Preghiera Insieme
Vuoi reagire a questo messaggio? Crea un account in pochi click o accedi per continuare.

Preghiera Insieme

Il posto dove la terra è più vicina al cielo....
 
IndiceUltime immaginiCercaRegistratiAccedi

 

 LECTIO

Andare in basso 
2 partecipanti
Vai alla pagina : Precedente  1 ... 6 ... 8, 9, 10 ... 12 ... 16  Successivo
AutoreMessaggio
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 18 settembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Set 13, 2011 11:20 am

DOMENICA 18 SETTEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: O Padre, il tuo Figlio Gesù, che tu hai donato a noi, è il nostro regno, la nostra ricchezza, il nostro cielo; Lui è il padrone della casa e della terra in cui noi viviamo ed esce continuamente a cercarci, perché desidera chiamarci, pronunciare il nostro nome, offrirci il suo amore infinito. Non potremo mai ripagarlo, mai ricambiare la sovrabbondanza della sua compassione e misericordia per noi; possiamo solo dirgli il nostro sì, il nostro: “Eccomi, io vengo”, o ripetergli con Isaia: “Signore, eccomi, manda me!”. Fa’, ti prego che questa parola entri nel mio cuore, nei miei occhi, nelle mie orecchie e mi cambi, mi trasformi, secondo questo amore sorprendente, incomprensibile che Gesù mi sta offrendo, anche oggi, anche in questo momento. Conducimi all’ultimo posto, al mio, quello che Lui ha preparato per me, là dove io posso essere veramente e pienamente me stesso. Amen.

Letture:
Is 55,6-9 (I miei pensieri non sono i vostri pensieri)
Sal 144 (Il Signore è vicino a chi lo invoca)
Fil 1,20-27 (Per me vivere è Cristo)
Mt 20,1-16 (Sei invidioso perché io sono buono?)

La gratuità di Dio oltre le nostre logiche
Se ai tempi del Signore fossero esistite le moderne istituzioni che tutelano i diritti dei lavoratori, sicuramente avrebbero trovato un valido appiglio per contestare l’operato del padrone della vigna nei confronti degli operai chiamati a lavorarvi. I primi ad essere chiamati lavorano per tutto il giorno e giustamente affermano: «abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Gli ultimi hanno lavorato solo per poche ore, il compenso però è uguale per tutti. Qui scopriamo ancora una volta che le nostre valutazioni non corrispondono a quelle di Dio: Egli ci ha avvertito: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie». Il motivo fondamentale della differenza di giudizio e di valutazione deriva dal fatto che Dio è infinito nelle sue perfezioni e noi limitatissimi nelle nostre visioni. Dio sa coniugare perfettamente giustizia e amore, equità e benevolenza, giudizio e misericordia. Sicuramente egli non commisura la ricompensa al reddito delle nostre azioni o al rendimento che ne abbiamo procurato. Egli vede piuttosto la nostra disponibilità ad accogliere le sue divine sollecitazioni in qualsiasi momento esse arrivino e ciò è per lui già motivo per darci la ricompensa tutta intera. Agli operai della prima ora che protestano perché si ritengono vittime di una grave ed evidente ingiustizia: «Il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Sì, rischiamo, con il pretesto di affermare il nostro umano e limitato concetto di giustizia di contestare la bontà e la magnanimità di Dio. Rischiamo di essere invidiosi perché egli è buono. Accade qualcosa di simile quando il Padre, dopo aver accolto il figlio scapestrato, che ha dissipato malamente tutte le sue sostanze, lo accoglie a braccia aperte ed organizza per lui una grande festa, che però suscita l’indignazione del fratello maggiore. Anch’egli si ritiene ingiustamente vittima di una evidente discriminazione. Dio nella sua infinita bontà fa dei suoi beni quello che vuole e perciò può accadere che gli ultimi diventino i primi se hanno risposto con piena disponibilità al suo invito. È importante allora farsi trovare pronti e disponibili in qualsiasi ora della nostra lunga giornata perché egli, il Signore, passa e bussa alla porta del cuore di ogni uomo per rendere operosa e feconda la nostra vita.
Gesù ci svela quanto la sua logica sia diversa dalla nostra e la superi. Nella sua vigna c’è spazio per tutti e ogni ora può essere quella giusta. Così come ogni nostra situazione di vita deve essere la vigna che ci è affidata per curarla e metterla in grado di portare molto frutto e questo non per rinchiuderci egoisticamente in un ambito ristretto ma per riconoscerci, a partire dal concreto dell’esistenza, “lanciati sulle frontiere della storia”, per essere cioè veri evangelizzatori e missionari. Siamo tutti pronti a riconoscerci tra gli operai che hanno accettato l’invito della prima ora, ma quale potrà essere la chiamata che il Signore ci riserva per l’ultima ora, per la sera della nostra vita? Riconoscersi tra i chiamati alla salvezza deve significare renderci disponibili ad accogliere ogni chiamata, anche la meno gratificante, la più difficile e dolorosa.

Approfondimento del Vangelo (La gratuità assoluta dell’amore di Dio)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?. Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Per inserire il brano nel suo contesto: Questo brano ci pone all’interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19,1 dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25,46 col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio. Più in particolare, il capitolo 20 ci colloca ancora lungo il percorso di Gesù verso la città santa e il suo tempio, in un contesto di ammaestramento e di polemica con i sapienti e i potenti del tempo, che egli realizza attraverso parabole e incontri.

Per aiutare nella lettura del brano:
- 20,1a: Con le prime parole della parabola, che sono una formula di introduzione, Gesù vuole accompagnarci dentro il tema più profondo di cui intende parlare, vuole aprire davanti a noi le porte del regno, che è Lui stesso e si presenta quale padrone della vigna, che ha bisogno di essere lavorata.
- 20,1b-7: Questi versetti costituiscono la prima parte della parabola; in essa Gesù racconta dell’iniziativa del padrone della vigna per assumere gli operai, descrivendo le sue quattro uscite, nelle quali ingaggia gli operai stabilendo un contratto e l’ultima uscita, ormai alla fine della giornata.
- 20,8-15: Questa seconda parte comprende, invece, la descrizione del pagamento agli operai, con la protesta dei primi e la risposta del padrone.
- 20,16: Infine viene riportata la sentenza conclusiva, che fa inclusione con 19,30 e che rivela la chiave del brano e l’applicazione: quelli che nella comunità sono considerati ultimi, nella prospettiva del regno e del giudizio di Dio, saranno i primi.

Un momento di silenzio orante: Signore, ho ascoltato la tua voce, la tua parola; ora voglio tacere, con il cuore e con la mente, perché solo nel silenzio si realizza il vero ascolto, che cambia la mia vita, dal di dentro, dalle profondità. Aiutami, o Dio nascosto, Dio silenzioso e amoroso. Questo silenzio mi conduca nel tuo regno, nella tua casa, nella tua vigna, là dove l’unica ricompensa desiderata e bramata lungo tutta la giornata, tutta la vita, sei Tu stesso.

Alcune domande: Voglio di nuovo pormi in un contatto intenso e forte con la tua Parola, Signore; rileggo il brano, più lentamente, soffermandomi sulle parole, le espressioni, i versetti. Cerco di porre i miei pensieri, i miei sentimenti, il mio modo di comportarmi, di vivere in un confronto sincero e aperto con quanto tu mi dici, oggi; interrogo la mia vita, rispondo, getto ponti verso una vita nuova, fondata sul tuo modo di pensare e di amare.
a) Questo brano si apre con una particella connessiva, “infatti”, che è molto importante, perché mi rimanda al versetto che precede (Mt 19,30), dove Gesù afferma che “i primi saranno ultimi e gli ultimi primi”, con le stesse parole che ripeterà alla fine di questa parabola. Parole, dunque, importantissime, fondamentali, che vogliono indicarmi la direzione da prendere. Gesù è il regno di Dio, il regno dei cieli; Lui è il mondo nuovo, nel quale sono invitato ad entrare. Ma il suo è un mondo rovesciato, dove la nostra logica di potenza, guadagno, ricompense, abilità, sforzo, è sconfitta e sostituita da un’altra logica, quella della gratuità assoluta, dell’amore misericordioso e sovrabbondante. Se io credo di essere primo, di essere forte e capace; se mi sono già messo al primo posto alla tavola del Signore, è meglio che adesso mi alzi e vada ad occupare l’ultimo posto. Lì il Signore verrà a cercarmi e, chiamandomi, mi solleverà, mi trarrà in alto, verso di sé.
b) Gesù si paragona, qui, a un padrone di casa, utilizzando una figura particolare, che ritorna più volte nei vangeli. Provo a seguirla, facendomi attento alle caratteristiche che essa presenta e cercando di verificare qual è il mio rapporto con Lui. Il padrone di casa è il padrone della vigna, che si prende cura di essa, circondandola con un muro, scavando in essa un frantoio, coltivandola con amore e fatica (Mt 21,33ss.), perché possa dare i migliori frutti. È il padrone di casa che offre una grande cena, facendo molti inviti, chiamando alla sua tavola i più derelitti, gli storpi, gli zoppi, i ciechi (Lc 14,21ss.). È colui che torna dalle nozze e che noi dobbiamo aspettare vegliando, perché non sappiamo l’ora (Lc 12,36); è il padrone di casa partito per un viaggio, che ci ha ordinato di vigilare, per essere pronti ad aprirgli, non appena torna e bussa, alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino (Mc 13,35). Comprendo, dunque, che il Signore aspetta da me il frutto buono; che mi ha scelto come invitato alla sua mensa; che tornerà e verrà a cercarmi e busserà alla mia porta... Sono pronto a rispondergli? Ad aprirgli? A offrirgli il frutto dell’amore che Lui attende da me? Oppure sto dormendo, appesantito da mille altri interessi, schiavizzato da altri padroni di casa, diversi e lontani da Lui?
c) Il Signore Gesù, padrone della casa e della vigna, esce ripetutamente per chiamare e inviare; all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio, alle cinque, quando ormai la giornata è alla fine. Lui non si stanca: viene a cercarmi, per offrirmi il suo amore, la sua presenza, per stringere un patto con me. Lui desidera offrirmi la sua vigna, la sua bellezza. Quando ci incontreremo, quando lui fissandomi, mi amerà (Mc 10,21), io cosa gli risponderò? Mi rattristerò, perché ho molti altri beni (Lc 18,23)? Gli chiederò di considerarmi giustificato, perché ho già preso altri impegni (Lc 14,18)? Fuggirò via nudo, perdendo anche quello straccio di felicità che mi è rimasto per coprirmi (Mc 14,52)? Oppure gli dirò: “Sì sì” e poi non andrò (Mt 21,29)? Sento che questa parola mi mette in crisi, mi scruta fino in fondo, mi rivela a me stesso... rimango sgomento, impaurito della mia libertà, ma decido, davanti al Signore che mi sta parlando, di fare come Maria e dire anch’io: “Signore, avvenga di me quello che tu hai detto” con umile disponibilità e abbandono.
d) Adesso il vangelo mi pone davanti alla mia relazione con gli altri, i fratelli e le sorelle che condividono con me il cammino di sequela di Gesù. Siamo tutti convocati presso di Lui, alla sera, dopo il lavoro della giornata: Lui apre il suo tesoro d’amore e comincia a distribuire, a consegnare grazia, misericordia, compassione, amicizia, tutto se stesso. Non si ferma, il Signore, continua solo a traboccare, a effondersi, a consegnarsi a noi, a ciascuno. Matteo fa notare, a questo punto, che qualcuno mormora contro il padrone della vigna, contro il Signore. Nasce l’indignazione, perché Lui tratta tutti ugualmente, con la stessa intensità di amore, con la stessa sovrabbondanza. Forse è scritto anche di me in queste righe: il vangelo sa mettere a nudo il mio cuore, la parte più nascosta di me stesso. Forse il Signore dice proprio a me quelle parole cariche di tristezza: “Forse tu sei invidioso?”. Mi devo lasciare interrogare, devo permettere a Lui di entrare dentro di me e di guardarmi con quei suoi occhi penetranti, perché solo se mi guarda Lui, io potrò essere guarito. Allora prego così: “Signore, ti prego, vieni in me, getta la tua parola nel mio cuore e germogli vita nuova, germogli l’amore”.

