). Proprio così: mangiavano e bevevano, facevano soldi e andavano a sciare ogni domenica, parlavano di Inter e Milan e di donne... e non s’accorgevano d’altro! Che cos’è l’anima? Che cos’è Dio? Che cos’è il mio destino ultimo? Tutti chiudono gli occhi, neanche più la morte li scuote. Tutti sembrano della gente immortale. L’umanità è come narcotizzata, addormentata dal consumismo e dall’edonismo materialista. E non s’accorge di nulla. Non s’accorge della superficialità, ma non s’accorge neanche del male che dilaga, del paganesimo che ha fatto perdere ogni valore e ogni verità, trascinando un mondo verso l’imbarbarimento e l’invivibilità. Paolo oggi ne fa un quadro spietato: “Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Epist.). Non solo non si vedono, tanto ci siamo immersi e abituati, ma - è sempre Paolo - quel che è peggio: “pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1,32). Basta sentire qualche dibattito televisivo o sfogliare qualche giornale .. quanto sfoggio supponente di emancipazione! “Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà”. Il riferimento è certamente al giudizio finale, ma Gesù spesso sollecita di essere attenti al Regno dei Cieli annunciato e iniziato tra noi con la sua venuta nella carne. Cioè questo tempo della Chiesa nel quale ognuno di noi è chiamato a fare le sue scelte di bene. “Riguardo a queste cose - cioè alle opere della carne - vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Epist). In questo senso Gesù è radicale: “Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva”. Chi pensa di vivere nell’indifferenza e nella malvagità pensando di arrangiarsi nella vita, alla fine sarà un fallimento, bloccato dalla morte e dal giudizio di Dio che esclude chi ha costruito lontano da lui!
Fatti un’arca: “Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra”: parola pesante, .. poteva farla finita con l’uomo! Invece il Signore disse a Noè: “Fatti un’arca di legno di cipresso..”. “Noè trovò grazia davanti al Signore.., era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio”. La scelta di Dio fu il coraggio di riprendere, di ricominciare da capo, di avere di nuovo fiducia nell’uomo! Proprio con Noè Dio rinnoverà l’alleanza, gradirà il sacrificio di ringraziamento dopo il diluvio, e porrà il segno dell’arcobaleno come promessa di non più distruggere l’umanità (Gen 9,8-17). Aveva trovato un uomo di fede, e “per questa fede ricevette in eredità la giustizia secondo la fede” (Eb 11,9). Gli è bastato un uomo giusto per ripartire.., come effettivamente avverrà con Gesù, il Giusto innocente che davanti a Dio riconcilia tutta l’umanità e dà definitivamente avvio alla nuova ed eterna alleanza. L’arca che salva dal marasma del mondo è la Chiesa, alla quale Cristo ha affidato il Suo Spirito capace di cambiare i cuori degli uomini: “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Epist.). Ne vengono frutti di vita diversi e tanto salutari: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sè” (Epist.). Tutto un altro mondo, che noi cristiani, “guidati dallo Spirito di Dio” (Rm 8,14), siamo chiamati a vivere come primizia e segno, cioè sale, luce, lievito. Pur in mezzo ad un mondo che sembra andare alla deriva, noi credenti siamo annunciatori e costruttori di speranza, perché conosciamo il vero cuore di Dio, sempre pronto alla misericordia e al perdono. Non profeti di sventura o di castighi divini che scombussolano il mondo. Anche le calamità naturali che spaventano, vanno lette come una dura pedagogia divina all’eccesiva presunzione di sentirci padroni del mondo, e come stimolo a una maggior solidarietà in una cultura individualista ed tanto egoista. Lo Spirito opera nella Chiesa, ma semina suoi impulsi di bene anche in tanti uomini giusti sparsi per il mondo. “Segni dei tempi”, risorse anche “anonime”, che nella sua regia di salvezza Dio sa convogliare ad un disegno positivo: “per il governo della pienezza dei tempi, ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose” (Ef 1,10).
Stiamo rievocando in queste domeniche le vicende della nostra storia umana nella sua relazione con Dio; non propriamente dei fatti, ma una loro lettura religiosa. La lezione del tempo di Noè non è servita a fermare la corruzione dell’uomo e il suo rifiuto di Dio. Ma Dio ha promesso di non distruggere più l’uomo, ma di iniziare da dentro questa umanità una rapporto personale con quanti - con fede e in libertà - si vogliono aprire ad una sua amicizia. È la svolta della Storia della Salvezza che ora inizia con Abramo.
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MessaggioTitolo: sabato 16 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 16, 2011 11:49 am

SABATO 16 LUGLIO 2011

SABATO DELLA XV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme.

Letture:
Es 12,37-42 (Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dalla terra d’Egitto)
Sal 135 (Il suo amore è per sempre)
Mt 12,14-21 (Impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto)

Gesù e i farisei
La ferocia contro Gesù non si placherà mai. La verità che egli ha portato, la liberà dei figli della quale egli è il Profeta dà loro fastidio. Ieri abbiamo sentito lo scandalo per aver strappato qualche spiga nel giorno di sabato. Anche oggi cercano di toglierlo di mezzo, di chiudere la sua bocca. E Gesù, proprio come il servo mite ed umile, non contende ma si fa a parte, si allontana. È mite il Figlio di Dio che guarisce tutti. Compie veramente la figura del servo di Dio che non oppone resistenza con la violenza, ma con la mitezza del servo sofferente di Isaia del quale il egli dice: Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi. Non è facile mettersi da parte, specie quando crediamo di aver ragione, di stare nel giusto, di aver usato i carismi ricevuti secondo la volontà di Dio. Forse i destinatari della nostra carità non ne erano degni… allora scuotiamo la polvere dei nostri piedi, con amore e non disprezzo verso di loro e andiamo a fare la carità a coloro che hanno il cuore più aperto e gli occhi dell’anima più puliti, sapendo che tutto ha il suo tempo e il suo percorso. Ancora oggi, noi Cristiani, crediamo e preghiamo perché coloro ai quali per primi era rivolto l’annunzio della Buona novella capiscano e credano nella grande novità, nel grande compimento dell’antica promessa, portata al mondo da Gesù, Figlio di Dio.
Luca nel suo Vangelo dell’infanzia ci dice che Gesù era sottomesso a Giuseppe e a Maria. Come uomo, egli ha imparato la mitezza da sua madre, che non ha mai gridato, che ha alzato la sua voce solo per magnificare il Signore. Oggi il Vangelo ci presenta Gesù proprio come il servo mite e umile di cuore. E umile il Figlio di Dio che, di fronte ai farisei che tramano “per toglierlo di mezzo”, non contende, ma si allontana; è mite il Figlio di Dio che guarisce tutti. Compie veramente la figura del servo di Dio che non oppone resistenza con la violenza, ma con la mitezza, di colui di cui Isaia ha detto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi”. Ma c’è un altro aspetto. Per due volte Isaia, nel passo riportato dal Vangelo odierno, parla di “genti”, cioè dei pagani, di tutte le nazioni: “Annunzierà la giustizia alle genti”, “Nel suo nome spereranno le genti”. Appare chiaramente l’intenzione di Dio di estendere a tutto il mondo la sua carità, il suo amore forte e umile. Così si spiega anche la prima lettura. Dio si è scelto e formato un popolo, dopo averlo liberato dalle mani dei pagani. Ma tutti i privilegi che egli ha elargito a questo popolo: “l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi”, come scrive Paolo ai Romani (9,4), gli sono dati per la salvezza delle genti. Paolo stesso, ebreo da ebrei, è stato chiamato per essere l’apostolo delle genti. E san Pietro scrive nella sua prima lettera, parlando dei profeti: “Fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunziate”. Tutti i doni, tutte le grazie che il Signore ci fa sono per l’utilità di tutti, come scrive ancora Pietro: “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta mettendola a servizio di tutti”. Domandiamo a Gesù di spalancarci il cuore alla universale carità che riempie il suo, fornace ardente di carità

Lettura del Vangelo: In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi consta di due parti legate tra di loro: (a) Descrive le diverse reazioni dei farisei e della gente che ascolta la predicazione di Gesù; (b) Descrive ciò che Matteo vede in questa diversa reazione: la realizzazione della profezia del Servo di Yavè, annunciato da Isaia.
- Matteo 12,14: La reazione dei farisei: decidono di uccidere Gesù. Questo verso è la conclusione dell’episodio precedente, in cui Gesù sfida la malizia dei farisei, curando l’uomo che aveva la mano inarridita (Mt 12,9-14). La reazione dei farisei è stata di tenere un consiglio contro Gesù. Si arriva così alla rottura della relazione tra le autorità religiose e Gesù. In Marco questo episodio è molto più esplicito e provocante (Mc 3,1-6). Dice che la decisione di uccidere Gesù non era solo dei farisei, ma anche degli erodiani (Mc 3,6). Altare e Trono si uniranno contro Gesù.
- Matteo 12,15-16: La reazione della gente: seguire Gesù. Quando viene a conoscenza della decisione dei farisei, Gesù si allontana dal luogo dove si trova. La gente lo segue. Pur sapendo che le autorità religiose hanno deciso di uccidere Gesù, la gente non si allontana da Gesù, anzi lo segue. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, ordinando loro di non divulgarlo. La gente sa discernere. Gesù chiede di non divulgare la notizia, di non dire ciò che sta facendo. Grande contrasto. Da un lato, il conflitto di vita e morte, tra Gesù e le autorità religiose, dall’altro il movimento della gente desiderosa di incontrare Gesù! Soprattutto gli emarginati e gli esclusi che si presentavano a Gesù con le loro malattie e i loro mali. Loro che non erano accolti in società, e nell’ambito religioso, erano accolti da Gesù.
- Matteo 12,17: La preoccupazione di Matteo: Gesù è il nostro Messia. Questa reazione diversa da parte dei farisei e della gente spinse Matteo a vedere in questo una realizzazione della profezia del Servo. Da un lato, il Servo, era perseguitato dalle autorità che lo hanno insultato e gli hanno sputato in faccia, ma lui non si volta indietro. Rese la sua faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso (Is 50,5-7). Dall’altro il Servo è cercato ed atteso dalla gente. La folla venuta da lontano aspetta il suo insegnamento (Is 42,4). È esattamente ciò che sta avvenendo con Gesù.
- Matteo 12,18-21: Gesù adempie la profezia del Servo. Matteo riporta interamente il primo cantico del Servo. Leggi il testo lentamente, pensando a Gesù e ai poveri che oggi sono esclusi: “Ecco il mio servo che io ho scelto; il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Porrò il mio spirito sopra di lui e annunzierà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce. La canna infranta non spezzerà, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le genti”.

Per un confronto personale
- Conosci qualche fatto in cui le autorità religiose, in nome della religione, decisero di perseguitare ed uccidere persone che, come Gesù, facevano bene alla gente?
- Nella nostra comunità siamo servi di Dio per la gente? Cosa ci manca?

Preghiera finale: Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie (Sal 35).

16 luglio: Maria SS.ma del Monte Carmelo
Biografia: Nella Sacra Scrittura si celebra la bellezza del Carmelo, dove il profeta Elia difendeva la purezza della fede di Israele nel Dio vivente. Nel secolo XII alcuni eremiti si ritirarono su questo monte, ed in seguito fondarono un Ordine di vita contemplativa sotto il patrocinio della santa Madre di Dio, Maria. La festa del 16 luglio è strettamente collegata alla devozione allo scapolare, da cui hanno avuto origine varie confraternite e associazioni laicali. Tale devozione non è presente fin dagli inizi dell’Ordine, ma viene introdotta gradualmente fin dal XIV secolo.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di san Leone magno, papa
Viene scelta una vergine di discendenza regale della stirpe di Davide, che, destinata ad una sacra maternità, concepì il Figlio, Uomo-Dio, prima nel suo cuore che nel suo corpo. E perché, ignorando il disegno divino, non avesse a temere di fronte ad un evento eccezionale, apprende dal colloquio con l’angelo ciò che lo Spirito Santo avrebbe operato in lei. E colei che sta per divenire Madre di Dio, non pensa che ciò avvenga a scapito del pudore. Perché infatti non dovrebbe credere alla novità del concepimento, dato che le viene promesso l’intervento efficace della potenza dell’Altissimo? Inoltre la sua fede, già perfetta, viene confermata dalla testimonianza di un miracolo precedente: contro ogni aspettativa, viene accordata, cioè, ad Elisabetta la fecondità. Così non si poteva dubitare che, chi aveva dato la fecondità ad una donna sterile, la poteva dare anche a una vergine. Pertanto il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che in principio era presso Dio e per mezzo del quale tutto é stato fatto, e senza del quale niente é stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr. Gv 1,3), si é fatto uomo per liberare l’uomo dalla morte eterna. Ma, abbassandosi fino ad assumere la nostra umile condizione, non diminuì la sua maestà. Così, restando quello che era, ed assumendo ciò che non era, unì la vera natura di servo a quella che lo fa uguale a Dio Padre. Congiunse le due nature con un vincolo così meraviglioso, che né la gloria a cui era chiamata assorbì la natura inferiore, né l’assunzione di questa natura, diminuì la natura superiore. Salvo perciò restando ciò che era proprio a ciascuna natura e convergendo le due nature in una sola persona, ecco che l’umiltà é assunta dalla maestà, la debolezza dalla potenza e la mortalità dall’eternità. Per pagare il debito proprio della nostra condizione, la natura impassibile si é unita alla nostra natura passibile e il vero Dio e il vero uomo vengono ad unirsi in un solo Signore. In tal modo, proprio come conveniva alla nostra salvezza, l’unico, il «solo mediatore, fra Dio e gli uomini» (1Tm 2,5) poteva morire in virtù di una natura, e risorgere in virtù dell’altra. Perciò la nascita del Salvatore non recò il minimo pregiudizio all’integrità della Vergine, perché la nascita di colui che é la verità fu salvaguardia della sua purezza. Pertanto era conveniente, o miei cari, che Cristo «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24) nascesse in tal modo da porsi a nostro livello per la sua natura umana, e fosse infinitamente superiore a noi per la sua divinità. Difatti, se non fosse vero Dio, non ci avrebbe portato la salvezza, e se non fosse vero uomo, non ci avrebbe dato l’esempio. È per questo che alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto die cieli» e annunziano: «pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Essi infatti vedono che la Gerusalemme celeste é un edificio formato da tutti i popoli della terra. Se dunque di questa opera ineffabile della misericordia divina tanta gioia provano gli angeli, che sono creature eccelse, quanto dovranno goderne gli uomini che sono umilissime creature?
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MessaggioTitolo: domenica 17 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 16, 2011 11:51 am

DOMENICA 17 LUGLIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.

Letture:
Sap 12,13.16-19 (Dopo i peccati, tu concedi il pentimento)
Sal 85 (Tu sei buono, Signore, e perdoni)
Rm 8,26-27 (Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili)
Mt 13,24-43; forma breve: Mt 13,24-30 (Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura)

Il buon seme e la zizzania
«Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo». Ci stupisce e suscita in noi mille interrogativi quella strana mescolanza di bene e di male che in rivoli diversi scorre sotto i nostri occhi. Vediamo riversato nei nostri cuori la bontà di Dio, che ci muove al bene e alle migliori espressioni di amore, ma non sfugge al nostro sguardo il male che si nasconde nel nostro spirito, si annida nel nostro spirito per poi emergere prepotente fino a farci temere il soffocamento di ogni bontà. Non facciamo fatica a riconoscere le fonte primaria ed unica del bene che è in noi: l’ha seminato il buon Dio infondendo in noi un alito di vita e un germe d’immortalità. Ci ha resi simili a lui ornandoci di una grande dignità. Ha sparso nel campo del mondo come creatore il buon seme dando la vita a tutto ciò che esiste. Ci colma di stupore e di meraviglia quando contempliamo le sue opere: «Come sono grandi le tue opere, Signore!», esclamava il salmista. Poi quello stesso splendore appare ci deturpato nella natura e nella nostra vita: San Paolo afferma: «Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto». Al gemito della natura che ci circonda si associa sin dal principio il dolore dell’uomo: «anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo». Ed ecco l’interrogativo che da sempre l’uomo rivolge al suo creatore e signore: «Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?». È chiara la risposta del Signore: «Un nemico ha fatto questo». Anche il male ha la sua fonte; è scaturito da una ribellione che ha tramutato in odio l’amore. Si è insinuato nella vita dell’uomo e ne ha deturpato la splendida immagine che Dio vi aveva impresso. Da qui scopriamo l’effetto della zizzania sparsa nel campo del mondo. La frenesia del bene ci fa desiderare e sperare un intervento immediato del Signore che ci consenta di estirpare dalle radici il male dal nostro mondo, ma dobbiamo, pur senza rassegnarci ad esso, dotarci di pazienza e comprendere, alla luce dello Spirito, che ogni esperienza umana è da redimere perché vissuta nella realtà del peccato e poi affidata alla divina misericordia. Per questo il sacrificio di Cristo è un memoriale che si ripete con tutta la sua efficacia in continuità nella vita del mondo e di ogni uomo. Solo alla fine potremmo finalmente costatare che tutto è stato restaurato in Cristo e la giustizia ha vissuto in pienezza il suo trionfo.
Seguitemi, andiamo su una collina per osservare dall’alto il campo di cui si parla nel Vangelo. Guardiamo cosa succede. Noi non vediamo più il nemico, è molto tempo che è scomparso. Ciò che vediamo sono delle comunità. Vi sono i buoni cristiani, le persone tiepide, critiche, o complicate in seno alla Chiesa, i peccatori, gli indifferenti. Si fa fatica a distinguere chi fa parte del grano, chi della zizzania. Se continuiamo a guardare, notiamo delle piante che contengono sia del grano, sia della zizzania. Infine delle piante che cambiano. Il grano diventa zizzania e la zizzania grano. Nel campo regna la confusione. Vedo me stesso da qualche parte, sono tra il grano? O tra la zizzania? Vedo anche i miei colleghi: come mai quello lì è laggiù? È incredibile, si trova dove c’è un sacco di grano. Nel campo tutto ha il diritto di crescere, tutti hanno una possibilità. Poi vediamo, dalla nostra collina, i lavoratori. Tra di loro vi sono dei fanatici dell’ordine, dei giardinieri modello, degli artisti del paesaggio come al tempo rococò. Sognano giardini alla francese, in cui tutto è tagliato secondo le regole. Non vorrei cadere nelle loro mani. Sono pastori, o sceriffi che sorvegliano da vicino il loro settore? Ed ecco il contadino. Noi lo indoviniamo, più che vederlo veramente. È là ad aspettare, al fondo della sua casa. Aspetta, paziente, esultando già per la messe. Chiama con tutte le sue promesse colui - che dico? - coloro che vogliono venire a lui. Ripone la sua speranza in molti, in tutti, in tutto questo campo singolare.

Approfondimento del Vangelo (La misteriosa crescita del Regno)
Il testo: In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?. Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo!. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla?. No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Divisione del testo: Il testo consta di tre parabole, un intermezzo, e la spiegazione della prima parabola. Le tre parabole, quella della zizzania e del grano (13,24-30), quella del granello di senapa (13,31-32), e quella del lievito (13,33), hanno lo stesso scopo. Esse vogliono correggere l’aspettativa dei contemporanei di Gesù che credevano che il Regno di Dio avrebbe fatto irruenza con forza eliminando subito tutto ciò che gli era contrario. Attraverso queste parabole Gesù vuole spiegare ai suoi uditori che egli non è venuto per instaurare il Regno con potenza, ma per inaugurare i tempi nuovi gradualmente, nella quotidianità della storia, in un modo che spesso passa inosservato. Eppure la sua opera ha una forza inerente, un dinamismo e un potere trasformante che pian piano va cambiando la storia dal di dentro secondo il progetto di Dio... se si ha occhi per vedere! In 13,10-17, tra la parabola del seminatore e la sua spiegazione, l’evangelista inserisce un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli in cui il Maestro spiega loro il motivo per cui alle folle parla solo in parabole. Anche qui, tra le parabole e la spiegazione, l’evangelista fa un breve commento sul perché Gesù parla in parabole (13,34-35). Segue infine la spiegazione della parabola della zizzania e del grano (13,36-43). Ciò che colpisce in questa spiegazione è che mentre molti dettagli della parabola sono interpretati, non si fa un minimo cenno al fulcro della parabola, cioè al dialogo tra il padrone e i suoi servi riguardo alla zizzania che è cresciuta con il grano. Molti studiosi ne deducono che la spiegazione della parabola non risale a Gesù, ma è opera dell’evangelista e cambia il senso originario della parabola. Mentre Gesù intendeva correggere l’impazienza messianica dei suoi contemporanei, Matteo si indirizza ai cristiani tiepidi per esortarli e quasi minacciarli con il giudizio di Dio. Parabola e spiegazione fanno comunque parte del testo canonico e quindi vanno tenute ambedue in considerazione perché tutte e due contengono la Parola di Dio rivolta a noi oggi.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella riflessione personale.
- Di fronte al male che vedi nel mondo e in te stesso, quale è la tua reazione, quella dei servi o quella del padrone?
- Quali sono i segni della presenza del Regno che riesci a intravedere nel mondo e nella tua vita?
- Quale immagine di Dio emana da queste tre parabole? È questa la tua immagine di Dio?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento.
Il Regno di Dio: Nei due sommari che ci offre sul ministero di Gesù, Matteo lo presenta predicando il vangelo o la buona novella del Regno e sanando (4,23; 9,35). L’espressione “Regno dei Cieli” si trova 32 volte in Matteo. Essa è equivalente a “Regno di Dio”, che si trova solo 4 volte in Matteo, mentre è l’espressione più usuale nel resto del Nuovo Testamento. Per rispetto, gli ebrei evitano di menzionare non solo il Nome di Dio che è stato rivelato a Mosè (vedi Es 3,13-15), ma anche la parola Dio che sostituiscono con varie parole ed espressioni tra cui “Il Cielo” o “I Cieli”. Matteo, il più ebraico dei vangeli, si conforma a questa usanza. L’espressione non si trova nell’Antico Testamento, dove però si trova spesso l’idea della regalità di Dio su Israele e sull’universo e anche l’equivalente verbale dell’espressione neotestamentaria, “Dio regna”. Infatti il Regno di Dio, come viene anche presentato nel Nuovo Testamento, è soprattutto l’azione di Dio che regna e la situazione nuova che risulta del suo regnare. Dio è stato sempre re ma con il peccato Israele e l’umanità tutta intera si sottraggono dalla sua regalità e creano una situazione contraria al suo progetto originario. Il Regno di Dio si stabilirà quando tutto sarà di nuovo sottomesso al suo dominio cioè quando, accettando la sua sovranità, l’umanità realizzerà il suo disegno. Gesù ha proclamato la venuta di questi tempi nuovi (vedi ad esempio Mt 3,2). In qualche modo la realtà del Regno di Dio è resa presente e anticipata in lui e nella comunità fondata da lui. Ma la Chiesa non è ancora il Regno. Esso cresce misteriosamente e gradualmente fino a raggiungere la sua pienezza alla fine dei tempi.
La logica di Dio: La realtà del Regno e la sua crescita, come vengono descritti da Gesù, ci mettono di fronte al mistero di Dio i cui pensieri non sono i nostri pensieri. Noi confondiamo regalità con forza, con imposizioni, con trionfalismo. Ci piacciono le cose fatte alla grande. Consideriamo riuscita un’impresa che viene acclamata e a cui aderiscono molte persone. Queste purtroppo, sono tentazioni da cui anche la comunità cristiana si lascia sedurre e invece di essere a servizio del Regno si trova spesso in contrapposizione ad esso. Dio, da parte sua, preferisce portare avanti il suo progetto con le cose piccole, povere, insignificanti, e mentre noi abbiamo sempre fretta di portare a termine i nostri progetti, Dio sa attendere con molta pazienza e longanimità.

Orazione finale
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.
Tu, essendo giusto, governi tutto con giustizia.
Consideri incompatibile con la tua potenza
condannare chi non merita il castigo.
La tua forza infatti è il principio della giustizia,
e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti.
Mostri la tua forza
quando non si crede nella pienezza del tuo potere,
e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono.
Padrone della forza, tu giudichi con mitezza
e ci governi con molta indulgenza,
perché, quando vuoi, tu eserciti il potere (Sap 11,24 - 12,2.15-18).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
V DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gen 11,31.32b-12,5b
Sal 104
Eb 11,1-2.8-16b
Lc 9,57-62

Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì
La fede come obbedienza. Adamo aveva disobbedito perché non si fidava di Dio. Abramo inizia la serie di chi ormai, con un rapporto personale, obbedisce a Dio con totale fiducia. Tra gli uomini, Dio chiama tutti, in forme che sa lui inventare, però tutte efficaci a suscitare una risposta libera d’amore. Nasce così il popolo di Dio, la sua famiglia che coltiva con pazienza, per condurla alla piena partecipazione alla sua vita intima in Casa Trinità. Appunto alla “città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso” (Epist.).
La fede di Abramo: Dio chiamò Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Allora Abramo partì” (Lett.). Uscire da sé per seguire il Signore. Uscire dai propri progetti, dalle proprie sicurezze umane, dagli stretti orizzonti in cui soffoca la vita per guardare più in là - anche oltre la morte - verso orizzonti che danno respiro di giustizia e di solidarietà al proprio vivere quotidiano, e speranza per un oltre promesso di benedizione. “Ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione; in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Inizio e modello, Abramo, di quanti rispondono di sì alla chiamata di Dio. Una chiamata che è già nel cuore dell’uomo, fatto a immagine di Dio, con un bisogno e una nostalgia di lui. Chiamata che Dio continuamente rinnova, di fronte a un oblio di lui che sembra una maledizione posta alla radice della nostra libertà ribelle. “Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava” (Epist.). L’eredità promessa è una patria ben più grande “di quella da cui erano usciti: una patria migliore, cioè a quella celeste”. L’eredità è un figlio “impossibile” al calcolo umano, perché “Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso”. La fede è credere che Dio vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me. Allora: meglio il suo progetto del mio. Mi fido di lui. “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” (Mt 6,10). Questa fiducia amorosa è la radice d’ogni obbedienza: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio”. Questa fede ci fa appartenere a Dio: “Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio” (Epist.). Una fede che sembra una convenienza perché in fondo sappiamo - l’ha detto Gesù - “il Padre mio è più grande di tutti” (Gv 10,29). Ma Dio è esigente nell’amore, e vuole spremere da Abramo una obbedienza totale, una fede provata. “Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò” (Gen 22,2). Dio non vuole la morte del figlio ma il sacrificio radicale del cuore: “Ora so che tu temi e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito” (Gen 22,12). Un Dio che esige così tanto dall’uomo è colui che per primo è stato radicale nel dono di sé sacrificando effettivamente il suo Figlio unigenito per noi: “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32). Dono per dono, cuore totale per cuore totale.
La sequela di Gesù: Si dice di Gesù che, “mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione (“indurì la sua faccia” dice il testo greco) di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Questa ‘grinta’ il Signore la vuole anche per i suoi discepoli. Anzitutto liberi, leggeri, come una freccia che punta tutta al suo bersaglio, senza remore né ostacoli. “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Povertà e distacco è la base necessaria per una libertà di movimento, ma che più profondamente dice relativizzazione di tutto ciò che non è il tesoro del Regno. “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44). Paolo sarà più sfacciato contro tutta l’idolatria del possedere: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato da lui” (Fil 3,8). Si sente vibrare dentro il cuore l’orgoglio di un possesso grande che merita tutta una vita. “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”: altra espressione di una radicalità paradossale; “tu invece va’ e annuncia il Regno di Dio”. Anche gli affetti e i rapporti più sacri non sono un assoluto. Sta prima il Regno di Dio. L’uomo è fatto per Dio, la sua felicità piena sta nella comunione con Lui; non c’è cosa, persona o amore che lo possa saziare. Guai a chi assolutizza anche il più fortunato amore umano. Alla fine ne rimane deluso. Anche l’amore per i figli, anche l’amore coniugale deve far riferimento a Dio. “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Quante sbagliate tragedie inconsolabili io vedo vivere anche tra coloro che si dicono cristiani...! Alla fine è necessaria la perseveranza: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. L’essere cristiani non è una bella esperienza, magari giovanile, magari quando si aveva il buon tempo. È opzione fondamentale che deve prendere tutta la vita e, come ogni cosa seria, resa dura e purificata dalla prova, come s’è visto per Abramo (lett.). Il cristiano è creatura nuova, e deve tagliare i ponti col passato. Dei primi discepoli si dice che “lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11). “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39).
Radicalità per radicalità. Ma anche: generosità per generosità. Cristo non si lascia vincere in generosità per c hi si abbandona a lui: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).
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MessaggioTitolo: sabato 23 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 23, 2011 10:00 am

SABATO 23 LUGLIO 2011

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA
COMPATRONA D’EUROPA


Preghiera iniziale: O Dio, che salvi i peccatori e li rinnovi nella tua amicizia, volgi verso di te i nostri cuori: tu che ci hai liberato dalle tenebre con il dono della fede, non permettere che ci separiamo da te, luce di verità.

Letture:
Gal 2,19-20 (Non vivo più io, ma Cristo vive in me)
Sal 33 (Benedirò il Signore in ogni tempo)
Gv 15,1-8 (Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto)

Voi siete (…) del mondo!
La liturgia ci fa scegliere oggi tra due brani del vangelo. La pericope sulla vite e il brano sul sale e sulla luce. Scegliamo per la festa della Patrona d’Europa, il secondo…, vangelo provocante, per il celebre paragone di Gesù che disse proprio ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra…, voi siete la luce del mondo”. Ma notiamo la dimensione universalistica, espressa in “la terra” e “il mondo”. Il sale e la luce lo dobbiamo essere per l’intera umanità. Grandissima missione, essere uomini e donne che danno sapore e senso alla vita, che danno luce e convinzioni agli altri. Con altrettanta evidenza tuttavia c’è il rischio di essere insipidi, di perdere quella novità a cui tutti dovrebbero poter guardare per imparare a sperare in Dio. Se i discepoli venissero meno al loro compito rispetto al mondo, non servirebbero più a nulla, anzi, rischiano di essere “gettati via e calpestati dagli uomini”. “Voi siete”, grande fiducia da parte del Signore per i suoi discepoli! Grande responsabilità per i discepoli nei confronti di coloro a cui sono mandati! “Voi siete”, costituisce già un’entità, data certo come dono, in unione con Gesù, vera “luce degli uomini”. La luce, che non può essere nascosta come una città elevata e che sarebbe assurdo metterla sotto il moggio come la lucerna in casa, sono le “buone opere” dei discepoli. Si tratta di quelle opere che rendono visibili “la giustizia, la misericordia, la pace, l’impegno sociale” dei discepoli per mezzo delle quali si rivelano autentici figli di Dio. Infatti questo dovere, coerente e pratico dei discepoli è un irraggiamento di quella luce che deve condurre gli uomini a riconoscere la fonte luminosa e sapienziale: il Padre che è nei cieli. E se volessimo leggere ancora quel “voi siete…” nella luce della festa della Patrona d’Europa, santa Brigida? “Voi, siete per il mondo…”. Non risuonano forse queste parole come profezia?, come compito…, come funzione, come dovere? Di fronte al “mondo” che vede oggi nelle cose materiali il valore supremo… l’Europa deve dare il sapore giusto all’umanità. Che compito, che missione… che responsabilità… «Risplenda, allora, la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Riflessione:
- I Capitoli dal 15 al 17 del Vangelo di Giovanni ci presentano diversi insegnamenti di Gesù che l’evangelista mette insieme e colloca qui nel contesto amico e fraterno dell’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli:
a) Gv 15,1-17: Riflessioni attorno alla parabola della vite;
b) Gv 15,18 a 16,4a: Consigli sul modo di comportarsi se siamo perseguitati;
c) Gv 16,4b-15: Promessa sulla venuta dello Spirito Santo;
d) Gv 16,16-33: Riflessioni sull’addio ed il ritorno di Gesù;
e) Gv 17,1-26: Il Testamento di Gesù in forma di preghiera.
- I Vangeli di oggi e di domani presentano una parte della riflessione di Gesù attorno alla parabola della vite. Per capire bene tutta la portata di questa parabola, è importante studiare bene le parole usate da Gesù. Ed è anche importante osservare da vicino una vite o una qualsiasi pianta per vedere come cresce e come avviene il legame tra tronco e rami, e come il frutto nasce dal tronco e dai rami.
- Giovanni 15,1-2: Gesù presenta il paragone della vite. Nell’Antico Testamento, l’immagine della vite indicava il popolo di Israele (Is 5,1-2). La gente era come una vite che Dio piantò con molta tenerezza sulle colline della Palestina (Sal 80,9-12). Ma la vite non corrisponde a ciò che Dio si aspettava. Invece di uva buona produce un frutto acerbo che non è buono a nulla (Is 5,3-4). Gesù è la nuova vite, la vera vite. In una unica frase ci consegna il paragone. Dice: “Io sono la vera vite e mio Padre è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto!”. La potatura è dolorosa, ma è necessaria. Purifica la vite, così cresce e dà più frutti.
- Giovanni 15,3-6: Gesù spiega ed applica la parabola. I discepoli sono già puri. Sono stati già potati dalla parola che udirono da Gesù. Fino ad oggi, Dio opera la potatura in noi mediante la sua Parola che ci giunge dalla Bibbia e da tanti altri mezzi. Gesù allunga la parabola e dice: “Io sono la vite, e voi siete i tralci!”. Non si tratta di due cose distinte: da un lato la vite, dall’altro i tralci. No! La vite non esiste senza i tralci. Noi siamo parte di Gesù. Gesù è il tutto. Affinché un ramo possa produrre frutto, deve essere unito alla vite. Solo così riesce a ricevere la linfa. “Senza di me non potete far nulla!”. Il ramo che non dà frutto viene tagliato. Si secca ed è pronto per essere bruciato. Non serve a nulla, nemmeno per la legna!
- Giovanni 15,7-8: Rimanete nell’amore. Il nostro modello è quello che Gesù stesso visse nella sua relazione con il Padre. Dice: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore!”. Insiste nel dire che dobbiamo rimanere in lui e che le sue parole devono rimanere in noi. Ed arriva a dire: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato!”. Poiché ciò che più vuole il Padre è che diventiamo discepoli e discepole di Gesù e, così, produciamo molto frutto.

Per un confronto personale
- Quali sono state le potature o i momenti difficili nella mia vita che mi hanno aiutato a crescere? Quali le potature o momenti difficili che abbiamo avuto nella nostra comunità e che ci hanno aiutato a crescere?
- Ciò che mantiene la pianta unita e viva, capace di dare frutti, è la linfa’ che la percorre. Qual è la linfa’ che percorre la nostra comunità e che la mantiene viva, capace di produrre frutti?

23 luglio: Santa Brigida di Svezia, Compatrona d’Europa
Biografia: 1303-1373. Nata da una nobile famiglia svedese, Brigida sposò a meno di quindici anni un principe suo conterraneo, con il quale visse felicemente per ventotto anni ed a cui partorì otto figli. Si dimostrò una moglie laboriosa e amante della casa. Rimasta vedova fondò il monastero di Vadstena (1344) istituendo così l’Ordine del Santo Salvatore conosciuto anche con il nome di “brigidini”. È celebre per le visoni e le rivelazioni che Dio le concesse e che ella riportò per iscritto, per questo motivo fu definita “la mistica del Nord”. Morì a Roma tornando da Gerusalemme (23 Luglio) e fu canonizzata diciott’anni più tardi (1391). Proclamata compatrona d’Europa (1999).

Martirologio: Santo Brigida, religiosa, che, data in nozze al legislatore Ulfo in Svezia, educò nella pietà cristiana i suoi otto figli, esortando lo stesso coniuge con la parola e con l’esempio a una profonda vita di fede, Alla morte del marito, compì numerosi pellegrinaggi ai luoghi santi e, dopo aver lasciato degli scritti sul rinnovamento mistico della Chiesa dal capo fino alle sue membra e aver fondato l’Ordine del Santissimo Salvatore, a Roma passò al cielo.