Una chiave di lettura: Bisogna che io apra ancora di più questa pagina di vangelo, questa parabola, se voglio davvero essere illuminato e cambiato. Apro la parola, ma in realtà sono io che vengo aperto, spalancato sempre di più all’amore del Signore, a ricevere la grazia che Lui continuamente prepara per me. Allora prendo la chiave costituita da alcuni termini o tematiche, che mi sembra di scorgere nel brano: la vigna; la promessa: un danaro; l’invio; la mormorazione, il brontolio.
- La vigna: Nella figura della vigna, apparentemente semplice e quotidiana, la Scrittura condensa una realtà molto ricca e profonda, sempre più densa di significato, mano a mano che i testi si avvicinano alla rivelazione piena in Gesù. Nel primo libro dei re, al cap. 21, è narrata la vicenda violenta che investe Nabot, un semplice suddito del corrotto re Acab, il quale possedeva una vigna, piantata, per sua sventura, proprio vicino al palazzo del re. Il racconto ci fa comprendere quanto la vigna fosse importante, una proprietà inviolabile: per niente al mondo Nabot l’avrebbe ceduta, come disse: “Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri!” (1Re 21,3). Per amore di essa, egli perse la vita. Dunque la vigna rappresenta il bene più prezioso, l’eredità della famiglia, per certa parte, l’identità stessa della persona; non la si può svendere, cedere ad altri, barattare con altri beni, che non riuscirebbero a eguagliarla. Essa nasconde una forza vitale, spirituale. Isaia 5 ci dice chiaramente che sotto la figura della vigna è significato il popolo di Israele, come sta scritto: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita” (Is 5,7). Questo popolo il Signore ha amato di amore infinito ed eterno, sigillato da un’alleanza inviolabile; Lui se ne prende cura, proprio come farebbe un vignaiolo con la sua vigna, facendo di tutto perché essa possa dare i frutti più belli. Israele siamo ognuno di noi, tutta la Chiesa: il Padre ci ha trovato come terra desolata, riarsa, devastata, ingombrata dai sassi e ci ha coltivati, ci ha vangati, concimati, irrigati ad ogni istante; ci ha piantati come vigna scelta, tutta di vitigni genuini (Ger 2,21). Che cosa ancora avrebbe potuto fare per noi, che già non abbia fatto? (Is 5,4) Nel suo abbassamento infinito, il Signore si è fatto vigna Egli stesso; è diventato la vite vera (Gv 15,1ss.), di cui noi siamo i tralci; si è unito a noi, così come la vite è unita ai suoi tralci. Il Padre, che è il vignaiolo, continua la sua opera d’amore in noi, perché portiamo frutto e pazientemente aspetta; Lui pota, Lui coltiva, ma poi invia noi a lavorare, a raccogliere i frutti da offrirgli. Siamo inviati al suo popolo, ai suoi figli, quali figli noi stessi, quali suoi discepoli; non possiamo tirarci indietro, rifiutare, perché siamo stati fatti per questo: perché andiamo e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga (Gv 15,16). Signore, volgiti; guarda dal cielo e vedi e visita la tua vigna (Sal 79,15).
- La promessa: un danaro: Il padrone della vigna stabilisce come ricompensa del lavoro della giornata un denaro; una somma buona, che permetteva di vivere degnamente. Pressappoco corrisponde alla dramma pattuita dal vecchio Tobi con l’accompagnatore del figlio Tobia verso la Media (Tb 5,15). Me nel racconto evangelico questo denaro viene subito chiamato con un altro nome dal padrone; dice infatti: “quello che è giusto vi darò” (v. 4). Nostra eredità, nostro salario è il giusto, il buono: il Signore Gesù. Egli, infatti, non dona, non promette altro che se stesso. La nostra ricompensa è nei cieli (Mt 5,12), presso il Padre nostro (Mt 6,1). Non è il denaro che veniva utilizzato per il pagamento della tassa pro-capite ai romani, su cui c’era l’immagine e l’iscrizione del re Tiberio Cesare (Mt 22,20), ma qui c’è il volto di Gesù, il suo nome, la sua presenza. Egli ci dice: “Io sono con voi non solo per oggi, ma tutti i giorni, fino alla fine del mondo; Io stesso sarò la tua ricompensa”.
- L’invio: Il testo offre alla nostra vita un’energia molto forte, che scaturisce dai verbi “inviare, mandare” e “andare”, ripetuto due volte; entrambi riguardano noi, ci toccano nel profondo, ci chiamano e ci mettono in movimento. È il Signore Gesù che ci invia, facendo di noi degli apostoli: “Ecco, io vi mando” (Mt 10,16). Ogni giorno egli ci chiama per la sua missione e ripete su di noi quel: “Andate!”e la nostra felicità è nascosta proprio qui, nella realizzazione di questa sua parola. Andare dove Lui ci manda, nel modo che Lui ci indica, verso le realtà e le persone che Lui ci pone davanti.
- La mormorazione, il brontolio: Parole importantissime, vere e tanto presenti nella nostra esperienza di vita quotidiana; non possiamo negarlo: esse abitano anche il nostro cuore, i nostri pensieri, a volte ci tormentano, ci sfigurano, ci stancano profondamente, ci allontanano da noi stessi, dagli altri, dal Signore. Sì, in mezzo a quegli operai che si lamentano e brontolano, mormorando contro il padrone, ci siamo anche noi. Il rumore della mormorazione viene da molto lontano, ma ugualmente riesce a raggiungerci e si insinua nel nostro cuore; Israele nel deserto ha mormorato pesantemente contro il suo Signore e noi abbiamo ricevuto in eredità quei pensieri, quelle parole: “Il Signore ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto per darci in mano agli Amorrei e per distruggerci” (Dt 1,27) e dubitiamo sulla sua capacità di nutrirci, di condurci avanti, di proteggerci: “Potrà forse Dio preparare una mensa nel deserto?” (Sal 77,19). Mormorare significa non ascoltare la voce del Signore, non credere più al suo amore per noi. Allora ci scandalizziamo, ci irritiamo fortemente contro il Signore misericordioso e ci indigniamo contro il suo modo di agire e vorremmo cambiarlo, rimpicciolirlo secondo i nostri schemi: “È andato ad alloggiare da un peccatore! Mangia e beve con i peccatori!” (Lc 5,30; 15,2; 19,7). Se ascoltiamo bene, queste sono le mormorazioni segrete del nostro cuore. Come guarire? San Pietro suggerisce questa via: “Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1Pt 4,9); solo l’ospitalità, cioè l’accoglienza possono, piano piano, cambiare il nostro cuore e renderlo ricettivo, capace di portare dentro di sé le persone, le situazioni, le realtà che incontriamo nella vita. “Accoglietevi”, dice la Scrittura. È proprio così: dobbiamo imparare ad accogliere, prima di tutto, il Signore Gesù, così com’è, col suo modo di amare e di rimanere, di parlarci e cambiarci, di aspettarci e attirarci. Accogliere Lui e accogliere chi ci sta accanto, chi ci viene incontro; solo questo movimento può sconfiggere l’indurimento della mormorazione. La mormorazione nasce dalla gelosia, dall’invidia, dal nostro occhio cattivo, come dice il padrone della vigna, Gesù stesso. Lui sa guardarci dentro, sa penetrare il nostro sguardo e raggiungerci nel cuore, nell’anima. Lui sa come siamo, ci conosce, ci ama; ed è per amore che Lui tira fuori da noi il nostro male, toglie il velo dal nostro occhio cattivo, ci aiuta a prendere coscienza di come siamo, di ciò che ci vive dentro. Nel momento in cui dice: “Forse il tuo occhio è cattivo?”, come sta facendo oggi, in questo vangelo, Lui ci guarisce, prende l’unguento e lo spalma, prende il fango fatto con la sua saliva e unge i nostri occhi, fino all’intimo. Signore, ti prego: fa’ che io veda. Con occhi buoni, senza gelosia; con l’accoglienza, senza mormorare.

Orazione finale: Grazie, o Padre, per avermi rivelato il tuo Figlio e avermi fatto entrare nella sua eredità, nella sua vigna. Tu mi hai reso tralcio, mi hai reso uva: ora non mi resta che rimanere, rimanere in Lui, in te e lasciarmi prendere, quale frutto buono, maturo, per essere posto nel torchio. Sì, Signore, lo so: è questa la via. Io non ho paura, perché tu sei con me. Io so che l’unica via alla felicità è il dono a te, il dono ai fratelli. Che io sia tralcio, io sia uva buona, per essere spremuto, come tu vorrai. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
III DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Is 11,10-16
Sal 131
1Tm 1,12-17
Lc 9,18-22

Ma voi chi dite che io sia?
La novità cristiana è che Dio salva attraverso Cristo, il suo Inviato, il Messia. Ma non è tutto. Anzi. La vera novità, sorprendente e .. impensabile, se non sconcertante, è il modo con cui Cristo salva l’umanità: con la croce! Spiazza ogni previsione e aspettativa, comprese molte pagine dell’Antico Testamento che parlano di un germoglio “dalla radice di Iesse” (Lett.), cioè dalla discendenza regale di Davide, e quindi di una potenza che sbaraglia i nemici e fa ritornare i prigionieri alla loro patria. Ancora al tempo di Gesù le attese popolari erano per un Messia politico, liberatore dal giogo romano. La gente dice di Gesù: è “Giovanni Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Pietro - certamente su ispirazione divina (cfr. Mt 16,17) - “Il Cristo di Dio”. Gesù, però, “ordinò severamente di non riferirlo ad alcuno”. C’è qualcosa che non va! Appunto: che idea giusta bisogna avere del Messia? E più propriamente: che tipo di salvezza è quella che ci porta Cristo? È dramma ambiguo spesso anche per noi.
Deve soffrire: Gesù - è la prima volta - incomincia a correggere e a precisare: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Buon per lui che.. dice di risorgere il terzo giorno! Ma altrove si riferisce che i discepoli si chiedevano “che cosa volesse dire risorgere dai morti” (Mc 9,10). Un Messia che muore ammazzato, e per di più dai capi religiosi!? “Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). Non lo è meno anche per noi, abituati a pensare Dio sempre vincente. Un Dio fallito e preso in giro, re da burla come davanti a Pilato. I pagani sull’Aventino a Roma hanno disegnato il Crocifisso con una testa d’asino. Poveri Cristiani, guarda cosa adorano! In forme più sottili, anche oggi Cristo è deriso, o almeno mal sopportato. La prima interpretazione e comprensione di Gesù è nel Nuovo Testamento la parola “secondo le Scritture” (1Cor 3,3-4). Gesù stesso, la sera di Pasqua, ne aveva fatto esplicito riferimento: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,25-27). Pietro, di fronte ai capi che hanno ucciso Gesù, dice: “Io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il Cristo doveva soffrire” (At 3,17-18). Disegno lontano di Dio è la morte di Cristo, non un incidente fallimentare; cuore invece della sua missione. Ne era pienamente cosciente: “Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). Il disegno grande di Dio è uno solo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Paolo lo proclama in tutte le sue Lettere: “È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati” (Rm 3,25). In sostanza, a nome nostro e in nostro favore, l’uomo Gesù - primogenito e nostro fratello - ha detto un sì di obbedienza piena al Padre (cfr. Fil 2,8) per riscattarci dalla nostra disobbedienza, riconciliandoci con Dio ed essere liberati dalla morte, per una eredità da figli di Dio! Quel sacrificio che ci libera è reso presente ad ogni generazione di uomini che si vogliono salvare nel sacramento dell’Eucaristia.
Liberazione: Ecco: dalla croce, quale salvezza? Le prefigurazioni veterotestamentarie parlano di una schiavitù dalla quale il Signore libera il suo popolo, quella classica dall’Egitto e quella posteriore da Babilonia: “Si formerà una strada (di ritorno dalla deportazione babilonese) per il resto del suo popolo che sarà superstite dall’Assiria, come ce ne fu una per Israele quando uscì dalla terra d’Egitto” (Lett.). La coscienza profonda di Israele è segnata da queste liberazioni, segno di una premura fedele del Dio che salva: “In quel giorno avverrà che il Signore stenderà di nuovo la mano per riscattare il resto del suo popolo. Egli alzerà un vessillo tra le nazioni e raccoglierà gli espulsi di Israele e radunerà i dispersi di Giuda” (idem). La prospettiva profetica naturalmente guarda avanti, al futuro e definitivo liberatore che sarà il Messia, dalla “radice di Iesse”. Quella del Messia è una liberazione ben più radicale e interiore, come diceva bene già Ezechiele: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26). Paolo ne è il banditore entusiasta, a partire proprio dalla sua esperienza personale: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (Epist.). È la coscienza di essere gratificato con “sovrabbondanza insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù”, da parte di uno che proprio non meritava, lui prima “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (Idem). “Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). Proprio questa è la sicurezza e la speranza che ci viene dalla meditazione della croce. La salvezza è già ottenuta gratuitamente per tutti; a noi rimane di credere che quell’atto è efficace anche per noi e il crederci con “una fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). La sua, di Gesù, è stata una obbedienza; e obbedienza è richiesta anche a noi: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9). Naturalmente la premessa indispensabile è la coscienza di essere peccatori e di aver bisogno del perdono di Dio. Forse oggi proprio questa è la soglia difficile per entrare nel discorso della fede!
“Il Signore Gesù si trovava a in un luogo solitario a pregare”. Proprio in quei momenti Gesù ha percepito e accettato il suo destino di redentore, tanto che si aggiunge subito che “prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Credo anch’io che il luogo più adatto per capire quale sia il vero bisogno e la verità del nostro destino davanti a Dio, sia proprio la preghiera. Del resto, semplificando, sant’Alfonso de Liguori diceva: “Chi prega si salva, chi non prega si danna”.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: SABATO 24 SETTEMBRE 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Set 20, 2011 11:50 am

SABATO 24 SETTEMBRE 2011

SABATO DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna.

Letture:
Zc 2,5-9.14-15 (Io vengo ad abitare in mezzo a te)
Sal da Ger 31 (Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge)
Lc 9,43-45 (Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su questo argomento)

Non comprendevano ed avevano paura
La morte, anche quando riusciamo a guardarla con l’occhio benevolo della fede, conserva sempre il suo velo nero di mistero. Resta sempre un ampio margine inscrutabile, inaccessibile. Mentre evidentemente scandisce inesorabile, la fine della nostra vita nel tempo, non ci svela mai appieno la novità che ci attende. I vincoli che ci legano alle umane realtà e il timore del giudizio divino accrescono ulteriormente in noi la paura. Gli apostoli, da anni alla sequela di Cristo, avevano goduto della sua presenza, dei suoi messaggi di salvezza; erano testimoni oculari di prodigi portentosi. Il loro maestro, non solo guariva ogni sorta d’infermità, ma risuscitava i morti. Sentivano già la certezza di poter attribuire al loro Signore il titolo di vincitore della morte e di autore della vita. Per questo Gesù nel dare l’annuncio della sua ormai prossima dipartita scandisce bene il suo annuncio: «Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini». È l’evidente dichiarazione di una resa totale. Essere consegnato significa mettersi in balia dei nemici e subire e sottostare alle loro violenze. Le loro menti, come le nostre, non erano disponibili a comprendere una tale eventualità. Avrebbe significato per loro, che tanta fiducia avevano riposto nel loro maestro, veder stroncata ogni speranza, delusa ogni attesa. È la delusione che ci prende quando riponiamo in Dio infondate speranze di umane grandezze e di totale protezione da ogni coinvolgimento nella sofferenza e nella croce di Cristo. È la stessa paura che attanaglia gli apostoli e li ammutolisce rendendoli incapaci di rivolgere domande su un argomento che temevano fosse loro svelato ulteriormente in tutta la sua cruda realtà. Noi siamo più fortunati degli apostoli; sorretti dalla fede ogni giorno annunciamo la sua morte e risurrezione nell’attesa della sua venuta. La paura della morte i santi l’hanno vinta vivendo eroicamente la speranza cristiana e risorgendo ogni giorno con Cristo, vivificati dalla sua infinita misericordia. Quella della sofferenza l’hanno testimoniata in modo mirabile la schiera dei martiri, che si gloriavano di essere fatti degni di partecipare alle sofferenze di Cristo, nella certezza di risorgere così con lui nella gloria. Le due letture odierne ci richiamano i due aspetti del mistero di Cristo, che la Chiesa celebra nella Messa e al quale tutti partecipiamo. Nel Vangelo troviamo l’aspetto della sofferenza: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini». E un aspetto difficile da accettare, perché è contrario ai sogni umani, nei quali la gloria è senza pena, mentre Dio glorifica attraverso la prova che trasforma l’uomo per portarlo all’unione con lui. L’aspetto della gloria lo troviamo nel profeta Zaccaria che, come Aggeo, ha predicato la ricostruzione del tempio e anche quella di Gerusalemme. Il tempio si deve ricostruire, ma bisogna anche ricostruire la città di cui il tempio è il centro, il cuore. E Zaccaria profetizza che Gerusalemme sarà una città molto grande, meravigliosa, la città del Signore: «Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine di uomini e di animali che dovrà accogliere. Io stesso dice il Signore le farò da muro di fuoco all’intorno e sarà una gloria in mezzo ad essa» (Zc 2,8b-9). Il Signore è attorno e in mezzo a Gerusalemme: è dovunque nella città che è sua. Questa immagine della nuova Gerusalemme diventa realtà nel Nuovo Testamento, in molti modi. Alla nuova Gerusalemme il profeta dice: «Rallegrati, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te. Oracolo del Signore» (Zc 2,14) Questa profezia si compie in maniera speciale, meravigliosa in Maria santissima alla quale l’Angelo ha portato questo annuncio: «Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,26). La profezia di Zaccaria evoca dunque la maternità divina di Maria e insieme la maternità umana di lei, Madre della Chiesa, Madre dei fedeli: «Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore e diverranno suo popolo» (Zc 2,15a). Noi siamo queste numerose nazioni, che abitiamo la nuova città che Cristo ha costruito con la sua risurrezione, la Chiesa, città piena di gioia perché il Signore è in mezzo ad essa. Chiediamo alla Madonna che ci faccia capire sempre meglio il nostro grande privilegio.

Lettura del Vangelo: In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci presenta il secondo annuncio della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. I discepoli non capiscono la parola sulla croce, perché non sono capaci di capire né di accettare un Messia che diventa servo dei fratelli. Loro continuano a sognare un messia glorioso.
- Luca 9,43b-44: Il contrasto. Tutti erano pieni di meraviglia per tutte le cose che faceva, Gesù disse si ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Il contrasto è molto grande. Da un lato, l’ammirazione della gente per tutto ciò che Gesù diceva e faceva. Gesù sembra corrispondere a tutto ciò che la gente sogna, crede e spera. D’altro canto, l’affermazione di Gesù che sarà messo a morte e consegnato nelle mani degli uomini. Ossia, l’opinione delle autorità su Gesù è totalmente contraria all’opinione della gente.
- Luca 9,45: L’annuncio della Croce. Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento. I discepoli lo ascoltavano, pero non capivano la parola sulla croce. Ma pur così, non chiedono chiarimenti. Hanno paura di lasciare apparire la loro ignoranza!
- Il titolo Figlio dell’Uomo. Questo nome appare con grande frequenza nei vangeli: 12 volte in Giovanni, 13 volte in Marco, 28 volte in Luca, 30 volte in Matteo. In tutto 83 volte nei quattro vangeli. È il nome che più piaceva a Gesù. Questo titolo viene dall’AT. Nel libro di Ezechiele, indica la condizione ben umana del profeta (Ez 3,1.4.10.17; 4,1 etc.). Nel libro di Daniele, lo stesso titolo appare nella visione apocalittica (Dn 7,1-28), in cui Daniele descrive gli imperi dei Babilonesi, dei Medi, dei Persiani e dei Greci. Nella visione del profeta, questi quattro imperi hanno l’apparenza di animali mostruosi (cfr. Dn 7,3-8). Sono imperi animaleschi, brutali, disumani, che perseguono ed uccidono (Dn 7,21.25). Nella visione del profeta, dopo i regni anti-umani, appare il Regno di Dio che ha l’apparenza, non di un animale, bensì di una figura umana, Figlio dell’uomo. Ossia un regno con apparenza di gente, regno umano, che promuove la vita e umanizza (Dn 7,13-14). Nella profezia di Daniele la figura del Figlio dell’Uomo rappresenta, non un individuo, bensì, come lui stesso lo dice, il popolo dei Santi dell’Altissimo (Dn 7,27; cfr. Dn 7,18). È il popolo di Dio che non si lascia ingannare o manipolare dall’ideologia dominante degli imperi animaleschi. La missione del Figlio dell’Uomo, cioè del popolo di Dio, consiste nel realizzare il Regno di Dio come un regno umano. Regno che promuove la vita, che umanizza le persone. Presentandosi ai discepoli come Figlio dell’Uomo, Gesù fa sua questa missione che è la missione di tutto il Popolo di Dio. È come se dicesse a loro ed a tutti noi: Venite con me! Questa missione non è solo mia, ma è di tutti noi! Andiamo insieme a svolgere la missione che Dio ci ha fatto, ed andiamo insieme a realizzare il Regno umano che lui sognò, regno che ci rende umani! E fu ciò che fece tutta la sua vita, soprattutto negli ultimi tre anni. Il papa Leone Magno diceva: Gesù fu così umano, ma così umano, come solo Dio può essere umano. Quanto più umano, tanto più divino. Quanto più figlio dell’uomo tanto più figlio di Dio! Tutto ciò che sfigura le persone, che toglie loro questo senso di umanità allontana da Dio. Ciò è stato condannato da Gesù, che ha posto il bene della persona umana al di sopra di tutte le leggi, al di sopra del sabato (Mc 2,27). Nel momento della sua condanna a morte da parte del tribunale religioso del sinedrio, Gesù assunse questo titolo. Quando gli fu chiesto se era il figlio di Dio (Mc 14,61), risponde che è il figlio dell’Uomo: «Io sono. E voi vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra dell’Onnipotente» (Mc 14,62). Per questa affermazione fu dichiarato reo di morte dalla autorità. Lui stesso lo sapeva perché aveva detto: «Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

Per un confronto personale
- Come unisci nella tua vita la sofferenza e la fede in Dio?
- Al tempo di Gesù si viveva un contrasto: la gente pensava e sperava in un modo, le autorità religiose pensavano e speravano in un altro modo. Oggi c'è lo stesso contrasto.