Dagli scritti
Dalle «Orazioni» attribuite a santa Brigida
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver predetto prima del tempo la tua morte, per aver trasformato in modo mirabile, durante l’ultima Cena, del pane materiale nel tuo corpo glorioso, per averlo distribuito amorevolmente agli apostoli in memoria della tua degnissima passione, per aver lavato loro i piedi con le tue mani sante e preziose, dimostrando così l’immensa grandezza della tua umiltà. Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver sudato sangue dal tuo corpo innocente nel timore della passione e della morte, operando tuttavia la nostra redenzione che desideravi portare a compimento, mostrando così chiaramente il tuo amore per il genere umano. Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato condotto da Caifa e per aver permesso nella tua umiltà, tu che sei giudice di tutti, di essere sottoposto al giudizio di Pilato. Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato deriso quando, rivestito di porpora, sei stato coronato di spine acutissime, e per aver sopportato con infinita pazienza che il tuo volto glorioso fosse coperto di sputi, che i tuoi occhi fossero velati, che la tua faccia fosse percossa pesantemente dalle mani sacrileghe di uomini iniqui. Lode a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver permesso con tanta pazienza di essere legato alla colonna, di essere flagellato in modo disumano, di essere condotto coperto di sangue al giudizio di Pilato, di esserti mostrato come un agnello innocente condotto all’immolazione. Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per esserti lasciato condannare nel tuo santo corpo, ormai tutto inondato di sangue, alla morte di croce; per aver portato con dolore la croce sulle tue sacre spalle, e per aver voluto essere inchiodato al legno del patibolo dopo essere stato trascinato crudelmente al luogo della passione e spogliato delle tue vesti. Onore a te, Signore Gesù Cristo, per aver rivolto umilmente, in mezzo a tali tormenti, i tuoi occhi colmi di amore e di bontà alla tua degnissima Madre, che mai conobbe il peccato, né mai consentì alla più piccola colpa, e per averla consolata affidandola alla protezione fedele del tuo discepolo. Benedizione eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver dato, durante la tua mortale agonia, la speranza del perdono a tutti i peccatori, quando hai promesso misericordiosamente la gloria del paradiso al ladrone che si era rivolto a te. Lode eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per ogni ora in cui hai sopportato per noi peccatori sulla croce le più grandi amarezze e sofferenze; infatti i dolori acutissimi delle tue ferite penetravano orribilmente nella tua anima beata e trapassavano crudelmente il tuo cuore sacratissimo, finché, venuto meno il cuore, esalasti felicemente lo spirito e, inclinato il capo, lo consegnasti in tutta umiltà nelle mani di Dio Padre, rimanendo poi, morto, tutto freddo nel corpo. Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver redento le anime col tuo sangue prezioso e con la tua santissima morte, e per averle misericordiosamente ricondotte dall’esilio alla vita eterna. Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver lasciato che la lancia ti perforasse, per la nostra salvezza, il fianco e il cuore, e per il sangue prezioso e l’acqua che da quel fianco sono sgorgati per la nostra redenzione. Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver voluto che il tuo corpo benedetto fosse deposto dalla croce ad opera dei tuoi amici, fosse consegnato nelle braccia della tua addolorata Madre e da lei avvolto in panni, e che fosse rinchiuso nel sepolcro e custodito dai soldati. Onore eterno a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere risuscitato dai morti il terzo giorno e per esserti incontrato vivo con chi ha prescelto; per essere salito, dopo quaranta giorni, al cielo, alla vista di molti, e per aver collocato lassù, tra gli onori, i tuoi amici che avevi liberati dagli inferi. Giubilo e lode eterna a te, Signore Gesù Cristo, per aver mandato nel cuore dei discepoli lo Spirito Santo e per aver comunicato al loro spirito in immenso e divino amore. Sii benedetto, lodato e glorificato nei secoli, mio Signore Gesù, che siedi sul trono nel tuo regno dei cieli, nella gloria della tua maestà, corporalmente vivo con tutte le tue santissime membra, che prendesti dalla carne della Vergine. E così verrai nel giorno del giudizio per giudicare le anime di tutti i vivi e di tutti i morti: tu che vivi e regni col Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

Preghiera finale: Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome (Sal 95).
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MessaggioTitolo: domenica 24 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 23, 2011 11:23 am

DOMENICA 24 LUGLIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
1Re 3,5.7-12 (Hai domandato per te la sapienza)
Sal 118 (Quanto amo la tua legge, Signore!)
Rm 8,28-30 (Ci ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo)
Mt 13,44-52; forma breve Mt 13,44-46 (Vende tutti i suoi averi e compra quel campo)

Cercatori di perle
San Benedetto qualifica il monaco come «cercatore di Dio». “Quaerere Deum” cioé cercare Dio e metterlo al primo posto nella propria vita è l’ideale principale del monaco, un ideale condivisibile però da ogni cristiano. Come è condivisibile il motto benedettino: Ora et Labora: «Preghiera e Lavoro». Siamo stati dotati di intelligenza, di volontà e di energie fisiche e spirituali per cui dobbiamo essere assidui, laboriosi e diligenti cercatori e operatori del bene. Tutta l’esistenza, tutta la storia della nostra umanità deve tendere indefessamente ad un approdo finale di benessere totale e definitivo. È il primo impegno, è il lavoro per eccellenza che Dio stesso ci ha commissionato, lavoro che è diventato tragitto, ritorno verso la meta. È quello che noi chiamiamo paradiso e che il Vangelo di oggi paragona ad una perla preziosa e ad un tesoro nascosto nel campo. Tutto si identifica con il bene supremo ed ultimo, con il Sommo Bene, con Dio stesso. Viviamo per trovarlo, servirlo, amarlo in questo mondo e poi possederlo per sempre nell’eternità. Stiamo parlando del fine ultimo della nostra vita, della salvezza eterna della nostra anima, dotata di immortalità. È importante prendere coscienza del fatto che tutto è legato al nostro vivere quotidiano, alla scelte anche semplici di ogni giorno, al saper vivere il tempo che ci è dato in vista dell’eternità. Occorre il grande dono della fede ed in articolare il dono della Sapienza divina che ci rende capaci di scegliere, di valutare, di ponderare i beni che ci necessitano per vivere e quelli che ci consentono di raggiungere la meta ultima. Siamo soggetti alla seduzione e all’inganno: accade ancora che ci prenda la tentazione di credere che possa esistere un per noi un bene migliore di quello che il nostro Creatore e Signore ci offre per il presente e ancor più per il futuro. Le perle false sembra siano più numerose di quelle vere e preziose. L’idea di poter scoprire tesori nascosti ha ammagliato schiere di illusi cercatori. Il Signore Gesù si propone a noi come Luce del mondo, come lampada ai nostri passi, come via sicura e come verità incontestabile, come maestro e guida. Affidandoci a Lui non perderemo mai di vista l’obiettivo primario ed unico della nostra esistenza, sicuramente meriteremo il titolo di cercatori di Dio e di conquistatori del Regno. Basti pensare che il contrario è il disorientamento e l’affannarsi inutilmente. Chiediamo oggi la grazia dell’occhio puro, nel saper scegliere la perla vera, quella di vero valore… che duri per la vita eterna…
San Tommaso d’Aquino, il grande teologo del Medioevo, utilizza un’immagine: noi uomini siamo come una freccia già in piena corsa. Un altro ha preso la mira e ha tirato. Non spetta più a noi cercare un obiettivo: è già stabilito. E dove va questa freccia di cui il Creatore ha stabilito l’obiettivo? Ecco la risposta: la freccia corre verso il bene, e dunque verso la felicità. Dio, e la felicità di essere presso di lui, corrispondono alla più profonda aspirazione dell’uomo. Qui non vi è nulla di imposto, nessun compito da fare come penso, nessun passaggio a gincana, non dobbiamo stringere i denti. Come il ruscello scorre naturalmente verso il mare, così l’uomo è in cammino verso Dio. Questo insegnamento sugli uomini si trova nella parabola di Gesù che ci presenta il Vangelo. È riassunto in sette righe di una semplicità geniale. Il Regno dei cieli è proprio ciò che si cerca nel profondo del cuore. È come un tesoro di cui si scopre l’esistenza. È come una perla, la perla delle perle che il mercante ha cercato per tutta la sua vita. Se il mercante raggiunge il suo obiettivo, non è grazie alla sua tenacia, ma perché ciò gli è concesso in dono. Tuttavia il regno dei cieli non ci è tirato in testa. Bisogna impegnarsi personalmente, essere pronti anche a sacrificare tutto. Ma non per una cosa estranea. È ciò che abbiamo di più personale, e al tempo stesso un dono. E bisogna saper cogliere questo dono; bisogna essere pronti. Quando si raggiunge l’obiettivo, non bisogna crollare come dopo un eccesso di sforzo, ma esultare di indescrivibile gioia. Il segreto del cristianesimo può essere espresso in un’immagine di sette righe. Ce ne vogliono un po’ di più ai predicatori! Quanto a ciascuno di noi, ci vuole tutta una vita per capirlo.

Approfondimento del Vangelo (Scoprire i segni di Dio nella vita di ogni giorno)
Il testo: In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 13,44: Parabola del tesoro nascosto
- Matteo 13,45-46: Parabola del negoziante che cerca perle preziose
- Matteo 13,47-50: Parabola della rete gettata nel mare
- Matteo 13,51-52: Una parabola per concludere il discorso delle parabole

Chiave di lettura: In questa 17ª domenica comune meditiamo le tre parabole che compongono la parte finale del Discorso delle Parabole: il tesoro nascosto, il negoziante di perle preziose e la rete gettata nel mare. Le parabole di Gesù ci aiutano a sintonizzare il nostro sguardo per percepire meglio la presenza del Regno di Dio nelle cose più comuni della vita. Nel corso della lettura è bene fare attenzione a quanto segue: “Cosa è per me un tesoro nascosto, un negoziante di perle preziose o una rete gettata nel mare? Come la mia esperienza mi aiuta a capire le parabole del tesoro, della perla e della rete?”.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale parte del testo mi ha colpito maggiormente? Perché?
b) Secondo la mia esperienza di vita, cosa intendo io per tesoro nascosto, per negoziante di perle preziose, o per rete gettata nel mare?
c) Questa esperienza mia, come mi aiuta a capire le parabole del tesoro, della perla e della rete?
d) Quale è la differenza esistente tra le parabole del tesoro e della perla?
e) Cosa ci dice il testo sulla missione da svolgere in qualità di discepoli e discepole di Cristo?

Per coloro che volessero approfondire il tema
a) Contesto delle parabole pronunciate da Gesù: I vangeli contengono molte parabole di Gesù. Matteo arriva perfino a dire: “Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole” (Mt 13,34). Era il metodo usato comunemente in quella epoca per insegnare. Era così che Gesù si faceva capire alla gente. Nelle parabole, Gesù parte da cose assai comuni della vita e le usa come termine di paragone per aiutare le persone a capire meglio le cose meno conosciute del Regno di Dio. Nel vangelo di questa domenica, Gesù parte da tre cose ben conosciute della vita della gente: il tesoro nascosto nel campo, il negoziante che cerca perle e la rete che i pescatori gettano nel mare.
b) Commento del testo:
- Matteo 13,44: La parabola del tesoro nascosto. Qui, il termine di paragone per chiarire le cose del Regno di Dio è il tesoro nascosto nel campo. Nessuno sa che in quel campo c’è un tesoro. Un uomo lo trova per caso. Non sapeva che l’avrebbe incontrato. Lo incontra e si allegra ed accoglie con gratitudine l’imprevisto. Il tesoro scoperto non gli appartiene ancora, sarà suo solo se riuscirà a compare il campo. Erano così le leggi dell’epoca. Per questo va, vende tutto ciò che possiede e compra quel campo. Comprando il campo, acquisisce il tesoro. Gesù non spiega la parabola. Vale qui quanto detto in precedenza: “Chi ha orecchi intenda” (Mt 13,9.43). Ossia: “Il Regno di Dio è questo. Avete ascoltato. Ora cercate di capire!”. Se Gesù non spiega la parabola, non la spiego nemmeno io. È compito di ciascuno, di ciascuna di noi. Ma vorrei dare un suggerimento partendo da ciò che io stesso ho capito. Il campo è la nostra vita. Nella vita di tutti noi c’è un tesoro nascosto, tesoro prezioso, più prezioso che tutti i valori. Chi lo incontra dà tutto ciò che possiede per comprare quel tesoro? Tu lo hai trovato?
- Matteo 13,45-46: La parabola del mercante di perle preziose. Nella prima parabola, il termine di paragone era il “tesoro nascosto nel campo”. In questa parabola, l’accento è diverso. Il termine di paragone, non è la perla preziosa, ma l’attività, lo sforzo del mercante che cerca perle preziose. Tutti sanno che tali perle ci sono. Ciò che importa non è sapere che ci sono, ma cercarle senza sosta, fino ad incontrarle. Le due parabole hanno elementi comuni ed elementi diversi. In tutti e due i casi, si tratta di una cosa preziosa: tesoro e perla. Nei due casi c’è un incontro, e nei due casi la persona va e vende tutto ciò che ha per poter comprare il valore che ha trovato. Nella prima parabola, l’incontro avviene per caso. Nella seconda, l’incontro è frutto dello sforzo e della ricerca. Abbiamo qui due aspetti fondamentali del Regno di Dio. Il Regno c’è, è nascosto nella vita, in attesa di chi lo incontra. Il Regno è il frutto di una ricerca e di un incontro (procura). Sono le due dimensioni fondamentali della vita umana: la gratitudine di amore che ci accoglie e ci incontra, e l’osservanza fedele che ci porta all’incontro dell’Altro.
- Matteo 13,47-50: La parabola della rete gettata nel mare. Qui il Regno è simile ad una rete, non qualsiasi rete, bensì una rete gettata nel mare e che pesca di tutto. Si tratta di qualcosa di tipico nella vita di coloro che ascoltavano che nella stragrande maggioranza erano pescatori, che vivevano della pesca. Un’esperienza che anche loro hanno della rete gettata nel mare e che prende di tutto, cose buone e cose meno buone. Il pescatore non può evitare che entrino cose non buone nella sua rete. Perché lui non riesce a controllare ciò che avviene nel basso, in fondo all’acqua del mare, dove trascina la sua rete. Lo saprà solo quando tirerà la rete verso l’alto e si siederà con i suoi compagni per fare la cernita. Allora separeranno ciò che vale da ciò che non vale. Di nuovo, Gesù non spiega la parabola, ma dà un’indicazione: “Così sarà alla fine del mondo”. Avverrà una separazione tra i buoni ed i cattivi.
- Matteo 13,51-52: Conclusione del discorso parabolico. Nel vangelo di Matteo, il discorso parabolico termina con un breve dialogo tra Gesù e coloro che lo ascoltano che serve da chiave di lettura per tutte le parabole. Gesù chiede: “Avete capito queste cose?”. Risposta della gente: “Sì!”. E Gesù conclude con una frase molto bella: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. Questa frase finale è un’altra piccola parabola.”Le cose nuove e le cose vecchie che il padrone di casa tira dal suo deposito” sono le cose della vita che Gesù ha appena proposto nelle parabole: semi gettati nel campo (Mt 13,4-8), il grano di senapa (Mt 13,31-32), il lievito (Mt 13,33), il tesoro nascosto nel campo (Mt 13,44), il negoziante di perle preziose (Mt 13, 45-46), la rete gettata nel mare (Mt 13,47-48). L’esperienza che ognuno ha di queste cose è il suo tesoro. È in questa esperienza dove ognuno trova il termine di paragone per poter capire meglio le cose del Regno di Dio! A volte, quando le parabole non ci dicono nulla e non liberano il loro messaggio, la causa non è la mancanza di studi. Bensì la mancanza di esperienza nella vita o la mancanza di approfondimento della propria vita. Le persone che vivono in superficie senza approfondire le esperienze della propria vita, non hanno un deposito da dove estrarre cose nuove e cose vecchie.
c) Approfondimento: L’insegnamento delle parabole. Le parabole di Gesù sono uno strumento pedagogico che si serve della vita quotidiana per indicare come questa ci parla di Dio. Le parabole rendono trasparente la realtà, rivelatrice della presenza e dell’azione di Dio. Rendono contemplativo lo sguardo della persona. Una parabola riguarda cose della vita e per questo è un insegnamento aperto, che ci rende partecipi, che ci coinvolge, tutti abbiamo qualche esperienza delle cose della vita. L’insegnamento in parabole fa partire alla persona dalla sua esperienza delle cose comuni della vita per poter capire il Regno: seme, sale, luce, pecora, fiore, donna, bambini, padre, rete, pesce, tesoro, perla, rete, etc. Gesù non era solito spiegare le parabole. Generalmente, terminava con questa frase: “Chi ha udito, intenda!” (Mt 11,15; 13,9.43). Ossia: “È questo. Avete udito! Ora cercate di capire!”. Gesù lasciava aperto il senso della parabola, non lo determinava. Segno che credeva nella capacità che la gente aveva di scoprire il senso della parabola partendo dalla sua esperienza di vita. Ogni tanto, a richiesta dei discepoli, spiegava il significato. (Mt 13,10.36). Per esempio, i versi 36-43 spiegano la parabola del grano e della zizzania. È anche possibile che queste spiegazioni siano la riflessione della catechesi che si faceva nelle comunità dei primi cristiani. Le comunità si riunivano e discutevano le parabole di Gesù, cercando di capire ciò che Gesù voleva dire. Così, poco a poco, l’insegnamento di Gesù cominciava ad essere assimilato alla catechesi della comunità che fornisce poi una spiegazione della parabola.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Es 33,18-34,10
Sal 76
1Cor 3,5-11
Lc 6,20-31

Perché vostro è il regno di Dio
Mosè e Gesù, dall’antica alla nuova alleanza, dalla Legge alle Beatitudini, da Israele alla Chiesa: continuità e compimento; iniziativa salvifica e pedagogia di un Dio che mira a trasformare l’umanità a divenire riflesso della sua vita intima, poiché “Dio è amore” (1Gv 4,8). C’è un bisogno dell’uomo, cui Dio risponde: bisogno di conoscenza ed esperienza di Lui, bisogno di riscatto e di speranza, bisogno di relazioni nuove e di comunione coi propri simili che solo un “regno di Dio” può attuare tra noi. Le premesse poste nell’antico Israele maturano nel nuovo popolo di Dio, “campo di Dio, edificio di Dio” (Epist.).
Mosè: “Mostrami la tua gloria!”. Mosè cerca il volto di Dio. Non ne scorgerà dapprima che le spalle, a dire quanto sia trascendente e altro da noi Dio. Ma poi, nella intimità di una ulteriore richiesta, Dio presenta il suo biglietto da visita svelando la sua larghezza di cuore nel gestire la vicenda degli uomini: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma che non lascia senza punizione e castiga la colpa” (Lett.). Conoscere e possedere Dio è l’anelito di ogni uomo, lo sforzo di ogni religione. “Ma il mio volto non si può vedere”. Un giorno però lo ha fatto in un modo pieno: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi”. Per guidare il popolo Mosè sente di aver bisogno di Dio, si affida a lui, attende una sua iniziativa. La risposta divina è la rinnovata alleanza: “Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore”. Dio va oltre le aspettative di Mosè, si coinvolge con questo popolo per farne una sua famiglia (‘am usa il Deuteronomio) e guidarlo fino alla Terra Promessa. Il seguito dei fatti dell’Esodo e del Sinai sarà tutto un insieme di interventi divini a difesa e a sostegno anche materiale del popolo in cammino del deserto. Ma è “un popolo di dura cervice”, più spesso ribelle che fiducioso e obbediente al suo Dio. Ha bisogno continuamente di perdono: “Tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità”. Opera paziente di Dio che continuamente - come ha promesso - “farò passare davanti a te tutta la mia bontà”. L’alleanza sarà snobbata da parte del popolo, ma Dio rimane fedele. Si ripromette di .. fare di più, una alleanza più efficace, dove prevalente sia l’agire di Dio, più efficace la sua parte di collaborazione. “Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto” (Ger 31,31-32). Una alleanza più interiore: “Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore” (Ger 31,33). Ezechiele sarà più esplicito: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Porrò il mio spirito dentro di voi” (36,26).
Gesù: Proprio il dono dello Spirito sarà la radice e l’anima di quell’alleanza nuova e definitiva che Gesù istaurerà nel suo sangue. Più propriamente, la nuova legge del cristiano sarà lo Spirito Santo, colui che dà la vita, cioè sensibilità e forza a vivere da figli di Dio: “La legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8,1). “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). È lo Spirito che fa la Chiesa, ne fa il Corpo di Cristo, con membra diversificate per una comune edificazione: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,7). È opera di Dio: “È Dio che fa crescere”. Noi - dice Paolo - “siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (Epist.). Il Regno di Dio che, con le Beatitudini, Gesù annuncia è esattamente quella nuova umanità raccolta da Dio che corrisponde ad un bisogno di salvezza che sale da situazioni umane deteriorate e tragiche. “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che avete fame, perché sarete saziati, beati voi, che ora piangete, perché riderete..”. Finalmente si cambia, Dio irrompe come Giudice a dare credito al bene e liberare da ingiustizie e persecuzioni. Capiterà ancora di essere odiati, messi al bando, insultati e disprezzati “a causa del Figlio dell’uomo”, ma ormai si è certi di un mondo nuovo tenuto in mano da Dio: “Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli”. Guai agli altri.. che si tirano fuori da questo mondo nuovo ormai definitivo. È qui che si istaura finalmente una umanità sana, una vita buona capace di giungere fino ad amare i propri nemici. Il Decalogo di Mosè qui, nel Discorso della montagna, giunge al suo massimo livello, identificando il cuore della morale di Gesù nella stessa generosità e liberalità del Padre celeste che è misericordioso: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.. A chi ti percuote la guancia offri anche l’altra”. L’esempio immediato è il Gesù “mite e umile di cuore” (Mt 11,29) che dalla croce perdona i suoi persecutori. La legge del cristiano è una Persona che ha incarnato nella vicenda quotidiana quell’immagine che le Beatitudini di Matteo hanno tradotto come atteggiamenti spirituali per chi vuol appartenere al Regno di Dio.
“E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. Sembra una legge facile e ‘laica’. Ma dietro ci deve stare la coscienza del valore di ogni persona, l’uguaglianza e la sacralità che ognuno deve sentire di se stesso. Altrimenti al rispetto, e quindi alla solidarietà, si sostituisce la competitività, il possesso e la violenza. In realtà non può esistere una moralità laica né, in fondo dei diritti umani, se non c’è un fondamento ultimo che fa riferimento a Dio.
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MessaggioTitolo: 25 luglio 2011 - san giacomo apostolo   LECTIO - Pagina 8 EmptyLun Lug 25, 2011 8:16 am

LUNEDÌ 25 LUGLIO 2011

SAN GIACOMO
APOSTOLO


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli Apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per la sua gloriosa testimonianza conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila sempre con la tua protezione.

Letture:
2Cor 4,7-15 (Portiamo nel nostro corpo la morte di Gesù)
Sal 125 (Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia)
Mt 20,20-28 (Il mio calice, lo berrete)

Raccomandato ma Santo vero
«Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». È la madre dei due figli di Zebbedeo, soprannominati “Figli del tuono” che parla ed implora per loro un posto di privilegio nel futuro regno. Come ogni buona mamma aspira a vedere i suoi due figli al primo e al secondo posto nel “Regno”. Dalla risposta di Gesù appare evidente che a sollecitare la raccomandazione sono stati gli stessi due suoi figli Giacomo e Giovanni. Del resto non erano estranei a simili discorsi neanche gli altri apostoli. Mentre il Signore sta preannunciando la sua prossima passione, sente i suoi che lo seguono discutere su chi di loro dovrà essere il primo. Dice loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Il divino maestro non indugia ad indicare di che trono si tratti e quale è la condizione per sedervi. Il suo regno non è di questo mondo e aggiunge che vuole essere il primo deve essere l’ultimo di tutto e il servo di tutti. Si tratta di bere il calice amaro della passione, di offrirsi in libagione come vittime. Gesù dinanzi a quella passione atroce invocò il Padre suo celeste: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Dovranno arrivare i giorni della passione, dello scandalo della croce, della fuga e della paura per comprendere che cosa significhi bere il calice. Sia Giacomo che Giovanni berranno allo stesso calice di Cristo e coroneranno con la palma del martirio la loro vita. Così ci si svela il vero valore della sofferenza e del martirio: è la partecipazione al sacrificio di Cristo, la condivisione di una crudeltà assurda che sgorga dal peccato per infliggere la morte, ma quella morte che ormai per la forza di Cristo ci conduce alla risurrezione.
La domanda della madre dei figli di Zebedeo che si prostra davanti a Gesù con i suoi due figli, Giacomo e Giovanni, riflette l’ambiguità con la quale il popolo e i discepoli, anche quelli che sono stati scelti - i Dodici -, capiscono Gesù, la sua persona e il suo messaggio, e cosa significa seguirlo. Essi chiedono un posto influente in politica, un potere nel mondo. La risposta di Gesù li forza ad un cambiamento radicale di prospettiva in rapporto con lui. Essi si dichiarano disposti a bere dal calice da cui lui stesso deve bere. Si tratta di un regno, quello che annuncia Gesù, che si trova completamente nelle mani del Padre e che si raggiunge con un cammino di dolore e di passione, non una qualsiasi passione o dolore, ma del dolore e della passione del Figlio, di Gesù. Per entrare in questo regno, nel regno del Padre, non è sufficiente bere dal calice ma bisogna bere dal calice di Cristo. Gli altri dieci non hanno un’opinione di Cristo diversa da quella della madre e dei figli di Zebedeo. Reagiscono con indignazione e gelosia. Tutti pretendono il primo posto al fianco di colui che sperano sia il futuro Re di Israele. La lezione che dà Gesù, riunendoli, approfondisce fino all’estremo il contenuto paradossale della sua azione liberatrice - incomprensibile per gli uomini, ineffabilmente luminosa vista secondo l’amore di Dio -: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Di qui nasce l’esigenza fondamentale per chi vuole essere suo discepolo: l’esigenza del servizio che va fino al dono della vita per il Maestro e per i fratelli. Giacomo, il figlio di Zebedeo, ha assimilato la lezione, rapidamente e in modo eroico. Fu il primo degli apostoli a bere dal calice del Signore. Il suo primo martire. Una venerabile tradizione della Chiesa di Compostella e delle altre diocesi della Spagna lo riconosce come il suo primo evangelizzatore. Attraverso l’esperienza di un apostolato intrepido - rendere testimonianza del Vangelo fisicamente fino al “Finis terrae” allora conosciuto -, egli seppe che cosa significa servire nel senso di Cristo. Per la Chiesa, e per i suoi membri più giovani, rimangono e rimarranno sempre il suo esempio affascinante e la sua intercessione.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Riflessione:
- Gesù e i discepoli sono in cammino verso Gerusalemme (Mt 20,17). Gesù sa che lo uccideranno (Mt 20,8). Il profeta Isaia lo aveva già annunziato (Is 50,4-6; 53,1-10). La sua morte non sarà il frutto di un destino cieco o di un piano prestabilito, ma sarà la conseguenza dell’impegno liberamente assunto di essere fedele alla missione che ricevette dal Padre insieme ai poveri della sua terra. Gesù aveva già avvisato che il discepolo deve seguire il maestro e portare la sua croce dietro di lui (Mt 16,21.24), Ma i discepoli non capirono bene cosa stava succedendo (Mt 16,22-23; 17,23). La sofferenza e la croce non si combinavano con l’idea che avevano del messia.
- Matteo 20,20-21: La richiesta della madre dei figli di Zebedeo. I discepoli non solo non capiscono, ma continuano a pensare alle loro ambizioni personali. La madre dei figli di Zebedeo, portavoce dei suoi figli Giacomo e Giovanni, si avvicina a Gesù per chiedergli un favore: “Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Loro non avevano capito la proposta di Gesù. Erano preoccupati solo dei loro interessi. Ciò rispecchia le tensioni nelle comunità, sia al tempo di Gesù e di Matteo, come pure oggi nelle nostre comunità.
- Matteo 20,22-23: La risposta di Gesù. Gesù reagisce con fermezza. Risponde ai figli e non alla madre: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete forse bere il calice che io sto per bere?”. Si tratta del calice della sofferenza. Gesù vuole sapere se loro, invece del posto d’onore, accettano di dare la propria vita fino alla morte. I due rispondono: “Lo possiamo!”. Era una risposta sincera e Gesù conferma: “Voi lo berrete”. Nello stesso tempo, sembra una risposta precipitata, poiché, pochi giorni dopo, abbandonano Gesù e lo lasciano solo nell’ora del dolore (Mt 26,51). Non hanno una forte coscienza critica, e nemmeno si rendono conto della loro realtà personale. E Gesù completa la sua frase dicendo: “però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio”. Ciò che Gesù può offrire è il calice della sofferenza, della croce.
- Matteo 20,24-27: “Non così dovrà essere tra voi”. “Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli”. La richiesta fatta dalla madre a nome dei figli, causa una forte discussione nel gruppo. Gesù chiama i discepoli e parla loro dell’esercizio del potere: I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così tra di voi: colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo”. In quel tempo, coloro che avevano il potere non avevano nessun interesse per la gente. Agivano secondo i propri interessi (cfr. Mc 14,3-12). L’impero romano controllava il mondo, sottomettendolo con la forza delle armi e così, mediante tributi, tasse ed imposte, riusciva a concentrare la ricchezza mediante la repressione e l’abuso di potere. Gesù aveva un’altra risposta. Lui insegna contro i privilegi e contro la rivalità. Sovverte il sistema ed insiste nell’atteggiamento di servizio che è il rimedio contro l’ambizione personale. La comunità deve preparare un’alternativa. Quando l’impero romano si disintegra, vittima delle sue contraddizioni interne, le comunità dovrebbero essere preparate ad offrire alla gente un modello alternativo di convivenza sociale.
- Matteo 20,28: Il riassunto della vita di Gesù. Gesù definisce la sua vita e la sua missione: “Il Figlio dell’Uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire e a dare la sua vita in riscatto per molti”. In questa auto definizione di Gesù sono implicati tre titoli che lo definiscono e che erano per i primi cristiani l’inizio della Cristologia: Figlio dell’Uomo, Servo di Yavè e fratello maggiore (Parente prossimo o Gioele). Gesù è il messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cfr. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Imparò da sua madre che disse: “Ecco l’ancella del Signore!” (Lc 1,38). Proposta totalmente nuova per la società di quel tempo.

Per un confronto personale
- Giacomo e Giovanni chiedono favori, Gesù promette sofferenza. Ed io, cosa cerco nel mio rapporto con Dio e cosa chiedo nella preghiera? Come accolgo la sofferenza che avviene nella vita e che è il contrario di ciò che chiediamo nella preghiera?
- Gesù dice: “Tra di voi non sia così!”. Il nostro modo di vivere nella chiesa e nella comunità concorda con questo consiglio di Gesù?

25 luglio: San Giacomo, Apostolo
Biografia: Giacomo, detto “il maggiore”, era figlio di Zebedeo e di Salome (Mc 15,40; cfr. Mt 27,56) e fratello maggiore di Giovanni l’evangelista, col quale fu chiamato tra i primi discepoli da Gesù e fu sollecito a seguirlo (Mc 1,19s.; Mt 4,21s.; Lc 5,10). È sempre messo tra i primi tre apostoli (Mc 3,17; Mt 10,2; Lc 6,14; Atti 1,13). Pronto e impetuoso di carattere come il fratello, con lui viene soprannominato “Boanerghes” da Gesù (Mc 3,17), ma è fra i prediletti di lui insieme col fratello, con Pietro e Andrea. La profezia di Gesù, secondo cui avrebbe bevuto con lui il calice del sacrificio e del martirio (Mc 10,35-45; Mt 20,20-28), si realizzò in pieno, quando Giacomo fu il primo tra gli apostoli a dare il sangue per il suo Signore, e come lui fu fatto decapitare durante le feste pasquali da Erode Agrippa I, nel 42/43 (Atti 12,1-2). San Giacomo non fu l’evangelizzatore della Spagna, né vi è certezza che vi sia stato trasportato il suo corpo: Venanzio Fortunato attesta che ai suoi tempi (VI secolo), si trovava a Gerusalemme. Però dal secolo IX, san Giacomo ebbe un culto straordinario a Compostella nella Spagna (Galizia), che lo ebbe protettore della sua fede e libertà contro i Mori. Quel santuario divenne per l’Europa uno dei maggiori luoghi di pellegrinaggio nel medioevo e oltre.

Dagli scritti
Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
I figli di Zebedeo chiedono al Cristo: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37). Cosa risponde il Signore? Per far loro comprendere che nella domanda avanzata non vi é nulla di spirituale e che, se sapessero ciò che chiedono, non lo domanderebbero, risponde: «Non sapete ciò che domandate», cioé non ne conoscete il valore, la grandezza e la dignità, superiori alle stesse potenze celesti. E aggiunge: «Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?» (Mc 10,38). Voi, sembra dir loro, mi parlate di onori e di dignità; io vi parlo, invece di lotte e di sudori. Non é questo il tempo dei premi, né la mia gloria si manifesta ora. Il presente é tempo di morte violenta, di guerre e di pericoli.
Osservate quindi come, rispondendo loro con un’altra domanda, li esorti e li attragga. Non chiede se sono capaci di morire, di versare il loro sangue, ma domanda: «Potete voi bere il calice» e per animarli aggiunge «che io devo bere?», in modo da renderli, con la partecipazione alle sue sofferenze, più coraggiosi. Chiama la sua passione «battesimo» per far capire che tutto il mondo ne avrebbe ricevuto una grande purificazione. I due discepoli rispondono: «Possiamo!». Promettono immediatamente, senza sapere ciò che chiedono, con la speranza che la loro richiesta sia soddisfatta. E Gesù risponde: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete» (Mc 10,39). Preannunzia loro grandi beni: Voi, cioè, sarete degni di subire il martirio e soffrirete con me; finirete la vita con una morte eroica e parteciperete a questi miei dolori. «Ma sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo; é per coloro per i quali é stato preparato» (Mc 10,40). Dopo aver preparato l’animo dei due discepoli e dopo averli fortificati contro il dolore, allora corregge la loro richiesta. «Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli» (Mt 20,24). Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.

Voi non sapete quel che chiedete…
Giacomo il maggiore, l’apostolo fratello di Giovanni è il primo apostolo a subire il martirio dimostrando come fosse pronto ad immolare la propria vita per il Signore. Essere discepoli ed apostoli di Gesù significa anche saper offrire la propria vita. Gesù stesso preannuncia questo futuro alla madre di Giacomo e di Giovanni che già li vedeva beneficati di gloria e di onori terreni. L’intervento materno, comprensibile dal punto di vista umano produce però delle tensioni nel collegio apostolico. Evidentemente a quegli onori aspiravano un po’ tutti gli apostoli ed ognuno si sentiva più degno dell’altro per assumere a posti di maggior onore. L’intervento di Gesù è valido per tutti e non solo per la richiesta della madre ed è insegnamento per noi quando ci sentiamo troppo legati ai riconoscimenti materiali.

Preghiera finale: Allora si diceva tra i popoli: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia (Sal 125).
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MessaggioTitolo: SABATO 30 LUGLIO 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 30, 2011 9:14 am

SABATO 30 AGOSTO 2011

SABATO DELLA XVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni.

Letture:
Lv 25,1. 8-17 (Nell’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà)
Sal 66 (Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti)
Mt 14,1-12 (Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù)

Profezia e persecuzione
Nei vangeli di questa settimana, un tema ricorrente è sembrato essere quello del profetismo di Gesù. Chi ha letto le letture del giorno di ieri e non quelle della memoria degli “ospiti del Signore” ricorda che Gesù non è stato riconosciuto nella pericope di ieri ed è perseguitato nel passo propostoci oggi. Ogni testimonianza per Dio ha come sua logica conclusione la persecuzione, che per alcuni avviene nell’oscurità della vita e in una sorta di martirio che si consuma attraverso l’incomprensione e il disprezzo e per altri può compiersi in forma più cruenta, come lo è stato per Giovanni Battista. Il profeta mette in discussione delle geometrie consolidate, dà fastidio ai potenti, scardina vizi che sono ormai stabiliti. I potenti, coloro contro cui gli strali del profeta si rivolgono sono naturalmente infastiditi da una voce che li richiama al dovere, ai principi a cui ogni essere umano dovrebbe attenersi e si rivolgono contro questa voce la cui unica colpa è proprio quella di seguire la volontà di Dio. La prepotenza in qualunque forma si presenti, subdola o manifesta, non può essere un atteggiamento che il cristiano può sostenere, ma devo combatterlo al di fuori di lui e dentro di lui.
Nella liturgia odierna notiamo un contrasto tra il brano del Vangelo di Matteo e la prima lettura. Matteo ci narra infatti come Erode fa arrestare Giovanni, lo fa incatenare, gettare in prigione e alla fine uccidere; la prima lettura invece mette in risalto l’intenzione di Dio, un’intenzione di liberazione e di remissione, sottolineata dall’istituzione del giubileo, mediante il quale Dio mette un limite alla schiavitù, un limite all’espropriazione, un limite anche ai gravosi lavori dei campi. “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti”. Gesù, predicando a Nazaret nella sinagoga, leggerà proprio il passo di Isaia dove si annunzia e si proclama un anno di remissione, un anno di giubileo (cfr. Lc 4,16.19). Dio non vuole arrestare, non vuole incatenare, non vuol gettare in carcere; Dio vuole la liberazione: “Lo Spirito del Signore... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Is 61,1). Dio vuole la remissione: la remissione dei debiti, la remissione anche dei peccati. Il peccato sembra un atto di liberazione dalla legge di Dio, in realtà getta nella più dura schiavitù. Gesù lo ha detto chiaramente: “Chiunque commette il peccato, è schiavo del peccato” e commette peccati sempre più gravi. Erode incominciò col fare arrestare Giovanni e finì col farlo uccidere, perché era schiavo del giuramento fatto davanti a tutti, era soprattutto schiavo del suo peccato. Dio ci vuole liberare! Pensiamo con gioia a questa verità: Dio vuol sollevare dall’oppressione ogni cosa; infatti anche la terra, secondo la legge del giubileo, deve avere il suo riposo. La Chiesa, quando ha istituito il giubileo, si è ispirata a questa legge contenuta nel Levitico. L’anno giubilare è infatti un anno di remissione, un anno di grazia in cui la Chiesa ci offre la possibilità di ottenere la remissione della pena meritata con il peccato; ci propone un contatto più facile con il Signore; invita tutti ad avvicinarsi a lui con la certezza di essere liberati e di ricevere nuovo coraggio per compiere sempre meglio tutto il bene a cui si è chiamati. Ringraziamo Dio di questi doni e cerchiamo di vivere pienamente in questo orizzonte di remissione, di liberazione e di amore e di aiutare anche gli altri, per quanto ci è possibile, a vivere così.

Lettura del Vangelo: In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.

Riflessione
- Il vangelo di oggi descrive il modo in cui Giovanni Battista fu vittima della corruzione e della prepotenza del governo di Erode. Fu ucciso senza processo, durante un banchetto del re con i grandi del regno. Il testo ci riporta molte informazioni sul tempo in cui Gesù viveva e sulla maniera in cui era usato il potere dai potenti dell’epoca.
- Matteo 14,1-2. Chi è Gesù per Erode. Il testo inizia informando sull’opinione che Erode ha di Gesù: “Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui”. Erode cercava di capire Gesù partendo dalle paure che lo assalivano dopo l’assassinio di Giovanni. Erode era assai superstizioso ed occultava la paura dietro l’ostentazione della sua ricchezza e del suo potere.
- Matteo 14,3-5: La causa nascosta dell’assassinio di Giovanni. Galilea, terra di Gesù, fu governata da Erode Antipa, figlio del re Erode, il Grande, dall’anno 4 prima di Cristo fino al 39 dopo Cristo. In tutto 43 anni! Durante il tempo della vita di Gesù, non ci furono cambi di governo in Galilea! Erode era signore assoluto di tutto, non rendeva conto a nessuno, faceva ciò che gli passava per la testa. Prepotenza, mancanza di etica, potere assoluto, senza controllo da parte della gente! Ma chi comandava in Palestina, dal 63 prima di Cristo, era l’Impero Romano. Erode, in Galilea, per non essere deposto, cercava di far piacere a Roma in tutto. Insisteva soprattutto in un’amministrazione efficiente che desse ricchezza all’Impero. La sua preoccupazione era la sua promozione e la sua sicurezza. Per questo, reprimeva qualsiasi tipo di sovvertimento. Matteo dice che il motivo dell’assassinio di Giovanni fu che costui aveva denunciato Erode, perché si era sposato con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo. Flavio Giuseppe, scrittore, giudeo di quell’epoca, informa che il vero motivo della prigione di Giovanni Battista era il timore da parte di Erode di una sommossa popolare. Ad Erode piaceva essere chiamato benefattore del popolo, ma in realtà era un tiranno (Lc 22,25). La denuncia di Giovanni contro Erode fu la goccia che fece traboccare il vaso: “Non ti è permesso di sposarla”. E Giovanni fu messo in carcere.
- Matteo 14,6-12: La trama dell’assassinio. Anniversario e banchetto festivo, con danze ed orge! Marco informa che la festa contava sulla presenza “dei grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea” (Mc 6,21). È questo l’ambiente in cui si trama l’assassinio di Giovanni Battista. Giovanni, il profeta, era una viva denuncia di questo sistema corrotto. Per questo fu eliminato con il pretesto di un problema di vendetta personale. Tutto questo rivela la debolezza morale di Erode. Tanto potere accumulato nelle mani di un uomo incapace di controllarsi! Nell’entusiasmo della festa e del vino, Erode fa un giuramento leggero a Salomè, la giovane ballerina, figlia di Erodiade. Superstizioso come era, pensava che doveva mantenere questo giuramento, e rispondere al capriccio della fanciulla; per questo ordina al soldato di portare la testa di Giovanni su un vassoio e di porgerla alla ballerina, che poi la porge a sua madre. Per Erode, la vita dei sudditi non valeva nulla. Dispone di loro come dispone della posizione delle scale a casa sua. Le tre caratteristiche del governo di Erode: la nuova Capitale, il latifondo e la classe dei funzionari:
a) La Nuova Capitale. Tiberiade fu inaugurata quando Gesù aveva solo 20 anni. Era chiamata così per far piacere a Tiberio, l’imperatore di Roma. L’abitavano i signori della terra, i soldati, la polizia, i giudici spesso insensibili (Lc 18,1-4). In quella direzione erano canalizzate le imposte ed il prodotto della gente. Era lì che Erode faceva le sue orge di morte (Mc 6,21-29). Tiberiade era la città dei palazzi del Re, dove vivevano coloro che portavano morbide vesti (cfr. Mt 11,8). Non consta dai vangeli che Gesù fosse entrato in questa città.
b) Il latifondo. Gli studiosi informano che durante il lungo governo di Erode, crebbe il latifondo in pregiudizio delle proprietà comunitarie. Il Libro di Henoch denuncia i padroni delle terre ed esprime la speranza dei piccoli: “E allora i potenti ed i grandi non saranno più i padroni della terra!” (Hen 38,4). L’ideale dei tempi antichi era questo: “Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e più nessuno li spaventerà” (1Mac 14,12; Mic 4,4; Zac 3,10). Però la politica del governo di Erode rendeva impossibile questo ideale.
c) La classe dei funzionari. Erode creò tutta una classe di funzionari fedeli al progetto del re: scribi, commercianti, padroni della terra, fiscali del mercato, esattori, militari, polizia, giudici, capi locali. In ogni villaggio c’era un gruppo di persone che appoggiava il governo. Nei vangeli, alcuni farisei appaiono insieme agli erodiani (Mc 3,6; 8,15; 12,13), e ciò rispecchia l’alleanza tra il potere religioso ed il potere civile. La vita della gente nei villaggi era molto controllata, sia dal governo che dalla religione. Ci voleva molto coraggio per cominciare qualcosa di nuovo, come fecero Giovanni e Gesù! Era la stessa cosa che attrarre su di sé la rabbia dei privilegiati, sia del potere religioso come civile.

Per un confronto personale
- Conosci casi di persone che sono morte vittime della corruzione e della dominazione dei potenti? E qui tra noi, nella nostra comunità e nella chiesa, ci sono vittime dell’autoritarismo e dello strapotere?
- Erode, il potente, che pensava di essere il padrone della vita e della morte della gente, era un vile davanti ai grandi e un adulatore corrotto dinanzi alla fanciulla. Viltà e corruzione marcavano l’esercizio del potere di Erode. Paragona tutto ciò con l’esercizio del potere religioso e civile oggi, nei diversi livelli della società e della Chiesa.

Preghiera finale: Vedano gli umili e si rallegrino; si ravvivi il cuore di chi cerca Dio, poiché il Signore ascolta i poveri e non disprezza i suoi che sono prigionieri (Sal 68).
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MessaggioTitolo: domenica 31 luglio 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Lug 30, 2011 9:17 am

DOMENICA 31 LUGLIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale:
Vieni Spirito Santo
Vieni Fuoco d’amore
Vieni Padre dei poveri
Vieni Refrigerio dell’anima mia.

Letture:
Is 55,1-3 (Venite e mangiate)
Sal 144 (Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente)
Rm 8,35.37-39 (Nessuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo)
Mt 14,13-21 (Tutti mangiarono e furono saziati)

Date loro voi stessi da mangiare
Fame e sete esprimono nel linguaggio biblico non solo il bisogno fisico di assumere cibo o bevanda, ma ancor più i desideri più profondi dell’anima e tutto ciò che concorre a saziare lo spirito. Sappiamo perciò che è più facile soddisfare i bisogni del nostro corpo che quelli dell’anima. E ciò anche perché essendo noi fatti ad immagine e somiglianza di Dio, aneliamo verso l’infinito e siamo in certo qual senso insaziabili. Un salmista esprime in modo efficace il significato spirituale della sete facendolo diventare intensa preghiera: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua». Lo stesso Gesù, agonizzante sulla croce, dirà “ho sete”. Alla samaritana al pozzo di Giacobbe dirà che l’acqua che egli è in grado di donare con la sua parola estinguerà per sempre la sua sete e la trasformerà in una fontana zampillante. Parlando poi della fame arriverà a parlare di un pane vivo disceso dal cielo capace di sfamare definitivamente e di garantire la vita eterna. Oggi egli lancia un invito all’uomo: «O voi tutti assetati venite all’acqua». La piena sazietà, ci dice San Paolo, ci viene garantita dall’amore di Cristo, da una pienezza che solo da Dio può venire. È significativo poi che Gesù dica ai suoi apostoli e discepoli, testimoni oculari della fame di una grande folla, “date loro voi stessi da mangiare”. Non solo provocatoriamente li sprona a provvedere il pane, ma, anticipando il mandato dell’ultima cena, li invita a diventare essi stessi pane da mangiare, l’aveva capita pienamente questa sfida Sant’Ignazio di Antiochia. Egli scriverà ai primi cristiani di Roma di lasciare che le belve nel circo lo divorino perché, triturato come grano dai loro denti, diventi farina e pane di Cristo. È ancora attuale per i sacerdoti di oggi il grande compito di farsi tutto a tutti fino a lasciarsi divorare dai fratelli per consumare quotidianamente l’eterno sacrificio che salva e che redime.
Molti domandano: “Chi è Gesù? Come vive colui che è il solo ad essere amato totalmente da Dio? Cosa si prova quando si è vicini a lui?”. Il Vangelo istruisce quelli che non hanno dimenticato come ascoltare. Gesù apprende la notizia della morte terribile di Giovanni Battista (Mt 14,3-12). Ne è colpito, e desidera rimanere solo. È questo il motivo per cui prende una barca per andare sul lago. Ma la folla non lo lascia. Quando egli accosta sull’altra riva, essa è già là: malati e sofferenti, tutti quelli che hanno bisogno di un Salvatore. E Gesù non si sottrae. Le ore passano e gli apostoli si preoccupano. Essi vogliono che Gesù mandi via la folla. Tuttavia Gesù assume la propria responsabilità. Non vuole lasciare partire nessuno a pancia vuota. Egli dà senza fare conti, generosamente. Solo Dio può dare senza diventare povero. Gesù - incarnazione del Dio infinito nella nostra finitezza - dà come lui. Egli dona se stesso, ed esige da coloro che vogliono essere dei suoi: “Date loro da mangiare”; dividete il poco che avete, cinque pani, due pesci. “Date tutto”, e gli apostoli fanno la loro distribuzione. È Gesù che offre, i suoi apostoli che offrono, una Chiesa che offre se stessa: ecco il segno e il marchio della generosità di Dio.

Approfondimento del Vangelo (La moltiplicazione dei pani)
Il testo: In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Momento di silenzio: perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Chiave di lettura: Tutti gli evangelisti raccontano la moltiplicazione del pane. Mentre Luca e Giovanni non raccontano che una sola moltiplicazione dei pani (Lc 9,10-17; Gv 6,1-13), Marco e Matteo fanno riferimento a due moltiplicazioni (Mc 6,30-44; 8,1-10; Mt 14,13-21; 15,32-39). Sembra che tutti e due i racconti sia in Matteo che in Marco hanno origine da un unico avvenimento della moltiplicazione dei pani, ma che è stato tramandato in due versioni a secondo di tradizioni diversi. Inoltre il racconto di Mt 14,13-21 e Mc 6,30-44 sembrano essere le redazioni più antiche. Qui ci fermiamo solo sull’oggetto della nostra lectio divina, cioè sul testo di Mt 14,13-21. Il testo ci presenta Gesù che avuto la notizia dell’uccisione del Battista da Erode (Mt 14,12), si ritira in disparte «in un luogo deserto» (Mt 14,13). Spesso nei vangeli, Gesù è presentato a noi come colui che si ritira in disparte. Anche se non sempre è cosi, generalmente questo ritirarsi vuole dimostrare un Gesù immerso nella preghiera. Ecco alcuni esempi: «Congedata la folla, salì sul monte solo, a pregare. Venuta la sera egli se ne stava, ancora solo lassù» (Mt 14,23); «Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35); «Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare» (Lc 5,16); «condotto dallo Spirito» Gesù si ritira dopo il suo battesimo nel deserto per essere tentato dal diavolo vincendo le sue seduzioni con la forza della parola di Dio (Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13). Altre volte Gesù chiama con sé i suoi discepoli: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Mc 6,30-44). In questo brano, Gesù prega prima della moltiplicazione dei pani. I vangeli dimostrano che Gesù amava pregare prima degli avvenimenti importanti nel corso del suo ministero, come il battesimo, la trasfigurazione, la passione. Questa volta la folla lo segue nel deserto (Mt 14,13) e Gesù sente compassione per loro guarendo i loro malati (Mt 14,14). Spesso in Gesù compare una compassione verso coloro che lo seguono (Mt 15,32). Il maestro si commuove perché loro «erano come pecore senza pastore» (Mc 6,34). Gesù infatti è il buon pastore che nutre il suo popolo come ha fatto il profeta Eliseo (2Re 4,1-7.42-44) e Mosè nel deserto (Es 16; Nm 11). Nel vangelo di Giovanni, Gesù con il discorso sul pane della vita (Gv 6) spiega il significato del segno della moltiplicazione dei pani. Questo prodigio è una preparazione al pane che sarà dato nella eucaristia. I gesti compiuti da Gesù prima della moltiplicazione dei pani, in tutti i vangeli ci ricorda il rito dello spezzare del pane, l’eucaristia. I gesti sono: a) prendere il pane, b) alzare «gli occhi al cielo», c) pronunciare «la benedizione», d) spezzare il pane, e) dare ai discepoli (Mt 14,19). Questi gesti si trovano nei racconti della moltiplicazione dei pani e anche parola per parola nel racconto dell’ultima cena di Gesù (Mt 26,26). Tutti mangiano e si saziano di questo pane. Rimangono dodici ceste piene degli avanzi del pane. Gesù è colui che sazia il popolo eletto di Dio: Israele, composto da dodici tribù. Ma sazia anche i pagani nella seconda moltiplicazione (Mt 15,32-39), simboleggiati questa volta da sette panieri, il numero delle nazioni di Canaan (Atti 13,19) e anche il numero dei diaconi ellenisti (Atti 6, 5; 21,8) che avevano il compito di provvedere alla distribuzione quotidiana nelle mense. La comunità raccolta attorno a Gesù, primizia del Regno dei Cieli accoglie in sé Ebrei e Gentili, tutti sono chiamati ad accettare l’invito a partecipare alla mensa con il Signore. Gesù fa vedere questo anche con il suo atteggiamento di sedere a mensa con i pubblicani e i peccatori, e con il suo insegnamento nelle parabole dei banchetti dove «molti verranno da oriente e occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11; vedi anche Mt 22,34; Lc 14,16-24).

Domande per orientare la meditazione e attualizzazione:
- Cosa ti ha colpito in questo brano?
- Quale degli atteggiamenti di Gesù ti colpisce di più in questo testo?
- Ti sei mai soffermato sulle emozioni di Gesù? Questo testo si sofferma sulla compassione. Puoi trovare altri nei vangeli?
- Che cosa pensi che Dio vuole comunicarti con questo racconto sulla moltiplicazione dei pani?
- Gesù provvede cibo in abbondanza. Ti affidi alla provvidenza del Signore? Cosa significa per te affidarsi alla provvidenza
- Hai mai pensato all’eucaristia come un sedersi a mensa con Gesù? Chi sono gli invitati a questa mensa?

Contemplazione: Nell’Eucaristia il nostro Dio ha manifestato la forma estrema dell’amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggono troppo spesso i rapporti umani ed affermando in modo radicale il criterio del servizio: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35) [...] Perché dunque non fare di questo Anno dell’Eucaristia un periodo in cui le comunità Diocesane e parrocchiali si impegnano in modo speciale ad andare incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo? Penso al dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, penso alle malattie che flagellano i Paesi in via di sviluppo, alla solitudine degli anziani, ai disagi dei disoccupati, alle traversie degli immigrati. Sono mali, questi, che segnano ? seppur in misura diversa ? anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr. Gv 13,35; Mt 25,31-46). È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mane Nobiscum Domine, 28).

Preghiera finale: O Dio che nella compassione del tuo Figlio verso di noi, manifesti la tua bontà paterna, fa’ che il pane moltiplicato dalla tua provvidenza sia spezzato nella carità, e la comunione al cibo disceso dal cielo ci apra al dialogo e al servizio verso i fratelli.

31 luglio: Sant’Ignazio do Loyola, sacersote
Biografia: Nacque nelle terre della sua famiglia a Lodola, nella provincia basca di Guipúzcoa (Spagna) e dopo essere stato per qualche tempo paggio di corte entrò nell’esercito e fu dolorosamente ferito durante l’assedio di Pamplona del 1521. Dopo la guarigione decise di dedicarsi al servizio della Chiesa; per prepararsi andò in ritiro a Monserrat ed a Manresa, dove scrisse il libro degli «Esercizi Spirituali», un classico che ha fatto epoca. A Parigi trovò nove compagni insieme ai quali emise i primi voti nella chiesa di Montmartre. L’obbiettivo di Ignazio era semplicemente questo: lavorare per la maggior gloria di Dio sotto l’obbedienza del Papa. Nel 1537 battezzò il suo piccolo gruppo compagnia di Gesù e nell’aprile del 1541 tutti emisero i voti definitivi a Roma, nella basilica di San Paolo fuori le mura. Ignazio fu eletto primo generale e governò la Compagnia fino alla morte; a quell’epoca il gruppo originale si era già trasformato in un vero e proprio esercito sparpagliato per tutto il mondo, dal Giappone in Estremo Oriente alle più lontane Indie Occidentali. Ignazio fu canonizzato nel 1622.

Dagli scritti
Dagli «Atti» raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant’Ignazio
Provate gli spiriti se sono da Dio
Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d’altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna. Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimiliva il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l’azione di Dio misericordioso. Infatti. mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch’io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l’esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d’animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo. Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia. Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costato che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti (Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
Gs 4,1-9
Sal 77
Rm 3,29-31
Lc 13,22-30

Ultimi che saranno primi e primi che saranno ultimi
“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Come a dire: ci sarà posto anche per me? La domanda sulla vita eterna deve essere sempre presente ad un cuore attento. Giosuè, conducendo finalmente il popolo d’Israele entro la Terra Promessa, al passaggio del Giordano, volle si ricordasse quell’evento, tutto frutto della iniziativa - paziente - di Dio. Dio opera sempre per la salvezza di tutti, con gratuità, ma vuole che ci sia disponibilità, senza pretese, ad accogliere la sua iniziativa e a corrispondervi con serietà. Perché non capiti alla fine di sentirci dire: “Non so di dove siete”, “quando il padrone di casa chiuderà la porta”.
Primi che saranno ultimi: Primi si sentivano quei Giudei che al tempo di Gesù si credevano privilegiati (e sicuri) per l’appartenenza al popolo eletto e rifiutavano l’adesione a lui. Primi si sentono oggi quei cristiani che sono “del giro”, sempre in chiesa, lavoro in parrocchia.., ma magari incoerenza tra fede e vita, litigiosi tra i gruppi, e soprattutto xenofobi nei confronti dei nuovi, degli ..altri che sono discreti e timorosi. “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Siamo cristiani dalla nascita.., noi non possiamo non dirci cristiani! Ma manca una fede personale, manca quel lasciarsi trasformare dalla grazia dei sacramenti; è un cristianesimo d’abitudine, anonimo che .. sfiora un paganesimo borghese, magari pulito. Magari - come è moda - con estetismi liturgici che snaturano l’autentica preghiera partecipata. “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori di ingiustizia!”. Ingiustizia è chiamato il dire e il non fare, o il fare senza fede e incoerente: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa’ la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). O la presunzione di una pratica cristiana soggettiva e non ecclesiale, e magari una morale.. del buon senso e di quel che fanno tutti! Ma, più profondamente, è “ingiustizia” la pretesa di una salvezza derivante delle proprie opere: era il peccato che Gesù rimproverava ai farisei, e che rimprovera oggi a quelli che - come è nella parabola del figlio prodigo (Lc 15,25ss) - si mettono dalla parte del figlio maggiore. O del fariseo nei confronti del pubblicano che si sente indegno di meritare una salvezza (Lc 18,9-14). “Sforzatevi di entrate per la porta stretta”. La salvezza, se è dono di Dio, richiede però la nostra libera collaborazione, è uno sforzo difficile e vuole il massimo impegno: “Il Regno dei cieli - dice Gesù - subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). Come minimo ci discrimina rispetto alla cultura e al vivere pagano che ci circonda: “Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7,13-14). A un certo punto la porta viene chiusa, e per chi sta fuori è troppo tardi. “E voi cacciati fuori”. Forse l’invito è ad essere sempre pronti di fronte al giudizio di Dio; la libertà finisce. Dicevano gli antichi: “Dum tempus habemus.. finché abbiamo tempo facciamo il bene!”. Paolo della sua vita parla di una corsa e di una battaglia: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7).
Ultimi che saranno primi: Precisiamo che questa lotta non è per pochi eroi che pensano di diventare bravi e così guadagnarsi il paradiso. Questa lotta è simile a quella vissuta da Gesù al Getsemani, la scelta di abbandonarsi a Dio, al suo progetto, di fidarsi completamente di Lui: “Padre, non la mia ma la tua volontà sia fatta!” (Lc 22,42). Dice la Lettera agli Ebrei: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (12,1). È la dura lotta del rischio vissuto da Abramo nella prova. “Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato!” (Eb 12,4). È appunto l’obbedienza della fede. Questa è la vera e unica condizione per la salvezza. “Unico è Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede” (Epist.). Se è la fede, questa è aperta a tutti: “Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti” (Epist.). “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). E allora, al posto di chi “sarà cacciato fuori”, “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”. Agli Ebrei che avevano rifiutato il Messia, Gesù disse: “La pietra che i costruttori hanno scartato, diventata la pietra d’angolo. Perciò io vi dico: A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,42-43). Sarà la sorpresa sconsolata d’aver sbagliato tutto nella vita e d’aver perso le occasioni di Dio: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo servito? Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno questi al supplizio eterno” (Mt 25,44-46). “Ho paura del Signore che passa...”, diceva sant’Agostino, cioè di perdere le occasioni di Dio. Avremo certo più responsabilità noi che siamo cresciuti da sempre in un ambiente saturo di stimoli e agli esempi di fede, rispetto a chi non ha mai conosciuto la salvezza di Cristo. Sempre impressiona il fervore dei convertiti...: impressiona noi che prendiamo ancora la messa come una ministra riscaldata! Più grave è il peccato di ribellione, di indifferenza e di apostasia. È una pena vedere battezzati che s’infatuano di religiosità indiane, o si fanno islamici, o, peggio, si vendono ai Testimoni di Jeova! Dio non lascia mai mancare le sue occasioni di richiamo o di perdono. Ma guai all’indurimento di cuore.
Beh, diciamolo con schiettezza: ci sorprende sentir parlare del cristianesimo come di una lotta a gomitate per trovare posto in paradiso, come si usa qualche volta oggi fuori dello stadio...; siamo così abituati, noi borghesi, a veder come un di più folklorico e festivo il nostro interessarci dell’anima, anzi ci sembra già troppo il venire noi con regolarità a messa tutte le domeniche...: cosa si vuole di più? E gli altri che non vengono neanche...? Ci sorprende anche sentire che c’è calca per entrare nel Regno dei cieli: a noi parrebbe invece che tutti se ne infischino...! “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”. Quanto è affare più serio il problema della nostra salvezza! E quanto è facile che altri ci scavalchino..., noi chiusi nel nostro orizzonte secolarizzato che ci ostiniamo ancora credere il più evoluto..!
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: 6 agosto 2011 - trasigurazione del signore   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Ago 06, 2011 9:37 am

SABATO 6 AGOSTO 2011

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE
FESTA DEL SIGNORE


Preghiera iniziale: O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per diventare coeredi della sua vita immortale.

Letture (rito romano):
Dn 7,9-10.13-14 (La sua veste era candida come la neve)
Sal 96 (Il Signore regna, il Dio di tutta la terra)
2Pt 1,16-19 (Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo)
Mt 17,1-9 (Il suo volto brillò come il sole)

Nota: Quando questa festa ricorre in domenica, si proclamano le tre letture qui indicate; se la festa ricorre in settimana, si sceglie come prima lettura una delle due che precedono il Vangelo; il Salmo responsoriale è sempre lo stesso.

Letture (rito ambrosiano):
2Pt 1,16-19
Sal 96
Eb 1,2b-9
Mc 9,2-10

E li condusse in disparte, su un alto monte
La Festa della Trasfigurazione, trasfigurazione del Signore. La manifestazione particolare della sua vera identità, identità divina, identità gloriosa, identità che Gesù, anzi che Dio stesso concede oggi ai discepoli, ai tre discepoli più vicini a lui, gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, e grazie a loro anche a noi… Una celebrazione allora che ha come suo fondamento un avvenimento storico, una cosa realmente accaduta, un miracolo della vita pubblica di Gesù, prima della sua Pasqua, prima della sua morte e della risurrezione gloriosa, prima di questi ma che racchiude in sé significati profondi, significati che vanno al di là di questa sua morte e della risurrezione, perché il Signore si mostra, si fa vedere così come è veramente, glorioso. Un punto fondamentale di questo evento, un punto che la caratterizza questa festa, che la caratterizza in modo particolare, univoco è la Teofania. Che cosa significa questa parola? Teofania è la manifestazione, manifestazione di Dio, ma una manifestazione solenne, grande… Nell’Antico Testamento abbiamo molti esempi, molti casi delle manifestazioni di Dio. Dio appariva spesso al popolo eletto. Lo sapevano vedere, riconoscere gli israeliti, forse più di noi… Uno dei segni della sua presenza, di Dio, era la nube, la nube che sia alzava sopra la tenda, nel deserto. O roveto ardente, o terremoto, o la vittoria miracolosa sui nemici… Erano tutte le manifestazioni, teofanie appunto di Dio che voleva essere vicino all’uomo, vicino a noi. Ma tutte queste manifestazioni veterotestamentarie erano solo un anticipo, una preparazione alla manifestazione definitiva, alla manifestazione massima, la manifestazione della redenzione, della venuta del Signore Gesù Cristo, nato, vissuto tra noi, morto e risuscitato; Gesù, Uomo – Dio. Anche se noi aspettiamo ancora un’altra manifestazione del Signore, l’ultima manifestazione di Gesù, quella della fine dei tempi. Quando ritornerà il Signore con le schiere degli angeli, quando dividerà i buoni dai cattivi. La manifestazione dunque… la teofania sul Monte, la conferma da parte di Dio Padre, della missione del Cristo della missione che Gesù ha da compiere nel mondo… «Questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo» è il massimo della Teofania. Dio Padre, in presenza dei profeti antichi, di Mosé, di Elia, dei profeti, coloro che hanno preparato la venuta del Messia; in presenza poi dei discepoli, degli Apostoli, dei testimoni prescelti… ecco Dio Padre proclama Cristo suo Figlio, anzi, Figlio prediletto, in cui egli si compiace… Nel brano di oggi c’è però un’altra parola che non vorrei ci sfuggisse. Questo è il Figlio prediletto, dice, ma dice anche: «Ascoltatelo». Il Padre ci dà un ordine preciso, l’ordine di ascoltare il messaggio del Figlio, di ascoltare Gesù. Anche la Madonna Ss.ma alle nozze di Cana, lei che «ascoltava, meditava e portava le parole di Dio nel proprio cuore, dice ai servi: ascoltatelo, «fate quello che vi dirà». Che significa dunque ascoltare Gesù? Ascoltare… non sentire…! Ascoltare è compiere i suoi comandamenti e particolarmente il primo dei comandamenti, quello dell’Amore. Ascoltare il Signore è comportarsi come egli si è comportato, come lui è vissuto sulla terra, vivere dall’esempio che Gesù ci ha lasciato… E lui ha trascorso tutta la sua vita facendo la volontà di Dio, facendo del bene a tutti, aiutando i bisognosi, sanando i malati, predicando la Buona Novella del Regno di Dio. Tanti parteciperanno all’Eucaristia oggi. L’Eucaristia è la manifestazione, la nostra teofania di Dio. Non le accompagnano né terremoti, né nubi o saette. Qui però abbiamo tra noi, nelle nostre mani Dio stesso, Dio che si lascia pregare, sentire, toccare, gustare, perfino mangiare… Dio che mangiato nel pane inizia in noi l’opera sua, inizia in noi la nostra trasfigurazione, entra dentro di noi e ci trasfigura, trasforma dal di dentro, quasi dall’interno… Ecco la festa della trasfigurazione, di Dio, di Gesù, ma anche la festa della nostra trasfigurazione, la profezia di ciò che dobbiamo diventare noi. E quando scenderemo dal monte, quando torneremo a casa nostra, ai nostri impegni, dopo l’Eucaristia, possiamo continuare ad essere trasfigurati, luminosi, bianchi, per contagiare con la nostra esperienza, con il nostro esempio anche gli altri. Il Signore ce lo conceda.
La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù. La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.

Lettura del Vangelo (Mt 17,1-9): In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Riflessione:
- Oggi è la festa della Trasfigurazione di Gesù. La Trasfigurazione avviene dopo il primo annuncio della Morte di Gesù (Mt 16,21). Questo annuncio frastorna la testa dei discepoli, soprattutto di Pietro (Mt 16,22-23). Loro avevano i piedi in mezzo ai poveri, ma la testa era persa nell’ideologia dominante dell’epoca. Aspettavano un messia glorioso. La croce era un impedimento per credere in Gesù. La trasfigurazione, dove Gesù appare glorioso sulla cima della montagna, era per loro un aiuto per poter superare il trauma della Croce e scoprire in Gesù il vero Messia. Ma pur con questo, molti anni dopo, quando la Buona Novella già era diffusa in Asia Minore ed in Grecia, la Croce continuava ad essere per i giudei e per i pagani un grande impedimento per accettare Gesù come Messia. “La croce è follia e scandalo!”, cosi dicevano (1Cor 1,23). Uno dei maggiori sforzi dei primi cristiani consisteva nell’aiutare le persone a rendersi conto che la croce non era scandalo, né follia, bensì l’espressione più bella e più forte della forza e della saggezza di Dio (1Cor 1,22-31). Il vangelo di oggi contribuisce a questo intento. Mostra che Gesù vide realizzarsi le profezie e che la Croce era il cammino per la Gloria. Non c’è un altro cammino.
- Matteo 17,1-3: Gesù cambia aspetto. Gesù sale sulla cima della montagna. Luca aggiunge che sale per pregare (Lc 9,28). Li, sulla cima, Gesù appare nella gloria dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni. Insieme a Gesù appaiono anche Mosè ed Elia. La montagna alta evoca il Monte Sinai, dove, nel passato, Dio aveva manifestato la sua volontà al popolo, dando loro le tavole della legge. Le vesti bianche ricordano Mosè che era sfolgorante di luce, quando conversava con Dio sulla Montagna e da lui riceveva la legge (cfr. Esodo 34,29-35). Elia e Mosè, le due massime autorità del Vecchio Testamento, conversano con Gesù. Mosè rappresenta la Legge, Elia, la profezia. Luca informa che la conversazione fu sull’ “esodo” (la morte) di Gesù a Gerusalemme (Lc 9,31). Cosi è chiaro che il Vecchio Testamento, sia la Legge che i Profeti, insegnavano già che per il Messia, il cammino della gloria doveva passare per la croce.
- Matteo 17,4: A Pietro piace, ma non capisce. A Pietro piace e vuole fermare questo momento piacevole sulla montagna. Si offre per costruire tre tende. Marco dice che Pietro aveva paura, senza sapere ciò che stava dicendo (Mc 9,6), e Luca aggiunge che i discepoli avevano sonno (Lc 9,32). Loro sono come noi: è difficile per loro capire la Croce!
- Matteo 17,5-8: La voce dal cielo chiarisce i fatti. Quando Gesù è avvolto dalla gloria, una voce dal cielo dice: “Questi è il mio Figlio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. L’espressione “Figlio amato” evoca la figura del Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cfr. Is 42,1). L’espressione “Ascoltatelo” evoca la profezia che prometteva la venuta di un nuovo Mosè (cfr. Dt 18,15). In Gesù, si stanno realizzando le profezie del VT. I discepoli non possono più dubitare. Gesù è veramente il Messia glorioso e il cammino per arrivare alla gloria passa per la croce, secondo quanto annunciato nella profezia del Messia Servo (Is 53,3-9). La gloria della Trasfigurazione lo comprova. Mosè ed Elia lo confermano. Il Padre lo garantisce. Gesù lo accetta. Dinanzi a tutto ciò che stava avvenendo i discepoli hanno paura e cadono con il volto a terra. Gesù si avvicina, li tocca e dice: “Alzatevi. Non temete”. I discepoli alzano gli occhi e vedono solo Gesù e nessun altro. Da qui in avanti, Gesù è l’unica rivelazione di Dio per noi! Gesù, e solo lui, è la chiave per poter capire la Scrittura e la Vita.
- Matteo 17,9: Saper guardare il silenzio. Gesù chiede ai discepoli di non dire nulla a nessuno fino a che fosse risorto dai morti. Marco dice che loro non sapevano ciò che volesse dire risuscitare dai morti (Mc 9,10). Infatti, non capisce il significato della Croce chi non lega la sofferenza alla risurrezione. La Croce di Gesù è la prova che la vita è più forte della morte. La comprensione piena della sequela di Gesù non si ottiene con l’istruzione teorica, ma con l’impegno pratico, camminando con Lui lungo il cammino del servizio, dalla Galilea fino a Gerusalemme.

Per un confronto personale
- La tua fede in Gesù, ti ha donato qualche momento di trasfigurazione e di profonda gioia? Questi momenti di gioia, come ti hanno dato forza nelle ore di difficoltà?
- Come trasfigurare, oggi, sia la vita personale che familiare, la vita comunitaria del nostro quartiere?

Dagli scritti
Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaìta, vescovo
È bello restare con Cristo!
Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un’immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16,28). L’evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17,1-3). Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo. Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall’alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo sifa nostra guida e battistrada. Con lui saremo circondati di quella luce che solo l’occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata. Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni. Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, é bello per noi restare qui» (Mt 17,4). Realmente, o Pietro, é davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi é di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce? Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «È bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l’anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza é entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri (Nn. 6-10; Mélanges d’archéologie et d’histoire, 67 [1955] 241-244).

Da «Le feste cristiane» di Olivier Clément
La trasfigurazione, un bagliore del Regno
Gli evangelisti sinottici – Matteo, Marco, Luca – raccontano l’evento della Trasfigurazione in maniera pressoché identica. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni – gli ultimi due sono fratelli -, a più riprese suoi compagni privilegiati «perché erano più perfetti degli altri», dice Giovanni Crisostomo; Pietro perché amava Gesù più degli altri, Giovanni perché più degli altri era amato da Gesù, e Giacomo perché si era unito alla risposta del fratello: «Sì, possiamo bere il tuo calice» (cfr. Mt 20,22). Gesù li conduce in disparte su di un’«alta montagna», luogo per eccellenza delle manifestazioni divine; la tradizione dirà: il monte Tabor. Là egli appare raggiante di una splendida luce, che fluisce sia dal suo volto «splendente come il sole» che dalle sue vesti – opera d’uomo, della cultura umana – e si riversa sulla natura circostante, come mostrano le icone. Mosè – la legge – ed Elia – i profeti – appaiono e conversano con Gesù. La prima alleanza addita l’alleanza ultima. Luca precisa che la conversazione verte sull’éxodos del Signore. Pietro in estasi suggerisce di piantare tre tende, nella speranza di poter rimanere a lungo in quello stato. Ma tutto è sommerso dalla «nube luminosa» dello Spirito, e in cui risuona nel cuore dei tre discepoli sconvolti, prostrati con la faccia a terra, la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!». Poi tutto svanisce, e resta Gesù, solo, che ordina a quei testimoni di tacere ciò che hanno appena visto, «finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». A partire dalla fine delle persecuzioni romane contro i cristiani, ovvero dal IV secolo, furono edificate diverse chiese sul Tabor. La loro dedicazione sembra essere all’origine della festa che, a partire dal VI secolo, si diffuse in tutto il Medio Oriente. Nel calendario occidentale essa fu introdotta stabilmente nel 1457, ad opera di papa Callisto III, in segno di ringraziamento per la vittoria da poco conseguita contro i turchi. Gli evangeli non consentono di fissare, nel ritmo annuale, una data per la Trasfigurazione. Con l’intuizione cosmica che lo caratterizza, l’Oriente fissò quella del 6 agosto, grande mezzogiorno dell’anno, apogeo della luce estiva. In quel giorno si benedicono i frutti della stagione; spesso, nei paesi del bacino mediterraneo, è l’uva a costituire il frutto benedetto per eccellenza. L’occidente, meno sensibile alla portata spirituale dell’evento, pur conservando una festa della Trasfigurazione il 6 agosto, ha preferito aggiungere una seconda celebrazione prima della Pasqua, la seconda Domenica di Quaresima, seguendo in tal modo più da vicino la cronologia della vita di Gesù. In oriente, la festa pone l’accento sulla divinità di Cristo e sul carattere trinitario del suo splendore. «Conversando con Cristo, Mosè ed Elia rivelano che egli è il Signore dei vivi e dei morti, il Dio che aveva parlato un tempo nella legge e nei profeti; e la voce del Padre, che esce dalla nube luminosa, gli rende testimonianza», recita la liturgia bizantina. Tuttavia la trasfigurazione non è un trionfo terreno, che sempre Gesù ha rifiutato nella sua vita – e qui sta l’errore di lettura di Callisto III -; essa non è neppure un’emozione spirituale da gustare – ecco l’errore di Pietro -. È invece uno sprazzo, un bagliore di quel regno che è il Cristo stesso, una luce che è anche quella di Pasqua, della Pentecoste, della parusia, quando con il ritorno glorioso di Cristo, il mondo intero verrà trasfigurato. Mosè ed Elia, l’abbiamo detto, parlano con Gesù del suo éxodos, cioè della sua passione: solo quest’ultima farà risplendere la luce non in cima al Tabor, la montagna che rappresenta simbolicamente le teofanie e le estasi, ma al cuore stesso delle sofferenze degli uomini, del loro inferno, e infine della morte. La liturgia ci aiuta ancora a capire: «Ascoltate [dice il Padre] colui che attraverso la croce ha spogliato l’inferno e dona ai morti la vita senza fine». Per la teologia ortodossa, la luce della trasfigurazione è l’energia divina (secondo il vocabolario precisato nel XIV secolo da Gregorio Palamas), vale a dire lo sfolgorare di Dio: Dio stesso che, mentre rimane inaccessibile nella sua «sovraessenza», si rende tuttavia partecipabile agli uomini per una follia di amore. Da cui si comprende l’importanza di questa festa per la tradizione mistica e iconografica. Lo sfolgoramento, la folgorazione divina è tale da gettare a terra gli apostoli sulla montagna. Eppure sul Tabor essa rimane una luce esterna all’uomo. Ora essa ci è donata – scintilla impercettibile o fiume di fuoco – nel pane e nel vino eucaristici. Allora i nostri occhi si aprono e noi comprendiamo che il mondo intero è intriso di quella luce: tutte le religioni, tutte le intuizioni dell’arte e dell’amore lo sanno, ma è stato necessario che venisse il Cristo e che avvenisse in lui quell’immensa metamorfosi – così chiamano i greci la Trasfigurazione – perché si rivelasse infine che alla sorgente delle falde di fuoco, di pace e di bellezza presenti nella storia, vi è, vincitore della notte e della morte, un Volto.

Preghiera finale: I monti fondono come cera davanti al Signore, davanti al Signore di tutta la terra. Annunciano i cieli la sua giustizia, e tutti i popoli vedono la sua gloria (Sal 96).
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MessaggioTitolo: domenica 7 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptySab Ago 06, 2011 9:43 am

DOMENICA 7 AGOSTO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Vieni Spirito Santo, la mia vita è nella tempesta, i venti egoistici mi spingono dove non voglio andare, non riesco a resistere alla loro forza. Sono debole e privo di forza. Tu sei l’energia che da la vita, Tu sei il mio conforto, mia forza e mio grido di preghiera. Vieni Spirito Santo, svelami il senso delle Scritture, ridonami pace, serenità e gioia di vivere.