Preghiera finale: La tua parola, Signore, è stabile come il cielo. Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola (Sal 118).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 25 settembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Set 20, 2011 11:55 am

DOMENICA 25 SETTEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, sopratutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Ez 18,25-28 (Se il malvagio si converte dalla sua malvagità, egli fa vivere se stesso)
Sal 23 (Ricordati, Signore, della tua misericordia)
Fil 2,1-11; forma breve Fil 2,1-5 (Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù)
Mt 21,28-32 (Pentitosi andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio)

Sincerità e coerenza dinanzi a Dio
Talvolta possiamo riuscire a fingere nei confronti del nostro prossimo fino a indurlo a formulare giudizi erronei su di noi. Possiamo dire e non fare come facevano alcuni contemporanei di Gesù, gli scribi e i farisei. Egli mette in guardia i suoi discepoli da quei falsi maestri: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito». Il nostro giudizio infatti inevitabilmente si ferma alle apparenze e in base a quelle valuta i comportamenti umani. Nei confronti del nostro Dio, che scruta i cuori ciò non è possibile. Non basta darGli una affermazione verbale: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Quindi il nostro assenso deve essere pieno ed incondizionato, fatto di concreta operosità e non soltanto di parole insincere. Il Signore vuole uno stretto legame tra religione e vita. Dovremmo perciò interrogarci se i nostri gesti quotidiani e settimanali di culto, in primo luogo la stessa eucaristia, culmine della nostra adesione a Cristo, condiziona positivamente la nostra vita. L’accusa di essere «cristiani della domenica» talvolta coglie nel segno, se l’ascolto della parola e il pane di vita non ci inducono ad una assidua e costante conversione. Ciò suona a rimprovero e a motivo di riflessione per coloro che affermano, magari con una punta di orgoglio, di credere alle verità della nostra fede cristiana cattolica, ma poi nulla fanno per mettere in pratica quanto la stessa fede ci suggerisce per la vita di ogni giorno. Non ci è consentito ridurre alla stregua di una semplice filosofia la nostra religione. Gesù nel proporla non solo a proclamato solennemente le verità antiche e nuove, ma Egli per primo ne è stato il primo testimone e ai suoi discepoli ha chiesto di seguirlo e di imitarlo. Arriva a dire a coloro che l’avvisano che sua madre e i suoi fratelli lo stanno cercando: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Mettere in pratica è il programma inderogabile del cristiano!
C’è una frase conclusiva, comune alle due parabole della XXVI e XXVII domenica, che svela il segreto intendimento del discorso complessivo di Gesù: “Perciò vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Mt 21,41). La domanda posta da Gesù è la seguente: “Chi è allora il vero destinatario della promessa, il vero credente?”. Anche la parabola dei due figli deve essere letta in questa prospettiva. Molte volte, infatti, può verificarsi una forma di sintonia solo apparente, perché ultimamente interessata, tra la nostra volontà e quella del Padre. Siamo capaci di dirgli dei “sì” speciosi e superficiali, non maturati al sole di quella vera obbedienza interiore, che può solamente essere il frutto di una profonda conversione a Dio. Una forma di obbedienza disobbediente perché non tocca le radici del nostro cuore e non cambia la nostra esistenza. In questa ipotesi è vero che, pur immersi in una vita ancora disordinata, coloro che hanno deciso di seguire Cristo, senza reticenze e senza cercare in ultima analisi il loro interesse, si riscatteranno e avranno la precedenza nel regno dei cieli. La parabola ci fa capire quanto sia anche per noi reale il pericolo di partecipare, con apparente docilità, durante tutta la nostra vita, alle celebrazioni liturgiche e alle attività della Chiesa, senza mai diventare veri cristiani.

Approfondimento del Vangelo (Parabola dei due figli)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- Mt 21,28-31a: Il paragone in se stesso
- Mt 21,31b-32: L’applicazione del paragone

Una chiave di lettura: Gesù racconta un fatto molto comune nella vita di famiglia. Un figlio dice al padre: “Vado!”, ma poi non va. E un altro figlio dice: “Non vado!”, ma poi va. Gesù chiede agli uditori di prestare attenzione e di dare un parere. Per questo, durante la lettura, prestiamo attenzione per scoprire il punto esatto sul quale Gesù vuole richiamare la nostra attenzione.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto di questa storia dei due figli ha richiamato di più l’attenzione? E perché?
b) Chi sono gli uditori ai quali Gesù si rivolge? Quale è il motivo che lo ha portato a proporre questa parabola?
c) Quale è il punto centrale che Gesù sottolinea nell’atteggiamento dei due figli?
d) Quale tipo di obbedienza Gesù raccomanda attraverso questa parabola?
e) In che cosa consiste esattamente la precedenza delle prostitute e dei pubblicani rispetto ai sacerdoti e agli anziani?
f) E io, dove mi colloco: tra le prostitute e i peccatori o tra i sacerdoti e gli anziani?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il tema
1) Il contesto nel quale il vangelo di Matteo conserva queste parole di Gesù (Matteo: capitoli 18 - 23):
- Il contesto del Vangelo di Matteo nel quale si trova questa parabola è quello della tensione e del pericolo. Dopo il Discorso della comunità (Mt 18,1-35), Gesù si allontana dalla Galilea, attraversa il Giordano e inizia il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme (Mt 19,1). Molto prima egli aveva detto che doveva andare a Gerusalemme per essere arrestato e ucciso e poi risuscitare (Mt 16,21; 17,22-23). Ora è dunque giunto il momento di salire fino alla Capitale e di affrontare la prigione e la morte (Mt 20,17-19).
- Arrivando a Gerusalemme, Gesù diviene motivo di conflitto. Da un lato il popolo che lo accoglie con giubilo (Mt 21,1-11). Perfino i bambini lo acclamano quando, con un gesto profetico, espelle i venditori dal tempio e guarisce i ciechi e gli zoppi (Mt 21,12-15). Dall’altro lato i sacerdoti e i dottori che lo criticano. Essi chiedono che comandi ai bambini di chiudere la bocca (Mt 21,15-16). La situazione era tanto tesa, che Gesù dovette passare la notte fuori della città (Mt 21,17; cfr Gv 11,53-54). Ma il giorno dopo di buon’ora egli già ritorna e, sulla strada che porta al tempio, maledice un fico, simbolo della città di Gerusalemme: albero senza frutto, solo con foglie (Mt 21,18-22). E poi entra nel tempio e comincia a insegnare al popolo.
- Mentre sta parlando al popolo arrivano le autorità per discutere con lui, e Gesù le affronta, una per una (Mt 21,33-22,45): i sommi sacerdoti e gli anziani (Mt 21,23), i farisei (Mt 21,45; 22,41), i discepoli dei farisei e degli erodiani (Mt 22,16), i sadducei (Mt 22,3), i dottori della legge (Mt 22,35). Alla fine Gesù fa una lunga e durissima denuncia contro gli scribi e i farisei (Mt 23,1-36) e una breve e tragica accusa contro Gerusalemme, la città che non si converte (Mt 23,37-39). È in questo contesto carico di tensione e pericoloso che Gesù pronuncia la parabola dei due figli che stiamo meditando.
2) Commento delle parole di Gesù riportate da Matteo:
a) Matteo 21,28-30: Un esempio preso dalla vita familiare:
- Che ve ne pare? La domanda è provocatoria. Gesù chiede agli uditori di fare attenzione e di dare una risposta. Nel contesto nel quale si trova la parabola, gli uditori invitati a dire l’opinione sono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo (Mt 21,23). Sono gli stessi che, per paura del popolo, non avevano voluto rispondere alla domanda sull’origine di Giovanni Battista: se veniva dal cielo o dalla terra (Mt 21,24-27). Gli stessi poi cercheranno un modo per arrestarlo (Mt 21,45-46).
- Un uomo aveva due figli. Gesù racconta il caso di un padre di famiglia che disse al primo figlio: “Figlio, vai oggi a lavorare nella vigna”. Il giovane rispose: “Ci vado”, ma poi non ci andò. Il padre disse la stessa cosa al secondo figlio. Questi rispose: “Non ci vado!”, ma poi ci andò. Gli ascoltatori, anche loro padri di famiglia, dovevano conoscere questo fatto per esperienza propria.
- Quale dei due ha fatto la volontà del padre? Qui Gesù termina la parabola esplicitando la domanda iniziale. La risposta dei sacerdoti e degli anziani viene subito: Il secondo! La risposta giunge rapidamente, perché si trattava di una situazione familiare ben nota ed evidente, vissuta da loro stessi nella propria famiglia e, molto probabilmente, praticata da tutti loro (e anche tutti noi) quando erano giovani. Così, nella realtà, la risposta era un giudizio non sopra i due figli della parabola, ma anche sopra loro stessi. Rispondendo il secondo, essi davano un giudizio sopra i loro stessi atteggiamenti. Poiché, in passato, tante volte avevano detto al padre: “Non ci vado!”, ma poi sotto la pressione dell’ambiente o del rimorso finivano per fare quello che il padre chiedeva. Nella risposta essi si mostrano come se fossero figli obbedienti.
- Ora, è esattamente in questo che consiste la funzione o “il tranello” della parabola: portare gli ascoltatori a sentirsi coinvolti nella storia, perché, usando come criterio la loro propria esperienza di vita, facciano un giudizio di valore di fronte alla storia raccontata nella parabola. Questo giudizio funzionerà subito come chiave per applicare la parabola alla realtà. Lo stesso procedimento didattico si verifica nelle parabole della vigna (Mt 21,41-46) e dei due debitori (Lc 7,40-46).
b) Matteo 21,31-32: L’applicazione della parabola:
- In verità vi dico che pubblicani e prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio! Usando come chiave la risposta data dagli stessi sacerdoti e anziani, Gesù applica la parabola al silenzio peccaminoso dei suoi uditori di fronte al messaggio di Giovanni Battista. La risposta che avevano dato diventa la sentenza della loro stessa condanna. In linea con questa sentenza i pubblicani e le prostitute sono quelli che, inizialmente, avevano detto no al padre e che, in seguito, avevano finito per fare la volontà del Padre, perché avevano ricevuto e accettato il messaggio di Giovanni Battista, come proveniente da Dio. Mentre loro, i sacerdoti e gli anziani, sono quelli che, inizialmente, avevano detto si al padre, ma non avevano fatto quello che il padre chiedeva, perché non vollero accettare il messaggio di Giovanni Battista, neppure davanti a tanta gente che lo accettava come messaggero di Dio.
- Così, per mezzo della parabola, Gesù inverte tutto: quelli che erano considerati trasgressori della Legge e condannati per questo, erano in verità quelli che avevano obbedito a Dio e tentavano di percorrere il cammino della giustizia; mentre quelli che si consideravano obbedienti alla legge di Dio, erano in verità quelli che disobbedivano a Dio.
- Il motivo di questo giudizio così severo da parte di Gesù sta nel fatto che le autorità religiose, sacerdoti e anziani, non volevano credere che Giovanni Battista fosse venuto da parte di Dio. I pubblicani e le prostitute, invece, l’avevano creduto. Questo significa che per Gesù lo sguardo contemplativo ? cioè la capacità di riconoscere la presenza attiva di Dio nelle persone e nelle cose della vita - non c’era nei sacerdoti e nemmeno nei capi, ma nelle persone che erano disprezzate come peccatori e impuri. Si può capire perché queste autorità decisero di prendere e uccidere Gesù, infatti “ascoltando queste parabole, capirono che era di loro che Gesù parlava” (Mt 21,45-46).
- Chi volesse applicare questa parabola oggi, provocherebbe, probabilmente, la stessa rabbia che Gesù provocò con la sua conclusione. Oggi succede lo stesso. Prostitute, peccatori, poveri, ignoranti, donne, bambini, laici, laiche, operai, indios, negri, carcerati, omosessuali, aidetici, ubriachi, drogati, divorziati, sacerdoti sposati, eretici, atei, operaie, ragazze madri, disoccupati, analfabeti, malati, cioè tutte le categorie delle persone che sono di solito emarginate, come non facenti parte del circuito religioso, queste persone, tante volte, hanno uno sguardo più attento per percepire il cammino della giustizia di quanto non riusciamo noi che viviamo tutto il giorno nella chiesa e facciamo parte della gerarchia religiosa. Per il fatto che una persona appartiene a una gerarchia religiosa non per questo possiede lo sguardo puro che le permette di percepire le cose di Dio nella vita.
c) Illuminando le parole di Gesù:
- Una nuova maniera di insegnare al popolo e di parlare di Dio. Gesù non era una persona che aveva studiato (Gv 7,15). Non aveva frequentato, come l’apostolo Paolo (At 23,3), la scuola superiore di Gerusalemme. Egli veniva dall’interno, da Nazareth, un piccolo paese della Galilea. Ora, arrivando a Gerusalemme, senza chiedere permesso alle autorità, questo falegname della Galilea aveva cominciato a insegnare al popolo sulla piazza del tempio! Diceva cose nuove. Parlava in modo diverso, divino! Il popolo era impressionato del modo di insegnare di Gesù: “Un nuova dottrina! Insegnata con autorità! Differente dagli scribi!” (Mc 1,22.27). Insegnare era quello che per lo più Gesù faceva, era la sua abitudine. Molte volte gli evangelisti dicono che Gesù insegnava. Se non sempre dicono quale era il contenuto dell’insegnamento, non è perché non avessero interesse al contenuto, ma perché il contenuto traspare non solo dalle sue parole, ma anche nei gesti e nella stessa maniera di comportarsi con il popolo. Il contenuto mai è slegato dalla persona che lo comunica. La bontà e l’amore che traspaiono nei suoi gesti e nella sua maniera di stare con gli altri sono parte del contenuto. Sono come la “tempera”: contenuto buono senza bontà è come latte sparso.
- L’insegnamento per mezzo di parabole. Gesù usava insegnare soprattutto attraverso le parabole. Aveva una capacità straordinaria di trovare paragoni per spiegare le cose di Dio, che non sono tanto evidenti, attraverso cose semplici ed evidenti della vita che il popolo conosceva ed esperimentava nella sua lotta quotidiana per sopravvivere. Questo suppone due cose: stare dentro alle cose della vita e stare dentro le cose di Dio, del Regno di Dio. Di solito Gesù non spiega le parabole, ma dice: “Chi ha orecchi per udire, ascolti!” Ossia: “Ecco, avete udito! Ora cercare di capire!”. Per esempio, l’agricoltore che ascolta la parabola del seme, dice: “La semente gettata nel terreno, io so che cos’è! Ma Gesù ha detto che questo ha a che fare con il Regno di Dio. Che vorrà mai dire?”. E da qui si possono immaginare le lunghe conversazioni e le discussioni del popolo. Un volta un vescovo domandò nella comunità: “Gesù disse che dobbiamo essere come sale. A che cosa serve il sale?”. Discussero e, alla fine, la comunità trovò più di dieci finalità per il sale! Di qui applicarono tutto questo alla vita della comunità e scoprirono che essere sale è difficile ed esigente. La parabola funzionò! In alcune parabole succedono cose che di solito non accadono nella vita. Per esempio, quando mai si è visto un pastore di cento pecore abbandonare le novantanove per andare a cercare l’unica che si era perduta? (Lc 15,4). Quando si è visto un padre accogliere in festa il figlio dissoluto, senza dire nemmeno una parola di rimprovero? (Lc 15,20-24). Dove si è visto un samaritano essere migliore di un levita o di un sacerdote? (Lc 10,29-37). Così la parabola provoca a pensare. Porta la persona a coinvolgersi nella storia e a riflettere su se stessa a partire dalla propria esperienza di vita e a confrontarla con Dio. Fa sì che la nostra esperienza ci porti a scoprire che Dio è presente nella ferialità della nostra vita. La parabola è una forma partecipativa di insegnare, di educare. Non dà tutto già in piccoli pezzi. Non fa sapere, ma sollecita a scoprire. La parabola cambia gli occhi, fa diventare contemplativa la persona, scrutatrice della realtà. Qui sta la novità dell’insegnamento delle parabole di Gesù, a differenza dei dottori che insegnavano che Dio si manifestava solo nell’osservanza della legge. Per Gesù, “Il Regno di Dio non è frutto di osservanza. Il Regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Is 63,19b-64,10;
Sal 76
Eb 9,1-12
Gv 6,24-35