Letture:
1Re 19,9.11-13 (Fermati sul monte alla presenza del Signore)
Sal 84 (Mostraci, Signore, la tua misericordia)
Rm 9,1-5 (Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli)
Mt 14,22-33 (Comandami di venire verso di te sulle acque)

«Tu sei veramente il Figlio di Dio!»
Già gli ebrei nel vecchio testamento imploravano così il Signore: «Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso». Ci piace pensare e credere all’onnipotenza di Dio soprattutto se la immaginiamo a nostro uso e consumo. Ricorre frequentemente per i religiosi di ogni tempo la tentazione che induce a pensare che dalla fede e dalla fedeltà debba scaturire quasi come dovuta una adeguata ricompensa. Che Dio ce lo debba… Oppure, ancor peggio, che la nostra fede debba essere continuamente alimentata da prodigi. Ecco la voce stridula di Pietro: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Gesù acconsente, ma poi dimostra a Pietro e a tutti noi che la fede non serve tanto per camminare sulle acque, ma piuttosto per stare con i piedi per terra e saperci muovere speditamente verso la meta finale della nostra esistenza. Sono le prove della vita, per Pietro la violenza del vento, a saggiare l’autenticità e la fermezza della nostra fede. Non possiamo esaurire la pratica religiosa facendo i cristiani della domenica. La fede deve diventare lampada ai nostri passi luce sul nostro cammino. Cala altrimenti il buio e con il buio anche il più leggero fruscio ci sembra tempestoso e genera in noi la paura. L’intervento di Gesù chiamato dalle fede e invocato dall’imminenza del pericolo, il «Signore, salvami!» di Pietro ci fa scoprire l’atteggiamento premuroso e provvido nei nostri confronti, anche quando la fede vacilla. «Subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Quella mano tesa, quel dolce rimprovero generano la fede negli astanti più che il camminare di Gesù sulle acque. «Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
La paura e la mancanza di coraggio rappresentano un notevole ostacolo ad una vita di fede e d’amore. Anche noi, proprio come gli apostoli sulla barca, possiamo lasciarci paralizzare dalla paura, che ci impedisce di vedere quanto Cristo ci sia vicino. Egli è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, ed è anche il Dio della natura, che comanda alle tempeste e a tutte le forze distruttrici: “Egli annunzia la pace... La sua salvezza è vicina a chi lo teme” (Sal 85,9-10); anche quando ci sembra di essere su una barca a “qualche miglio da terra e... agitata dalle onde, a causa del vento contrario”, egli non è mai lontano da ognuno di noi. Come san Pietro, dobbiamo essere pronti a rischiare la nostra sicurezza e l’eccessiva preoccupazione per noi stessi, se vogliamo che la nostra fede si rafforzi. Cristo dice ad ognuno di noi: “Vieni”. Per rispondere e per andare a lui, a volte, dobbiamo attraversare le acque della sofferenza. Che cosa succede, allora, quando, sentendo la forza del vento, cominciamo ad avere paura e ad affondare? Per superare la paura si deve seguire l’esempio di Gesù: “Salì sul monte, solo, a pregare”. La fede si rafforza solo con una pratica regolare della preghiera.

Approfondimento del Vangelo (Gesù cammina sulle acque)
Il testo: [Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Chiave di lettura: Gesù con i discepoli si trovano sulla sponda del lago, al calar della notte, dopo la moltiplicazione dei pani. Parte del brano proposto è narrato anche da Marco (6,45-52) e da Giovanni (6,16-21). L’episodio di Pietro (vv. 28-32) si trova solo in Matteo. Alcuni commentatori sostengono che si tratti di un’apparizione di Gesù dopo la risurrezione (Lc 24,37). Vengono così adombrate le difficoltà della chiesa e la necessità di una fede più grande in Gesù risorto.

Una possibile divisione del testo:
- Matteo 14,22-23: collegamento con la moltiplicazione dei pani
- Matteo 14,24-27: Gesù cammina sulle acque
- Matteo 14,28-32: l’episodio di Pietro
- Matteo 14,33: la professione di fede

Momento di silenzio orante: desidero tacere e ascoltare la voce di Dio.

Alcune domande: Nei momenti di buio e di tempesta interiore come reagisco? La presenza e l’assenza del Signore come si integrano in me? Quale posto ha in me la preghiera personale, il dialogo con Dio? Cosa chiediamo al Signore nella notte oscura? Un miracolo che ci liberi? Una fede più grande? In quale atteggiamento rassomiglio a Pietro?

Commento:
- [Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. La moltiplicazione dei pani (14,13-21) potrebbe aver generato nei discepoli delle attese trionfalistiche riguardo al Regno di Dio. Pertanto Gesù ordina subito di allontanarsi. Egli “costrinse”, verbo insolito di forte significato. Il popolo acclama Gesù come profeta (Gv 6,14-15) e vuole farlo condottiero politico. I discepoli sono facili a fraintendere (Mc 6,52; Mt 16,5-12), c’è il rischio di lasciarsi trasportare dall’entusiasmo del popolo. I discepoli devono abbandonare questa situazione.
- Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. Gesù si trova davanti ad una situazione nella quale la folla galileana si entusiasma per il miracolo e rischia di non comprendere la sua missione. In questo momento così importante, Gesù si ritira solitario in preghiera, come al Getsemani (Mt 26,36-46).
- La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Questo versetto, nel quale si nota la barca, senza Gesù, in pericolo, si può avvicinare al v. 32 ove il pericolo cessa con la salita in barca di Gesù e Pietro.
- Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. Gesù appare ai discepoli in modo insolito. Egli trascende i limiti umani, ha autorità sul creato. Si comporta come solo Dio può fare (Gb 9,8; 38,16).
- I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. I discepoli lottavano con il vento contrario, avevano trascorso una giornata emozionante, e ora una notte insonne. Nella notte (tra le tre e le sei), in mezzo al mare, sono proprio spaventati al vedere uno che va loro incontro. Non pensano alla possibilità che possa essere Gesù. Hanno una visione troppo umana, credono ai fantasmi (Lc 24,37). Il Risorto ha vinto invece le forze del caos rappresentato dai flutti del mare.
- Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». La presenza di Gesù allontana ogni paura (9,2.22). Dicendo “sono io” evoca la sua identità (Es 3,14) e manifesta il potere di Dio (Mc 14,62; Lc 24,39; Gv 8,58; 18,5-6). La paura si vince con la fede.
- Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Pietro sembra volere ancora una conferma della presenza di Gesù. Chiede un segno.
- Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Pietro è disposto comunque a rischiare uscendo dalla barca e cercando di camminare su quelle onde agitate, in mezzo al vento impetuoso (v. 24). Egli affronta il rischio di credere alla Parola: vieni!
- Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». Occorre però anche la perseveranza nella scelta di fede. Le forze contrarie (il vento) sono tante, c’è il rischio di soccombere. La preghiera di supplica lo salva.
- E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Pietro non è lasciato solo nella sua debolezza. Nelle tempeste della vita cristiana non siamo soli. Dio non ci abbandona anche se apparentemente è assente o non fa nulla.
- Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Appena Gesù sale sulla barca le forze del male cessano. Le forze degli inferi non prevarranno su di essa.
- Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». Ora avviene quella professione di fede che era stato preparato nell’episodio precedente della moltiplicazione dei pani, purificato con l’esperienza dell’allontanamento dal Pane di vita eterna (Gv 6,1-14). Anche Pietro ora può confermare i fratelli nella fede, dopo la prova.

Gesù, uomo di preghiera: Gesù prega nella solitudine e nella notte (Mt 14,23; Mc 1,35; Lc 5,16), all’ora dei pasti (Mt 14,19; 15,36; 26,26-27). In occasione di eventi importanti: per il battesimo (Lc 3,21), prima di scegliere i dodici (Lc 6,12), prima di insegnare a pregare (Lc 11,1; Mt 6,5), prima della confessione di Cesarea (Lc 9,18), nella trasfigurazione (Lc 9,28-29), nel Getsemani (Mt 26,36-44), sulla croce (Mt 27,46; Lc 23,46). Prega per i suoi carnefici (Lc 23,34), per Pietro (Lc 22,32), per i suoi discepoli e per coloro che li seguiranno (Gv 17,9-24). Prega anche per se stesso (Mt 26,39; Gv 17,1-5; Eb 5,7). Insegna a pregare (Mt 6,5), manifesta un rapporto permanente con il Padre (Mt 11,25-27), sicuro che non lo lascia mai solo (Gv 8,29) e lo esaudisce sempre (Gv 11,22.42; Mt 26,53). Ha promesso (Gv 14,16) di continuare a intercedere nella gloria (Rm 8,34; Eb 7,25; 1Gv 2,1).

Contemplazione: Signore Gesù a volte siamo pieni di entusiasmo e dimentichiamo che sei Tu la fonte della nostra gioia. Nei momenti di tristezza non ti cerchiamo o vogliamo un tuo intervento miracoloso. Ora sappiamo che non ci abbandoni mai, che non dobbiamo avere paura. La preghiera è anche la nostra forza. Aumenta la nostra fede, siamo disposti a rischiare la nostra vita per il tuo Regno.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
1Sam 3,1-20
Sal 62
Ef 3,1-12
Mt 4,18-22

Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta
Ogni vita è una chiamata, anzi una predestinazione: a vivere da figli di Dio perché alla fine ne diveniamo eredi. Entro questo quadro, ogni individuo riceve un dono (un “carisma”) da mettere alla utilità comune: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Cor 12,7). Questo è il modo di vedere la vita da credente, tutto l’opposto dallo sguardo pagano. Sostanzialmente la nostra vita è un’obbedienza. Quante cose ci sono imposte da circostanze, situazioni.. che non scegliamo noi! Le dobbiamo sopportare per vivere. La differenza tra il pagano e il credente sta a chi si deve obbedire: o al caso, al destino, alla malvagità degli uomini, alla disgrazia.., dove la vita diventa un assurdo e una disperazione. Oppure obbedire a Dio del quale crediamo la premura per noi. Nell’incomprensione dell’agire di Dio c’è sempre la risorsa: almeno il perché lui lo sa!, e.. “Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28). Oggi si parla di tre vocazioni speciali: quella di Samuele a profeta di Dio, di Paolo ad apostolo dei pagani, ai primi discepoli che Gesù chiama dal lago di Tiberiade. Per aiutare noi a scoprire la chiamata di Dio e sapervi corrispondere.
Tre vocazioni: La vocazione di Samuele è paradigmatica. Il ragazzo è stato offerto al tempio da una madre che ha sperimentato il favore di Dio: lei sterile ha avuto questo Samuele dopo averlo chiesto a Dio, e lo ha consacrato subito al Signore. All’origine di una vocazione sta una madre, una famiglia aperta al disegno di Dio. Al tempio il giovane cresce alla scuola di un sacerdote che lo educa ad essere in ascolto di Dio. L’educazione religiosa ben coltivata è il terreno propizio a ricevere semi capaci di portare frutti.. “fino al cento per uno” (Mt 13,8). Dio parla spesso attraverso intermediari: l’essere stato obbediente al sacerdote Eli ha portato Samuele a percepire la parola di Dio e a obbedirgli. “Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole” (Lett.). Paolo proclama spesso la sua speciale chiamata avvenuta clamorosamente sulla via di Damasco e, dentro questa, una chiamata ad essere apostolo proprio tra i pagani. Anzi si sente investito di una missione da pioniere, quella di rivelare l’universalità del disegno di Dio: annunciare cioè “che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. La sua però la sente come una vocazione frutto tutta della iniziativa gratuita di Dio, proprio a lui che se sente indegno: “A me, che sono l’ultimo tra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli”. Si sente quindi di operare con la forza stessa di Dio: “ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza” (Epist.). Dei primi discepoli si dice che alcuni “gettavano le reti in mare”; di altri che “riparavano le loro reti; erano infatti pescatori”. Gesù li sorprende al loro posto di lavoro e li chiama alla sua sequela: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Gesù sceglie uomini posti in ogni condizione, anche dal banco delle tasse (Matteo), senza alcun merito proprio o speciale esperienza e competenza religiosa. Dirà: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16). Probabilmente all’unica condizione che in un modo solenne chiese alla fine proprio a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Pasci le mie pecore” (Gv 21,15-17). Nient’altro: Se mi ami.. pasci!
La nostra vocazione: “Leggendo ciò che ho scritto - riferisce san Paolo -potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù” (Epist.). Un giorno lo esplicita questo disegno di Dio voluto per tutti: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli che poi ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati” (Rm 8,29-30). Sono cinque tappe (segnati da cinque verbi: conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati, glorificati) che segnano l’identità profonda dell’uomo, il senso e il cammino da percorrere, e il destino alto cui è chiamato chi vi corrisponde. Itinerario proposto da Dio ma che deve trovare accoglienza e collaborazione nella libertà dell’uomo. La vocazione è il frutto dell’azione di Dio e della libertà umana: grazia e libertà che si combinano con una efficacia discreta di Dio e una libertà rispettata nei suoi ritmi difficili e spesso ribelli dell’uomo. La vocazione e la missione di ognuno è il risultato di questo incontro di due risorse; non certamente alla pari come valori perché il disegno di Dio è sempre molto più in là d’ogni aspirazione umana. Allora, in sostanza, la risposta umana sta nel conoscere, stimare, far proprio quel disegno - oggettivamente ed esemplarmente attuato dall’uomo Cristo Gesù - reimpostando i passi a secondo dei segnali che ci vengono offerti dalla costante premura educativa di Dio. E’ lo Spirito Santo colui che a colpi di pollice modella la nostra vita, al quale quindi siamo chiamati a rispondere con docilità. Ogni itinerario è speciale vocazione di Dio. Paolo li esemplifica in ministeri, attività, carismi (cfr. 1Cor 12): a partire dalla vocazione coniugale cui è dato un compito e una grazia speciale, a servizi ecclesiali ordinati, ad attività di testimonianza fino al martirio che costituiscono oggi vocazioni di particolare urgenza entro un mondo tutto ancora da evangelizzare. E’ il battesimo che deputa a questa ministerialità, e che dà quindi dignità divina alla quotidianità dei servizi che in sé non sempre hanno soddisfazione e risultati sperati. La vita vissuta come vocazione unifica l’esistenza, dà spessore soprannaturale alla obbedienza e inserisce nell’eternità la finitezza del nostro vivere nel tempo.
“Samuele, Samuele!”. Dio chiama con la voce del sacerdote Eli; per questo Samuele corre sempre da lui. Sarebbe da pensare che spesso - e in un modo ufficiale almeno nel sacramento della Riconciliazione - è la voce del prete a indicare la “Via”; e comunque è in una seria “direzione spirituale” il luogo classico nella Chiesa per “discernere gli spiriti” e costruire stoffa di Santi! Purché sia sempre sincera l’invocazione: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”.
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MessaggioTitolo: sabato 13 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Ago 09, 2011 11:46 am

SABATO 13 AGOSTO 2011

SABATO DELLA XIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.

Letture:
Gs 24,14-29 (Sceglietevi oggi chi servire)
Sa 15 (Tu sei, Signore, mia parte di eredità)
Mt 19,13-15 (Non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli)

Gesù e i bambini:il fascino dell’innocenza
È prerogativa dei bambini diventare talvolta insopportabili. La loro erompente vivacità spesso stride con le nostre stanchezze e con il bisogno di quiete. Facciamo fatica a comprendere che è nella loro indole e nel loro stato di crescita l’impossibilità di assecondarci sempre e in tutto. Tutto ciò ci sollecita quasi a scusare il comportamento burbero degli Apostoli. Essi presi da zelo per la tranquillità del loro Maestro, probabilmente stanco del lungo peregrinare, sgridano e vorrebbero allontanare quei bimbi portati a Gesù perché li benedicesse. È virtù di pochi sapersi specchiare nell’innocenza dei bambini e saper godere del loro candore. Il Signore, che li aveva altre volte additati ad esempio, li accoglie con amorevolezza, impone loro le mani in segno di benedizione e poi si conceda da loro. Ricorda poi agi Apostoli e a tutti noi che di essi è il regno di dei cieli. L’apparente fragilità induce spesso all’umiltà e lo stato di indigenza dovuto all’età, rende semplice e pura la loro preghiera. Una delle beatitudini è riferita proprio ai puri di cuore perché è dato loro di vedere il volto di Dio. Gli stessi angeli custodi dei più piccoli stanno sempre davanti a Dio, quasi avessero il bisogno e la gioia di raccontare la bellezza della loro anima pulita e sgombra da ogni male. Il loro cuore e la loro persona è quindi da trattare come un sacrario, con il migliore rispetto e il più puro amore. Gridano vendetta al cospetto di Dio le violenze di ogni genere che vengono perpetrate nei loro confronti. È di inaudita gravità il peccato che infanga la loro anima e il loro corpo. Gesù stesso aveva detto a loro protezione: «Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali!».
Nel dialogo tra Giosuè e il popolo riguardo al servizio del Signore Dio, alcune cose fanno meraviglia. La prima è che, dopo aver comandato agli Israeliti di servire il Signore, Giosuè lascia loro la scelta: “Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire”, cioè qualche dio dei pagani. Poi, quando il popolo dichiara di voler servire Jahvè, il Signore d’Israele che l’ha liberato dalla schiavitù, Giosuè, invece di approvare questa giusta decisione, prende a impugnarla, tiene un discorso dissuasivo: “Voi non potrete servire il Signore”, sarà troppo difficile, anzi sarà pericoloso, perché il Signore, in caso di infedeltà, “si volterà contro di voi, vi farà del male e vi consumerà”. Perché questo atteggiamento? Perché Giosuè vuol evitare il rischio di un impegno superficiale da parte degli Israeliti, un impegno che non reggerebbe alla prima difficoltà. Accettare di entrare in un rapporto di alleanza con Dio non è una cosa da poco, non si tratta di una cerimonia esterna, senza conseguenze per la vita, che si dimentica appena è finita. Si tratta invece di un impegno radicale, che deve coinvolgere tutta la persona, in tutte le sue attività, in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue aspirazioni. Nessuno è costretto a prendere questo impegno; Dio rispetta la libertà, lui che ha creato l’uomo libero e lo vuole libero. Sa Dio che una costrizione non è degna dell’uomo, e non è degna di Dio. Ciascuno è quindi libero di scegliere, anche una via di perdizione. Però chi si impegna ad entrare in alleanza con Dio deve farlo sul serio. La dignità della persona umana sta precisamente nella capacità di prendere impegni seri e di mantenerli. Così fu rinnovata a Sichem l’alleanza del Sinai. Noi cristiani siamo invitati a rinnovare ogni anno, nella veglia pasquale del Sabato Santo, i nostri impegni battesimali: rinunciare risolutamente a tutte le attrattive torbide e ambigue, a tutte le idolatrie del denaro, del sesso, del potere, a tutto ciò che in fondo è indegno della nostra umanità. Siamo invitati ad accogliere in pieno la luce di Dio nella nostra vita, il desiderio di Dio sulla nostra esistenza, l’amore di Dio. Siamo invitati a fondare tutto sulla relazione con Dio, che dà la vera libertà interiore, rende accoglienti, semplici, permette i rapporti più sinceri, più cordiali con gli altri. Chi riceve l’amore che viene da Dio è sempre spinto a diffondere questo amore generosamente e umilmente. Nel Vangelo di oggi vediamo che Gesù, essendo completamente disponibile all’amore proveniente dal cuore del Padre, era accogliente verso tutti e in particolare con i bambini, i quali non hanno le complicazioni degli adulti cresciuti male. Torniamo quindi ai nostri impegni battesimali, per vivere una vita nuova, luminosa, quali figli di Dio carissimi, camminando nella carità come Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.

Riflessione:
- Il vangelo è molto breve. Appena tre versetti. Descrive come Gesù accoglie i bambini.
- Matteo 19,13: L’atteggiamento dei discepoli dinanzi ai bambini. Portarono da Gesù alcuni bambini, affinché lui imponesse loro le mani e pregasse per loro. I discepoli ripresero le madri. Perché? Probabilmente d’accordo con le norme severe delle leggi dell’impurità, i bambini piccoli nelle condizioni in cui vivevano erano considerati impuri. Se loro toccavano Gesù, Gesù sarebbe divenuto impuro. Per questo, era importante evitare che giungessero vicino a lui e lo toccassero. Perché già era avvenuto una volta, quando un lebbroso toccò Gesù. Gesù rimase impuro e non poté più entrare nella città. Doveva rimanere in luoghi deserti (Mc 1,4-45).
- Matteo 19,14-15: L’atteggiamento di Gesù: accoglie e difende la vita dei bambini. Gesù riprende i discepoli e dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei Cieli”. A Gesù non importa trasgredire le norme che impediscono la fraternità e l’accoglienza da dare ai piccoli. La nuova esperienza di Dio Padre ha marcato la vita di Gesù e gli dà occhi nuovi per percepire e valutare la relazione tra le persone. Gesù si mette al lato dei piccoli, degli esclusi e assume la sua difesa. Impressiona quando si mette insieme tutto ciò che la Bibbia dice su gli atteggiamenti di Gesù in difesa della vita dei bambini, dei piccoli:
a) Ringraziare per il Regno presente nei piccoli. La gioia di Gesù è grande, quando vede che i bambini, i piccoli, capiscono le cose del Regno che lui annunciava alla gente. “Padre, io ti ringrazio!” (Mt 11,25-26). Gesù riconosce che i piccoli capiscono più dei dottori le cose del Regno!
b) Difendere il diritto di gridare. Quando Gesù, entrando nel Tempio, rovescia i tavoli dei cambiavalute, furono i bambini a gridare: “Osanna al Figlio di Davide!” (Mt 21,15). Criticati dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, Gesù li difende e nella sua difesa invoca le Scritture (Mt 21,16).
c) Identificarsi con i piccoli. Gesù abbraccia i piccoli e si identifica con loro. Chi accoglie un piccolo, accoglie Gesù (Mc 9, 37). “E ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
d) Accogliere e non scandalizzarsi. Una delle parole più dure di Gesù è contro coloro che sono causa di scandalo per i piccoli, cioè, che sono il motivo per cui i piccoli non credono più in Dio. Per questo, meglio sarebbe per loro legarsi al collo una pietra da molino ed essere gettati nell’abisso del mare (Lc 17,1-2; Mt 18,5-7). Gesù condanna il sistema, sia politico che religioso, che è motivo per cui i piccoli, la gente umile, perde la sua fede in Dio.
e) Diventare come bambini. Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare come bambini e di accettare il Regno come i bambini. Senza questo non è possibile entrare nel Regno (Lc 9,46-48). Indica che i bambini sono professori degli adulti. Ciò non era normale. Siamo abituati al contrario.
f) Accogliere e toccare (il vangelo di oggi). Madri con figli che giungono vicino a Gesù per chiedere la benedizione. Gli apostoli reagiscono e le allontanano. Gesù corregge gli adulti ed accoglie le madri con i bambini. Tocca i bambini e li abbraccia. “Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite!” (Mc 10,13-16; Mt 19,13-15). Nelle norme dell’epoca, sia le mamme che i figli piccoli, vivevano, praticamente, in uno stato di impurità legale. Gesù non si lascia trascinare da questo.
g) Accogliere e curare. Sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura e risuscita: la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42), la figlia della donna Cananea (Mc 7,29-30), il figlio della vedova di Naim (Lc 7,14-15), il bambino epilettico (Mc 9,25-26), il figlio del Centurione (Lc 7,9-10), il figlio del funzionario pubblico (Gv. 4,50), il fanciullo con i cinque pani ed i due pesci (Gv. 6,9).

Per un confronto personale:
- Bambini: cosa hai imparato dai bambini lungo gli anni della tua vita? E cosa imparano i bambini da te su Dio, su Gesù e sulla vita?
- Qual è l’immagine di Dio che irradio ai bambini? Dio severo, buono, distante o assente?

Preghiera finale: Signore, rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno (Sal 50).
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MessaggioTitolo: domenica 14 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Ago 09, 2011 11:50 am

DOMENICA 14 AGOSTO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, sopratutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 56,1.6-7 (Condurrò gli stranieri sul mio monte santo)
Sal 66 (Popoli tutti, lodate il Signore)
Rm 11,13-15.29-32 (I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili per Israele)
Mt 15,21-28 (Donna, grande è la tua fede!)

«Avvenga per te come desideri»
La fede, quando arde in noi ed è ben alimentata dalla preghiera, è come una luminosissima lampada che ci consente di immergerci nella luce stessa di Dio. Fa nascere in noi la fiducia incondizionata, la certezza che l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori in abbondanza. Siamo certi che quello che il Signore vuole si compie in cielo e sulla terra, ma abbiamo anche la certezza che la nostra preghiera verrà esaudita perché siamo in perfetta sintonia con il Signore: quello che il Signore vuole da noi, noi lo facciamo e quello che noi umilmente chiediamo ci viene accordato. «Sia fatta la Tua volontà» ci fa pregare Gesù nel Padre nostro, quando ciò davvero avviene nella nostra vita, lo stesso Signore è disposto a fare la nostra volontà. A darci cioè quanto chiediamo con fede nella preghiera. Esattamente quello che Gesù dice alla mamma che l’invoca: «Ti sia fatto come desideri». La donna Cananea che incontriamo nel vangelo odierno è uno splendido esempio di preghiera fervida ed appassionata e di fede limpida. L’esempio rifulge particolarmente perché ci viene offerto da una persona che viene dal paganesimo. È bello pensare che l’amore materno è talmente intenso e sacro che quasi naturalmente fa esplodere la preghiera e la fede migliori. Questa mamma che implora la guarigione della propria figlia «crudelmente tormentata da un demonio», la vediamo come un prototipo di tutte le mamme affrante per la salute fisica e spirituale dei propri figli. Ci induce a pensare alla Vergine Madre, addolorata ai piedi della croce. Ci fa ricordare che un granello di fede è sufficiente a spostare le montagne e a strappare autentici miracoli al Signore. Dobbiamo rivolgere una duplice invocazione a Cristo Gesù: «accresci in noi la fede» e «Signore, insegnaci a pregare».
Dio viene a noi, ma noi non sempre gli andiamo incontro. Si manifesta in molti modi diversi, ma non sempre viene riconosciuto e accolto dal suo popolo. A volte, tuttavia, viene accolto in luoghi e modi sorprendenti. Nel Vangelo di oggi, vediamo Gesù partire verso un luogo inatteso: la regione fra Tiro e Sidone, abitata da pagani. Il suo arrivo non passa inosservato: gli va incontro una donna cananea, qualcuno, dunque, che non apparteneva ad Israele. La donna è spinta verso Gesù dai suoi bisogni, non dalla fede. Quali siano i suoi bisogni e quali quelli della figlia è chiaro, tanto più che la donna li esprime a gran voce, con una violenta insistenza: implora la pietà di Gesù, grida perché egli la aiuti e, soprattutto, non desiste. La donna, tuttavia, non esprime solo e soprattutto i propri bisogni: riconosce, infatti, Gesù come Signore, come figlio di Davide. Il suo grido di disperazione si purifica così diventando preghiera. Del resto, quando a Messa diciamo o cantiamo: “Signore, abbi pietà”, non ripetiamo, in un certo senso, le parole e la venerazione della donna cananea?

Approfondimento del Vangelo (Guarigione della figlia della Cananea)
Il testo: In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Una chiave di lettura: Nel testo di oggi Gesù incontra una donna straniera, cosa proibita dalla religione di quel tempo. Inizialmente Gesù non voleva dargli retta, ma la donna insistette e ottenne ciò che voleva. Questo testo aiuta a capire come Gesù faceva per conoscere e mettere in pratica la volontà del Padre.

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- Mt 15,21-22: Il grido addolorato della donna
- Mt 15,23-24: Lo strano silenzio di Gesù e la reazione dei discepoli
- Mt 15,25-26: Nuova richiesta della donna, e nuovo rifiuto di Gesù
- Mt 15,27-28: Il terzo tentativo della donna ottiene la guarigione della figlia

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) In questo episodio qual è il punto che ha richiamato maggiormente la mia attenzione e quale ho gustato di più?
b) Quattro personaggi appaiono nel testo: la donna, la figlia, i discepoli e Gesù. Cosa dice il testo sul comportamento di ciascuno? Con quale dei quattro tu ti identifichi meglio? Perché?
c) Gesù disse che la sua missione non gli permetteva di stare ad ascoltare la richiesta della donna. Ma subito dopo egli risponde alla richiesta. Come si spiega questo cambio improvviso nel comportamento di Gesù?
d) In quale maniera la risposta della donna circa i cagnolini e le briciole ha avuto influenza su Gesù?
e) Perché quelle parole rivelano la grandezza della fede della donna?
f) Come le parole di Gesù possono aiutare la nostra comunità ad avere una fede più salda?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il tema
a) Il contesto nel quale Matteo conserva le Parole di Gesù:
- Il vangelo di Matteo, scritto intorno all’anno 85 dC., è indirizzato ad una comunità di giudei pii e osservanti, convertiti alla fede in Gesù. Imitando l’esempio di Gesù, essi avevano continuato a vivere secondo le tradizioni del popolo giudaico, osservando in tutto la legge di Mosé. Ma ora negli anni ‘80 si trovano ad un bivio. Dopo la distruzione di Gerusalemme (70 dC), i farisei, loro fratelli di razza, avevano iniziato a riorganizzare il giudaismo e, in nome della fedeltà alla stessa legge di Mosé, cercavano di bloccare la diffusione sempre più forte dei cristiani. Arrivarono al punto di espellerli dalla sinagoga. Questa ostilità non prevista fece entrare in una crisi profonda di identità la comunità dei giudei cristiani. Poiché, tanto i farisei quanto i cristiani affermavano di essere fedeli alla legge di Dio. Chi dei due era nella verità? Con chi stava Dio? L’eredità del popolo ebraico a chi apparteneva: alla sinagoga o alla chiesa?
- Proprio per animare questo gruppo di giudei-cristiani, Matteo scrive il suo vangelo. Scrive per confermarli nella fede, mostrando che Gesù di fatto è il Messia, nel quale culmina tutta la storia dell’Antico Testamento. Scrive per consolarli in mezzo a tante ostilità, aiutandoli a superare il trauma della rottura con i fratelli. Scrive per convocarli a una nuova pratica di vita, mostrando come devono fare per arrivare ad una nuova giustizia, migliore della giustizia dei farisei.
- In questo contesto, l’episodio della donna cananea serviva a mostrare alle comunità come lo stesso Gesù avesse fatto passi concreti per oltrepassare i limiti della religione chiusa in se stessa e come Lui facesse per discernere la volontà del Padre oltre lo schema tradizionale.
b) Commento delle parole di Gesù, riportate da Matteo
- Matteo 15,21: Gesù si allontana dal territorio giudaico. Nella discussione circa ciò che è puro e ciò che è impuro, Gesù aveva insegnato il contrario della tradizione degli antichi, dichiarando puri tutti gli alimenti, e aveva aiutato il popolo e i discepoli a uscire dalla prigione delle leggi di purità (Mt 15,1-20). Ora, in questo episodio della donna cananea, si allontana dalla Galilea, oltrepassa le frontiere del territorio nazionale e accoglie una donna straniera che non apparteneva al popolo e con la quale era proibito conversare. Il vangelo di Marco informa che Gesù non voleva essere riconosciuto. Voleva restare anonimo. Ma stando a ciò che si vede, la sua fama già lo aveva preceduto (Mc 7,24). Il popolo venne a saperlo e una donna iniziò a fare una richiesta a Gesù.
- Matteo 15,22: Il grido angustiato della donna. La donna era di un’altra razza e di un’altra religione. Essa inizia a supplicare per la guarigione della figlia che era posseduta da uno spirito immondo. I pagani non avevano problemi nel ricorrere a Gesù. I giudei invece avevano problemi a convivere con i pagani! Era loro proibito dalla legge entrare a contatto con una persona di altra religione o razza.
- Matteo 15,23-24: Lo strano silenzio di Gesù e la reazione dei discepoli. La donna grida, ma Gesù non risponde. Atteggiamento strano! Perché la certezza che percorre la Bibbia, da capo a fondo, è che Dio sempre ascolta il grido del popolo oppresso. Ma qui Gesù non ascolta. Non vuole ascoltare. Perché? Perfino i discepoli sono sorpresi dal comportamento di Gesù e chiedono che presti attenzione alla donna. Essi vogliono liberarsi da quel grido: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro”. Gesù spiega il suo silenzio: “Non sono stata inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”. Il silenzio è in relazione con la coscienza che Gesù ha della sua missione e con la fedeltà verso legge di Dio. La forma passiva indica che il soggetto dell’azione del verbo è il Padre. È come se dicesse: “Il Padre non vuole che io dia ascolto a questa donna, poiché Egli mi ha inviato solamente per le pecore perdute di Israele!” Per lo stesso motivo, nell’epoca in cui Matteo scriveva il suo vangelo, i farisei dicevano: “Non possiamo entrare a contatto con i pagani!”.
- Matteo 15,25-26: Nuova domanda della donna, e nuovo rifiuto di Gesù. La donna non si preoccupa del rifiuto di Gesù. Amore di madre per la figlia ammalata non si preoccupa di norme religiose né della reazione degli altri, ma cerca la guarigione là dove la sua intuizione le fa vedere una soluzione: cioè in Gesù! Essa arriva ancora più vicino, si getta ai piedi di Gesù e comincia a supplicare: “Signore, aiutami!”. Fedele alle norme della sua religione, Gesù risponde con una parabola e dice che non conviene prendere il pane dei figli e darlo ai cagnolini. Il paragone è preso dalla vita familiare. Bambini e cani sono numerosi nelle case dei poveri anche oggi. Gesù dice che nessuna madre toglie il pane di bocca ai propri figli per darlo ai cagnolini. Nel caso concreto, i figli sarebbero il popolo giudaico, e i cagnolini i pagani. Caso chiuso! Obbediente al Padre, fedele alla sua missione, Gesù segue il suo cammino e non bada alla richiesta della donna!
- Matteo 15,27-28: Il terzo tentativo della donna ottiene la guarigione della figlia. La donna non si da per vinta. Essa è d’accordo con Gesù, ma allarga il paragone e lo applica al suo caso: “È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Ella tira semplicemente la conclusione di quella immagine, mostrando che in casa del povero (e perciò anche in casa di Gesù) i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei bambini. Molto probabilmente, Gesù stesso quando era piccolo avrà dato pezzi di pane ai cagnolini che giravano sotto la tavola dove lui mangiava assieme ai genitori. E nella “casa di Gesù”, cioè nella comunità cristiana del tempo di Matteo, alla fine del primo secolo, c’erano in più “dodici ceste piene” (Mt 14,20) per i “cagnolini”, cioè per i pagani! La reazione di Gesù è immediata: “Donna, davvero grande è la tua fede!”. La donna ottenne quello che domandava. A partire da quell’istante sua figlia fu guarita. Se Gesù rispose è perché comprese che il Padre voleva che egli accogliesse la richiesta della donna. L’incontro con la donna cananea lo fece uscire dalla prigione della razza e aprirsi a tutta l’umanità. Questo significa che Gesù scopriva la volontà del Padre ascoltando le reazioni delle persone. L’atteggiamento di quella donna pagana aprì un nuovo orizzonte nella vita di Gesù e lo aiutò a fare un passo importante nel compimento del progetto del Padre. Il dono della vita e della salvezza è per tutti coloro che cercano la vita e che si sforzano di liberarsi dalle catene che imprigionano l’energia vitale. Questo episodio ci aiuta a percepire qualcosa del mistero che circondava la persona di Gesù, come egli era in comunione con il Padre e come scopriva la volontà del Padre negli avvenimenti della vita.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
2Sam 12,1-13
Sal 31
2Cor 4,5b-14
Mc 2,1-12

Figlio, ti sono perdonati i peccati
Peccato, pentimento, perdono: tre parole fuori moda e difficili sempre da vivere. Eppure sono l’unica pace per una coscienza che vuol essere seria e vera. Con la colpa non si gioca, perché si gioca la qualità della vita di oggi e il destino ultimo domani. Che cosa è il peccato? Perché chiedere perdono davanti ad un uomo nella Confessione? Dio potrà mai perdonarmi e togliermi il peso di quel che ho fatto? Dubito di poter ritornare come prima! Sono domande e situazioni che oggi la Parola di Dio vuol illuminare e risolvere.
Tu sei quell’uomo: Pagina efficace quella di Natan davanti al peccato di Davide. Aveva rubato l’avvenente moglie di Uria, l’aveva messa incinta, e per salvare la faccia aveva fatto uccidere in guerra il marito. Doppio peccato, di adulterio e di omicidio. Il profeta Natan esprime il giudizio di Dio: “Tu sei quell’uomo”.. che ha commesso la grave ingiustizia del prepotente che approfitta del più debole per suo interesse e piacere! È la parola del profeta che svela l’inganno di una coscienza che pensa di aver accomodato le cose davanti agli altri..; ma non davanti a Dio! Sempre di fronte ai nostri peccati troviamo scuse e si tenta di assicurare il cuore che tanto..: ammazzare non ho ammazzato, rubare non ho rubato.., del resto fan tutti così! C’è una misura oggettiva su cui registrare la bontà del nostro agire, ben oltre la soggettiva coscienza accomodante e manipolata dalla cultura mondana che ci circonda. La prima verità di noi stessi è prendere coscienza del nostro peccato e pentircene. “Ho peccato contro il Signore”, conclude Davide davanti al profeta. Natan è partito da quell’angolo di giustizia che Davide pretendeva nei confronti degli altri, per portarlo a riconoscere la propria ingiustizia. Viene alla mente la parola di Gesù: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Mt 7,3). Spesso giudichiamo gli altri e non ci accorgiamo dei nostri errori. Inoltre Natan richiama l’ingratitudine nei confronti di Dio che per Davide è stato così generoso: “Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo male ai suoi occhi?” (Lett.). Si capisce l’offesa fatta a Dio solo a partire dall’esperienza del suo amore, dal debito grande che abbiamo sempre nei confronti di colui “che mi ha amato e ha consegnato se stesso in ricatto per me” (Gal 2,20). Per un cuore che si pente, non manca il perdono di Dio. Natan glielo assicura: “Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai”. Sembrava giudice quasi vendicativo questo Dio: “Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, .. prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro..” (Lett.); ma al minimo pentimento di Davide, Dio subito cambia atteggiamento. È un pentimento tanto sincero, così profondo, questo di Davide, che è divenuto esemplare per ogni credente: “Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. Tu gradisci la sincerità nel mio intimo. Crea in me, o Dio, un cuore puro. Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 51 passim). Gesù svelerà questo cuore di Dio col dire: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).
Ti sono perdonati i peccati: Forse mai come nell’episodio del vangelo odierno Gesù compie un miracolo di guarigione per mostrare puntigliosamente la sua divinità: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”. Solo Dio può perdonare i peccati, pensano i farisei: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?”. Naturalmente alludendo che proprio questo del perdonare i peccati è il “mestiere” di Dio, e quindi di Gesù: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il monco” (Gv 12,47). “Mestiere” e potere che Gesù ha trasmesso alla Chiesa: “Come il Padre ha mandato a me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” (Gv 20,21-23). Gesù è stato conquistato dalla fede di questo paralitico e dall’azzardo dei suoi accompagnatori, pronti a scalare il tetto. Il pentimento sincero che ottiene il perdono nasce dalla fiducia e dall’amore. Gesù un giorno dichiarò per una donna peccatrice pentita: “Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha amato molto” (Lc 7,47). A Pietro che aveva tradito, Gesù chiese: “Mi ami più di costoro?” (Gv 21,15). Altro contenuto del pentimento è l’umiltà di chi sa la propria debolezza e quindi che la sua salvezza sarà non conquista propria ma alla fine solo perdono gratuito di Dio. Paolo oggi allude a questa nostra fragilità, nella missione come nella vita: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (Epist.). Con questo tipo di pentimento (fede, amore, umiltà, coscienza della propria fragilità) diventa più facile accostarsi al sacramento della Riconciliazione: se ne sente il bisogno, anche perché la parola esplicita del ministro dà sicurezza al cuore, ben oltre i propri soggettivi sentimenti. Il sacramento è la mano “fisica” di Cristo che invera e completa ogni voglia di ritorno a lui. I segni esterni toccano il corpo (battesimo, eucaristia..) per santificare l’anima. È pedagogia (o struttura) voluta da Cristo per raggiungere l’uomo nella sua concretezza; la Chiesa è appunto il “Corpo” che Cristo ha assunto perché la sua presenza e la sua azione siano seminate nel tempo e nello spazio, e possano toccare ogni credente.
Un mio saggio confessore mi ripeteva spesso che le virtù teologali non sono più tre (fede, speranza, carità), ma quattro: anche pentimento. Dio non ci vuole perfetti, ma pentiti. Il punto vero della santità sta nel ricominciare sempre da capo, dopo il perdono di Dio. Il suo perdonare è sempre un dare credito a ognuno di noi. Il vero e grave peccato è quello di chi rifiuta questa mano di Dio e dice: mi spezzo, ma non mi piego! Però: “Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1Pt 5,5).
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MessaggioTitolo: lunedì 15 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Ago 09, 2011 11:57 am

LUNEDÌ 15 AGOSTO 2011

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
SOLENNITÀ


MESSA DELLA VIGILIA


Preghiera iniziale: O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.