Io sono il pane della vita
“Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. Il bisogno di un Dio vicino è la forza di ogni religiosità. Tutte le religioni ne ipotizzano forme e “vie”. Nella Bibbia l’esperienza di Israele giunge a dire: “Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui” (Lett.). Lì Dio s’è rivelato e si è fatto veramente vicino, segnando quella vicenda di popolo con “cose terribili che non attendevamo”, gesti cioè di liberazione e di salvezza tanto da creare la coscienza sicura di appartenergli come proprietà speciale: “Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo”. Ma era solo una premessa e la prefigurazione di un avvicinarsi di Dio che avrebbe scavalcato ogni barriera di tempo e spazio: prima con l’Incarnazione, e poi con l’invenzione sorprendente del sacramento dell’Eucaristia. Un Dio con noi, tutto per noi, che giunge ad essere quasi fisicamente in noi col “pane dal cielo, quello vero”.
Una tenda: Gerusalemme e il suo tempio furono il primo luogo fisico in cui era la ‘Presenza’ del Signore in mezzo al suo popolo: “Fu costruita una tenda, la prima; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’arca dell’alleanza, un’urna contenente la manna, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria” (Epist.). Lì si offrivano sacrifici da parte dei sacerdoti “per celebrarvi il culto”, e da parte del “sommo sacerdote, una volta all’anno, non senza portarvi il sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo”. Ma erano “doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande, di varie oblazioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate” (idem). La tenda e il tempio erano “solo figura del tempo presente”. È con l’incarnazione che Dio si fa una sua tenda tra gli uomini, “una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione”. Attesta san Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare (porre la tenda, nell’originale greco) in mezzo a noi” (Gv 1,14). Dio è ora presente “corporalmente con la pienezza della sua divinità” (Col 2,9) e può esercitare un sacerdozio efficace che tocca e trasforma la coscienza di ogni uomo: “Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna”, cioè definitiva. Quel desiderio di vicinanza era in realtà bisogno e sospiro di purificazione. “Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento” (Lett.). È la coscienza di una ribellione e di un distacco da Dio: “Abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli” (idem). Nasce quindi il pentimento e la certezza del perdono: “Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie”. Fino alla piena docilità nella mano buona di Dio che guida la vita di chi si fida di lui: “Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.
Il pane: La manna fu il segno della premura divina per Israele: “Sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo”. Ma ora c’è un altro segno, un altro pane, ben più vero di quello di Mosè: “Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero”. È la persona di Gesù, “perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Lui è la salvezza piena, ormai il pane definitivo per la sazietà dell’uomo: “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Tutta la sua opera è quanto ora Dio offre per la vita piena, divina ed eterna, dell’uomo: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12). Cioè a dire: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai”. “Signore, dacci sempre questo pane”. Chi cerca sinceramente la salvezza vera, non ha altra scelta che aderire a Gesù nella fede: “Questa è l’opera di Dio (ciò che Dio richiede da noi): che crediate in colui che egli ha mandato”. Non c’è da cercare altre salvezze, né in forme religiose, né tanto meno in salvezze umane. La decisione unica da prendere è cercare questo cibo che salva per sempre: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. Ritorna alla mente il primo richiamo di Gesù: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). E qui ora, in Gesù di Nazaret, v’è il Logos, la Parola divina fatta carne e persona concreta. Questo tema del cibo, e in particolare del pane, Gesù lo svilupperà in un altro sorprendente passo compiuto verso ogni uomo, con l’invenzione dell’Eucaristia. È il segno - il pane spezzato - che contiene e comunica la sua persona viva nell’atto stesso del compiere il suo sacrificio di salvezza. “Questo è il mio corpo dato per voi; fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). È il modo più pieno di assimilarci a Cristo, mangiando di lui: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). “Colui che mangia me, vivrà per me” (Gv 6,57). Quello del “lasciarsi mangiare” è il sogno tipico di un innamorato. Tale lo è il nostro Dio. Che “rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), discreto ma vivo nei nostri tabernacoli. Amante solitario, ma che ha sempre “sete” di noi (cfr. Gv 19,28).
Ritorniamo all’immagine del vasaio che plasma la nostra (ribelle) creta. Esprimiamogli la nostra disponibilità a lasciarci modellare da lui, con la bella preghiera di sant’Agostino: Mi consegno, Signore, nelle tue mani: gira e rigira questa argilla come il vaso che si fa nelle mani del vasaio! Dagli una forma, come vuoi; poi spezzala, se ti pare: è roba tua;... non ho niente da dire! A me basta che serva a tutti i tuoi disegni e che in nulla resista al progetto che tu hai su di me. Chiedi pure, ed esigi, Signore: che vuoi che io faccia? che vuoi che io non faccia? Successo o insuccesso, perseguitato o consolato, a letto o impegnato per le tue opere, utile o inutile in tutto, non mi resta che dire, sull’esempio di Maria: “Si faccia di me come tu vuoi!”.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 1 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Set 27, 2011 1:26 pm

SABATO 1 OTTOBRE 2011

SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO


Preghiera iniziale: O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna.

Letture:
Bar 4,5-12.27-29 (Chi vi ha afflitto con tanti mali vi darà anche una gioia perenne)
Sal 68 (Il Signore ascolta i miseri)
Lc 10,17-24 (Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli)