Letture:
1Cr 15,3-4.15-16; 16,1-2 (Introdussero dunque l’arca di Dio e la collocarono al centro della tenda che Davide aveva piantata per essa)
Sal 131 (Sorgi, Signore, tu e l’arca della tua potenza)
1Cor 15,54b-57 (Dio ci dà la vittoria per mezzo di Gesù Cristo)
Lc 11,27-28 (Beato il grembo che ti ha portato!)

Maria è Assunta in cielo
La solennità dell’Assunzione di Maria è una celebrazione della sua risurrezione. Per essere stata la Madre di Gesù, Figlio Unigenito di Dio, e per essere stata preservata dalla macchia del peccato, Maria, come Gesù, fu risuscitata da Dio per i gaudi della vita eterna. Maria fu la prima, dopo Cristo, a sperimentare la risurrezione. Tutti sono corruttibili, cioè, ogni essere umano è composto di carne e di sangue destinati a perire. Dopo la morte e sepoltura, avviene la decomposizione. Nel giro di pochi anni, rimane ben poco ad indicare che quel tale una volta camminava su questa terra. Tutti sono mortali, cioè, per ciascuno viene il giorno della morte. Nessuno vive per sempre. La medicina moderna e la tecnologia riusciranno forse a prolungare la vita fino a ottanta, novanta, o anche cento anni, ma, prima o poi, la sorte di ogni essere umano è quella di morire. La morte è un evento a cui nessuno riesce a sfuggire. Però, grazie alla risurrezione di Gesù, Dio ha trasformato ciò che era corruttibile e mortale in incorruttibile e immortale. Quando Dio ha risuscitato Gesù dai morii e gli ha elargito una nuova vita eterna, ha anche reso possibile che ogni essere umano fosse risuscitato dai morti e partecipasse alla vita nuova ed eterna. Il corpo umano morirà e si decomporrà, ma Dio ha dimostrato che questa non è la fine. Dio ha sconfitto la morte risuscitando Gesù dai morti. Ha rivestito il corpo risorto di Gesù di incorruttibilità e di immortalità. La morte ha perduto la battaglia; Dio ha riportato vittoria. Dopo Gesù, Maria è stata la prima a risorgere e ad essere rivestita della vita incorruttibile ed immortale di Dio. Quello che Dio ha fatto per Gesù e per Maria sarà fatto per ogni credente.

Lettura del Vangelo: Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi è molto breve, ma ha un significato importante nell’insieme del vangelo di Luca. Ci dà la chiave per capire ciò che Luca insegna rispetto a Maria, la Madre di Gesù, nel così detto Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2).
- Luca 11,27: L’esclamazione della donna. In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. L’immaginazione creativa di alcuni apocrifi suggerisce che quella donna era una vicina di Nostra Signora, lì a Nazaret. Aveva un figlio, chiamato Dimas, che, con altri ragazzi della Galilea di quel tempo, entrò in guerra con i romani, fu fatto prigioniero e messo a morte accanto a Gesù. Era il buon ladrone (Lc 23,39-43). Sua madre, avendo sentito parlare del bene che Gesù faceva alla gente, ricordò la sua vicina, Maria, e disse: “Maria deve essere felice con un figlio così!”.
- Luca 11,28: La risposta di Gesù. Gesù risponde, facendo il più grande elogio di sua madre: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”. Luca parla poco di Maria: qui (Lc 11,28) e nel Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2). Per lui, Luca, Maria è la Figlia di Sion, immagine del nuovo popolo di Dio. Rappresenta Maria modello per la vita delle comunità. Nel Concilio Vaticano II, il documento preparato su Maria fu inserito nel capitolo finale del documento Lumen Gentium sulla Chiesa. Maria è modello per la Chiesa. E soprattutto nel modo in cui Maria si rapporta con la Parola di Dio Luca la considera esempio per la vita delle comunità: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Maria ci insegna come accogliere la Parola di Dio, come incarnarla, viverla, approfondirla, farla nascere e crescere, lasciare che ci plasmi, anche quando non la capiamo, o quando ci fa soffrire. Questa è la visione che soggiace al Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2). La chiave per capire questi due capitoli ci è data dal vangelo di oggi: ““Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” Vediamo come in questi capitoli Maria si mette in rapporto con la Parola di Dio.
a) Luca 1,26-38: L’Annunciazione: “Si faccia in me secondo la tua parola!”. Sapere aprirsi, in modo che la Parola di Dio sia accolta e si incarni.
b) Luca 1,39-45: La Visitazione: “Beata colei che ha creduto!”. Saper riconoscere la Parola di Dio in una visita ed in tanti altri fatti della vita.
c) Luca 1,46-56: Il Magnificat: “Il Signore ha fatto in me prodigi!”. Riconoscere la Parola nella storia della gente e pronunciare un canto di resistenza e di speranza.
d) Luca 2,1-20: La Nascita: “Lei meditava tutte queste cose nel suo cuore.” Non c’era posto per loro. Gli emarginati accolgono la Parola.
e) Luca 2,21-32: La Presentazione: “I miei occhi han visto la tua salvezza!”. I molti anni di vita purificano gli occhi.
f) Luca 2,33-38: Simeone ed Anna: “Una spada trafiggerà la tua anima”. Accogliere ed incarnare la parola nella vita, essere segno di contraddizione.
g) Luca 2,39-52: Ai dodici anni, nel tempio: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Loro non compresero la Parola che fu detta!
h) Luca 11,27-28: L’elogio alla madre:”Beato il grembo che ti ha portato!”. Beato chi ascolta e mette in pratica la Parola.

Per un confronto personale:
- Tu riesci a scoprire la Parola viva di Dio nella tua vita?
- Come vivi la devozione a Maria, la madre di Gesù?

Preghiera finale: Cantate al Signore canti di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore (Sal 104).

MESSA DEL GIORNO


Orazione iniziale: Spirito Santo, Spirito di sapienza, di scienza, di intelletto, di consiglio, riempici, ti preghiamo della conoscenza della Parola di Dio, riempici di ogni sapienza e intelligenza spirituale per poterla comprendere in profondità. Fa’ che sotto la tua guida noi possiamo comprendere il vangelo di questa solennità mariana. Spirito santo abbiamo bisogno di te, il solo che continuamente modella in noi la figura e la forma di Gesù. E ci rivolgiamo a te, Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, che hai vissuto la presenza inebriante e totalizzante dello Spirito Santo, che hai sperimentato la potenza della sua forza in te, che l’hai visto operante nel tuo Figlio Gesù sin dal grembo materno, apri il nostro cuore e la nostra mente, perché siano docili all’ascolto della Parola di Dio.

Letture:
Ap 11,19;12,1-6.10 (Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi)
Sal 44 (Risplende la regina, Signore, alla tua destra)
1Cor 15,20-26 (Cristo risorto è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo)
Lc 1,39-56 (Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili)

Nota: Le letture tra rito romano e rito ambrosiano sono uguali

Festa dell’Assunzione di Maria
La festa dell’Assunzione è purtroppo nota ai più solo come “Ferragosto”, ma è la più importante tra quelle della Madonna: celebra il mistero della nostra risurrezione che nella persona di Maria (la sola tra tutti!) è già avvenuto. È come celebrare quindi la nostra pasqua, ciò che in noi deve ancora avvenire e che avverrà, dunque è la nostra festa, la festa di ciò che saremo. Maria è entrata con il corpo nella vita divina, nella gloria (cfr. II lettura: quando questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di incorruttibilità…); vive già da ora la vita di risorta (cfr. I lettura del giorno: Ora si è compiuta la salvezza…).. È anche la festa in cui si può parlare di Maria senza temere di cadere nel devozionalismo mariano.
Questa festa è antichissima anche se la proclamazione del dogma dell’assunzione è recentissimo (1950!). Ma perché è stata fissata il 15 Agosto? Basta guardarsi attorno. L’estate è al culmine, i colori sono al massimo della loro densità: le rose, i girasoli, il blu del mare, il verde delle foreste. È tutto molto intenso … si potrebbe dire che più di così … si muore. La natura infatti muore, sfiorisce, ma solo perché è arrivata alla sua pienezza; muore sì, ma per consumazione, per pienezza di vita. La vediamo quasi “sfatta”, ma solo per il suo eccesso di fioritura (sazi di giorni muoiono tutti i patriarchi nell’Antico Testamento). La festa di oggi ci vuole dire anche un po’ questo: Maria (il credente), è colei che ha vissuto appieno la sua vita in Cristo. La tradizione infatti non parla della morte della Madonna ma della sua “dormizione”, ella cioè non muore, ma si compie per pienezza di vita, si consuma di vita. Lo avete mai visto un girasole morire? … sazio di colore e di fioritura, carico di semi e stanco di fecondità.
La cosa più bella da fare oggi (oltre - per chi può - alle battaglie con i semi di cocomero sulla spiaggia) sarebbe una carrellata sulla storia delle rappresentazioni artistiche del mistero di Maria.
Sempre e ovunque ci si imbatterà su Maria che tiene in braccio il bambino: è la rappresentazione che prende nome di Theotokos, la madre di Dio. Maria è anzitutto questo: il trono di Gesù, luogo dell’ostensione, un supporto per lui, è il suo corpo (sia perché glielo ha dato sia perché è simbolo della chiesa) e infatti solitamente lei è raffigurata enorme e lui piccinissimo. Lei è la visibilità di Gesù (questo in fondo è il ruolo della chiesa).
Un altro filone di raffigurazioni vede in Maria la persona che ha veramente compiuto la relazione filiale con Dio: è la figlia di Sion (già nell’AT Israele è considerato come un figlio da Jhwh, si veda per es. Osea 11,1; Sal 2; Is 66 ecc…). L’icone della dormizione si collocano su questo filone: raffigurano Maria stesa su un grandissimo letto, circondata dai discepoli. Questo letto troppo grande per non essere un simbolo, ricorda l’arca dell’alleanza (cfr. infatti il riferimento propostoci dalla liturgia nella I lettura della vigilia e nella I lettura della messa). Maria sembra che dorma (la morte non è più un evento drammatico, come ci dice anche la II lettura della messa della vigilia: dov’è morte la tua vittoria? Dov’è morte il tuo pungiglione?). Sopra di lei vi è una mandorla. La mandorla è il simbolo della nuova vita, come un grembo di una donna, come un uovo, è il simbolo della risurrezione. Peraltro abbiamo celebrato, guarda caso, pochi giorni fa la trasfigurazione, che nelle icone presenta lo stesso simbolo; infatti ogni festa di Maria ha un suo parallelo in un festa del Signore. In questa mandorla vi è Gesù che tiene in braccio, in segno di esposizione (si sono invertiti i ruoli), una cosa bianca e piccola: quella sarebbe l’anima di Maria, appena nata alla nuova vita. È Maria questa volta ad essere bambina (se non diventerete come bambini…), ed è avvolta ora lei nelle bende-sudario (come lo è Gesù nell’icona di Natale) ed è ora lei Figlia. Si tratta quindi della sua nascita al cielo. Ovviamente questa icona è da vedere in contrasto con le altre icone della Madonna, quelle in cui è lei che porta in braccio il Figlio. Questo è il paradosso del cristianesimo, per dirla con Dante: Vergine Madre, figlia del tuo figlio … tu se’ colei che l’umana natura/nobilitasti sì che’l suo Creatore/non disdegnò farsi sua creatura. Maria è modello del credente che accogliendo la Parola di Dio (avvenga di me secondo la tua parola) diventa figlia di Dio.
Altro filone è quello che vede in Maria la sposa. Il rapporto che Dio ha con Israele nell’Antico testamento prende spesso le forme di quello di un rapporto di amore e quindi Israele viene considerato da Jhwh come il partner esclusivo di questo rapporto d’amore (cfr. Osea 2, Trito-Isaia; Ct; Ger ecc…). Per questo - lo si dica per inciso - l’adulterio sarà preso ad emblema del peccato, non perché la Bibbia nutra atteggiamenti encratisti o sessuofobi, ma perché con esso si vuole spiegare in metafora, secondo il linguaggio dell’amore sponsale, cosa è l’allontanamento da Dio [e per questo l’immaginario collettivo ha fatto diventare Maria di Màgdala una prostituta … ma questo aprirebbe un altro discorso…] Le raffigurazioni di Maria sposa ce la mostrano seduta sullo stesso trono di Gesù, insieme con lui (leggere Ef 1!!), vestita come una sposa (cfr. Sal 44 e ancora Ef 5). In alcune figure Gesù stesso le dà la sua corona (condivide con lei la sua gloria, cioè la vita divina, la resurrezione) mentre attorno tanti angeli suonano e cantano (cfr. I lettura della vigilia).
Ci sarebbe ancora da sottolineare che Maria è legata al mistero della generazione e del dono della vita a doppio laccio, sia come donna (il mistero del parto) che come credente (la vita della fede), e per questo non può conoscere la morte (cfr. prefazio del giorno: non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita). La fede e le donne (che la Bibbia rende infatti le prime testimoni della resurrezione e della fede in Cristo) ci dicono insomma che le sofferenze presenti possono essere solo le doglie di un parto (aprendo così il mistero del male ad una nuova speranza) e che forse anche la morte in fondo può essere considerata solo un eccesso di vita (vedere come muore un girasole, ma anche come muore Rachele in Gen 35,17ss!).
In altre rappresentazioni Maria è una figura enorme, in piedi, dentro il cui manto sono raccolti tanti uomini e donne: allora ella è raffigurata nel simbolo della tenda-chiesa, il santuario (cfr. I lettura della messa del giorno). Maria-Chiesa è una persona in molte persone, perché Maria oltre ad essere un individuo storico (della cui esperienza tanto singolare e inaudita, nulla si può dire) è icona di quello che è ogni credente che vive la sua fede fino in fondo, fino alle sue estreme conseguenze. Maria è perciò immagine della chiesa (nella I lettura del giorno si dice rivestita di sole, tenendo presente da una parte l’uomo che si riveste di Cristo [cfr. Fil, Ef, Col] e dall’altra l’idea di Cristo-sole). La metafora della tenda dell’alleanza ci dice che la chiesa è sempre in cammino, come il popolo nel deserto (che è luogo dell’incontro con Dio, del fidanzamento: cfr. prima lettura del giorno) e che deve sempre “smontarsi”, come si smonta una tenda, per poi ricostruirsi altrove quando si vuole proseguire il cammino. Il cammino dell’uomo con Dio è una storia d’amore, progressiva, tappa per tappa.
Solo dal XIII secolo in poi Maria viene raffigurata sempre più da sola, senza il bambino. Questo riflette un cambiamento anche della mariologia e della pietà mariana: è infatti da questo momento che inizia la degenerazione di questa figura e del suo messaggio, così importante per ogni cristiano. Solo in riferimento a Cristo, infatti, Maria ha senso. Solo in quanto Madre di Dio, vera credente, arca dell’alleanza, tenda del convegno, immagine del popolo di Dio, sposa, figlia, corpo di Cristo, sua visibilità, luogo visibile dell’ostensione di qualcosa che è sempre tanto piccolo (Madonna “trono” di Gesù bambino). Solo così si comprende davvero questa maestosa figura. Quando invece la si staccherà da questo mistero, non la si comprenderà più. Quando infatti, e saranno molte le omelie a farlo oggi, si parla delle sue grandi virtù, della sua esperienza, di quello che faceva, di quanto ha gioito o sofferto, semplicemente non si sa cosa si dice, perché il vangelo tace completamente su tutto questo. La sua esperienza è stata la sua, originale e particolarissima quanto può esserlo la mia e la tua, tanto più quella di Maria fu la sua come quella di nessun altro.
Se sia stata una donna esemplare o una “madre snaturata” non ne sappiamo poi gran che (anzi pare che alcuni padri abbiano fatto affermazioni abbastanza sconcertanti in quest’ultima direzione!). Certo ha vissuto in modo quanto mai vicino e inaudito l’esperienza della fede e in questo ci è davvero madre e modello. Ma più ancora: guardando a lei dovremmo vedere cosa accade a noi: impariamo a vederla come sorella (?).
Ultima annotazione: per capire qualcosa in più di questo “grande mistero” (Ef 5) di Maria, abbiamo dovuto ricorrere alla fede di coloro che prima di noi l’hanno creduta, e credendola hanno cercato di comprenderla e rappresentarla. … con tutto ciò che questo significa: NELLA FEDE DELLA CHIESA.
Dopo l’annuncio, Maria è partita verso la montagna di Giudea per andare a trovare Elisabetta. Colma dello Spirito Santo, Elisabetta l’ha benedetta. L’ha proclamata “Madre del mio Signore”. Fonte di gioia. Beatitudine vivente della fede. Maria ha risposto con il cantico del Magnificat . Parole ispirate, che lasciano intravedere il suo cuore. Esse sono per noi il suo “testamento spirituale”. Identificandosi con Maria, la Chiesa di tutti i tempi continua a cantare tutti i giorni il Magnificat come suo proprio cantico. Celebriamo oggi il mistero dell’Assunzione. Alla fine del suo passaggio sulla terra, la Madre del Redentore, preservata dal peccato e dalla corruzione, è stata elevata nella gloria in corpo e anima vicino a suo Figlio, nel cielo. La tomba vuota di Maria, immagine della tomba vuota di Gesù, significa e prelude alla vittoria totale del Dio della vita sulla morte, quando alla fine del mondo farà sorgere in vita eterna la morte corporale di ognuno di noi unita a quella di Cristo. L’Apocalisse ci mostra “un segno grandioso del cielo”: la Donna che ha il sole per mantello, e una corona di stelle. Invincibile con la grazia di Dio di fronte al nemico primordiale. “Figura e primizia della Chiesa”. Primizia nel dolore della maternità al servizio della Redenzione. Primizia nel destino della gloria. Da lì, nel focolare della Trinità, Maria ci aspetta tutti per vivere e cantare con lei la nostra riconoscenza alla Grazia di Dio. La beatitudine divina e umana della Salvezza. Il suo eterno Magnificat.

Approfondimento del Vangelo (La visita di Maria a Elisabetta)
Il testo: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Momenti di silenzio orante: Il silenzio è una qualità di chi sa ascoltare Dio. Impegnati a creare in te un atmosfera di pace e di silenziosa adorazione. Se sei capace di stare in silenzio davanti a Dio potrai ascoltare il suo respiro che è Vita.

Chiave di lettura: Benedetta tu fra le donne. Nella prima parte del vangelo odierno risuonano le parole di Elisabetta, «Benedetta tu fra le donne», precedute da un movimento spaziale. Maria lascia Nazaret, collocata al nord della Palestina, per recarsi al sud, a circa centocinquanta chilometri, in una località che la tradizione ha identificato con l’attuale Ain Karem, poco lontana da Gerusalemme. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria, che non è chiusa a contemplare in modo privato ed intimistico il mistero della divina maternità che si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità. Ella si muove per portare aiuto alla sua anziana cugina. Il recarsi di Maria da Elisabetta è connotato dall’aggiunta ‘in frettà che sant’Ambrogio interpreta così «Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia... La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Il lettore, però, sa che il motivo vero del viaggio non è indicato, ma lo può ricavare attraverso delle informazioni desunte dal contesto. L’angelo aveva comunicato a Maria la gravidanza di Elisabetta, già al sesto mese (cfr. v. 37). Inoltre il fatto che ella si fermerà tre mesi (cfr. v. 56), giusto il tempo perché il bambino possa nascere, permette di ritenere che Maria intendeva portare aiuto alla cugina. Maria corre e va là dove la chiama l’urgenza di una necessità, di un bisogno, dimostrando, cosi, una spiccata sensibilità e concreta disponibilità. Insieme con Maria, portato in grembo, Gesù si muove con la Madre. Da qui è facile evincere il valore Cristologico dell’episodio della visita di Maria alla cugina: l’attenzione è soprattutto su Gesù. A prima vista potrebbe sembrare una scena concentrata sulle due donne, in realtà, ciò che è importante per l’evangelista è il prodigio presente nel loro concepimento. La mobilitazione di Maria tende, in fondo, a far incontrare le due donne. Appena Maria entra in casa e saluta Elisabetta, il piccolo Giovanni ha un sussulto. Secondo alcuni il sussulto non è paragonabile agli spostamenti del feto, sperimentati da ogni donna incinta. Luca usa un verbo greco particolare che significa propriamente ‘saltare’. Volendo interpretare il verbo, un po’ liberamente, lo si può indicare con ‘danzare’, escludendo così l’accezione di un fenomeno solo fisico. Qualcuno ha pensato che quella ‘danza’ la si potrebbe considerare una forma di ‘omaggio’ che Giovanni rende a Gesù, inaugurando, non ancora nato, quell’atteggiamento di rispetto e di sudditanza che caratterizzerà la sua vita: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale non son degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali» (Mc 1,7). Un giorno lo stesso Giovanni testimonierà «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Così commenta s. Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia». Una conferma di questa interpretazione la troviamo nelle stesse parole di Elisabetta che, riprendendo al v. 44 lo stesso verbo greco già impiegato al v. 41, precisa: «Ha esultato di gioia nel mio grembo». Luca, con questi particolari, ha voluto evocare il prodigio verificatosi nell’intimità di Nazaret. Solo ora, grazie al dialogo con un’interlocutrice, il mistero della divina maternità lascia la sua segretezza e la sua dimensione individuale, per diventare un fatto noto, oggetto di apprezzamento e di lode. Le parole di Elisabetta «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (vv. 42-43). Con un’espressione semitica che equivale a un superlativo («fra le donne»), l’evangelista vuole attirare l’attenzione del lettore sulla funzione di Maria: essere la «Madre del Signore». E quindi a lei viene riservata una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine beata. In che consiste quest’ultima? Esprime l’adesione di Maria alla volontà divina. Maria non è solo destinataria di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona che sa accettare e aderire alla volontà di Dio. Maria è una creatura che crede, perché si è fidata di una parola nuda e che ella ha rivestito col suo «sì» di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo servizio d’amore, identificandola «benedetta come madre e beata come credente». Intanto Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta, esprimendo con quel movimento interiore la gioia che scaturisce da quel contatto salvifico. Di tale evento si farà interprete Maria nel canto del Magnificat.

Un canto di amore: In questo canto Maria si considera parte degli anawim, dei ‘poveri di Dio’, di coloro che ‘temono Dio’ riponendo in Lui ogni loro fiducia e speranza e che sul piano umano non godono nessun diritto o prestigio. La spiritualità degli anawim può essere sintetizzata dalle parole del Salmo 37,79: «Nel silenzio sta innanzi a Dio e in lui spera», perché «coloro che sperano nel Signore possederanno la terra». Nel Sal 86,6 l’orante, rivolgendosi a Dio, dice: «Dona al tuo servo la tua forza»: qui il termine ‘servò esprime il suo essere sottomesso, come anche il sentimento dell’appartenenza a Dio, di sentirsi sicuro presso di lui. I poveri, nel senso strettamente biblico, sono coloro che ripongono in Dio una fiducia incondizionata; per questo sono da considerarsi la parte migliore, qualitativa, del popolo d’Israele. Gli orgogliosi, invece, sono coloro che ripongono tutta la loro fiducia in se stessi. Ora, secondo il Magnificat, i poveri hanno mille motivi per rallegrarsi, perché Dio glorifica gli anawim (Sal 149,4) e abbassa gli orgogliosi. Un’immagine presa dal NT, che traduce molto bene l’atteggiamento del povero dell’AT, è quella del pubblicano che con umiltà si batte il petto, mentre il fariseo compiacendosi dei suoi meriti si consuma nell’orgoglio (Lc 18,9-14). In definitiva Maria celebra quanto Dio ha operato in lei e quanto opera in ogni credente. Gioia e gratitudine caratterizzano questo inno alla salvezza che riconosce grande Dio ma che pure fa grande chi lo canta.

Alcune domande per meditare:
- La mia preghiera è innanzitutto espressione d’un sentimento o celebrazione e riconoscimento dell’azione di Dio?
- Maria è raffigurata come la credente nella Parola del Signore. Quanto tempo dedico all’ascolto della Parola di Dio?
- La tua preghiera si alimenta alla Bibbia, come ha fatto Maria? Oppure sono dedito al devozionalismo che produce a getto continuo preghiere incolori e insapori? Sei convinto che ritornare alla preghiera biblica è sicurezza di trovare un alimento solido, scelto da Maria stessa?
- Sei nella logica del Magnificat che esalta la gioia del dare, del perdere per trovare, dell’accogliere, la felicità della gratuità, della donazione?

Contemplazione: La vergine Maria, tempio dello Spirito Santo, ha accolto con fede la Parola e si è consegnata interamente alla potenza dell’Amore. A motivo di ciò è diventata icona dell’interiorità, cioè tutta raccolta sotto lo sguardo di Dio e abbandonata alla potenza dell’Altissimo. Maria tace di sé, perché tutto in lei possa parlare delle meraviglie del Signore nella sua vita.

Preghiera finale: La preghiera che segue è una breve meditazione sul ruolo materno di Maria nella vita del credente: «Maria, donna che sa gioire che sa esultare, che si lascia invadere dalla consolazione piena dello Spirito santo, insegnaci a pregare perché possiamo anche noi scoprire la fonte della gioia. Nella casa di Elisabetta, tua cugina, sentendoti accolta e capita nel tuo intimo segreto, prorompesti nell’inno di esultanza del cuore, parlando di Dio, di te in rapporto a Lui, e della inaudita avventura già avviata di essere madre di Cristo e di noi tutti, popolo santo di Dio. Insegnaci a dare un ritmo di speranza e fremiti di gioia alle nostre preghiere, a volte logorate da amari piagnistei e intrise di mestizia quasi d’obbligo. Il Vangelo ci parla di te, Maria, e di Elisabetta: ambedue custodivate nel cuore qualcosa, che non osavate o non volevate manifestare a nessuno. Ciascuna di voi, però, si sentì compresa dall’altra, quel fatidico giorno della visitazione e aveste parole e preghiera di festa. Il vostro incontro divenne liturgia di ringraziamento e di lode al vostro ineffabile Dio. Tu, donna della gioia profonda, cantasti il Magnificat, rapita e stupita di quanto il Signore andava operando nell’umile sua serva. Magnificat è il grido, l’esplosione della gioia, che scoppia dentro ciascuno di noi, quando si sente accolto e compreso».

15 agosto: Maria SS.ma Assunta in cielo
Biografia: Dopo l’Annunciazione, Maria è partita verso la montagna di Giudea per andare a trovare Elisabetta. Colma dello Spirito Santo, Elisabetta l’ha benedetta. L’ha proclamata “Madre del mio Signore”. Fonte di gioia. Beatitudine vivente della fede. Maria ha risposto con il cantico del Magnificat. Parole ispirate, che lasciano intravedere il suo cuore. Esse sono per noi il suo “testamento spirituale”. Identificandosi con Maria, la Chiesa di tutti i tempi continua a cantare tutti i giorni il Magnificat come suo proprio cantico. Celebriamo oggi il mistero dell’Assunzione. Alla fine del suo passaggio sulla terra, la Madre del Redentore, preservata dal peccato e dalla corruzione, è stata elevata nella gloria in corpo e anima vicino a suo Figlio, nel cielo. La tomba vuota di Maria, immagine della tomba vuota di Gesù, significa e prelude alla vittoria totale del Dio della vita sulla morte, quando alla fine del mondo farà sorgere in vita eterna la morte corporale di ognuno di noi unita a quella di Cristo. L’Apocalisse ci mostra “un segno grandioso del cielo”: la Donna che ha il sole per mantello, e una corona di stelle. Invincibile con la grazia di Dio di fronte al nemico primordiale. “Figura e primizia della Chiesa”. Primizia nel dolore della maternità al servizio della Redenzione. Primizia nel destino della gloria. Da lì, nel focolare della Trinità, Maria ci aspetta tutti per vivere e cantare con lei la nostra riconoscenza alla Grazia di Dio. La beatitudine divina e umana della Salvezza. Il suo eterno Magnificat.

Dagli scritti
Dalla Costituzione Apostolica »Munificentissimus Deus» di Pio XII, papa
Santo e glorioso é il corpo della Vergine Maria
I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo in occasione della festa odierna, parlavano dell’Assunzione della Madre di Dio come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne approfondivano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioé il suo Figlio unico, Cristo Gesù. San Giovanni Damasceno, che si distingue fra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’Assunzione corporea della grande Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: «Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche conservare senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. Colei, che fu data in sposa dal Padre, non poteva che trovar dimora nelle sedi celesti. Doveva contemplare il suo Figlio nella gloria alla destra del Padre, lei che lo aveva visto sulla croce, lei che, preservata dalla spada del dolore quando lo vide morire. Era giusto che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio, e che fosse onorata da tutte le creature come Madre ed ancella di Dio» San Germano di Costantinopoli pensava che l’incorruzione e l’assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio non solo convenivano alla sua divina maternità, ma anche alla speciale santità del suo corpo verginale: «Tu, come fu scritto, sei tutta splendore (cfr. Sal 44,14); e il tuo corpo verginale é tutto santo, tutto casto, tutto empio di Dio. Per questo non poteva conoscere il disfacimento del sepolcro, ma, pur conservando le sue fattezze naturali, doveva trasfigurarsi in luce di incorruttibilità, entrare in una esistenza nuova e gloriosa, godere della piena liberazione e della vita perfetta». Un altro scrittore antico afferma: «Cristo, nostro salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, fu lui a restituire la vita alla Madre. Fu lui a rendere colei, che l’aveva generato, uguale a se stesso nell’incorruttibilità del corpo, e per sempre. Fu lui a risuscitarla dalla morte e ad accoglierla accanto a sé, attraverso una via che a lui solo é nota». Tutte queste considerazioni e motivazioni dei santi padri, come pure quelle dei teologi sul medesimo tema, hanno come ultimo fondamento la Sacra Scrittura. Effettivamente la Bibbia ci presenta la santa Madre di Dio strettamente unita al suo Figlio divino e sempre a lui solidale, e compartecipe della sua condizione. Per quanto riguarda la Tradizione, poi, non va dimenticato che fin dal secondo secolo la Vergine Maria vene presentata dai santi padri come la novella Eva, intimamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta. Madre e Figlio appaiono sempre associati nella lotta contro il nemico infernale; lotta che, come era stato preannunziato nel protovangelo (cfr. Gn 3,15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, su quei nemici, cioé, che l’Apostolo delle genti presenta sempre congiunti (cfr. Rm capp. 5 e 6; 1Cor 15,21-26; 54-57). Come dunque la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e il segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la comune lotta si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale, secondo le affermazioni dell’Apostolo: «Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte é stata ingoiata per la vittoria» (1Cor 15,54; cfr. Os 13,14). In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità «con uno stesso decreto» di predestinazione, immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità, generosa compagna del divino Redentore, vittorioso sul peccato e sulla morte, alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio, e fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (AAS 42 [1950], 760-762.767-769).

Da «Le feste cristiane» di Olivier Clément
Dormizione e assunzione della Vergine
L’Assunzione della Vergine esprime in modo mirabile l’adagio patristico diffusosi a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio». Diventare Dio: cioè un vivente la cui vita non ha limiti, una vita liberata dal male e dalla morte. Per descrivere con maggior chiarezza questa festa, accosterò l’una all’altra due icone: quella della Vergine con il bambino e quella della Dormizione-Assunzione (più avanti spiegherò questi due termini). Nella prima è la madre a reggere e proteggere il bambino, e a volte, come nella «Vergine della tenerezza», essa appoggia il proprio volto al volto minuto del Figlio. Maria, a nome di tutta l’umanità, accoglie Dio. Prima assunzione: quella della divinità da parte dell’umanità. Nella seconda icona, avviene esattamente il contrario: la madre è morta; le sue spoglie, nera crisalide, sbarrano orizzontalmente la composizione; ma lo spazio della morte si apre, appare Cristo, vittorioso, verticale di luce che fa dell’icona una croce di gloria. Egli prende tra le braccia l’anima non disincarnata di sua madre, rappresentata come una bambina che porta a compimento la sua nascita nel regno. E in alcune icone, Gesù stringe al proprio volto il volto di questa donna bambina: germe e anticipazione della trasfigurazione di tutto il creato. Seconda assunzione, questa volta dell’umano da parte del divino. La chiesa, infatti, maturò presto l’intuizione secondo cui il corpo di Maria, prodigiosamente «consustanziale» a quello del Risorto, non era possibile che fosse rimasto prigioniero della morte. Così, al Dio fatto uomo corrisponde l’uomo deificato, e il primo essere umano presente, anima e corpo, nella gloria divina è la «Donna vestita di sole» di cui parla l’Apocalisse. Maria si trova ormai al di là della morte e del giudizio, in quella luce che le Scritture chiamano «regno di Dio»; e tuttavia umana, infinitamente materna, ella rimane totalmente rivolta verso gli uomini, verso le loro sofferenze, verso il pellegrinaggio compiuto così spesso a tastoni dalla chiesa, e prima ancora dalla chiesa mistica che ingloba l’intera umanità e tutto quanto il cosmo. Nella grande spiritualità della chiesa antica, come pure in molte leggende popolari, Maria è colei che pronuncia sull’inferno – anche sul nostro inferno interiore – la preghiera per la salvezza universale. I testi delle omelie orientali associano, a partire dal V secolo, la Dormizione di Maria – vale a dire una morte pacifica, in cui l’anima entra nella pace – e la sua Assunzione corporale – l’anima ricongiunta al corpo nell’unità della persona (come avverrà a ciascuno di noi), ormai elevata al cielo, letteralmente sollevata dallo slancio «risurrezionale» del Cristo –.

ma anche…
Parecchie leggende, ricche peraltro di significato, si sono sedimentate nelle più antiche liturgie. Mentre Maria viene avvisata della sua morte da un angelo, gli apostoli, dispersi lontano da lei, le sono miracolosamente trasportati accanto. Lei li consola, li benedice, prega per la pace del mondo, e muore. Essi la seppelliscono nel Getsemani. Dopo tre giorni, Maria appare loro mentre stanno celebrando l’eucarestia, e gli apostoli trovano la sua tomba vuota. Celebrata originariamente in ricordo di una «stazione» (così si faceva la liturgia, di stazione in stazione) ubicata nei pressi di Betlemme e dove la Vergine si sarebbe riposata, l’Assunzione veniva festeggiata in Oriente come in Occidente nel mese di gennaio. La festa estesa all’impero bizantino intorno all’anno 600, giunse in Occidente quarant’anni più tardi, grazie a papa Teodoro I, il quale proveniva dal clero di Gerusalemme. Nel 1950, Pio XII proclamò con tutte le solennità che si addicono ad un dogma che l’«immacolata Madre di Dio, la sempre Vergine Maria, dopo aver terminato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste». La chiesa ortodossa, che si prepara a questa festa con un digiuno di quindici giorni, non ha avvertito la necessità di un simile dogma; nessun ortodosso, infatti, contesta il mistero della dormizione-assunzione proclamato dai testi liturgici dell’ortodossia: «Ella è la Madre della vita, e colui che aveva abitato il suo seno verginale l’ha trasferita alla vita… Ogni figlio della terra trasalga nel suo spirito e celebri con gioia la venerabile assunzione della Madre di Dio». Si aggiunga che in oriente la venerazione mariana è al tempo stesso onnipresente e assai discreta, quasi iniziatica, poiché dipendente non tanto dall’annuncio della risurrezione di Cristo, quanto dalla ricezione di tale annuncio. La differenza tra l’oriente e l’occidente è che per il primo Maria doveva passare, in Cristo, attraverso una morte e resurrezione reali, mentre per il secondo il dogma dell’Immacolata Concezione rende dubbia la sua morte: su questo punto il dogma del 1950 non si pronuncia. Si tratta di una semplice disputa terminologica? Ciò che è in gioco sono due approcci parzialmente differenti al tema del «peccato originale» e della sua trasmissione? Oppure il problema è un altro? In realtà, sia per l’oriente che per l’occidente, l’assunzione è un segno delle cose ultime. In Maria, «figlia del proprio Figlio», dice Dante, ci è data un’anticipazione della glorificazione di tutto l’universo che avverrà alla fine dei tempi, quando Dio sarà «tutto in tutti», «tutto in ogni cosa». Innalzata al cielo – a differenza di Cristo che si innalza da se stesso – Maria, dicono certi testi liturgici, è la nostra «Terra promessa». La dormizione-assunzione anticipa la parusia, e non è affatto un caso che nei grandi affreschi che impreziosiscono i muri esterni delle chiese monastiche moldave, il tronco di Iesse divenga un immenso, cosmico roveto ardente. L’assunzione anticipa e prepara il nostro comune destino. Nel corpo della Vergine, sepolto simbolicamente dagli apostoli (richiamo della pentecoste) nel Getsemani (richiamo della passione, unica fonte della nostra salvezza), in quel corpo portato verso la luce originaria e terminale, tutto il creato è assunto dall’Increato, tutta la carne della terra diventa eucaristia. Come Giovanni Damasceno, allora, anche noi possiamo dire: «Rallegrati, germe divino della terra, giardino in cui fu posto l’Albero della vita!».
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MessaggioTitolo: sabato 20 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyVen Ago 19, 2011 10:58 am

SABATO 20 AGOSTO 2011

SAN BERNARDO


Preghiera iniziale: O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio.