Il potere di camminare sui serpenti
Gesù affidando la sua missione agli apostoli e ai loro successori li dota di poteri speciali, garantisce loro la sua assistenza e la sua presenza perenne, fuga da loro ogni paura, li rende pronti ad ogni evenienza, anche all’insuccesso e alle persecuzioni. Li manda come agnelli in mezzo ai lupi, ma profetizza per loro una vittoria finale certa: «non prevarranno». Comprendiamo in questo contesto la gioia, quasi esplosiva dei discepoli che, al ritorno da una missione, hanno potuto costatare, quasi toccare con mano, la verità delle promesse di Cristo. Essi hanno sperimentato che la potenza del Signore si è trasferita in ciascuno di loro: «anche i demoni si sottomettono nel tuo nome». Gesù condivide la loro gioia, esulta nello Spirito Santo, rende grazie al Padre per aver rivelato ai «piccoli» i misteri del suo Regno e ribadisce le sue promesse esplicitandole ulteriormente. Oggi ben comprendiamo cosa significhi nella realtà storica «camminare sopra i serpenti e i scorpioni e sopra ogni potenza del nemico»; quel «sopra» ci indica l’oggetto della nostra fede e la dimensione umana ed escatologica della missione che Cristo ha affidato a tutti noi credenti. Ci ricorda anche che i criteri di giudizio per valutare l’efficacia del nostro operare per Lui sono anch’essi al disopra dei raziocini umani. Egli ha voluto però donarci di una speciale promessa, insita nella natura stessa della missione e del mandato e che sarà il motivo più profondo della nostra gioia: «rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo».
Il 1° ottobre la Chiesa ricorda Santa Teresa di Gesù Bambino, una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant’anni modello di tutta la Chiesa. Pio XI era molto devoto di santa Teresa di Gesù Bambino e la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento. Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie. I nostri pensieri vengono dall’orgoglio, quelli di Dio dall’umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge. Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte... il Signore le fece capire che c’è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l’abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. “Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre”. Il bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa. Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell’amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch’esso dono di Dio ed è tutt’altro che passività. Teresa fece di sé un’offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l’energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto. Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell’umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Riflessione:
- Contesto. In precedenza Gesù aveva inviato 72 discepoli, ora essi tornano e raccontano. Si può constatare che il successo della missione è dovuta all’esperienza della superiorità o meglio supremazia del nome di Gesù rispetto alle potenze del male. La disfatta di Satana coincide con l’avvento del Regno: i discepoli l’hanno vista nel presente della loro missione. Le forze demoniache sono state indebolite: i demoni si sottomettono al potere del nome di Gesù. Tale convinzione non può fondare la loro gioia e l’entusiasmo della loro testimonianza missionaria; la gioia ha la sua radice ultima nell’essere conosciuti e amati da Dio. Ciò non vuol dire che l’essere protetti da Dio e la relazione con lui ci ponga sempre in una situazione di vantaggio di fronte alle forze demoniache. Qui si inserisce la mediazione di Gesù tra Dio e noi: «ecco io vi ho dato il potere» (v.19). Quello di Gesù è un potere che ci fa sperimentare il successo nei confronti del potere demoniaco e ci protegge. Un potere che può essere trasmesso solo quando Satana viene sconfitto. Gesù ha assistito alla caduta di Satana, anche se non è ancora definitivamente sconfitto; a ostacolare questo potere di Satana sulla terra sono chiamati i cristiani. Essi sono sicuri della vittoria nonostante che vivano in una situazione critica: partecipano alla vittoria nella comunione d’amore con Cristo pur essendo provati dalla sofferenza e dalla morte. Tuttavia, il motivo della gioia, non sta nella certezza di uscirne indenni ma dall’essere amati da Dio. L’espressione di Gesù, «i vostri nomi sono scritti in cielo» testimonia che l’essere presenti al cuore di Dio (la memoria) garantisce la continuità della nostra vita nella dimensione dell’eternità. Il successo della missione dei discepoli è conseguenza della disfatta di Satana, ora, viene mostrata la benevolenza del Padre (vv.21-22): il successo della Parola di Grazia nella missione dei settantadue, vissuta come disegno del Padre e nella comunione alla resurrezione del Figlio, è fin d’ora, svelamento della benevolenza del Padre; la missione diventa spazio per lo svelamento del volere di Dio nel tempo umano. Tale esperienza è trasmessa da Luca in un contesto di preghiera: mostra da un lato la reazione nel cielo («io ti rendo grazie», v.21) e quella sulla terra (vv.23-24).
- La preghiera di giubilo. Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre, guidato dall’azione dello Spirito, si dice, che «esulta», esprime l’apertura della gioia messianica e proclama la benevolenza del Padre. Resasi evidente nei piccoli, nei poveri e in quelli che non contano nulla, perché hanno accolto la Parola trasmessa dagli inviati e così accedono alla relazione fra le persone divine della Trinità. Invece, i sapienti e i dotti, per la loro sicurezza si gratificano della loro competenza intellettuale e teologica. Ma tale atteggiamento li preclude ad entrare nel dinamismo della salvezza, donato da Gesù, L’insegnamento che Luca intende trasmettere ai singoli credenti, non di meno alle comunità ecclesiali, può essere così sintetizzato: l’umiltà apre alla fede; la sufficienza delle proprie sicurezze chiude al perdono, alla luce, alla benevolenza di Dio. La preghiera di Gesù ha i suoi effetti su tutti coloro che accolgono di lasciarsi avvolgere dalla benevolenza del Padre.

Per un confronto personale
- La missione di portare la vita di Dio agli altri comporta uno stile di vita povero ed umile. La tua vita è attraversata dalla vita di Dio, dalla Parola di grazia che viene da Gesù?
- Hai fiducia nella chiamata di Dio e nella sua potenza, che chiede di essere manifestata attraverso la semplicità, la povertà e l’umiltà?

1° ottobre: Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa
Biografia: Nacque ad Alençon in Francia nel 1873, da genitori cristiani. Compì i suoi studi presso le benedettine di Lisieux. Ancora giovinetta, dopo numerosi tentativi e suppliche ottenne il permesso di entrare nel monastero delle Carmelitane di Lisieux; praticò in modo particolare l’umiltà, la semplicità evangelica e la fiducia in Dio, e queste medesime virtù insegnò soprattutto alle novizie con la parola e con l’esempio. Nell’anno 1897 esalava l’ultimo respiro, era il 30 settembre. Fu canonizzata nel 1925. Giovanni Paolo II l’ha dichiarata Dottore della Chiesa il 19 ottobre 1997. La giovane santa, che aveva mantenuto la promessa di far cadere dal cielo una pioggia di rose, continua a irrorare la Chiesa.

Martirologio: Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa.

Dagli scritti
Dall’«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine
Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore
Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarmi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l’occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace. Continuai nella lettura e non mi perdetti d’animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1Cor 12,31). L’Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità é la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore é tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore é eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo grida: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione é l’amore. Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà (Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229).

Preghiera finale: Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi ti invoca. Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera e sii attento alla voce della mia supplica (Sal 85).
[u]
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 2 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Set 27, 2011 1:33 pm

DOMENICA 2 OTTOBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore in questa domenica voglio pregarti con una delle immagini più belle dell’Antico Testamento: «non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato». Continua a coltivarla e ad arricchirla del tuo amore di predilezione. I frammenti della tua Parola in questa liturgia domenicale siano motivo di speranza e di consolazione. Che io possa meditarli e lasciarli cantare nel cuore, fino all’ultimo giorno della mia vita; che la mia umanità, diventi grembo fecondo in cui può germogliare la forza della tua parola.

Letture:
Is 5,1-7 (La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele)
Sal 79 (La vigna del Signore è la casa d’Israele)
Fil 4,6-9 (Mettete in pratica queste cose e il Dio della pace sarà con voi)
Mt 21,33-43 (Darà in affitto la vigna ad altri contadini)

I frutti della vigna
Fra le tante suggestive immagini a cui il nostro Dio si paragona, è molto attraente quella del vignaiolo che si prende cura amorevole della sua vigna, attendendo poi il momento del raccolto per godere degli attesi frutti. Così il Signore Iddio si comporta con il suo popolo prediletto. Nulla lascia di intentato perché la sua vigna abbondi di splendidi grappoli. Purtroppo le legittime attese del Signore restano ripetutamente deluse per colpa delle infedeltà dei suoi amati. Che triste delusione! San Paolo è ben consapevole che spesso le infedeltà al Signore derivano dalle eccessive preoccupazioni per le cose della terra, quelle che ci fanno trascurare quelle ben più preziose del cielo. Vincere allora le inquietudini, le eccessive preoccupazioni assumendo un interiore atteggiamento di fiducioso e filiale abbandono al Padre nel fervore della preghiera, significa riassumere la linfa vitale che garantisce i frutti migliori e più abbondanti. Occorrono i doni dello Spirito per essere sapienti e saggi. Non solo un popolo prediletto può sperimentare l’infedeltà, ma perfino i capi religiosi, quelli che dovrebbero essere i primi testimoni, sacerdoti, dottori della legge, scribi e farisei cadono nella tentazione della falsità e dell’ipocrisia. La responsabilità in questi casi si accresce a dismisura e il peccato diventa di una particolare gravità. Non solo non si compie il bene, ma si impedisce ad altri di compierlo. Il peccato diventa motivo di gravissimo scandalo ed è duramente condannato dal Signore: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare». Accogliere con infinita gratitudine la parola di Dio e coloro che ce la porgono è uno dei doveri principali del cristiano. È la garanzia che rende veramente fruttuosa la nostra vita agli occhi di Dio e anche del nostro prossimo.
La parabola dei vignaioli omicidi è di un realismo tale che potremmo considerarla come una teologia della storia. L’omicidio è l’apogeo di una infedeltà continua, che nasconde naturalmente ingratitudine. È la storia dell’umanità e quella di ogni uomo, con i nostri limiti, le nostre ingiustizie, la nostra avarizia, le nostre ambizioni. Noi reagiamo spesso così davanti al bene che riceviamo dai nostri simili. Noi agiamo spesso così davanti alla bontà di Dio. Siamo dei cattivi amministratori, che cominciano commettendo il grave errore di credersi padroni del regno e il minimo potere ci disturba, anche quello di Dio, assoluto ma non dominatore. Noi non ci troviamo al posto che dovremmo occupare, e ci piacerebbe vietare l’ingresso nel regno a coloro che vogliono entrarci. L’atteggiamento di Dio differisce completamente dal nostro. Ci ama allo stesso modo; ma non tollera che i suoi figli non mangino il pane che egli offre loro e che per di più si ostinino ad impedire agli altri di mangiarlo. Noi ci sbagliamo in tutto. E proprio quando ci sentiremo più sicuri, verremo privati dei nostri doni, perché non possediamo, anche se lo crediamo, alcuna esclusività. È necessario che scopriamo Cristo come pietra angolare dell’edificio in pietre vive che è la Chiesa, alla quale siamo stati introdotti con il battesimo. Cerchiamo con coraggio di produrre frutti per raggiungere il regno dei cieli.

Approfondimento del Vangelo (La parabola degli operai omicidi)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Contesto: La parabola degli operai omicidi è racchiusa da Matteo nella cornice di altre due parabole: quella dei due figli (21,28-32) e quella del banchetto di nozze (22,1-14). Insieme le tre parabole contengono una risposta negativa: quella del figlio al padre, di alcuni contadini al padrone della vigna, di certi invitati al re che celebra le nozze del suo figlio. Le tre parabole tendono a mostrare un unico punto: si tratta di coloro che, come non hanno accolto la predicazione e il battesimo di Giovanni, ora sono unanimi nel rifiuto dell’ultimo inviato di Dio, la persona di Gesù. L’introduzione alla prima parabola di 21,28-33 è da ritenersi anche per la parabola degli operai omicidi: Giunse al tempio e mentre insegnava i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo gli si avvicinarono domandandogli: Con quale autorità agisci così? Chi ti ha dato questa autorità? É l’aristocrazia sacerdotale e quella secolare ad avvicinarsi a Gesù quando egli entra nel tempio. Sono preoccupati della popolarità di Gesù e pongono delle domande a Gesù per sapere due cose: che tipo di autorità si attribuisce nel fare quello che fa’, e la provenienza di tale autorità. In realtà la seconda risolve il quesito della prima. I sommi sacerdoti e i capi del popolo esigono una prova giuridica: non si ricordano più che i profeti avevano autorità direttamente da Dio.

Un momento di silenzio orante: La parola di Dio non la si può comprendere se Dio stesso non apre il cuore (At 16,14). A noi, però, compete l’ascolto che è adesione, assenso silenzio. Per non far prevalere la curiosità sull’ascolto, sosta in silenzio davanti alla Parola...