Letture:
Rt 2,1-3.8-11; 4,13-17 (Il Signore non ti ha fatto mancare uno che esercitasse il diritto di riscatto. Egli fu il padre di Iesse, padre di Davide)
Sal 127 (Benedetto l’uomo che teme il Signore)
Mt 23,1-12 (Dicono e non fanno)

Solidarietà e concordia
Il vangelo odierno ci mette in guardia contro quei comportamenti dei farisei, che sono improntati ad orgoglio, vanità, superbia, presunzione. L’evangelista, stigmatizzando simili atteggiamenti, richiamava i primi cristiani ad esserne immuni. Guardando alla storia di ieri e di oggi sembra che non sia cambiato granché ed anzi il fatto stesso che l’autore del vangelo di Matteo si preoccupi di dare rilevanza a questo brano, presentando un Gesù particolarmente accalorato nel sottolineare le sue posizioni, ci dice che anche tra i primi cristiani dovevano trovare patria simili modi di apparire. Se la nostra vita fosse più semplice, improntata al rispetto e a ricercare la serenità, vissuta nella concordia e nell’amore reciproco, queste manifestazioni negative dell’animo umano non si rinvigorirebbero. Il libro di Ruth, la cui lettura è iniziata ieri e finisce oggi, ci invita, benché con toni idilliaci e quasi da favola a lieto fine, a riscoprire i valori della solidarietà, del rispetto gli uni verso gli altri, dell’amore che dovrebbe albergare all’interno di una famiglia. Noèmi e Ruth, suocera e nuora, (questo libro presenta due tipologie tra le più contrapposte e ostili) sono di diversa nazionalità, eppure il loro rapporto è improntato all’aiuto vicendevole: la nuora non abbandona la suocera e questa dà consigli, una volta arrivati nella sua patria, alla prima su come comportarsi nel paese straniero. Solidarietà e concordia sono due strade da percorrere come società, come chiese e come singoli, perché si possa avere una convivenza priva di modalità meschine atte solo a dare importanza a magnifiche vesti, a primi posti e a salamelecchi vari.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi fa parte di una lunga critica di Gesù contro scribi e farisei (Mt 23,1-39). Luca e Marco hanno appena qualche tratto di questa critica contro i capi religiosi dell’epoca. Solo il vangelo di Matteo la espone lungamente. Questo testo così severo lascia intravedere la polemica delle comunità di Matteo con le comunità dei giudei di quell’epoca in Galilea e Siria.
- Nel leggere questi testi fortemente contrari ai farisei dobbiamo prestare molta attenzione a non essere ingiusti contro il popolo ebreo. Noi cristiani, durante secoli, abbiamo avuto atteggiamenti contro i giudei e, per questo, contro i cristiani. Ciò che importa nel meditare questi testi è scoprire il suo obiettivo: Gesù condanna la mancanza di coerenza e la mancanza di sincerità nella relazione con Dio e con il prossimo. Lui sta parlando di ipocrisia tanto quella di ieri come della nostra, oggi!
- Matteo 23,1-3: L’errore di fondo: dicono, ma non fanno. Gesù si rivolge alla moltitudine e ai discepoli e critica gli scribi e i farisei. Il motivo dell’attacco è l’incoerenza tra le parole e i fatti. Parlano e non fanno. Gesù riconosce l’autorità e la conoscenza degli scribi. “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno!”.
- Matteo 23,4-7: L’errore di fondo si manifesta in molti modi. L’errore di fondo è l’incoerenza: “Dicono, ma non fanno”. Gesù enumera i diversi punti che rivelano l’incoerenza. Alcuni scribi e farisei imponevano pesanti leggi sulla gente. Loro conoscevano bene le leggi, però non le praticavano, né usavano la loro conoscenza per alleggerire il carico sulle spalle della gente. Facevano tutto per essere visti ed elogiati, si servivano di tuniche speciali per la preghiera, a loro piacevano i primi posti ed essere salutati sulla piazza pubblica. Volevano essere chiamati “Maestro”. Rappresentavano un tipo di comunità che manteneva, legittimava e alimentava le differenze di classe e di posizione sociale. Legittimava i privilegi dei grandi e la posizione inferiore dei piccoli. Ora, se c’è una cosa che a Gesù non piace è l’apparenza che inganna.
- Matteo 23,8-12: Come combattere l’errore di fondo. Come deve essere una comunità cristiana? Tutte le funzioni comunitarie devono essere assunte come un servizio: “Il più grande tra di voi sia il vostro servo!”. Nessuno dovete chiamare Maestro (Rabbino), né Padre, né Guida. Poiché la comunità di Gesù deve mantenere, legittimare ed alimentare non le differenze, bensì la fraternità. Questa è la legge fondamentale: “Voi tutti siete fratelli e sorelle!”. La fraternità nasce dall’esperienza di Gesù di Dio Padre, e che fa di tutti noi fratelli e sorelle. “Chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.
- Il gruppo dei Farisei. Il gruppo dei farisei nasce nel II secolo prima di Cristo, con la proposta di un’osservanza più perfetta della Legge di Dio, soprattutto delle prescrizioni sulla purezza. Loro erano più aperti alle novità che i Sadducei. Per esempio, accettavano la fede nella risurrezione e la fede negli angeli, cosa che i Sadducei non accettavano. La vita dei farisei era una testimonianza esemplare: pregavano e studiavano la legge per otto ore al giorno; lavoravano otto ore per poter sopravvivere; si dedicavano al riposo otto ore. Per questo, erano molto rispettati dalla gente. E così, aiutavano la gente a conservare la propria identità e a non perderla, nel corso dei secoli.
- La mentalità chiamata farisaica. Con il tempo, i farisei si afferrano al potere e non ascoltano più gli appelli della gente, né la lasciano parlare. La parola “fariseo” significa “separato”. La loro osservanza era così stretta e rigorosa che si distanziavano dal resto della gente. Per questo erano chiamati “separati”. Da qui nasce l’espressione “mentalità farisaica”. È tipica delle persone che pensano di conquistare la giustizia mediante un’osservanza rigida e rigorosa della Legge di Dio. Generalmente, sono persone che hanno paura, che non hanno il coraggio di assumere il rischio della libertà e della responsabilità. Loro si nascondono dietro le leggi e le autorità. Quando queste persone ottengono una funzione importante, diventano dure e insensibili per nascondere la propria imperfezione.
- Rabbino, Guida, Maestro, Padre. Sono i quattro titoli che Gesù proibisce alla gente di usare. Oggi, nella Chiesa, i sacerdoti sono chiamati “padre”. Molti studiano in università della Chiesa ed ottengono il titolo di “Dottore” (maestro). Molte persone fanno direzione spirituale e si consigliano con persone che sono chiamati “Direttore spirituale” (guida). Ciò che importa è tener conto del motivo che spinse Gesù a proibire l’uso di questi titoli. Se fossero usati dalla persona per affermare la sua posizione di autorità e il suo potere, questa persona sarebbe nell’errore e sarebbe criticata da Gesù. Se fossero usati per alimentare ed approfondire la fraternità ed il servizio, non sarebbero criticati da Gesù.

Per un confronto personale:
- Quali sono i motivi che ho per vivere e lavorare in comunità?
- La comunità, come mi aiuta a correggere e migliorare le mie motivazioni?

20 agosto: San Bernardo, Vescovo e Dottore della Chiesa
Biografia: Nacque nel 1090 presso Digione in Francia. Educato piamente, nel 1111 si associò ai monaci Cistercensi e poco dopo, eletto abate del monastero di Chiaravalle, guidò egregiamente i monaci alla pratica delle virtù con l’azione e con l’esempio. A causa degli scismi sorti nella Chiesa, percorse l’Europa per ristabilire la pace e l’unità. Scrisse molte opere riguardanti la teologia e l’ascetica. Morì nel 1153. Bernardo, dopo Roberto, Alberico e Stefano, fu padre dell’Ordine Cistercense. L’obbedienza e il bene della Chiesa lo spinsero spesso a lasciare la quiete monastica per dedicarsi alle più gravi questioni politico-religiose del suo tempo. Maestro di guida spirituale ed educatore di generazioni di santi, lascia nei suoi sermoni di commento alla Bibbia e alla liturgia un eccezionale documento di teologia monastica tendente, più che alla scienza, all’esperienza del mistero. Ispirò un devoto affetto all’umanità di Cristo e alla Vergine Madre.

Martirologio: Memoria di san Bernardo, abate e dottore della Chiesa, che entrato insieme a trenta compagni nel nuovo monastero di Citeaux e divenuto poi fondatore e primo abate del monastero di Chiaravalle, diresse sapientamente con la vita, la dottrina e l’esempio i monaci sulla via dei precetti di Dio; percorse l’Europa per stabilirvi la pace e l’unità e illuminò tutta la Chiesa con i suoi scritti e le sue ardenti esortazioni, finché nel territorio di Langres in Francia riposò nel Signore.

Dagli scritti
Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
L’amore é sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa é l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L’amore é il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore? Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato. Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non é capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che é l’Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché é inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’é tutto. Perciò per lei amare così é aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l’anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.

Preghiera finale: Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra (Sal 84).
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MessaggioTitolo: domenica 21 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyVen Ago 19, 2011 11:06 am

DOMENICA 21 AGOSTO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 22,19-23 (Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide)
Sal 137 (Signore, il tuo amore è per sempre)
Rm 11,33-36 (Da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose)
Mt 16,13-20 (Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli)

Chi è per te Cristo?
Sono innumerevoli gli autori di immagini, di icone e di scritti che nei secoli hanno tentato di raffigurare Gesù, nel suo volto umano e nei momenti diversi della sua vita tra noi. Tutti sono stati animai da un unico desiderio, quello di far conoscere il vero volto di Gesù, di rispondere all’urgente interrogativo: «Chi è Cristo?». Un’impresa ardua soprattutto tenendo conto che il Signore racchiude in se la natura umana, che lo rende simile ad uno di noi e la natura divina che lo qualifica come figlio di Dio. Oggi lo stesso Gesù ci interpella personalmente rivolgendoci una precisa domanda: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Noi rendiamo più pressante e personalizzata la domanda: «Chi è per Cristo?». Potremmo immaginare una intervista allargata con la schiera dei credenti e no di oggi. Sicuramente avremmo una varietà di risposte e di immagini tutte diverse tra loro, più o meno fedeli alla vera icona di Cristo. È chiaro che la risposta non dovrebbe tendere ad una semplice descrizione dei tratti somatici del Signore Gesù, ma dovrebbe poter dire come egli è presente in noi nella sua realtà divina e umana. Dovremmo saper dire come egli ci abbia coinvolto nella vita e come lo possediamo nella fede. Pietro, con la sua confessione, sicuramente ci è di aiuto. Egli ha potuto affermare «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» per una speciale illuminazione dello Spirito: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.». così il Signore ci dice chiaramente che la sua persona non può essere compresa con il semplice sguardo umano, ma solo con la stessa luce divina. Viene così anche frenata ogni umana presunzione, vengono ammoniti tutti coloro che hanno volute leggere il Cristo come uno dei tanti personaggi della storia. Egli è essenzialmente il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, il redentore del mondo. È poi significativo che Gesù voglia fondare la sua chiesa sulla fede di Pietro, che deve diventare la fede di tutti coloro che vogliono seguirlo sulla via della salvezza: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». La roccia su cui poggia la chiesa e per cui sin dal suo nascere viene definita incrollabile è Cristo stesso, egli però l’affida al suo apostolo e ai successori. Possiamo così scoprire che per la vera la vera immagine del Cristo, dobbiamo avere la stessa fede di Pietro, dobbiamo poter affermare con lui che Cristo è il Figlio del Dio vivente.
Quando Gesù chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”, le loro risposte rispecchiarono le diverse teorie e speculazioni riguardo Gesù diffuse nella loro cultura. Se la stessa domanda fosse posta da Gesù oggi, le risposte sembrerebbero forse più colte, ma sarebbero molto simili. Invece di evocare Elia, Giovanni Battista o Geremia, si evocherebbero forse le speculazioni dell’ultimo convegno sulla cristologia, oppure ancora i risultati di un recente sondaggio. Possiamo immaginare che Gesù ascolterebbe gentilmente, forse sorridendo. Poi però giunge la vera e propria domanda: “Voi chi dite che io sia?”. Non possiamo più rifugiarci dietro ad opinioni di altri, siano essi teologi o conduttori di dibattiti televisivi. Gesù vuole la nostra risposta personale. Dobbiamo prendere posizione personalmente nei suoi confronti. È quello che succede con l’atto di fede. Gesù lancia una sfida a ogni uomo e a ogni donna direttamente e personalmente: “Tu, chi dici che io sia?”. La nostra risposta possa essere quella di Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. La nostra risposta possa essere quella della Chiesa, che fu fondata da Cristo su Pietro come su una pietra, affinché il “credo” diventasse un “crediamo”: Crediamo in Dio, Padre onnipotente..., in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio..., per opera dello Spirito Santo... incarnato nel seno della Vergine Maria.

Approfondimento del Vangelo (Pietro, tu sei la Pietra! Pietra di appoggio, Pietra di inciampo)
Il testo: In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 16,13-14: Gesù vuole conoscere l’opinione della gente
- Matteo 16,15-16: Gesù interpella i discepoli, e Pietro risponde per tutti
- Matteo 10,17-20: Risposta solenne di Gesù a Pietro

Chiave di lettura: Nel vangelo di questa domenica, Gesù indaga su ciò che la gente pensa rispetto a lui: “Chi dice la gente che io sia?”. Dopo aver saputo l’opinione della gente, vuole conoscere l’opinione dei suoi discepoli. Pietro, in nome di tutti fa la sua professione di fede. Gesù conferma la fede di Pietro. Nel corso della lettura, facciamo attenzione a quanto segue: “Quale tipo di conferma Gesù conferisce a Pietro?”

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale è il punto che ti ha maggiormente colpito? Perché?
b) Quali sono le opinioni della gente nei riguardi di Gesù? Quale è l’opinione dei discepoli e di Pietro su Gesù?
c) Quale è la mia opinione su Gesù? Chi sono io per Gesù?
d) Pietro è pietra in due modi. Quali? (cfr. Mt 16,21-23)
e) Che tipo di pietra sono io per gli altri? Che tipo di pietra è la nostra comunità?
f) Nel testo appaiono molte opinioni su Gesù e vari modi di esprimere la fede. Anche oggi ci sono molte opinioni diverse su Gesù. Quali sono le opinioni che ci sono nella nostra comunità su Gesù? Quale è la missione che ne risulta per noi?

Per coloro che vogliono approfondire maggiormente il tema
a) Contesto in cui il nostro testo appare nel Vangelo di Matteo:
- La conversazione tra Gesù e Pietro riceve interpretazioni diverse e perfino opposte nelle varie chiese cristiane. Nella chiesa cattolica, si fondamenta il primato di Pietro. Per questo, senza diminuire affatto il significato del testo, conviene collocarlo nel contesto del Vangelo di Matteo, in cui, in altri testi, le stesse qualità conferite a Pietro vengono attribuite quasi tutte anche ad altre persone. Non sono esclusive di Pietro.
- È sempre bene avere presente che il Vangelo di Matteo è stato scritto alla fine del primo secolo per le comunità dei Giudei convertiti che vivevano nella regione della Galilea e della Siria. Erano comunità sofferte e perseguitate da molti dubbi circa la loro fede in Gesù. Il Vangelo di Matteo cerca di aiutarle a superare la crisi e di confermarle nella fede in Gesù Messia che è venuto a compiere le promesse dell’Antico Testamento.
b) Commento del testo:
- Matteo 16,13-16: Le opinioni della gente e dei discepoli riguardo a Gesù. Gesù chiede l’opinione della gente nei suoi riguardi. Le risposte sono assai varie: Giovanni Battista, Elia, Geremia, qualche profeta. Quando Gesù indaga sull’opinione dei propri discepoli, Pietro diventa il portavoce e dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente!”. La risposta di Pietro significa che riconosce in Gesù il compimento delle profezie dell’Antico Testamento e che in Gesù abbiamo la rivelazione definitiva del Padre per noi. Questa confessione di Pietro non è nuova. Prima, dopo aver camminato sulle acque, gli altri discepoli avevano già fatto la stessa professione di fede: “Veramente, tu sei il figlio di Dio!” (Mt 14,33). Nel Vangelo di Giovanni, questa stessa professione di Pietro la fa Marta: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio venuto nel mondo!” (Gv 11,27).
- Matteo 16,17: La risposta di Gesù a Pietro: “Beato te, Pietro!”. Gesù proclama Pietro “Beato!” perché ha ricevuto una rivelazione da parte del Padre. Anche in questo caso la risposta di Gesù non è nuova. Prima Gesù aveva fatto un’identica proclamazione di felicità ai discepoli per aver visto e udito cose che prima nessuno sapeva (Mt 13,16), ed aveva lodato il Padre per aver rivelato il Figlio ai piccoli e non ai sapienti (Mt 11,25). Pietro è uno di questi piccoli a cui il Padre si rivela. La percezione della presenza di Dio in Gesù non viene “dalla carne né dal sangue”, ossia non è frutto del merito di uno sforzo umano, bensì è un dono che Dio concede a chi vuole.
- Matteo 16,18-20: Le attribuzioni di Pietro. Sono tre le attribuzioni che Pietro riceve da Gesù: 1) Essere pietra di appoggio, 2) ricevere le chiavi del Regno, ed 3) essere fondamento della Chiesa.
1) Essere Pietra: Simone, il figlio di Giona, riceve da Gesù un nome nuovo che è Cefas, e ciò vuol dire, Pietra. Per questo, è chiamato Pietro. Pietro deve essere pietra, cioè, deve essere fondamento sicuro per la chiesa a punto di essere investita dalle porte degli inferi. Con queste parole di Gesù a Pietro, Matteo anima le comunità sofferte e perseguitate della Siria e della Palestina che vedevano in Pietro un leader su cui appoggiarsi per le sue origini. Malgrado il fatto di essere comunità deboli e perseguitate, avevano una base sicura, garantita dalla parola di Gesù. In quel tempo, le comunità avevano legami affettivi molto forti con le persone che avevano dato origine alla comunità. Così le comunità di Siria e Palestina coltivavano il loro legame con la persona di Pietro. Le comunità di Grecia con la persona di Paolo. Alcune comunità dell’Asia, con la persona del Discepolo Amato ed altre con la persona di Giovanni dell’Apocalisse. Un’identificazione con questi leaders della loro origine aiutava le comunità a coltivare al meglio la loro identità e spiritualità. Ma poteva anche essere motivo di disputa, come nel caso della comunità di Corinto (1Cor 1,11-12). Essere pietra quale base della fede evoca la parola di Dio al popolo in esilio in Babilonia: “Ascoltatemi voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai” (Is 51,1-2). Applicata a Pietro, questa qualità di pietro-fondamento indica un nuovo inizio del popolo di Dio.
2) Le chiavi del Regno: Pietro riceve le chiavi del Regno per legare e sciogliere, cioè, per riconciliare le persone tra di loro e con Dio. Ecco che qui di nuovo lo stesso potere di legare e sciogliere, viene dato non solo a Pietro, ma anche agli altri discepoli (Gv 20,23) ed alle proprie comunità (Mt 18,18). Uno dei punti in cui più insiste il Vangelo di Matteo è la riconciliazione ed il perdono (Mt 5,7.23-24.38-42.44-48; 6,14-15; 18,15-35). Negli anni 80 y 90, in Siria, a causa della fede in Gesù, c’erano molte tensioni nelle comunità e c’erano divisioni nelle famiglie. Alcuni lo accettavano come Messia ed altri no, e questo era motivo di molte tensioni e conflitti. Matteo insiste nella riconciliazione. La riconciliazione era e continua ad essere uno dei compiti più importanti dei coordinatori e delle coordinatrici delle comunità attuali. Imitando Pietro, loro devono legare e sciogliere, cioè, fare tutto il possibile perché ci sia riconciliazione, accettazione vicendevole, costruzione della vera fraternità “Settanta volte sette!” (Mt 18,22).
3) La Chiesa: La parola Chiesa, in greco eklésia, appare 105 volte nel NT, quasi esclusivamente negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere. Solo tre volte nei vangeli, e lì solo nel vangelo di Matteo. La parola significa letteralmente “convocata” o “scelta”. Indica il popolo che si riunisce convocato dalla Parola di Dio, e cerca di vivere il messaggio del Regno che Gesù viene a portarci. La Chiesa o la comunità non è il Regno, ma uno strumento o un’indicazione del Regno. Il regno è più grande. Nella Chiesa, nella comunità, deve o dovrebbe rendersi presente agli occhi di tutti ciò che succede quando un gruppo umano lascia regnare Dio e lascia che Dio sia ‘signore’ nella sua vita.
c) Approfondimento:
- Un ritratto di San Pietro: Pietro, che era pescatore di pesci, diventò pescatore di uomini (Mc 1,17). Era sposato (Mc 1,30). Era un uomo buono, assai umano. Era leader naturale tra i dodici primi discepoli di Gesù. Gesù rispetta questa leadership e fa di Pietro un animatore della sua prima comunità (Gv 21,17). Prima di entrare nella comunità di Gesù, Pietro si chiamava Simão Bar Jona (Mt 16,17), cioè Simone figlio di Giona. Gesù lo chiama Cefas o Pietra (Gv 1,42), che poi divenne Pietro (Lc 6,14). Per la sua natura e per il suo carattere, Pietro poteva essere tutto, meno pietra. Era coraggioso nel parlare, ma nel momento del pericolo si lasciava prendere dalla paura e fuggiva. Per esempio, la volta in cui Gesù camminava sulle acque, Pietro chiese: “Gesù, lasci che anch’io cammini sulle acque?”. Gesù disse: “Puoi venire, Pietro!”. Pietro uscì dalla barca e camminò nelle acque. Ma appena vide un’onda alta, fu preso dal panico, perse la fiducia, iniziò ad affondare e gridò: “Salvami, Signore!”. Gesù gli dette sicurezza e lo salvò (Mt 14,28-31). Nell’ultima Cena, Pietro disse a Gesù: “Non ti negherò mai, Signore!” (Mc 14,31), ma poche ore dopo, nel palazzo del Sommo Sacerdote, davanti ad una domestica, quando Gesù era già stato arrestato, Pietro negò con un giuramento che non aveva legami con Gesù (Mc 14,66-72). Quando Gesù si trovava nell’Orto degli Ulivi, Pietro tira fuori la spada (Gv 18,10), ma finisce con fuggire, lasciando Gesù solo. (Mc 14,50). Per sua natura, Pietro non era pietra! Ma questo Pietro, così debole ed umano, così simile a noi, diventa pietra, perché Gesù prega per lui e dice: “Pietro, ho pregato per te, che non venga meno la tua fede, e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli!” (Lc 22,31-32). Per questo Gesù poteva dire: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18). Gesù lo aiuta ad essere pietra. Dopo la risurrezione, in Galilea, Gesù appare a Pietro e chiede due volte: “Pietro, mi ami tu?”. E Pietro rispose due volte: “Signore, tu sai che ti amo!” (Gv 21,15.16). Quando Gesù rivolse la stessa domanda per la terza volta, Pietro si intristì. Forse ricordò l’aver negato Gesù per tre volte. Alla terza domanda, risponde: “Signore, tu sai tutto! Sai anche che ti amo molto!”. Ed è allora quando Gesù gli affida la cura delle sue pecore, dicendo:”Pietro, pasci le mie pecore!” (Gv 21,17). Con l’aiuto di Gesù, la fermezza della pietra cresce in Pietro e si rivela nel giorno di Pentecoste. Nel giorno di Pentecoste, dopo la discesa dello Spirito Santo, Pietro aprì la porta della sala dove erano tutti riuniti, chiusa a chiave per timore dei Giudei (Gv 20,19), prese coraggio e cominciò ad annunciare la Buona Notizia di Gesù alla gente (At 2,14-40). E non smise di farlo! Grazie a questo annuncio coraggioso della risurrezione, fu portato in carcere (At 4,3). Durante l’interrogatorio, gli venne proibito di annunciare la Buona Notizia (At 4,18), ma Pietro non obbedisce alla proibizione. Diceva: “Sappiamo che dobbiamo obbedire più a Dio che agli uomini!” (At 4,19; 5,29). Fu arrestato di nuovo (At 5,18.26). Torturato (At 5,40). Ma lui disse. “Grazie. Ma continueremo!” (cfr. At 5,42). Racconta la tradizione che, verso la fine della sua vita, a Roma, Pietro fu arrestato e condannato a morte, ed alla morte in croce. Lui chiese di essere crocifisso a testa in giù. Pensava di non essere degno di morire come Gesù. Pietro fu fedele a se stesso fino alla fine!
- Completando il contesto: Matteo 16,21-23. Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Lui immaginava un messia glorioso, e Gesù lo corregge: “È necessario che il Messia soffra e muoia a Gerusalemme”. Dicendo che “è necessario”, indica che la sofferenza era già stata prevista nelle profezie (Is 53,2-8). Se Pietro accetta Gesù come Messia e Figlio di Dio, deve accettarlo anche come il Messia servo che sarà messo a morte. Non solo il trionfo della gloria, ma anche il cammino della croce! Ma Pietro non accetta la correzione e cerca di dissuaderlo. La risposta di Gesù è sorprendente: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di inciampo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Satana è colui che ci separa dal cammino che Dio ha tracciato per noi. Letteralmente, Gesù dice: “Vai dietro” (Vada retro!). Pietro voleva mettersi davanti ed indicare la direzione. Gesù dice: “Vai dietro di me!”. Colui che indica la rotta e la direzione non è Pietro, bensì Gesù. Il discepolo deve seguire il maestro. Deve vivere in una continua conversione. La parola di Gesù è anche un richiamo per tutti coloro che guidano le comunità. Loro devono “seguire” Gesù e non mettersi davanti a lui come voleva fare Pietro. Non solo loro possono indicare la direzione o la rotta. Altrimenti, come Pietro, non sono pietra di appoggio, bensì diventano pietra di intralcio. Così erano alcuni leaders di comunità all’epoca di Matteo, piene di ambiguità. Così avviene tra di noi fino ad oggi!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
X DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Letture:
1Re 8,15-30
Sal 47
1Cor 3,10-17
Mc 12,41-44

Ha gettato tutto quanto aveva per vivere
Salomone ha costruito il tempio a Gerusalemme, luogo della dimora di Dio in mezzo al suo popolo. Ora il nuovo tempio di Dio tra gli uomini è la persona umana di Gesù, “nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). La Chiesa oggi è il “Corpo” di Gesù, da lui voluto come espansione nel tempo della sua azione salvifica. Abitare questo “Corpo” e collaborare a costruirlo è la missione di ogni credente: “Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra” (1Cor 12,27). Corresponsabilità e missione ci rende membra vive della Chiesa: con che tipo di dedizione? Con quale spirito prestare la nostra opera entro la comunità cristiana? Con quale anima profonda, cioè motivazione e forza?
Il tempio di Dio: Salomone si sentiva orgoglioso di aver dato una casa a Dio, luogo di preghiera e segno del legame speciale di Dio col suo popolo: “Ho costruito la casa al nome del Signore, vi ho fissato un posto per l’arca, dove c’è l’alleanza che il Signore aveva concluso con i nostri padri”. Lì Israele trovava il riferimento al proprio Dio e vi conveniva per la preghiera: “Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo d’Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!”. Un Dio nel cielo ma che vuol incontrare il suo popolo in terra, nel tempio. Già Salomone si meravigliava di una trascendenza divina che si china nella storia dell’uomo: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ti ho costruito”. Ma Dio proprio lì privilegia il suo contatto: “Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì porrò il mio nome” (Lett.). Quando Davide aveva deciso di fare il tempio, il Signore, tramite il profeta Natan, aveva detto: Non tu farai una casa a me, ma io farò a te una “casa”, una discendenza: “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sam 7,16). L’occhio del profeta era lungo, ben oltre la prospettiva nazionalista. Sarà l’angelo Gabriele ad annunciare a Maria che finalmente il regno di Davide giungeva al suo vero compimento in quel Gesù che nascerà da lei: “Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33). Gesù è il definitivo tempio, cioè la presenza di Dio tra gli uomini. In polemica coi Giudei dirà: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,10). Commenta Giovanni: “Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono..” (Gv 2,21-22). San Paolo completa questo tema del tempio affermando che ogni battezzato è tempio di Dio: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Santo è il tempio di Dio, che siete voi” (Epist.). Fondamento di questo edificio è Cristo: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo” (idem). San Pietro parlerà di ogni cristiano come di una pietra viva di questo edificio spirituale: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire scrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1Pt 2,4-5). Pietre santificate per santificare, luogo di accesso a Dio tramite una esistenza che riflette Cristo e la sua salvezza.
Due monetine: E siamo a capire quale sia il ruolo di queste pietre vive che operano nella Chiesa. Paolo dice che sul fondamento di Cristo si può costruire bene o male: “Sopra questo fondamento si può costruire con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia” (Epist.). Ma la tenuta della pastorale che si persegue sarà giudicata dal giudizio di Dio: “Il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito” (idem). Non ogni fare nella Chiesa è costruttivo; non ogni strategia pastorale vale in base alle sole buone intenzioni; non è sufficiente il buon senso nel partecipare al Consiglio Pastorale, ma criteri e stile ecclesiale. Dice Paolo: anche “se dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, non sarei nulla” (1Cor 13,2). “Se non avessi la carità..”. La carità è l’amore appassionato a Cristo per il quale si lavora e si spende la vita. Gesù oggi nel vangelo loda questa vedova “che nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Poco o tanto, il Signore vuole il tutto. Anche se siamo solo.. due monetine! Questa è l’anima di ogni apostolato fecondo. Al giovane che gli chiedeva di seguirlo, Gesù rispose: “Una cosa ti manca: vendi tutto quello che hai.. e vieni! Seguimi!” (Lc 18,22). Il contributo alla Chiesa non è tanto di denaro (che magari ci costa poco perché.. è parte infima del superfluo), ma di dedizione di tempo, risorse umane e coinvolgimento pieno, ciascuno naturalmente nel suo stato, ma con totalitarietà! Il biasimo di Gesù oggi è anche contro quanti fanno qualcosa nella Chiesa per farsi vedere e non per l’occhio interiore di Dio. Aveva già detto: “Mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,3-4). L’ostentazione del bene è un corollario deteriore della cultura dell’immagine e del prestigio che influenza tutti. Naturalmente viene condannato anche l’approfittarne della Chiesa per fare i propri affari; dentro e fuori di essa. Viene a pennello l’altra parola di Gesù quando scacciò dal tempio quanti vi mercanteggiavano: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!” (Gv 2,16). Era furioso: “Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi” (Gv 2,15).
“Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui” (Epist.). Tempio del proprio cuore, dove abita lo Spirito, e tempio della Chiesa, madre e maestra della fede. Io sono persuaso che forme di devozioni (popolari, dicono) e aggregazioni che saporano di ghetto e di carismatico, distruggeranno anche da noi presto la Chiesa di Cristo, gettando gruppi e comunità in mano alle sette. Chi non usa metodi evangelici ed ecclesiali.., non è da Dio, e quindi non dura!
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: sabato 27 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Ago 23, 2011 11:35 am

SABATO 27 AGOSTO 2011

SANTA MONICA


Preghiera iniziale: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.

Letture:
1Ts 4,9-11 (Avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri)
Sal 97 (Il Signore viene a giudicare i popoli con rettitudine)
Mt 25,14-30 (Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone)

I talenti, doni da fruttificare
Nell’attesa del Signore che viene non dobbiamo restare inoperosi e sfaccendati. Non ci è lecito neanche nascondere, con il pretesto di una falsa umiltà, nascondere il prezioso talento che il buon Dio ci ha affidato. Sin dalla creazione egli ha dotato l’uomo di doni particolari affinché diventi il custode e il continuatore della sua opera. Oltre però a quest’impegno che riguarda tutta l’umanità, ad ognuno di noi ha dato un certo numero di talenti, secondo un suo arcano disegno. I talenti sono i doni di anima e di corpo che ci rendono concretamente capaci di operare per la gloria di Dio e per il bene nostro e del nostro prossimo. Ai suoi occhi non è importante che noi stiamo ad arrovellarci il cervello per valutare quali e quanti sono i suoi doni, ciò che conta che tutti, pochi o tanti, siano messi doverosamente a frutto e ciò anche perché egli ci premia con la stessa misura sia se abbiamo fatto fruttificare un solo talento, sia se ne abbiamo moltiplicati cinque: «Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il premio è la gioia, che ha una duplice manifestazione: sulla terra è la gratificazione che sgorga dall’operare il bene, nel cielo è la beatitudine eterna. Scopriamo poi che ancora una volta la fedeltà al Signore trae origine dall’amore che abbiamo verso di lui, come l’infedeltà ha le sue radici nel concezione erronea che abbiamo del nostro Dio e Signore: «Signore, - sono le parole del servo infedele - so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo». Forse sono ancora tanti che pensano a Dio come un uomo duro e troppo esigente per cui nei suoi confronti nutrono solo paura e non amore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci narra la parabola dei talenti. Questa parabola era tra due parabole: la parabola delle Dieci Vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio Finale (Mt 25,31-46). Le tre parabole chiariscono ed orientano le persone sulla venuta del Regno. La parabola delle Dieci Vergini insiste sulla vigilanza: il Regno può arrivare in qualsiasi momento. La parabola del Giudizio Finale dice che per possedere il Regno bisogna accogliere i piccoli. La parabola dei Talenti orienta su come fare per far crescere il Regno. Parla dei doni o carismi che le persone ricevono da Dio. Ogni persona ha delle qualità, sa qualcosa che può insegnare agli altri. Nessuno è solo alunno, nessuno è solo professore. Impariamo gli uni dagli altri.
- Una chiave per capire la parabola: Una delle cose che più influisce nella vita della gente è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano che Dio fosse un giudice severo, che trattava alle persone secondo il merito conquistato dalle osservanze. Ciò produceva paura ed impediva alle persone di crescere. Soprattutto impediva che si aprissero uno spazio dentro di sé, per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.
- Matteo 25,14-15: La porta d’ingresso nella storia della parabola. Gesù racconta la storia di un uomo che, prima di viaggiare, distribuisce i suoi beni ai servi, dando loro cinque, due o un talento, secondo la capacità di ognuno. Un talento corrisponde a 34 chili d’oro, il che non è poco. In definitiva, ognuno riceve lo stesso, perché riceve “secondo le capacità di ciascuno”. Ogn’uno riceve la sua piccola o grande coppa piena. Il padrone se ne va all’estero e vi rimane molto tempo. La storia produce una certa suspense. Non si sa con quale scopo il padrone consegna il suo denaro ai servi, né si sa quale sarà la fine.
- Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni servo. I due primi lavorano e fanno duplicare i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo sotterra per non perderlo. Si tratta dei beni del Regno che sono dati alle persone e alle comunità secondo le loro capacità. Tutti ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!
- Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo servo, e risposta del Signore. Dopo molto tempo, il padrone ritorna. I due primi dicono la stessa cosa: “Signore, mi hai consegnato cinque/due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque/due”. E il padrone dà la stessa risposta: “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
- Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo servo. Il terzo servo giunge e dice: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. Il servo considera Dio come un padrone severo. Dinanzi a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che, agendo così, la severità del legislatore non lo castigherà. In realtà, una persona così non crede in Dio, ma crede solo in se stessa e nella sua osservanza della legge. Si rinchiude in sé, si allontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, termina con la gioia ed impoverisce la vita.
- Matteo 25,26-27: La risposta del Signore al terzo servo. La risposta del Signore è ironica. Dice: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse”. Il terzo impiegato non è stato coerente con l’immagine severa che aveva di Dio. Se lui immaginava che Dio era severo, avrebbe dovuto per lo meno mettere il denaro in banca. Ossia è condannato non da Dio ma dall’idea sbagliata che aveva di Dio e che lo lascia più immaturo e timoroso di quanto doveva essere. Non gli era stato possibile essere coerente con quella immagine di Dio, perché la paura lo disumanizza e gli paralizza la vita.
- Matteo 25,28-30: La parola finale del Signore che chiarisce la parabola. Il padrone ordina di andare a prendere il talento e di darlo a colui che ne ha dieci, “Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”. Ecco la chiave che chiarisce tutto. In realtà, i talenti, il “denaro del padrone”, i beni del Regno, sono l’amore, il servizio, la condivisione. È tutto quello che fa crescere la comunità e rivela la presenza di Dio. Chi si chiude in sé con la paura di perdere il poco che ha, costui perderà perfino quel poco che ha. Ma la persona che non pensa a sé, e si dona agli altri, cresce e riceve a sua volta, in modo inesperto, tutto ciò che ha dato e molto di più. “Chi perde la vita la ottiene, e ottiene la vita chi ha il coraggio di perderla”.
- La moneta diversa del Regno. Non c’è differenza tra coloro che hanno ricevuto di più o di meno. Tutti hanno il loro dono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che questo dono sia messo al servizio del Regno e faccia crescere i beni del Regno che sono amore, fraternità, condivisione. La chiave principale della parabola non consiste nel far rendere e produrre i talenti, ma nel relazionarsi con Dio in modo corretto. I due primi non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non tengono per sé, non si chiudono in se stessi, non calcolano. Con la maggiore naturalezza del mondo, quasi senza rendersene conto e senza cercarsi merito, cominciano a lavorare, in modo che il dono dato da Dio renda per Dio e per il Regno. Il terzo ha paura, e per questo non fa nulla. D’accordo con le norme dell’antica legge, lui agisce correttamente. Si mantiene nelle esigenze. Non perde nulla e non guadagna nulla. Per questo, perde perfino ciò che aveva. Il regno è rischio. Chi non vuole correre rischi, perde il Regno!

Per un confronto personale:
- Nella nostra comunità, cerchiamo di conoscere e valorizzare i doni di ogni persona? La nostra comunità è uno spazio dove le persone possono far conoscere e mettere a disposizione i loro doni? A volte, i doni di alcuni generano invidia e competitività negli altri. Come reagiamo?
- Come capire la frase: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?”.

27 agosto: Santa Monica, madre di sant’Agostino
Biografia: Nacque nel 331 a Tagaste, di famiglia profondamente cristiana e andò subito in sposa a Patrizio, di carattere buono ma che non risparmiava a Monica angherie ed infedeltà. La Santa riuscì, con una tale mitizza e docilità ad essere di stupore e di esempio, non solo a sopportare ma anche a vincere le asprezze del marito. A 22 anni ebbe Agostino come primogenito. Successivamente nacque un secondo figlio, Naviglio, ed una figlia di cui ignoriamo il nome. La pietà e l’amore materno furono sempre luce e guida in tutta la vita di S. Agostino e furono fondamentali per le sue scelte per condurlo sulla via delta Santità. Nel 371 perdette il marito che era riuscito a convertire al cristianesimo l’anno prima. Iniziò un periodo doloroso della sua vita nella quale si ripromise di convertire il figlio Agostino restandogli al suo fianco fino al suo battesimo avvenuto il 25 aprile 387. Mori nello stesso anno ad Ostia dove fu sepolta.

Martirologio: Memoria di santa Monica che, data ancora giovinetta in matrimonio a Patrizio, generò dei figli, tra i quali Agostino, per la cui conversione molte lacrime versò e molte preghiere rivolse a Dio, e, anelando profondamente al cielo, lasciò questa vita a Ostia nel Lazio, mentre era sulla via del ritorno in Africa.

Dagli scritti
Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo
Era ormai vicino il giorno in cui ella sarebbe uscita da questa vita, giorno che tu conoscevi mentre noi lo ignoravamo. Per tua disposizione misteriosa e provvidenziale, avvenne una volta che io e lei ce ne stessimo soli, appoggiati al davanzale di una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là presso Ostia, dove noi, lontani dal frastuono della gente, dopo la fatica del lungo viaggio, ci stavamo preparando ad imbarcarci. Parlavamo soli con grande dolcezza e, dimentichi del passato, ci protendevamo verso il futuro, cercando di conoscere alla luce della Verità presente, che sei tu, la condizione eterna dei santi, quella vita cioè che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo (cfr. 1Cor 2,9). Ce ne stavamo con la bocca anelante verso l’acqua che emana dalla tua sorgente, da quella sorgente di vita che si trova presso di te. Dicevo cose del genere, anche se non proprio in tal modo e con queste precise parole. Tuttavia, Signore, tu sai che in quel giorno, mentre così parlavamo e, tra una parola e l’altra, questo mondo con tutti i suoi piaceri perdeva ai nostri occhi ogni suo richiamo, mia madre mi disse: «Figlio, quanto a me non trovo ormai più alcuna attrattiva per questa vita. Non so che cosa io stia a fare ancora quaggiù e perché mi trovi qui. Questo mondo non é più oggetto di desideri per me. C’era un solo motivo per cui desideravo rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico, prima di morire. Dio mi ha esaudito oltre ogni mia aspettativa, mi ha concesso di vederti al suo servizio e affrancato dalle aspirazioni di felicità terrene. Che sto a fare qui?». Non ricordo bene che cosa io le abbia risposto in proposito. Intanto nel giro di cinque giorni o poco più si mise a letto con la febbre. Durante la malattia un giorno ebbe uno svenimento e per un pò di tempo perdette i sensi. Noi accorremmo, ma essa riprese prontamente la conoscenza, guardò me e mio fratello in piedi presso di lei, e disse, come cercando qualcosa: «Dove ero?». Quindi, vedendoci sconvolti per il dolore, disse: «Seppellire qui vostra madre». Io tacevo con un nodo alla gola e cercavo di trattenere le lacrime. Mio fratello, invece, disse qualche parola per esprimere che desiderava vederla chiudere gli occhi in patria e non in terra straniera. Al sentirlo fece un cenno di disapprovazione per ciò che aveva detto. Quindi rivolgendosi a me disse: «Senti che cosa dice?». E poco dopo a tutti e due: «Seppellirete questo corpo, disse, dove meglio vi piacerà; non voglio che ve ne diate pena. Soltanto di questo vi prego, che dovunque vi troverete, vi ricordiate di me all’altare del Signore». Quando ebbe espresso, come poté, questo desiderio, tacque. Intanto il male si aggravava ed essa continuava a soffrire. In capo a nove giorni della sua malattia, l’anno cinquantaseiesimo della sua vita, e trentatreesimo della mia, quell’anima benedetta e santa se ne partì da questa terra (Lib. 9,10-11; CSEL 33,215-219).

Preghiera finale: L’anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo. In lui gioisce il nostro cuore e confidiamo nel suo santo nome (Sal 32).
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MessaggioTitolo: domenica 28 agosto 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Ago 23, 2011 11:39 am

DOMENICA 28 AGOSTO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.

Letture:
Ger 20,7-9 (La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna)
Sal 62 (Ha sete di te, Signore, l’anima mia)
Rm 12,1-2 (Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente)
Mt 16,21-27 (Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso)

Dalla croce di Cristo alla nostra croce quotidiana
Gesù indubbiamente esercitava un fascino irresistibile sui suoi discepoli. Non potevano non compiacersi della santità del loro Maestro. La sua dottrina suscitava ammirazione nelle folle che l’ascoltavano: «Egli parlava con autorità e non come i loro scribi»; accompagnava e confermava con segni e prodigi l’annuncio delle sue verità. Tutto lasciava presagire un futuro di gloria e un approdo trionfante. Possiamo perciò immaginare l’incredulità, lo sconforto, la profonda delusione degli apostoli quando dopo aver sentito parlare di Regno, ora ascoltano dalle labbra del Signore un annuncio di una passione e di una morte crudele ed ingiusta. L’intervento maldestro di Pietro, da poco proclamato beato per la sua splendida professione di fede, questa volta gli merita un severo rimbrotto e addirittura l’appellativo di «satana». Mentre ha proclamato Gesù, «Figlio dei Dio vivente» perché il Padre gli lo ha rivelato, ora non pensa più «secondo Dio, ma secondo gli uomini». «Lo scandalo della croce» comincia a mietere le sue prime vittime! Del resto se gli apostoli non entrano con la forza della fede e l’illuminazione dello Spirito Santo, nel mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo, non potranno capire quello che Gesù sta per scandire loro come programma di vita: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Se Egli non ci avesse preceduto e non ci avesse insegnato il significato redentivo della croce, nessuno lo avrebbe seguito. Arriva invece a convincerci che: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». L’esempio di Cristo, la luce dello Spirito Santo ci fanno vedere che ormai per sempre noi passiamo dalla morte alla vita, dal sepolcro alla risurrezione. È la vera intelligenza cristiana che ci rende capaci di operare una vera gerarchia di valori sia nel tempo che nell’eternità: «Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?».
“Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Pietro scopre così la vera identità di Gesù. Egli fa l’incredibile scoperta che questo carpentiere di Nazaret non è altro che il Cristo, l’unto di Israele, la realizzazione dell’attesa, lunga duemila anni, del suo popolo. Ma Pietro interpreta la missione di Gesù in termini politici. Gesù ben se ne rende conto e spiega che tipo di Messia sarà: andrà a Gerusalemme per soffrire, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno. Ciò è troppo per Pietro: nel suo spirito, l’idea di sofferenza e l’idea di Messia sono semplicemente incompatibili fra loro. “Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Se Pietro potesse solo rendersene conto, sarebbe pervaso dalla gioia! Il Messia, che si sarebbe immerso nella sofferenza, che avrebbe incontrato l’ostilità degli uomini e che avrebbe subito tutte le conseguenze dell’ingratitudine secolare di Israele verso il Dio dell’Alleanza, era proprio lì! Davanti a lui c’era finalmente colui che avrebbe sconfitto Satana in uno scontro decisivo e che avrebbe, in questo modo, portato a compimento il piano divino di salvezza per l’umanità. Poiché Pietro “cominciò a protestare dicendo: Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai”, Gesù gli disse: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Voltaire scrisse argutamente: “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza e l’uomo gliela rese proprio bene!”. Nella nostra tendenza innata a resistere a Dio, noi deformiamo la sua immagine, ci rifiutiamo di lasciare che Dio sia come vuole essere. Il nostro Dio è troppo piccolo, troppo fragile e troppo limitato, mentre il Dio di Gesù Cristo è letteralmente troppo bello per essere vero. Gesù si affretta a percorrere la via che porta a Gerusalemme per svelarcelo sulla croce. Sulla croce, infatti, Gesù rivelerà l’ultimo ritratto di Dio nel dramma della misericordia che vince il peccato, dell’amore che supera la morte e della fedeltà divina che cancella il tradimento. Chi avrebbe mai immaginato, sia pure in sogno, che Dio sarebbe intervenuto nella nostra storia in questo modo? Sfortunatamente, per molti, Gesù è davvero troppo bello per essere vero. “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!” (Gv 4,10).

Approfondimento del Vangelo (L’annuncio della Passione)
Il testo: In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Il contesto: Mt 16,21-27 si trova tra la confessione di Pietro (16, 13-20) e la trasfigurazione (17,1-8) ed è intimamente legato ad esse. Gesù chiede ai dodici di dirgli chi dice la gente che egli sia e poi vuole sapere loro stessi cosa dicono. Pietro risponde, “Tu sei il messia, il Figlio del Dio vivente” (16, 16). Gesù non solo accetta questa confessione ma dice espressamente che la sua vera identità è stata rivelata a Pietro da Dio. Eppure insiste che i discepoli non devono dire a nessuno che egli è il messia. Gesù sa bene che questo titolo può essere malinteso e non vuole correre questo rischio. “Da allora” (16,21) incomincia a spiegare gradualmente ai dodici cosa significhi essere il messia: egli è il messia sofferente che entrerà nella sua gloria attraverso la croce. Il brano in considerazione consta di due parti. Nella prima (vv. 21-23) Gesù predice la sua morte e risurrezione e si dimostra completamente deciso a seguire il progetto di Dio su di lui malgrado le proteste di Pietro. Nella seconda parte (vv. 24-27) Gesù dimostra la conseguenza che dovrà avere sui suoi discepoli il riconoscerlo come messia sofferente. Non si diventa suo discepolo se non passando per la stessa strada. Ma Gesù sa bene che è difficile per i dodici accettare la sua e la loro croce e per rinfrancarli da loro un’anticipazione della sua risurrezione nella trasfigurazione (17,1-8).

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella riflessione personale.
a) Perché Pietro cerca di dissuadere Gesù dall’affrontare la passione?
b) Perché Gesù chiama Pietro satana?
c) Come affronti la vita, con la logica di Dio e di Gesù o con quella degli uomini e di Pietro?
d) Nella tua vita concreta di ogni giorno cosa significa perdere la vita per causa di Gesù?
e) Quali sono le tue croci e quali i tuoi “Pietro”?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento:
- “Doveva andare a Gerusalemme...”. I quattro verbi “andare”, “soffrire”, “venire ucciso”, e “risuscitare” (v. 21) sono retti dal verbo “doveva”, o forse meglio “bisognava che”. È un verbo che nel Nuovo Testamento ha un preciso significato teologico. Indica che è volontà di Dio che una cosa particolare accada perché sta nel suo progetto di salvezza. La morte di Gesù può essere vista come la conseguenza “logica” dell’atteggiamento che ha preso verso le istituzioni del suo popolo. Come ogni profeta scomodo è stato tolto di mezzo. Ma il Nuovo Testamento insiste che la sua morte (e risurrezione) faceva parte del progetto di Dio che Gesù accettò con piena libertà.
- “Tu mi sei di scandalo”. Scandalo vuol dire inciampo, trappola. Scandalizzare qualcuno significa mettergli davanti degli impedimenti che lo distolgono dalla via che sta seguendo. Pietro è di scandalo per Gesù perché lo tenta a lasciare il cammino dell’obbedienza alla volontà del Padre per seguire un cammino più facile. Per questo Gesù lo assimila a satana, che all’inizio del suo ministero aveva cercato di distogliere Gesù dal seguire la propria missione, proponendogli un messianismo facile (vedi Mt 4,1-11).
- “Chi perde la propria vita la troverà”. Chi comprende bene il mistero di Gesù e la natura della sua missione comprende anche cosa significhi essere suo discepolo. Le due cose sono intimamente legate. Gesù stesso impone tre condizioni a coloro che vogliono essere suoi discepoli: rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguirlo (v. 24). Rinnegare se stesso vuol dire non centrare la vita sul proprio egoismo ma su Dio e sul suo progetto (il Regno). Questo comporta l’accettazione di avversità e la sopportazione di difficoltà. Ma Gesù stesso ci ha lasciato l’esempio di come agire in tali situazioni; basta imitarlo. Egli non compromise la sua adesione al Padre e al suo Regno e rimase fedele fino a dare la vita. Ma fu proprio in questo modo che giunse alla pienezza della vita nella risurrezione.

Orazione finale: O Dio, le tue vie non sono le nostre vie e i tuoi pensieri non sono i nostri pensieri. Nel tuo progetto di salvezza c’è posto anche per la croce. Tuo Figlio Gesù non si tirò indietro davanti ad essa, ma “si sottopose alla croce, disprezzandone l’ignominia” (Eb12,2). L’ostilità dei suoi avversari non poté distoglierlo dalla sua ferma decisione di compiere la tua volontà e annunciare il tuo Regno, costi quel che costi. Rafforzaci, o Padre, con il dono del tuo Spirito. Egli ci renda capaci di seguire Gesù con risolutezza e fedeltà. Ci renda suoi imitatori nel fare di Te e del tuo Regno il fulcro della nostra vita. Ci doni la forza di sopportare avversità e difficoltà perché in noi e in tutti sbocci gradualmente la vera vita.

28 agosto: Sant’Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa
Biografia: Sant’Agostino nacque a Tagaste il 13 novembre 354 da Patrizio e da Santa Monica. In giovinezza era un seguace dell’eresia manichea ed ebbe una vita disordinata pur studiando a Cartagine, Roma e a Milano. Seguito sempre dalla madre e con il suo aiuto e le sue preghiere ed illuminato dalla guida di Sant’Ambrogio si converti al cristianesimo combattendo contro il materialismo con il “principio dell’interiorità”, infatti con lo studio dei filosofi antichi riuscì a scoprire all’interno del proprio io la luce del vero per arrivare alla percezione di Dio. Fu battezzato il 25 Aprile 387 e quindi tornò in Africa per condurvi una vita monastica di preghiera e di studio. Fu ordinato sacerdote nel 391 e quindi divenne vescovo di Ippona. Mori nel 430 mentre era in atto l’assedio dei Vandali. Sant’Agostino è stato un grande combattente delle eresie. Riuscì nei 40 anni di apostolato a diffondere la dottrina cattolica dalla sua città di Ippona a rischio della sua stessa vita. È stato il primo filosofo morale della religione Cristiana e un dotto teologo. I principi della dottrina nascono in primo luogo da Cristo e dalle Sacre Scritture nelle quali non sono possibili critiche od interpretazioni a differenza di tutti gli altri scritti seppur ispirati da dotti e sapienti autori.

Martirologio: A Ippona, in Africa, il natale di sant’Agostino Vescovo, Confessore e Dottore esimio della Chiesa, il quale, convertito alla fede cattolica e battezzato per opera del beato Vescovo Ambrogio, la difese propugnatore acerrimo contro i Manichei ed altri eretici, e dopo aver sostenuto molte altre fatiche per la Chiesa di Dio, passò al cielo per il premio. Le sue reliquie, prima trasportate dalla sua città in Sardegna per paura dei barbari, e poi da Liutprando, Re dei Longobardi, trasferite a Pavia, ivi furono onorevolmente riposte.

Dagli scritti
Dalle “Confessioni” di sant’Agostino, vescovo
Stimolato a rientrare in me stesso, sotto l tu guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29,11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi pareve di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me». Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli uomni, l’Uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5), «che é sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9,5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); e unì quel cibo, che io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
1Mac 1,10.41-42;2,29-38
Sal 118
Ef 6,10-18
Mc 12, 13-17

A Cesare... a Dio
La memoria del martirio di Giovanni Battista, ucciso da Erode per la denuncia del suo adulterio, ci immerge nell’odierno clima di persecuzione scatenato contro i cristiani da fanatismo religioso e da poteri dittatoriali. L’uomo fatto a immagine di Dio esige libertà di coscienza e proclama il primato di Dio; non può essere sopportato da quanti si pensano padroni di persone e di “valori” che sono in contrasto con quella visione di vita e di storia. “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,18.20). Scontro ma anche necessità di una sopportabile convivenza. Ecco oggi i criteri di Gesù per giusti rapporti tra fede e “politica”, tra esigenze di valori non negoziabili e apporto di partecipazione positiva al bene comune. Sullo sfondo anche la già difficile battaglia che il credente deve affrontare ogni giorno per la coerenza interiore nel vivere il vangelo.
A Dio: Era l’anno 175 a.C. A Gerusalemme si era insediato uno dei quattro generali ai quali Alessandro Magno aveva diviso l’impero. La cultura greca, diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, si imponeva con crescente intolleranza verso ogni altra forma di dissenso, alimentando l’idolatria. “Il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie usanze”. Scoppiò una violenta reazione da parte dei Maccabei per mantenersi fedeli alla legge di Dio e all’alleanza. Rifugiatisi nel deserto, furono massacrati, un migliaio circa, bambini compresi. “Moriamo tutti nella nostra innocenza. Ci sono testimoni il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente”. Né si difesero per non profanare la legge del riposo sabbatico: “Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato” (Lett.). Persecuzione religiosa che ha invaso la storia, divenendo massiccia ai nostri tempi se - come è documentato - il secolo XX ha visto il numero di 6,7 milioni di credenti massacrati da regimi atei e totalitari. Ogni settimana si registrano fatti di sangue contro missionari, incendi e distruzioni di chiese cristiane, per motivi di intolleranza religiosa (fondamentalismo islamico e buddista) o di oppressione politica. Il martirio è ritornato di moda, in Asia come in America Latina. In Europa con una subdola ma non meno precisa emarginazione di ogni segno del sacro. In Italia per reazione alla denuncia contro la mafia e altre forme di schiavitù sociali. Ogni anno la Chiesa ricorda questi martiri il 24 marzo per tener viva la memoria di chi ha preso sul serio con eroismo la propria professione di fede. Ma, dice Paolo, “la nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Epist.). Cioè contro satana e il suo scatenarsi a distogliere gli uomini dalla adorazione di Dio. L’Apocalisse fa la storia di questa battaglia: del “grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il satana e che seduce tutta la terra abitata” (12,9); che si incarna nel potere politico, “la bestia, cui fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie; le fu concesso di fare guerra contro i santi e di vincerli” (3,5-7); e ha come suo affascinante seduttore “un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago (qualche commentatore l’identifica con i media di oggi). “Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra e sulla fronte, e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia e il numero del suo nome” (13,16-17). Una globalizzazione culturale soffocante che non è molto distante da noi!
A Cesare: Paolo oggi ci esorta a saperci difendere con le armi della fede, della verità, della giustizia, e con “la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Epist.). È con la forza di Dio che si può vincere lo scontro: “In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi” (Idem). Nondimeno dobbiamo convivere con questo mondo divenuto pluralistico e, anzi, portarvi il nostro contributo per una sua salvezza e una crescita in umanità più solidale. Anzitutto rispettando le sfere di competenza per “rendere a Cesare quello che è di Cesare”, cioè la distinzione tra fede e politica, contro ogni integralismo, nel “rispetto dell’autonomia delle realtà terrestri che hanno leggi e valori propri voluti dal Creatore” (GS 36). Oggi in Europa si parla di “laicità positiva”, che vorrebbe richiamare propriamente un dovere grave dello stato democratico, quello del rispetto della libertà religiosa e quindi di quei valori trascendenti che la comunità religiosa vuol anche pubblicamente professare. Anzi bisognerebbe giungere fino a riconoscere - dietro i conclamati diritti della persona umana - le radici antropologiche iscritte nella natura umana ed espresse nelle istanze etiche che la coscienza suggerisce a tutti. Democrazia non è vuoto neutro di valori, ma somma - rispettata e in dialogo - di valenze culturali di diverse provenienze, tutte da coordinare al bene comune. Proprio qui trova spazio l’apporto proprio della comunità cristiana e l’impegno del credente “pronto sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi; tuttavia questo fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16). Proprio questa testimonianza discreta e chiara deve il cristiano allo stato. “Come l’anima è per il corpo, così il cristiano è per la società”, si diceva già nel secondo secolo nella Chiesa. Anima che aiuta a formulare la più completa e vera idea di uomo, con tutte anche le sue esigenze spirituali. Anima che ispira e difende quei valori decisivi per l’esistenza di ogni uomo: il rispetto della persona, della vita, dell’amore autentico, del creato. Soprattutto anima che suggerisce e testimonia le motivazioni più profonde del servizio al bene di tutti, a cominciare dai più deboli e indifesi. Infine contribuire con una partecipazione dialogante alla formulazione di proposte e programmi che in politica non sono mai il meglio in assoluto, ma il meglio possibile con l’apporto di tutti.
La Chiesa ha lavorato molto in questo campo del sociale, con una mole di Dottrina tratta dalla sua “esperienza in umanità” e dai principi razionali fecondati dal vangelo. Merita di conoscerla bene, soprattutto da parte di chi - con la più alta forma di carità - si impegna con rettitudine e coerenza a fare politica a nome e per il bene di tutti.
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MessaggioTitolo: sabato 3 settembre 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyGio Set 01, 2011 2:16 pm

SABATO 3 SETTEMBRE 2011

SAN GREGORIO MAGNO


Preghiera iniziale: O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.

Letture:
Col 1,21-23 (Dio vi ha riconciliati per presentarvi santi e immacolati)
Sal 53 (Dio è il mio aiuto)
Lc 6,1-5 (Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?)

Gesù, buon pastore
“Io sono il buon pastore – dice il Signore – conosco le mie pecore e loro conoscono me”. Gesù si paragona ad un pastore del gregge. Sta sempre con le sue pecorelle e non le abbandona mai. Anche loro conoscono il padrone e sanno che finché c’è lui non succederà loro niente. Ma devono ascoltare la sua voce e seguirlo e non abbandonare il gregge. Anche noi, se abbiamo scelto Cristo come nostro pastore di conseguenza dobbiamo andare dietro a Lui. Che cosa significa la sequela di Cristo? È soltanto compiere la sua volontà? Oppure è qualcosa di più? Basta forse non fare il male per essere discepolo di Cristo? Basta forse vivere chiuso dentro le pareti della nostra solitudine e non dare fastidio a nessuno? Oppure bisogna operare il bene? Ecco, per essere del gregge di Cristo non basta soltanto osservare i comandamenti ma bisogna fare il bene. Beati voi che, quando ero malato, quando avevo sete, quando mi sentivo solo, quando mi bucavo un’altra volta, quando bussavo nella tua porta… mi hai soccorso… perché “di loro è il regno dei cieli”.

Lettura del Vangelo: Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi narra il conflitto relativo all’osservanza del sabato. L’osservanza del sabato era una legge centrale, uno dei Dieci Comandamenti. Legge molto antica che fu riconsiderata nell’epoca dell’esilio. Nell’esilio, la gente doveva lavorare sette giorni a settimana dalla mattina alla sera, sin condizioni per riunirsi e meditare la Parola di Dio, per pregare insieme e per condividere la fede, i loro problemi e le loro speranze. Ecco quindi il bisogno urgente di fermarsi almeno un giorno alla settimana per riunirsi ed incoraggiarsi a vicenda durante la situazione così dura dell’esilio. Altrimenti avrebbero perso la fede. Fu lì che la fede rinacque e si ristabilì con vigore l’osservanza del sabato.
- Luca 6,1-2: La causa del conflitto. Il sabato, i discepoli attraversano le piantagioni e si aprono cammino strappando spighe. Matteo 12,1 dice che avevano fame (Mt 12,1). I farisei invocano la Bibbia per dire che cosa suppone trasgressione della legge del Sabato: “Perché fate ciò che non è permesso di fare il sabato?” (cfr. Ex 20,8-11).
- Luca 6,3-4: La risposta di Gesù. Immediatamente, Gesù risponde ricordando che Davide stesso faceva cose proibite, poiché prese i pani sacri del tempio e li dette da mangiare ai soldati che avevano fame (1 Sam 21,2-7). Gesù conosceva la Bibbia e la invocava per dimostrare che gli argomenti degli altri non avevano nessuna base. In Matteo, la risposta di Gesù è più completa. Lui non solo invoca la storia di Davide, ma cita anche la Legislazione che permette ai sacerdoti di lavorare il sabato e cita il profeta Osea: “Misericordia voglio e non sacrificio”. Cita un testo biblico e un testo storico, un testo legislativo ed un testo profetico (cfr. Mt 12,1-18). In quel tempo, non c’erano Bibbie stampate come le abbiamo oggi. In ogni comunità c’era solo una Bibbia, scritta a mano, che rimaneva nella sinagoga. Se Gesù conosce così bene la Bibbia vuol dire che nei 30 anni della sua vita a Nazaret ha partecipato intensamente alla vita comunitaria, dove ogni sabato si leggevano le scritture. A noi manca molto per avere la stessa familiarità con la Bibbia e la stessa partecipazione alla comunità.
- Luca 6,5: La conclusione per tutti noi. E Gesù termina con questa frase: Il Figlio dell’Uomo è signore del sabato! Gesù, Figlio dell’Uomo, che vive nell’intimità con Dio, scopre il senso della Bibbia non dal di fuori, ma dal di dentro, cioè scopre il senso partendo dalla radice, partendo dalla sua intimità con l’autore della Bibbia che è Dio stesso. Per questo, lui si dice signore del sabato. Nel vangelo di Marco, Gesù relativizza la legge del sabato dicendo: “Il sabato è stato istituito per l’uomo e non l?uomo per il sabato”.

Per un confronto personale
- Come passi la Domenica, il nostro “Sabato”? Vai a messa perché obbligato/a, per evitare il peccato o per poter stare con Dio?
- Gesù conosceva la Bibbia quasi a memoria. Cosa rappresenta la Bibbia per me?

3 settembre: San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa
Biografia: Gregorio (Roma 540 - 12 marzo 604 ), già prefetto di Roma, divenne monaco e abate del monastero di Sant’Andrea sul Celio. Eletto papa, ricevette l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590. Nonostante la malferma salute, esplicò una multiforme e intensa attività nel governo della chiesa, nella sollecitudine caritativa, nell’azione missionaria. Autore e legislatore nel campo della liturgia e del canto sacro, elaborò un Sacramentario che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano. Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omiletico e spirituale, che formarono intere generazioni cristiane specialmente nel Medio Evo.

Martirologio: Memoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa. dopo aver intrapreso la vita monastica, svolse l’incarico di legato apostolico a Costantinopoli: eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagandare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale. Morì il 12 marzo.

Dagli scritti
Dalle “Omelie su Ezechiele” di san Gregorio Magno, papa
“Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele” (Ez 3,16). È da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella. La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque é posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza. Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco m stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può. Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mai lentezza e negligenza. Forse lo steso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso. Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalla parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell’ufficio pastorale, l’animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché é diviso tra molte faccende. Sono costretto a trattare ora le questioni delle chiese, ora dei monasteri, spesso a esaminare la vita e le azioni dei singoli; ora ad interessarmi di faccende private dei cittadini; ora a gemere sotto le spade irrompenti dei barbari e a temere i lupi che insidiano il gregge affidatomi. Ora debbo darmi pensiero di cose materiali, perché non manchino opportuni aiuti a tutti coloro che la regola della disciplina tiene vincolati. A volte debbo sopportare con animo imperturbato certi predoni, altre volte affrontarli, cercando tuttavia di conservare la carità. Quando dunque la mente divisa e dilaniata si porta a considerare una mole così grande e così vasta di questioni, come potrebbe rientrare in se stessa, per dedicarsi tutta alla predicazione e non allontanarsi dal ministero della parola? Siccome poi per necessità di ufficio debbo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Se infatti mi tengo nel costante rigore della vigilanza su me stesso, so che i più deboli mi sfuggono e non riuscirò mai a portarli dove io desidero. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili. E poiché anch’io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere. Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza? Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l’elevatezza della vita e l’efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui. (Lib. 1,11,4-6; CCL 142,170-172).

Preghiera finale: Canti la mia bocca la lode del Signore e ogni vivente benedica il suo nome santo, in eterno e sempre (Sal 144).
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MessaggioTitolo: domenica 4 settembre 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyGio Set 01, 2011 2:21 pm

DOMENICA 4 SETTEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Ez 33,7-9 (Se tu non parli al malvagio, della sua morte domanderò conto a te)
Sal 94 (Ascoltate oggi la voce del Signore)
Rm 13,8-10 (Pienezza della Legge è la carità)
Mt 18,15-20 (Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello)

Correzione fraterna
In tanti modi si esprime la carità fraterna. Ci convince immediatamente di saperla praticare il dare qualcosa di nostro agli altri. Quando riempiamo o almeno non lasciamo vuota la mano che supplice, quando si muove verso di noi, quando ci priviamo con sacrificio di qualcosa che ci è caro per donarlo al nostro prossimo, diventiamo caritatevoli e adempiamo il precetto del Signore di amare il nostro prossimo come noi stessi. La correzione fraterna è sicuramente una forma di carità alquanto rara, proprio perché è particolarmente difficile praticarla. Richiede innanzitutto vero amore, squisita sensibilità, tatto e delicatezza. La prudenza e la buona psicologia ci debbono essere di aiuto per non commettere errori e per sortire gli effetti sperati. La prima condizione però è la preghiera intensa e reiterata, perché solo con la grazia divina riusciamo a raggiungere il cuore del nostro prossimo e guadagnarlo al bene e al Signore. L’umile invocazione dello Spirito ci consente di attingere la luce necessaria per formulare la nostra ammonizione nel modo migliore senza offendere, ma solo per guarire il fratello dal suo male. Talvolta, quando incontriamo resistenze e particolare durezza di cuore, dobbiamo coinvolgere altri fratelli in questa difficile opera: abbiamo bisogno della loro preghiera e della loro fattiva collaborazione. Per questo Gesù ci ricorda: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro». In casi particolarissimi e fortunatamente rari ai nostri giorni, deve essere inevitabilmente coinvolta la Chiesa gerarchica affinché intervenga con il peso della grazia e dell’autorità di cui gode. È importante tenere sempre presente che la correzione fraterna di cui parla il Signore e a cui Egli ci esorta deve essere sempre uno squisito atto di carità e di amore fraterno, mai un mero gesto di autorità e ancor meno solo di condanna.
In questa pagina del Vangelo di Matteo vengono riferiti alcuni “loghia”, ossia alcune parole o sentenze, così come furono autenticamente pronunciate da Gesù. Esse sono poste all’interno del discorso elaborato da Matteo sul modo di comportarsi dei cristiani in seno alla comunità. Per comprenderlo, questo discorso deve essere collegato alla frase conclusiva della sezione precedente, in cui si afferma: “Dio non vuole che neppure uno di questi piccoli si perda”. È un monito a chi dirige la comunità, di non escludere nessuno, senza prima aver tentato ogni mezzo per correggerlo dal suo errore o dal suo peccato. Niente, infatti, è più delicato della correzione fraterna. La regola data da Cristo per la vita e la conduzione della comunità è quella di tenere presente la gradualità del procedere. Ognuno deve lasciarsi guidare dalla preoccupazione di salvaguardare, con ogni cura, la dignità della persona del fratello. Il primato è dato, perciò, alla comunione. Deve essere salvata ad ogni costo, perché la comunione è tale solo se mette in opera ogni tentativo atto a convertire il peccatore. Se il fratello persiste nell’errore, non sarà il giudizio della comunità in quanto tale a condannarlo, bensì il fatto che lui stesso si autoesclude dall’assemblea dei credenti. Così avviene nella scomunica pronunciata dalla Chiesa; essa non fa altro che constatare una separazione già avvenuta nel cuore e nel comportamento di un cristiano.

Approfondimento del Vangelo (La correzione fraterna in comunità)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 18,15-16: Correggere il fratello e ristabilire l’unità;
- Matteo 18,17: Chi non ascolta la comunità, si auto esclude;
- Matteo 18,18: La decisione presa sulla terra è accettata nel cielo;
- Matteo 18,19: La preghiera in comune per il fratello che esce dalla comunità;
- Matteo 18,20: La presenza di Gesù nella comunità.

Chiave di lettura: Il Vangelo di Matteo organizza le parole di Gesù in cinque grandi Sermoni o Discorsi. Ciò indica che verso la fine del primo secolo, epoca in cui si procedette alla redazione finale del Vangelo di Matteo, le comunità cristiane avevano già forme ben concrete di catechesi. I cinque Discorsi erano come cinque grandi saette che indicavano la rotta del cammino. Offrivano criteri concreti per istruire le persone ed aiutarle a risolvere i problemi. Il Sermone della Comunità (Mt 18,1-35), per esempio, presenta istruzioni su come deve essere la convivenza tra i membri della comunità, in modo che questa possa essere una rivelazione del Regno di Dio. In questa 23ª Domenica del Tempo Ordinario leggeremo e mediteremo la seconda parte del Sermone della Comunità e vedremo da vicino due aspetti: la correzione fraterna, come procedere in caso di conflitto tra i membri della comunità (18,15-18) e la preghiera in comune: come preoccuparsi di coloro che sono usciti dalla comunità (18,19-20).

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale parte del testo ti ha colpito maggiormente? Perché?
b) Quali sono i consigli che Gesù ci dà per aiutare le persone a risolvere i problemi della comunità e riconciliarsi tra di loro?
c) Quale è la esigenza fondamentale che emerge da questi consigli di Gesù?
d) In Mt 16,19, il potere di perdonare viene dato a Pietro; in Gv 20,23, questo stesso potere viene dato agli apostoli. Qui, il potere di perdonare viene dato alla comunità. La nostra comunità, come usa questo potere di perdonare che Gesù le conferisce?
e) Gesù ha detto: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Cosa significa questo per noi oggi?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto in cui il nostro testo appare nel Vangelo di Matteo: Organizzando le parole di Gesù in cinque grandi sermoni o discorsi, il Vangelo di Matteo imita i cinque libri del Pentateuco e presenta la Buona Novella del Regno come una Nuova Legge. La liturgia di questa domenica ci confronta con la Nuova Legge che insegna sulla correzione fraterna all’interno della comunità e sul trattamento da dare a coloro che si escludono dalla vita comunitaria.
b) Commento del testo:
- Matteo 18,15-16: Correggere il fratello e ricostruire l’unità. Gesù traccia norme semplici e concrete per indicare come procedere in caso di conflitto in comunità. Se un fratello o una sorella peccano, cioè se hanno un comportamento in disaccordo con la vita della comunità, tu non devi denunciarli pubblicamente dinanzi alla comunità. Prima devi parlare da solo con loro. Cerca di sapere i motivi dell’agire dell’altro. Se non ottieni nessun risultato, convoca a due o tre persone della comunità per vedere se ottieni qualche risultato. Matteo scrive il suo vangelo attorno agli anni 80 o 90, quasi alla fine del primo secolo, per le comunità dei giudei convertiti, provenienti dalla Galilea e dalla Siria. Se ricorda con tanta insistenza queste frasi di Gesù, è perché, di fatto, in quelle comunità c’era una grande divisione attorno all’accettazione di Gesù Messia. Molte famiglie erano divise e perseguitate dai loro stessi parenti che non accettavano Gesù, in veste di Messia (Mt 10,21.35-36).
- Matteo 18,17: Chi non ascolta la comunità, si auto esclude. In caso estremo, esaurite tutte le possibilità, il caso del fratello reticente bisogna esporlo alla comunità. E se la persona non volesse ascoltare il consiglio della comunità, allora che sia da te considerata “come un pubblicano o un pagano”, cioè come una persona che non appartiene alla comunità, e tanto meno che vuole farne parte. Quindi non sei tu che stai escludendo, ma la persona stessa che si esclude dalla convivenza comunitaria.
- Matteo 18,18: La decisione presa sulla terra è accettata nel cielo. In Mt 16,19, il potere di perdonare viene dato a Pietro; in Gv 20,23, questo stesso potere viene dato agli apostoli. Ora, in questo testo, il potere di perdonare viene dato alla comunità: “tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo”. Qui appare l’importanza della riconciliazione e l’enorme responsabilità della comunità nel suo modo di trattare i membri. Non scomunica la persona, ma semplicemente ratifica l’esclusione che la persona già aveva assunto pubblicamente uscendo dalla comunità.
- Matteo 18,19: La preghiera in comune per il fratello che esce dalla comunità. Questa esclusione non significa che la persona sia abbandonata alla sua propria sorte. Anzi! Può stare separata dalla comunità, ma non starà separata da Dio. Per questo, se la conversazione in comunità non ha dato nessun risultato e se la persona non vuole più integrarsi nella vita della comunità, continuiamo ad avere l’obbligo di pregare insieme il Padre per ottenere la riconciliazione. E Gesù garantisce che il Padre ascolterà.
- Matteo 18,20: La presenza di Gesù nella comunità. Il motivo della certezza di essere ascoltati è la promessa di Gesù: “Lì dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!”. Gesù dice che lui è il centro, l’asse della comunità e, come tale, insieme alla comunità prega il Padre, affinché conceda il dono del ritorno del fratello che si è escluso.
c) Approfondimento:
- La comunità come spazio alternativo di solidarietà e di fraternità: Oggi, la società neo-liberale, segnata dal consumismo, è dura e senza cuore. Non è forte in essa l’accoglienza dei poveri, dei piccoli, degli stranieri, degli profughi. Il denaro non concede la misericordia. Anche la società dell’Impero Romano era dura e senza cuore, senza spazio per i piccoli. Loro cercavano un rifugio per il loro cuore, senza trovarlo. Anche le sinagoghe erano esigenti e non offrivano loro un luogo di riposo. Nelle comunità cristiane, c’erano persone che volevano introdurre il rigore dei farisei nell’osservanza della Legge. Portavano all’interno della convivenza fraterna gli stessi criteri ingiusti della società e della sinagoga. E così nelle comunità cominciavano ad emergere le stesse divisioni della società e della sinagoga tra giudei e non giudei, ricchi e poveri, dominati e sottomessi, parola e silenzio, uomo e donna, razza e religione. Ed invece di fare della comunità uno spazio di accoglienza, questa diveniva un luogo di condanna. Ricordando le parole di Gesù nel Discorso della Comunità, Matteo vuole illuminare il cammino dei cristiani, in modo che la comunità sia uno spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. Deve essere una Buona Notizia per i poveri.
- La scomunica e l’esclusione dalla convivenza fraterna: Gesù non vuole aumentare l’esclusione. Anzi, vuole favorire l’inclusione. Ha fatto questo tutta la sua vita: accogliere e reintegrare le persone che, in nome di un falso concetto di Dio, erano escluse dalla comunità. Ma certo lui non può impedire che una persona in disaccordo con la Buona Notizia del Regno, si rifiuti di appartenere alla comunità e si escluda da essa. Ciò che fecero alcuni farisei e dottori della legge. Ma pur così, la comunità deve comportarsi come il Padre della parabola del Figlio Prodigo. Deve mantenere nel cuore il fratello e pregare per lui, in modo che cambi idea e ritorni in comunità.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Is 65,13-19
Sal 32
Ef 5,6-14
Lc 9,7-11

Io creo cieli nuovi e terra nuova
Dalla domenica di Pentecoste a oggi siamo andati meditando gli interventi salvifici di Dio entro la vicenda di Israele, quale preparazione alla novità e pienezza del Messia, che avrebbe iniziato una fase nuova dell’operare divino e una nuova alleanza, incentrata in Cristo. Isaia l’aveva più volte annunciato: “Ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra” (Lett.). Gesù stesso aveva detto: “Tutti i Profeti e la Legge hanno profetato fino a Giovanni” (Mt 11,13). Con Gesù è finalmente (e definitivamente) iniziato il Regno di Dio, con un salto di qualità nella storia della salvezza: “Tra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11,11). Il Battista aveva preparato l’arrivo di Cristo. Ora il Battista è morto, ucciso da Erode, e Gesù riprende dal punto lasciato da Giovanni: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2 e 4,17).
Il regno di Dio: “Le folle lo seguirono; egli le accolse e prese a parlare loro del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. Parola e gesti di guarigione caratterizzano il Regno di Dio iniziato da Gesù. Il Regno messianico era stato largamente preannunciato come una svolta che capovolge la vita: “Saranno dimenticate le tribolazioni antiche, ..non si ricorderà più il passato, poiché si godrà e si gioirà sempre per quello che sto per creare. Non si udranno più in Gerusalemme voci di pianto, grida di angoscia” (Lett.). In affetti Gesù guarisce gli infermi, scaccia i demoni, perdona i peccatori, risuscita i morti. La gente rimaneva meravigliata e diceva: “Non si è mai visto una cosa simile in Israele” (Mt 9,33). Alla fine Gesù concluderà: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). La parola di Gesù rivela alcune caratteristiche del Regno di Dio soprattutto attraverso “le parabole del regno”. Dio è prodigo con tutti nel gettare il seme della salvezza, anche là dove non si prevede risposta (Mt 13,3-9). Il regno deve convivere con la zizzania, e solo alla fine sarà fatto il giudizio (Mt 13,26-30); come capita in una pesca con pesci buoni e cattivi (Mt 13,47-50). È come un seme, discreto ma potente, o un pugno di lievito (Mt 13,31-33). Ad esso siamo chiamati a lavorare a ore diverse, lasciando però a Dio di misurare il merito (Mt 20,1-16). È facile snobbare l’invito al Regno, prendendo scuse e pretesti, o partecipandovi non alle condizioni richieste, “senza abito nuziale” (Mt 22,1-14). Bisogna essere sempre pronti con le lampade accese “a entrare con lui alle nozze” (Mt 15,1-13), se vogliamo “ricevere in eredità il regno promesso per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 15,31-46). Ma la novità più grande del regno portato da Gesù è l’immagine nuova che egli dà del Padre. Scrive san Alfonso Maria de Liguori: “Dio nel creare il mondo rivelò la sua potenza; nel governarlo la sapienza; in Gesù l’amore”. L’amore misericordioso del padre del figlio prodigo (Lc 15,11-32); l’amore longanime di colui “che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45); l’amore premuroso di fronte al quale quello di un papà terreno non è che una pallidissima idea (Mt 7,11). Per questo ci ha insegnato a chiamarlo “Padre nostro”, anzi, come Gesù stesso: “Abbà” (Mc 14,36), papà, come un bimbo chiama il suo babbo! Fino alla fine a farci posto in Casa Trinità come suoi eredi: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21).
Lo seguirono: Naturalmente il Regno di Dio, che in sostanza è la Persona di Gesù, bisogna cercarlo e seguirlo. La folla era rimasta meravigliata dei suoi gesti e delle sue parole, e ovunque lo seguivano: “Le folle vennero a saperlo e lo seguirono”. Per loro, a sera di quella stessa giornata, moltiplicherà i pani. L’entusiasmo fu alle stelle: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo. Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo” (Gv 6,14-15). Non era una ricerca giusta di Gesù, ma una sequela immatura; Gesù non era un taumaturgo a buon prezzo. Anche Erode era rimasto colpito dai gesti pubblici di Gesù, ne era curioso “e non sapeva cosa pensare. Chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose? E cercava di vederlo”. Un giorno Erode cercava di ucciderlo, ma Gesù mandò a dire: “Andate a dire a quella volpe..” che non mi prenderà e continuerò fino al compimento della mia opera (Lc 13,31-32). Quando fu davanti a lui, in catene, mandato da Pilato, Gesù non lo degnò di una parola. Dei primi discepoli si racconta che stavano seguendo Gesù. “Gesù allora si voltò e disse loro: Che cosa cercate? Gli risposero: Rabbì, dove dimori. Disse loro: Venite e vedrete. E quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,37-39). Dopo una sequela lunga e operosa, “al loro ritorno gli apostoli raccontarono tutto quello che avevano fatto. Allora Gesù li prese con sé e si ritirò in disparte”. Probabilmente il modo giusto di cercare e seguire Gesù è quello del “rimanere” con lui e condividere con lui la sua passione missionaria. “Rimanete in me e io in voi. Rimanete nel mio amore. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,4.9.15-16). Questo incontro profondo cambia la vita: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore” (Epist.). Gesù aveva detto: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). Da qui l’invito di Paolo: “Comportatevi come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore” (Idem). La nostra sequela non è mai definitiva; di sua natura tende alla perfezione per divenire “perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La santità deve essere la misura normale della vita cristiana. Anche per noi, e sempre, vale l’esortazione di Paolo: “Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà” (Idem). O il rimprovero dell’Apocalisse: “Ho da rimproverarti di aver abbandonato il tuo primo amore. Convertiti e compi le opere di prima” (2,4-5).
“Chi vorrà essere benedetto nella terra, vorrà esserlo per il Dio fedele” (Lett.). La novità cristiana è promessa di umanità sana, di vita buona non solo nella Terra Promessa domani, ma per una convivenza oggi all’insegna della buona armonia e della pace. Dio è fedele, al suo disegno e alla sua promessa: tocca a noi riconoscerlo come Padre e Signore ed essergli altrettanto fedeli!
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MessaggioTitolo: sabato 10 settembre 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Set 06, 2011 9:05 am

SABATO 10 SETTEMBRE 2011

SABATO DELLA XXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.