Interpretare il testo:
a) Invito all’ascolto: La parabola si apre con un invito ad ascoltare: Ascoltate un’altra parabola (v.33). Gesù sembra reclamare l’attenzione dei dirigenti del popolo per la parabola che sta per pronunciare. É un’ imperativo, «ascoltate», che non esclude un senso minaccioso (Gnilka), se si fa attenzione a come la parabola termina: «Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare» (v.43). Al contrario, ai suoi discepoli Gesù spiega la parabola del seminatore senza rimprovero (Mt 13,18). Quale sarebbe la spiegazione di questo invito un po’ minaccioso ad ascoltare? Il presupposto è da ricercarsi nelle condizioni economiche della Palestina nel 1° sec d.C.: grandi appezzamenti di terreno appartenevano ai latifondisti stranieri, i quali affittavano i terreni a gruppi di fittavoli. L’accordo di locazione prevedeva che parte del ricavato del raccolto andasse al padrone, il quale esercitava il suo diritto inviando dei fiduciari a riscuotere il dovuto. In questa situazione si può comprendere come lo stato d’animo dei contadini fosse duramente provato: vigeva un forte scoramento che talvolta sfociava nella rivolta. Gesù nella sua parabola attinge a questa situazione concreta ma la trasporta ad uno stato di comprensione più alto: quella situazione diventa un compendio della storia di Dio col suo popolo. Per Matteo il lettore è invitato a fa una lettura simbolica della parabola: dietro il «padrone» c’è la figura di Dio; dietro la vigna, Israele.
b) La cura attenta del padrone per la sua vigna (v.33): Innanzitutto c’è l’iniziativa di un padrone che pianta una vigna. Tale attenzione e cura viene descritta da Matteo con cinque verbi: piantò... circondò... scavò... costruì... affidò. Il padrone, dopo aver piantato la vigna, l’affida a dei fittavoli e parte lontano.
c) I diversi tentativi da parte del padrone di riscuotere i frutti della vigna (vv.34-36): In questa seconda scena il padrone invia per due volte i servi che, incaricati dal padrone di riscuotere i frutti della vigna, sono malmenati e uccisi. Tale azione aggressiva e violenta viene evidenziata con tre verbi: bastonarono... uccisero... lapidarono... (v.35). Inviando ulteriori servi, più numerosi dei primi, e intensificando i maltrattamenti subiti, Matteo intende alludere alla storia dei profeti, anch’essi ebbero gli stessi maltrattamenti. Alcuni da ricordare: Uria viene ucciso con la spada (Ger 26,23); Geremia viene messo in ceppi (Ger 20,2); Zaccaria è lapidato (2 Cr 24,21. Una sintesi di questo particolare della storia profetica si trova in Neemia 9,26: «hanno ucciso i tuoi profeti...»
d) Per ultimo invia il figlio: Il lettore è invitato a riconoscere nel figlio mandato per «ultimo» l’inviato ultimo di Dio di cui avere rispetto e consegnargli i frutti della vigna. É l’ultimo tentativo del padrone. L’indicazione da «ultimo» lo definisce come Messia. Non si esclude, inoltre, che questo progetto di eliminazione del figlio sia modellato su quello di un’altra storia dell’AT: i fratelli di Giuseppe che dicono: «Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna!» (Gn 37,20). Il racconto della parabola raggiunge il suo vertice drammatico con l’esito della missione del figlio: il quale viene ucciso dai fittavoli-vignagnoli nell’intento così di impossessarsi della vigna e usurpare l’eredità. Il destino di Gesù viene accostato a quello dei profeti, ma, in quanto, figlio ed erede è superiore ad essi. Tali accostamenti Cristologici si possono rintracciare nella Lettera agli Ebrei, dove, però, viene mostrata la superiorità di Cristo come figlio ed erede dell’universo: «Dio, che aveva parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente... ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose...» (vv.1-2). C’è un particolare in questa finale della parabola che non và trascurato: Matteo anteponendo il gesto, «lo cacciarono fuori dalla vigna» e facendo seguire l’altro, «l’uccisero», intende decisamente alludere alla passione di Gesù, in cui viene condotto fuori per essere crocifisso.
e) La consegna della vigna ad altri contadini (v.42-43): La parte finale del racconto parabolico afferma la perdita del regno di Dio e la sua cessione a un altro popolo capace di portare frutti, cioè capace di una fede viva ed operante in una prassi d’amore. L’espressione «perciò vi dico... sarà tolto e sarà dato...» indica la solennità dell’azione di Dio con cui viene segnata la storia dell’antico d’Israele e quella del nuovo popolo.

Piste meditative per la prassi ecclesiale:
- Il simbolo della vigna è per noi lo specchio nel quale vedere e riflettere la storia personale e comunitaria del nostro rapporto con Dio. Oggi è la chiesa questa grande vigna che il Signore coltiva con cura e che affida a noi, vignaioli (= collaboratori), con il compito di continuare la missione da lui iniziata. Certamente la proposta è grande. Tuttavia, come chiesa, siamo coscienti della tensione che esiste tra la fedeltà e l’infedeltà, tra il rifiuto e l’accoglienza che la chiesa può sperimentare. Il vangelo di questa domenica ci mostra che, nonostante le difficoltà e le apparenti fragilità, nulla può fermare l’amore di Dio per gli uomini, neppure l’eliminazione del suo Figlio, anzi questo sacrificio procura a tutti la salvezza.
- Siamo chiamati a stare con Gesù per continuare la sua missione di aiutare l’uomo ad incontrarsi con lui per essere salvato; lottare ogni giorno per contenere le forze del male che tentano di eliminare l’anelito a compiere il bene e promuovere la giustizia.
- Come Chiesa siamo chiamati a imparare, sull’esempio di Gesù, a sperimentare la contestazione e a essere capaci di sopportare le difficoltà nel nostro impegno di evangelizzazione.
- Ritieni che le prove educano il nostro cuore? E che le difficoltà possono essere uno strumento per misurare la nostra autenticità e la solidità della nostra fede?

Preghiera finale: Signore, quante volte l’amore è ripagato con l’ingratitudine più nera. Non c’è nulla di più distruttivo del sentirsi traditi, del vedersi presi in giro, del sapere di essere stati ingannati. Ancora più difficile è il constatare che tanti gesti di bontà, di generosità, di apertura, di tolleranza, come anche tante parole dette con sincerità e infine l’impegno a essere solidale e sincero non sono serviti a niente. Signore, tu che hai conosciuto l’ingratitudine degli uomini. Tu che sei stato paziente con chi ti aggrediva. Tu che sei stato sempre misericordioso, mite, aiutaci a combattere la nostra inflessibile durezza verso gli altri. Anche noi ti rivolgiamo l’invocazione del salmista: «Non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato». La nostra preghiera, dopo questo incontro con la tua Parola, diventi una supplica sempre più penetrante così da giungere al tuo cuore: «Rialzaci Signore, mostraci il tuo volto e noi saremo salvi». Signore, abbiamo estremo bisogno della tua misericordia e finché nel nostro cuore ci sarà il desiderio e la ricerca del tuo volto, la via della salvezza è sempre aperta. Amen!

2 ottobre: Angeli Custodi
Biografia: La festa dei Santi Angeli custodi per molto tempo ha formato un tutt’uno con quella di San Michele Arcangelo. Dal secolo XVI si è cominciata a celebrare una festa distinta per i Santi Angeli custodi, estesa da Paolo V nel 1608 a tutta la Chiesa universale ed è stata fissata al 2 ottobre. Il ruolo tutto particolare nella nascita della festa liturgica hanno avuto i monaci del nostro Ordine Silvestrino e precisamente del Monastero di Santo Stefano in Roma, presso il quale vi era molto fervente la Confraternita dedita al culto dell’Angelo Custode. Proprio alla richiesta del Priore del monastero il papa acconsentì all’istituzione della celebrazione liturgica, estendendola a tutta la Chiesa. Gli angeli hanno come scopo principale l’adorazione della divinità; anche la Chiesa ci fa chiedere a Dio, nel prefazio, di permetterci di unire le nostre voci alle loro, per lodarlo. Ma, come indica il loro nome, essi sono anche i messaggeri di Dio, incaricati di vegliare sopra di noi e di eseguire i suoi comandi. Per questo motivo sono chiamati angeli custodi. Ogni essere battezzato ha il suo angelo custode. Egli (esso) ha la missione di proteggerci e di difenderci, di metterci al riparo dagli assalti del demonio e dei nemici della nostra anima affinché noi possiamo giungere alla vita eterna. Questo fedele compagno merita la nostra riconoscenza e la venerazione che conviene ad un santo che gode della visione di Dio in cielo.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
Ti custodiscano in tutti i tuoi passi
«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90,11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos’é l’uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino. «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo. Tutto l’amore e tutto l’onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto é degli angeli e quanto é nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore. Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto luogo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi? Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo (Disc. 12 sul salmo 90: Tu che abiti, 3,6-8; Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 458-462).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Dt 6,4-12
Sal 17
Gal 5,1-14
Mt 22,34-40

Qual è il più grande comandamento?
La grande sfida sottile che agita il nostro mondo è proprio questa: da una parte quelli che dicono di stare dalla parte dell’uomo, per il suo riscatto, per la giustizia, per la sua promozione..., per i quali Dio non serve a niente; dall’altra quelli che stanno dalla parte di Dio, tutto preghiera e chiesa, e che sono accusati di evadere i problemi concreti della storia. Dio o l’uomo? Che cosa conta di più? Che cosa bisogna fare? Se a bruciapelo ti si domandasse: “Qual è il più grande comandamento?”, qual è il nocciolo del vangelo? Volersi bene - risponderebbe la maggior parte della gente - l’amore del prossimo! È giusto. Ma è tutto? Ascoltiamo Gesù che sembra dirci qualcosa di diverso e di assolutamente rivoluzionario.
Amerai il Signore Dio tuo: Gesù non ci pensa due volte di fronte a quella domanda: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?” e risponde il contrario di noi: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti”. Si deforma il pensiero di Gesù dire che la vita cristiana è solo amore fraterno. La risposta di Cristo riflette la sua vita. Egli è stato l’uomo tutto rivolto a Dio: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). Certamente il grande e primo amore di Gesù è Dio, suo Padre. Solamente al vederlo pregare, impressionava: erano spazi che privilegiava. Fin dall’adolescienza aveva chiara coscienza che “doveva occuparsi delle cose del Padre suo” (Lc 1,49). E “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”, cioè con pienezza di passione e coerenza di vita. Quel “tutto” ripetuto tre volte dice l’assoluta esclusione di ogni altro idolo: il denaro, il sesso, il potere, l’interesse, l’orgoglio...! Una radicalità che ci interpella: il tuo stile di vita manifesta in modo totale che Dio è il tuo solo Dio? Il tuo vestire, la tua casa, il tuo lavoro.. manifestano che tu ami Dio? Dio è il tuo vero bene, che non puoi perdere? Tendi verso di Lui pur dovendo utilizzare altri beni intermedi e vivere altri amori? Solo questo del resto dà senso alla vita. Dio s’è comunicato all’uomo per avere da lui una risposta d’amore e di vita. Dio si rivela all’uomo per chiamarlo ad un dialogo e ad una partecipazione piena alla sua vita intima, entro la Trinità. Questo è l’unico e vero destino d’ogni persona, l’unica sua riuscita e felicità: “Come tu, Padre - prega Gesù - sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Amare Dio non è un di più, ma costituisce l’anima d’ogni altra attività, la cornice che dà sostegno al quadro. Solo questo itinerario matura la nostra identità interiore. “Ci hai fatti per te, Signore e niente ci realizza al di fuori di te” (sant’Agostino).
Amerai il prossimo tuo: Prosegue Gesù: “E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”. La novità di Gesù sta proprio in questo accostamento, in questo “essere simili” dei due comandamenti. Non si può opporre Dio all’uomo né l’uomo a Dio; per Gesù non c’è concorrenza tra i due amori. Dichiarerà al giudizio finale: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). San Giovanni scrive: “Se uno dicesse: Io amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv 4,20-21). La risposta sta nel fatto che “la passione di Dio è l’uomo vivente” (sant’Ireneo). “Dio non ha risparmiato neanche il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). Gesù ha detto di sé: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici” (Gv 15,13). A tale amore ci ha invitati a rispondere con l’amarci tra noi: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15,12). L’amore del prossimo diventa modo concreto e verifica dell’amore verso Dio. L’amore del prossimo deve essere prolungamento e incarnazione dell’amore che Dio riversa su ogni uomo. Questa è propriamente la vocazione e la missione del cristiano. Bisogna educarci a questo equilibrio: se per te il senso dell’uomo è più forte, insisti sul senso di Dio nella tua vita; se al contrario sei troppo verticalista e Dio ti è più spontaneo, allora preoccupati di più del servizio agli altri. Altrimenti la tua non è una fede giusta. “Che giova, fratelli miei, - esorta san Giacomo - se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti di cibo quotidiano e uno di voi dice loro: ‘Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi’, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa” (Gc 2,14-17). La rivoluzione della religione di Gesù è d’aver umanizzato l’amore di Dio e divinizzato l’amore dell’uomo! Il mistero dell’Incarnazione - questo sposalizio ormai indivisibile tra umanità e divinità - è la sorpresa, l’originalità e il sigillo divino della nostra fede, rendendola unica e più umana di tutte.
Quando manca il primo, il secondo comandamento non si regge in piedi da solo. L’aver voluto - nella nostra società secolarizzata - “la morte di Dio”, sta causando la distruzione dell’uomo. L’ideologia marxista diceva che amare Dio era alienazione, era sprecare in cielo i tesori destinati alla terra! Abbiamo visto tutti quali sono stati i frutti di questo amore ateo del prossimo. L’uomo non è mai garantito in pieno da violenze, manipolazioni e strumentalizzazioni se non là dove Dio è riconosciuto come suo creatore e Padre. Solo il senso religioso fonda fraternità e rispetto dei diritti d’ogni persona umana! L’umanesimo cristiano rimane alla fine l’unico ancora possibile.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 8 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 04, 2011 4:13 pm

SABATO 8 OTTOBRE 2011

SABATO DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.