Letture:
1Tm 1,15-17 (Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori)
Sal 112 (Sia benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre)
Lc 6,43-49 (Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico?)

L’uomo, l’albero e il frutto
L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore. Il bene del nostro cuore sono i frutti che noi produciamo. L’albero buono, infatti si riconosce dai suoi frutti. Così anche l’uomo si riconosce dalle sue opere. Uno che non fa ciò che il Signore ha detto di fare si può chiamare Cristiano? Sul marciapiede giaceva un giovane, è passato uno che chiamavano medico, era medico? Nella stanza a fianco da un’ora sta piangendo un bimbo, quella che sta guardando la telenovèla è forse sua madre? In un convento ogni frate va per conto suo, colui che dice di essere guardiano lo è davvero? Le parole valgono poco. Non contano nemmeno le invocazioni al Signore, se non sono accompagnate dal compimento della sua volontà. Occorre l’ascolto e la pratica. Diversamente la vita diventa precaria, senza fondamenti. A parole o con le intenzioni siamo tutti cristiani perfetti. Proviamo ad esserlo anche con i fatti.
Sembra quasi che ci sia un certo contrasto tra la lettera di san Paolo a Timoteo e il brano evangelico che la liturgia ci presenta oggi. Paolo si dichiara peccatore e afferma che Gesù è venuto a salvare i peccatori: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io”. Nel Vangelo il Signore esige che siamo buoni, che siamo alberi buoni che facciano buoni frutti, che mettiamo in pratica le sue parole compiendo azioni buone. Però, riflettendo, ci rendiamo conto che non esiste alcuna opposizione. In verità il Signore ci salva, salva noi peccatori, al punto che ci rende capaci di compiere il bene. il segreto non è la nostra forza, la nostra bontà, ma la fede. E san Paolo lo dice: “Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui”. La condizione imprescindibile è credere in lui. Le nostre opere buone non hanno altro fondamento; noi possiamo essere buoni soltanto appoggiandoci 5ul Signore con una fede sempre più profonda. Ascoltiamo le sue parole! E così che la nostra vita sarà buona: “Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica... e simile a un uomo che ha posto le fondamenta sopra la roccia”. La nostra forza, la nostra luce si trovano nelle parole del Signore. Noi siamo peccatori e il Signore ci rinnova interiormente con la sua parola: ci attira al bene, all’amore vero continuamente, continuamente. Tutta la nostra vita deve essere un grido di fede verso il Signore: “Signore, tu sai che io non sono buono. Ma tu sei buono e le mie azioni non sarebbero buone senza di te. Le mie opere buone vengono da te, sono tue, i miei sentimenti buoni sono tuoi. Per questo ti rendo grazie, Signore, perché tutto quello che in me c’è di buono lo ricevo da te”. Vivere così è la vera felicità; così le nostre opere buone non diventano motivo di orgoglio, non alimentano il nostro amor proprio, ma approfondiscono la nostra riconoscenza e il nostro amore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci riporta la parte finale del Discorso della Pianura che è la versione che Luca presenta del Sermone della Montagna del vangelo di Matteo. E Luca riunisce quanto segue:
- Luca 6,43-45: La parabola dell’albero che da buoni frutti. Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. La lettera dell’apostolo Giacomo serve da commento a questa parola di Gesù: Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce (Gc 3,11-12). Una persona ben formata nella tradizione della convivenza comunitaria fa crescere dentro di sé una buona indole che la porta a praticare il bene. Trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore, ma la persona che non fa attenzione alla sua formazione avrà difficoltà a produrre cose buone. Anzi, dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. Riguardo il buon tesoro del cuore vale la pena ricordare ciò che dice il libro dell’Ecclesiastico sul cuore, fonte del buon consiglio: Segui il consiglio del tuo cuore, perché nessuno ti sarà più fedele di lui. La coscienza di un uomo talvolta vuole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare. Al di sopra di tutto questo prega l’Altissimo perché guidi la tua condotta secondo verità (Eccl 37,13-15).
- Luca 6,46: Non basta dire, Signore, Signore. L’importante non è dire cose belle su Dio, ma fare la volontà del Padre ed essere così una rivelazione del suo volto e della sua presenza nel mondo.
- Luca 6,47-49: Costruire la casa sulla roccia. Ascoltare e mettere in pratica, ecco la conclusione finale del Discorso della Montagna. Molta gente cercava sicurezza e potere religioso in doni straordinari o nelle osservanze. Ma la sicurezza vera non viene dal potere, non viene da nulla di ciò. Viene da Dio. E Dio diventa fonte di sicurezza, quando cerchiamo di fare la sua volontà. E così lui sarà la roccia che ci sostiene, nell’ora delle difficoltà e delle tormente.
- Dio roccia della nostra vita. Nel libro dei Salmi, frequentemente troviamo l’espressione: Dio è la mia roccia, la mia fortezza. Mio Dio, roccia mia, mio rifugio, mio scudo, la forza che mi salva (Sal 18,3). Lui è la difesa e la forza di coloro che credono in lui e che cercano la giustizia (Sal 18,21.24). Le persone che hanno fiducia in questo Dio, diventano a loro volta, una roccia per gli altri. Cosi il profeta Isaia invita la gente che stava nell’esilio: Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito (Is 51,1-2). Il profeta chiede alla gente di non dimenticare il passato e di ricordare Abramo e Sara che per la loro fede in Dio diventano roccia, inizio del popolo di Dio. Guardando verso questa roccia, la gente doveva trarre coraggio per lottare ed uscire dall’esilio. E cosi Matteo esorta le comunità ad avere come fonte di sicurezza questa stessa roccia (Mt 7,24-25) e cosi essere loro stesse rocce per rafforzare i loro fratelli nella fede. Questo è anche il significato che Gesù da a Pietro: Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa (Mt 16,18). Questa è la vocazione delle prime comunità chiamate ad unirsi a Gesù, la pietra viva, per diventare anche loro pietre vive ascoltando e mettendo in pratica la Parola (Pd 2,4-10; 2,5; Ef 2,19-22).

Per un confronto personale
- Qual è la qualità del mio cuore?
- La mia casa è costruita sulla roccia?

Preghiera finale: Sei tu Signore che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere (Sal 138).
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MessaggioTitolo: domenica 11 settembre 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Set 06, 2011 9:10 am

DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Sir 27,30 - 28,7 (Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati)
Sal 102 (Il Signore è buono e grande nell’amore)
Rm 14,7-9 (Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore)
Mt 18,21-35 (Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette)

Il perdono senza limiti
«Il rancore e l’ira sono un abominio, il peccatore li possiede». «Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora, per la tua preghiera ti saranno rimessi i tuoi peccati». Così leggiamo oggi nel libro del Siracide, che già segna un passo avanti rispetto alla legge antica che proclamava: «Occhio per occhio, dente per dente». San Pietro sulla scia delle sue conoscenze bibliche, lui, tanto facile all’ira, cerca di mostrarsi molto generoso dicendo a Gesù di voler perdonare fino a sette volte. La risposta di Gesù, pur nel linguaggio tipico orientaleggiante, e ben chiara: «Non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Il che vuol dire «sempre», senza eccezione alcuna. Per noi cristiani ciò è un atto dovuto perché noi, per primi, siamo stati soggetti di perdono e di infinita misericordia. Siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato a prezzo del sangue di Cristo. Quello stesso perdono ci è stato donato ogni volta che, dopo il nostro peccato, pentiti, lo abbiamo invocato con fede. Siamo ormai certi che la dote più bella che ci è dato di conoscere in Dio onnipotente e Signore, è proprio la sua misericordia. «Tu sei la mia misericordia», dice il salmista. Davide dopo il suo orrendo peccato, umile e pentito, chiede a Dio di essere lavato dalla sua macchia, di essere mondato dal suo peccato. Lo stesso Pietro dopo la triplice negazione, dopo il suo pianto di pentimento, sperimenterà la gioia del perdono e la rinnovata investitura a guida della Chiesa. In Cristo abbiamo ormai l’evidenza che la misericordia e il perdono in Dio, non hanno limiti. L’unico ostacolo rimane l’ostinazione al male e la mancanza di sincero pentimento. Saremmo davvero di una inimmaginabile malvagità se dopo aver goduto tante e tante volte di un condono completo e gratuito dei nostri innumerevoli debiti, negassimo al nostro prossimo lo stesso dono, con la stessa gratuità e generosità. Dovremmo perciò prima di andare a chiedere al Signore il perdono dei nostri peccati, offrirlo incondizionatamente al nostro prossimo. Significa che vogliamo recuperare non solo la grazie e le benevolenza divina, ma anche l’armonia e la pace piena con il nostro prossimo.
Quante volte devo perdonare? Buon senso, opportunità, giustizia umana sono termini insufficienti per comprendere adeguatamente la morale cristiana; e non solo perché Cristo è venuto a perfezionare la legge. “Occhio per occhio e dente per dente”, come fu detto agli antichi è una norma che Cristo, nella sua autorità di legislatore supremo, dichiara superata. Ma c’è qualche cosa di più. Dopo la morte redentiva di Cristo l’uomo si trova in una situazione nuova: l’uomo è un perdonato. Il debito gli è stato rimesso, la sua condanna cancellata. “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Il Padre ormai ci vede in Cristo: figli giustificati. Il mio peccato può ancora indebolire il mio rapporto filiale con il Padre, ma non può eliminarlo. Più che dal suo peccato l’uomo è determinato dal perdono infinitamente misericordioso di Dio: “Il peccato dell’uomo è un pugno di sabbia - così san Serafino di Sarov - la misericordia divina un mare sconfinato”. La miseria umana s’immerge nell’accoglienza purificatrice di Dio. Se questa è la novità portata da Cristo, anche il perdono umano deve adeguarsi ai parametri divini: “Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6,36). Se il Padre guarda l’uomo come perdonato in Cristo, io non lo posso guardare come un condannato. Se il Padre ci accoglie in Cristo così come siamo per trasfigurarci in lui, l’accoglienza benevola diventa un bisogno della vita, una beatitudine. La comunità cristiana non pretende di essere una società di perfetti, ma vuole essere un luogo di perdono, una società di perdonati che ogni giorno gusta la gioia della benevolenza paterna e desidera renderla manifesta nel perdono reciproco.

Approfondimento del Vangelo (Riconciliazione: la grazia di poter perdonare il fratello e la sorella)
Il testo: In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: Restituisci quello che devi!. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: Abbi pazienza con me e ti restituirò. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 18,21: La domanda di Pietro
- Matteo 18,22: La risposta di Gesù
- Matteo 18,23-26: 1ª Parte della parabola
- Matteo 18,27-30: 2ª Parte della parabola
- Matteo 18,31-35: 3ª Parte della parabola

Chiave di lettura: Nel Vangelo di questa 24° Domenica del Tempo Ordinario Gesù ci parla della necessità di perdonare i nostri fratelli. Non è facile perdonare. Ci sono offese ed insulti che continuano a colpire il cuore. Alcune persone dicono: “Perdono, ma non dimentico”. Non riesco a dimenticare! Risentimento, tensioni, opinioni diverse, provocazioni, rendono difficile il perdono e la riconciliazione. Perché perdonare è così difficile? Nella mia famiglia e nella mia comunità, nel mio lavoro e nelle mie relazioni, creo o no uno spazio per la riconciliazione e per il perdono? Come? Meditiamo la terza parte del “Sermone della Comunità” (Mt 18,21-35), in cui Matteo riunisce le parole e le parabole di Gesù sul perdono senza limiti. Durante la lettura, pensi a te stesso e cerca di rivedere la tua vita.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale è la parte della parabola che ti ha colpito maggiormente? Perché?
b) Quali sono i diversi consigli che Gesù ci da per aiutarci a riconciliarci ed a perdonare?
c) Guardando nello specchio della parabola, con quale personaggio mi identifico di più: con il re che vuole fare i conti con i suoi servi, o con il servo perdonato che non vuole perdonare il suo compagno?
d) Guardando la realtà della nostra famiglia, della nostra comunità, della nostra chiesa, della nostra società e del nostro mondo, c’è tra di noi uno spazio per il perdono e per la riconciliazione? Dove e come possiamo cominciare, in modo che la riconciliazione si irradi tra di noi?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto in cui il nostro testo appare nel Vangelo di Matteo:
- Il paragone di cui si serve Gesù per illustrare l’obbligo di perdonare e riconciliare unisce parabola ed allegoria. Quando Gesù parla del Re che vuole fare i conti con i suoi servi, pensa già a Dio che perdona tutto. Quando parla del debito del servo perdonato dal re, pensa al debito immenso che abbiamo dinanzi a Dio che ci perdona sempre. Quando parla dell’atteggiamento del servo perdonato che non vuole perdonare, pensa a noi, perdonati da Dio, che non vogliamo perdonare i nostri fratelli.
- Alla fine del primo secolo, i giudei-cristiani delle comunità di Siria e Palestina avevano problemi seri e gravi di riconciliazione con i fratelli e le sorelle della stessa razza. Nel periodo del grande disastro della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, negli anni ‘70, tanto la Sinagoga come la Ecclesia, si trovavano in una fase di riorganizzazione nella regione di Siria e Palestina. Per questo c’era tra di loro una forte tensione, crescente, che era fonte di molta sofferenza nelle famiglie. Questa tensione costituisce lo sfondo al Vangelo di Matteo.
b) Commento del testo:
- Matteo 18,21: La domanda di Pietro: quante volte perdonare? Dinanzi alle parole di Gesù sulla riconciliazione, Pietro chiede: “Quante volte devo perdonare? Sette volte?”. Sette è un numero che indica perfezione e, nel caso della proposta di Pietro, sette è sinonimo a sempre.
- Matteo 18,22: La risposta di Gesù: settanta volte sette! Gesù vede più lontano. Elimina qualsiasi possibile limite al perdono: “Non fino a sette, ma settanta volte sette!”. Settanta volte sempre! Perché non c’è proporzione tra il perdono che riceviamo da Dio ed il nostro perdono verso il fratello e la sorella. Per chiarire la sua risposta a Pietro, Gesù racconta una parabola. È la parabola del perdono senza limiti!
- Matteo 18,23-26: Prima parte della parabola: la situazione del debitore. Quando parla del Re, Gesù pensa a Dio. Un servo ha un debito di diecimila talenti con il re. Cioè, 164 tonnellate d’oro. Lui dice che pagherà. Ma anche se lavorasse tutta la vita lui, sua moglie, i suoi figli e tutta la famiglia, non sarebbe mai in grado di riunire 164 tonnellate di oro per restituirle al re. Detto con altre parole, non saremo mai in grado di toglierci il debito che abbiamo con Dio. Impossibile! (cfr. Salmo 49,8-9)
- Matteo 18,27-30: Seconda parte della parabola: il grande contrasto. Dinanzi alla richiesta insistente del servo, il re gli perdona un debito di 164 tonnellata d’oro. Un compagno ha con lui un debito di cento denari, cioè di 30 grammi d’oro. Non esiste paragone tra i due debiti! Un granello di sabbia ed una montagna! Davanti all’amore di Dio che perdona gratuitamente il nostro debito di 164 tonnellata d’oro, non è altro che giusto perdonare il debito di 30 grammi d’oro. Ma il servo perdonato non volle perdonare, neanche davanti all’insistenza del debitore. Agisce con il compagno come il re avrebbe dovuto agire con lui e non lo fece: ordinò che fosse messo in carcere fino a pagare i 30 grammi d’oro! Il contrasto parla da solo, non ha bisogno di commenti!
- Matteo 18,23-35: Terza parte della parabola: morale della storia. L’atteggiamento vergognoso del servo perdonato che non vuole perdonare colpisce i suoi stessi compagni. Lo riferiscono al re e costui agisce di conseguenza: mette in moto il procedimento della giustizia ed il servo perdonato che non volle a sua volta perdonare, viene messo in prigione, dove rimarrà fino a pagare il suo debito! Deve stare lì fino ad oggi! Poiché non riuscirà mai a poter pagare 164 tonnellate d’oro! Morale della parabola: “Così anche il mio padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello!”. L’unico limite alla gratuità della misericordia di Dio che ci perdona sempre è il nostro rifiuto di perdonare il fratello! (Mt 18,34; 6,12.15; Lc 23,34).
c) Approfondimento: Perdonare dopo l’11 settembre 2001! L’11 settembre 2001, un gruppo di terroristi lanciò due aerei contro le due torri di New York, ed uccise più di tremila persone al grido di “Guerra Santa!”. La risposta immediata fu un altro grido: “Crociata”. Le due parti usarono il nome di Dio per legittimare la violenza. Nessuna ricordò la parola: “Settanta volte sette!”. Ed uno di loro si dice cristiano! In occasione della guerra in Iraq, il Papa Giovanni Paolo II ha gridato in una pubblica udienza: “La guerra è Satana!”, ed ha invitato tutti di lottare per la pace. Nell’incontro ecumenico con rappresentanti di giudei e mussulmani a Gerusalemme, nell’anno 2000, il Papa aveva detto: “Non possiamo mai invocare il nome di Dio per legittimare la violenza!”. L’ultima frase dell’Antico Testamento, con cui il popolo di Dio entrò nel Nuovo Testamento e che esprime il nucleo della sua speranza messianica di riconciliazione, è l’oracolo finale del profeta Malachia: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio” (Mal 3,23). Ricondurre il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i padri significa ricostruire il rapporto tra le persone. Non ci sarà un futuro di pace se non si compie un grande sforzo per ricostruire i rapporti umani nel nucleo minore di convivenza, cioè nella famiglia e nella comunità. La comunità è lo spazio dove le famiglie si riuniscono per poter conservare e trasmettere meglio i valori a cui credono. Il disinteresse entrò nel mondo con il primo figlio nato dalla prima unione: Caino che uccide Abele (Gn 4,8). Questo disinteresse è cresciuto con la vendetta raddoppiata. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette (Gn 4,24). Pietro vuole rifare l’errore e propone una riconciliazione di sette volte (Mt 18,21). Ma la sua proposta è timida. Non va alla radice della violenza. Gesù va molto più lontano ed esige settanta volte sette (Mt 18,22). Fino ad oggi, e soprattutto oggi, la riconciliazione è il compito più urgente che deve essere svolto da noi, seguaci di Gesù. Vale la pena ricordare sempre l’avvertenza di Gesù: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello!”. Settanta volte sette!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Is 60,16b-22
Sal 88
1Cor 15,17-28
Gv 5,19-24

Come il padre risuscita i morti così anche il figlio dà la vita
Proviamo a riscoprire ciò che è essenziale e specifico della nostra fede. Anzi ciò che più esistenzialmente ci viene offerto per dilatare alla speranza la nostra vita grama di sempre. Grama per la prospettiva della morte; grama per l’assurdo che l’accompagna, quasi un’esistenza abbandonata a se stessa entro il caos della vita. Due le certezze, anzi i fatti, che la fede cristiana proclama: un Dio che s’è fatto vicino nel Figlio incarnato; e la risurrezione di un uomo, il Cristo, primizia e promessa di vita eterna per gli uomini che si legano a lui. Dio si rivela e opera attraverso il Figlio. Dal Figlio viene la risurrezione.
Gesù e il Padre: “Quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa allo stesso modo”. Gesù si è presentato come il prolungamento visibile e operativo di quel disegno del Padre che mira alla salvezza dell’uomo. “Il Figlio da se stesso non può far nulla, se non ciò che vede fare il Padre”: è trasparenza del Padre, appunto l’incarnazione in mezzo a noi del Dio invisibile. Un Dio vicino, accessibile, toccabile (cfr. 1Gv 1,1) è quello che Gesù è venuto a rivelare, sia perché è in piena sintonia nel fare, sia, più profondamente, per la medesima identità divina: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30); “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Non c’è più da cercare Dio dacché si è fatto vivo pienamente in quell’uomo Gesù di Nazaret, “nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). Gesù agisce per conto del Padre; per questo è capace di cose grandi: “Il Padre ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste”. Il Padre non ha altra mira che il bene dell’uomo, la sua pienezza di vita, fino alla risurrezione; e Gesù ne prosegue l’opera: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole”. Opera che Gesù tradurrà nei segni di guarigione, di perdono e di resurrezione. Si dirà di lui: “Egli passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38). E alla fine Gesù stesso riassumerà la sua opera col dire: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Accogliere allora Gesù è decisivo per la vicenda di ogni uomo, perché ormai tutto è affidato a lui, anche il giudizio: “Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre”. La salvezza che ci aspettiamo da Dio ora passa tutta da Gesù: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12). Allora accettare Gesù è accogliere la vita che il Padre vuol dare a tutti: “Chi ascolta la mia parola crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”. Non c’è altro accesso al Padre se non tramite la fede in Gesù: “Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato”. Una fede, anche “biblica”, senza Cristo, non è salvezza vera! Dirà san Paolo: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5).
Gesù e la risurrezione: Salvezza, vita, vita eterna è ciò che ci offre il Padre tramite Cristo. Una vita eterna che è di tutto l’uomo, con la risurrezione della carne. Questa è un’altra novità della fede cristiana, specifica. Si è sempre pensato ad una sopravvivenza generica nell’aldilà. Anche tra i cristiani non sono molti che sanno e credono che non solo l’anima, ma anche il nostro corpo sarà glorificato per vivere nella pienezza della vita divina, glorificato e trasfigurato come quello di Gesù risorto. “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (Epist.). Questa speranza è il cuore stesso della nostra fede: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (Idem). È il fatto, accertato, della risurrezione di Cristo che garantisce un nostro medesimo destino: uno è venuto davvero dall’aldilà dopo essere stato messo al cimitero. “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede”. Tutto cade! Cristo è il secondo Adamo che apre una nuova dimensione della nostra umanità: “Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo riceveranno la vita”. Un grande disegno ha Dio nell’inviare il suo Figlio tra di noi: una graduale riconquista di tutti gli uomini, ingaggiando una battaglia contro tutti i nostri nemici per liberarci e portarci alla fine a divenire parte di Casa Trinità: “Prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre”. Ora l’opera di Cristo si distende nel tempo per raccogliere l’adesione di ogni uomo, liberato da tante schiavitù: “È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”, compresa la morte! È il disegno “di ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose” (Ef 1,10). Così che, tramite lui, “Dio sia tutto in tutti” (Epist.). Lo sguardo è corso fino al “cielo nuovo e una terra nuova” (Ap 21,1) cui è incamminato (o trascinato) il nostro mondo. Qui “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4). Sarà la nuova Gerusalemme, tutta pervasa dallo splendore divino: “La città non ha bisogno della luce del sole né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,23). Sarà la piena realizzazione di ciò che Isaia aveva preannunciato: “Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore dalla luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. Saranno finiti i giorni del tuo lutto” (Lett.). Sogno di Isaia, garantito dal giuramento del Dio fedele: “Io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente” (idem).
Impresa grande è quella intrapresa da Dio attraverso Cristo, impresa di restaurazione dell’uomo e della sua vicenda, dilatandola in qualità (“il tuo popolo sarà tutto di giusti”) e lunghezza (“per sempre avranno in eredità la terra”, Lett.); impresa cui siamo chiamati a collaborare. È la missione della Chiesa nella storia, segno e strumento di quel Regno di Dio che, iniziato qui con fatica, avrà il suo sbocco nell’eternità dove “saremo simili a Dio perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).
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MessaggioTitolo: sabato 17 settembre 2011   LECTIO - Pagina 8 EmptyMar Set 13, 2011 11:15 am

SABATO 17 SETTEMBRE 2011

SABATO DELLA XXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, che hai creato e governi l’universo fa che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio.

Letture:
1Tm 6,13-16 (Conserva senza macchia il comandamento, fino alla manifestazione del Signore)
Sal 99 (Presentatevi al Signore con esultanza)
Lc 8,4-15 (Il seme caduto sul terreno buono sono coloro che custodiscono la Parola e producono frutto con perseveranza)

Il buon seme del seminatore
Chi ha visto almeno una volta il bel gesto misurato e solenne del seminatore, il suo incedere tra i solchi con passo cadenzato, l’affondare la mano nel sacco per riempirla di seme e poi cospargerlo a pioggia nel campo, può ben comprendere quanto si addìca al buon Dio quell’immagine. Egli è il seminatore della vita, il fecondatore del seme, la fonte di ogni energia… Il seme di Dio si cala nel campo dell’animo umano dove lo stesso Signore ha posto il terreno migliore e più fecondo. È da lì che poi Egli attende con paterna pazienza il germogliare del seme e poi i frutti da raccogliere. Il grande problema sta nella condizione del terreno su cui cade quel buon seme, sta nella situazione in cui si trova il nostro spirito, nella nostra capacità di accoglienza, o, ahimè, nel nostro rifiuto. Sassi, spine, strada, sono immagini eloquenti delle nostre umane situazioni, sono la misura della nostra religiosità, della nostra capacita di fare comunione con Dio mediante la Parola. Ci ricordano anche i tranelli della vita e le false valutazioni che ne facciamo dei valori. Purtroppo occorre attendere il momento del raccolto per poter valutare veramente gli effetti della cattiva preparazione del terreno; solo allora si valuta la perdita o si gode del frutto abbondante. Quanti rimpianti per le occasioni perdute! Quante amarezze per rifiuti inconsulti e stolti. Il terreno buono dove il seme feconda abbondantemente è quello spirito umile e docile che accoglie con amore la parola e la trasforma in azioni di grazie e di bontà.
L’abuso che oggi si fa della parola umana ci rende molto dubbiosi della sua efficacia. Pubblicità, propaganda... le nostre menti sono come pietre levigate, che non lasciano più penetrare nulla. E tuttavia la parola umana è una cosa meravigliosa, che porta la vita. Una mamma dà la vita fisica al figlio e in seguito si può dire che gli dà un’altra vita con la parola. Se il bambino non ricevesse mai una parola dalla sua mamma, non potrebbe ricevere una vita veramente umana, sarebbe come un animale. E la mamma che desta l’intelligenza del bambino, che fa nascere a poco a poco i suoi pensieri, i suoi affetti. É davvero meraviglioso e raramente ci pensiamo, abituati come siamo ad ascoltare parole che non significano niente, che non donano niente. Questo a proposito della parola umana. Ora la parola di Dio è incommensurabilmente più ricca, perché porta in noi la vita divina. Dobbiamo averne grande stima, dobbiamo avere fame della parola di Dio, che è fonte non solo di luce, ma fonte di vita, come san Giacomo dice nella sua lettera: “Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime”, vale a dire la vostra vita. Gesù dice la stessa cosa. La sua parola ha purificato gli apostoli, li ha fatti diventare suoi amici: “Non vi chiamo più servi, ma amici, perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre mio”. Gesù ha udito la parola del Padre, l’ha trasmessa, e questa parola ha dato una vita nuova, una vita nell’amicizia di Dio, nel suo amore. Ma, come scrive san Luca, non basta accoglierla con gioia; è necessario permetterle di portar frutto con la pazienza, con la perseveranza. Non soltanto ascoltarla, ma custodirla, anche se ci sono degli ostacoli, anche se il nemico vuol soffocarla in noi, allontanarla dalla nostra intelligenza perché essa non possa trasformare la nostra vita. Non c’è esempio migliore di quello della Madonna sul modo di accogliere e di conservare la parola di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. “E il Verbo (la parola) si fece carne”. L’accoglienza perfetta di Maria ha, in un certo senso, permesso che la parola si incarnasse per la salvezza del mondo.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

Riflessione:
- Nel vangelo di oggi, meditiamo sulla parabola del seme. Gesù aveva uno stile assai popolare di insegnare per mezzo di parabole. Una parabola è un paragone che usa le cose conosciute e visibili della vita per spiegare le cose invisibili e sconosciute del Regno di Dio. Gesù aveva una capacità enorme di trovare immagini ben semplici per paragonare le cose di Dio con le cose della vita che la gente conosceva e sperimentava nella sua lotta quotidiana per sopravvivere. Ciò suppone due cose: stare dentro le cose della vita, e stare dentro le cose di Dio, del Regno di Dio. Per esempio, la gente della Galilea se ne intendeva di semi, di terreno, di pioggia, di sole, di sale, di fiori, di raccolto, di pesca, etc. Ora, sono esattamente queste cose conosciute che Gesù usa nelle parabole per spiegare il mistero del Regno. L’agricoltore che ascolta dice: “Semente in terra, so cosa vuol dire. Gesù dice che ciò ha a che vedere con il Regno di Dio. Cosa sarà mai?”. Ed è possibile immaginare le lunghe conversazioni con la gente! La parabola entra nel cuore della gente e la spinge ad ascoltare la natura ed a pensare alla vita.
- Quando termina di raccontare la parabola, Gesù non la spiega, ma è solito dire: “Chi ha orecchi per intendere, intenda!”. Che significa: “Avete sentito questa parabola. Ora cercate di capirla!”. Ogni tanto lui spiegava ai discepoli. Alla gente piaceva questo modo di insegnare, perché Gesù credeva nella capacità personale di scoprire il senso delle parabole. L’esperienza che la gente aveva della vita era per lui un mezzo per scoprire la presenza del mistero di Dio nella loro vita e di prendere forza per non scoraggiarsi lungo il cammino.
- Luca 8,4: La moltitudine dietro Gesù. Luca dice: una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città. Allora disse questa parabola. Marco descrive come Gesù racconta la parabola. C’era tanta gente intorno a lui. Per non cadere, sale su una barca e sedutosi insegna alla gente che si trova sulla spiaggia (Mc 4,1).
- Luca 8,5-8a: La parabola del seme rispecchia la vita degli agricoltori. In quel tempo, non era facile vivere dell’agricoltura. Il terreno era pieno di pietre. Poca pioggia, molto sole. Inoltre, molte volte, la gente accorciava il cammino e passando in mezzo ai campi calpestava le piante (Mc 2,23). Ma malgrado ciò, ogni anno l’agricoltore seminava e piantava, con fiducia nella forza del seme, nella generosità della natura.
- Luca 8,8b: Chi ha orecchi per intendere, intenda! Alla fine, Gesù termina dicendo: “Chi ha orecchi per intendere, intenda!”. Il cammino per giungere a capire la parabola è la ricerca: “Cercate di capire!”. La parabola non dice tutto immediatamente, ma spinge la persona a pensare. Fa in modo che scopra il messaggio partendo dall’esperienza che la persona stessa ha del seme. Spinge ad essere creativi e partecipativi. Non è una dottrina che si presenta pronta per essere insegnata e decorata. La parabola non è acqua in bottiglia, è la fontana.
- Luca 8,9-10: Gesù spiega la parabola ai discepoli. In casa, soli con Gesù, i discepoli vogliono sapere il significato della parabola. Gesù risponde per mezzo di una frase difficile e misteriosa. Dice ai discepoli: “A voi fu dato di conoscere i misteri del Regno. Ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano”. Questa frase fa sorgere una domanda nel cuore della gente: A cosa serve la parabola? Per chiarire o per nascondere? Gesù usava le parabole affinché la gente continuasse nella sua ignoranza e non giungesse a convertirsi? Certamente no! In un altro punto si dice che Gesù usava le parabole “secondo quello che potevano intendere” (Mc 4,33). La parabola rivela e nasconde allo stesso tempo! Rivela per coloro che “sono dentro”, che accettano Gesù Messia Servo. Nasconde per coloro che insistono nel vedere in lui il Messia Re grandioso. Costoro intendono le immagini della parabola, ma non capiscono il suo significato.
- Luca 8,11-15: La spiegazione della parabola, nelle sue diverse parti. Una ad una, Gesù spiega le parti della parabola, la semina, il terreno fino al raccolto. Alcuni studiosi pensano che questa spiegazione fu aggiunta dopo. Non sarebbe di Gesù, ma di qualche comunità. È possibile! Non importa! Perché nel bocciolo della parabola c’è il fiore della spiegazione. Bocciolo e fiore, ambedue hanno la stessa origine che è Gesù. Per questo, anche noi possiamo continuare a riflettere e scoprire altre cose belle nella parabola. Una volta, una persona in una comunità chiese: “Gesù disse che dobbiamo essere sale. A cosa serve il sale”. Le persone dettero la loro opinione partendo dall’esperienza che ognuna di loro aveva del sale! Ed applicarono tutto questo alla vita della comunità e scoprirono che essere sale è difficile ed esigente. La parabola funzionò! Lo stesso vale per la semente. Tutti ne hanno una certa esperienza.

Per un confronto personale:
- La semente cade in quattro luoghi diversi: per la strada, tra le pietre, tra gli spini e in un buon terreno. Cosa significa ognuno di questi quattro terreni? Che tipo di terreno sono io? A volte la gente è pietra. Altre volte spini. Altre volte cammino. Altre volte terreno buono. Nella nostra comunità, cosa siamo normalmente?
- Quali sono i frutti che la Parola di Dio sta producendo nella nostra vita e nella nostra comunità?

Preghiera finale: Manifestino agli uomini i tuoi prodigi e la splendida gloria del tuo regno. Il tuo regno Signore è regno di tutti i secoli, il tuo dominio si estende ad ogni generazione (Sal 114).
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