Letture:
Gl 4,12-21 (Date mano alla falce, perché la messe è matura)
Sal 96 (Gioite, giusti, nel Signore)
Lc 11,27-28 (Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio)

Per essere davvero di Cristo
Non è la parentela o il vincolo di sangue a garantire la migliore comunione con Cristo. Non è questa neanche certezza di salvezza. Gesù lo dichiara anche a coloro che traevano vanto perché «figli di Abramo». Dalla folle si leva un grido che proclama beato il grembo che ha portato Gesù e il seno da cui Egli ha preso il latte. È evidente il riferimento a Maria santissima, la madre del Cristo; quella voce adempie tra l’altro una profezia che la stessa Madre aveva fatto nel suo canto di lode al Signore, nel Magnificat: «tutte le generazioni mi chiameranno beata». Gesù con la sua solenne affermazione: «beati piuttosto coloro che ascoltano la Parole di Dio e la osservano», non solo conferma e accresce la beatitudine di Maria, la donna dell’ascolto, ma la estende a tutti coloro che, come Lei, accolgono la Parola di Dio e la fanno fruttificare nelle opere della vita. In un passo analogo, lo stesso Cristo dice che coloro che l’ascoltano diventano per lui, fratello sorella e madre. Gesù ci invita quindi a contrarre con lui una parentela spirituale che sgorga dalla comunione nella Parola e nella vita e ha il suo culmine nell’eucaristia. Uno dei testi più preziosi della cristianità è L’imitazione di Cristo, un piccolo libro che conduce il lettore alla migliore unione con il Dio, modellando tutta la vita con quella di Gesù.
Il Signore ci mostra sempre la via della gioia vera, profonda e ci aiuta a distinguere tra felicità e felicità. Nel Vangelo troviamo una cosa meravigliosa: Gesù, mentre apparentemente esprime un certo rifiuto, proclama la beatitudine di sua madre. “Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” esclama una donna tra la folla, e Gesù risponde: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”. Non nega che per la Madonna fu una grande gioia essere sua madre, ma dice che nella sua gioia c e un elemento più profondo. Sappiamo che Maria aveva rinunciato alla maternità, che non era per lei essenziale; essenziale era essere la serva del Signore, ascoltare la parola di Dio e custodirla. Due volte nella sua vita Dio le domandò la rinuncia alla maternità: prima dell’annuncio dell’Angelo e sul Calvario, quando Maria, in un certo senso, rinnovò la sua rinuncia accettando il sacrificio del Figlio, accettando di non essere più madre di un figlio vivo. Ma domandandole questo sacrificio così grande Dio le diede molto di più: la unì a se, le rivelò i suoi disegni e fece di lei la collaboratrice a questi divini disegni, a un livello profondissimo. In ogni chiamata di Dio ci sono molti aspetti ed è importante attaccarsi al più autentico, al più profondo. Questo si verifica anche in ogni situazione, che presenta vantaggi umani e vantaggi spirituali. C’è il rischio di attaccarsi agli aspetti più umani e di entrare in casi terribili quando questi vengono meno. Se invece guardiamo all’aspetto più profondo siamo al sicuro, perché se è necessario farne sacrificio sappiamo comunque che non viene meno il rapporto con Dio, la nostra vita segreta con lui. Faccio un esempio concreto. Molte volte mi sento dire: “Come è fortunato di essere a Roma, nel centro della cristianità, in una città così interessante, e vicino al santo Padre!”. Ed è vero: è un dono di Dio di cui devo essere riconoscente. Però, se mi attaccassi a questa situazione per i vantaggi che presenta, dimenticherei l’aspetto essenziale, al quale invece devo tenere assolutamente, ed è che sono qui per il servizio di Dio, per obbedire a lui, perché è lui che l’ha voluto. Se abbiamo queste disposizioni, siamo sicuri che non ci mancherà mai la gioia vera, anche quando il Signore ci chiedesse il sacrificio di una situazione che ci dà gioia. “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”, la parola di Dio che ci rivela il suo mistero e il suo disegno d’amore, la parola che è anche la sua volontà, che è nutrimento della nostra anima, come era il cibo di Gesù. Domandiamo per noi e per le persone che amiamo la grazia di essere attaccati a ciò che davvero è essenziale, per essere liberi di fare gioioso sacrificio al Signore di tutto quanto egli vorrà chiederci per farci crescere nel suo amore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi è molto breve, ma ha un significato importante nell’insieme del vangelo di Luca. Ci dà la chiave per capire ciò che Luca insegna rispetto a Maria, la Madre di Gesù, nel così detto Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2).
- Luca 11,27: L’esclamazione della donna. “In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!»”. L’immaginazione creativa di alcuni apocrifi suggerisce che quella donna era una vicina di Nostra Signora, lì a Nazaret. Aveva un figlio, chiamato Dimas, che, con altri ragazzi della Galilea di quel tempo, entrò in guerra con i romani, fu fatto prigioniero e messo a morte accanto a Gesù. Era il buon ladrone (Lc 23,39-43). Sua madre, avendo sentito parlare del bene che Gesù faceva alla gente, ricordò la sua vicina, Maria, e disse: “Maria deve essere felice con un figlio così!”.
- Luca 11,28: La risposta di Gesù. Gesù risponde, facendo il più grande elogio di sua madre: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”. Luca parla di Maria qui (Lc 11,28) e nel Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2). Per Luca, Maria è la Figlia di Sion, immagine del nuovo popolo di Dio. Rappresenta Maria modello per la vita delle comunità. Nel Concilio Vaticano II, il documento preparato su Maria fu inserito nel capitolo finale del documento Lumen gentium sulla Chiesa. Maria è modello per la Chiesa. E soprattutto nel modo in cui Maria si rapporta con la Parola di Dio Luca la considera esempio per la vita delle comunità: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Maria ci insegna come accogliere la Parola di Dio, come incarnarla, viverla, approfondirla, farla nascere e crescere, lasciare che ci plasmi, anche quando non la capiamo, o quando ci fa soffrire. Questa è la visione che soggiace al Vangelo dell’Infanzia (Lc 1 e 2). La chiave per capire questi due capitoli ci è data dal vangelo di oggi: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”. Vediamo come in questi capitoli Maria si mette in rapporto con la Parola di Dio:
a) Luca 1,26-38: L’Annunciazione: “Si faccia in me secondo la tua parola!”. Sapere aprirsi, in modo che la Parola di Dio sia accolta e si incarni.
b) Luca 1,39-45: La Visitazione: “Beata colei che ha creduto!”. Saper riconoscere la Parola di Dio in una visita ed in tanti altri fatti della vita.
c) Luca 1,46-56: Il Magnificat: “Il Signore ha fatto in me prodigi!”. Riconoscere la Parola nella storia della gente e pronunciare un canto di resistenza e di speranza.
d) Luca 2,1-20: La Nascita: “Lei meditava tutte queste cose nel suo cuore”. Non c’era posto per loro. Gli emarginati accolgono la Parola.
e) Luca 2,21-32: La Presentazione: “I miei occhi han visto la tua salvezza!”. I molti anni di vita purificano gli occhi.
f) Luca 2,33-38: Simeone ed Anna: “Una spada trafiggerà la tua anima”. Accogliere ed incarnare la parola nella vita, essere segno di contraddizione.
g) Luca 2,39-52: Ai dodici anni, nel tempio: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Loro non compresero la Parola che fu detta!
h) Luca 11,27-28: L’elogio alla madre: “Beato il grembo che ti ha portato!”. Beato chi ascolta e mette in pratica la Parola.

Per un confronto personale
- Tu riesci a scoprire la Parola viva di Dio nella tua vita?
- Come vivi la devozione a Maria, la madre di Gesù?

Preghiera finale: Cantate al Signore canti di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore (Sal 104).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 9 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 04, 2011 4:16 pm

DOMENICA 9 OTTOBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.

Letture:
Is 25,6-10 (Il Signore preparerà un banchetto, e asciugherà le lacrime su ogni volto)
Sal 22 (Abiterò per sempre nella casa del Signore)
Fil 4,12-14.19-20 (Tutto posso in colui che mi dà forza)
Mt 22,1-14; forma breve Mt 22,1-10 (Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze)

Invitati
Il banchetto che Dio ha preparato per noi è una grande festa di nozze. Lo sposo è il suo Figlio prediletto, Gesù Cristo. Egli è venuto per rinsaldare i vincoli di amore, che sin dalla creazione ci legavano al nostro Creatore e Padre. Le vivande sono già pronte sulla mensa, le festa è iniziata con la sua venuta tra noi. Egli ci nutre con la sua Parola e poi, egli stesso si farà nostro cibo e nostra bevanda, dandoci la sua carne e il suo sangue. I motivi della festa sono la sua presenza, il nostro ritorno nella casa del Padre, la nostra riconciliazione e soprattutto la riscoperta dell’amore di Dio per noi. Per le nozze siamo rivestiti di un abito nuovo, di una nuova dignità. Non siamo più schiavi, ma liberi e quindi a pieno titolo, annoverati tra gli invitati alle nozze. In questo contesto comprendiamo la gravità del rifiuto e di conseguenza i beni incommensurabili che colpevolmente perdiamo. Speriamo di non dover mai essere annoverati tra coloro che invitati, rifiutano l’invito perché affaccendati per le sciocchezze del mondo e ancor meno tra coloro che al rifiuto aggiungono l’aggravante della violenza sugli inviati di Dio. Abbiamo almeno l’astuzia e la sapienza di farci trovare ai crocicchi delle strade per la seconda convocazione, pronti ad indossare l’abito nuziale della grazia e della riconciliazione per poi essere ammessi al convito di Dio. Ora quel banchetto è approntato settimanalmente nel giorno in cui Cristo ripete le sue nozze con l’umanità nel banchetto eucaristico; la vivanda che rigenera è Lui, nel suo corpo e nel suo sangue. È lui la vittima immolata sull’altare del mondo, è Lui risorto che ci fa risorgere e ci infonde una vita nuova, è Lui che ci fa riscoprire la gioia della fraternità, affogando nel suo calice tutti i veleni che inquinano la vita degli uomini e del mondo. Anche tu, sicuramente sei tra gli invitati; il Signore attende la tua risposta.
Come riuscirà la Chiesa, Sposa di Cristo, a presentare agli uomini del nostro mondo, della nostra società post-cristiana, l’incredibile invito del Padre alle nozze di suo Figlio? Come far sedere alla tavola di questo “banchetto di grasse vivande, di cibi succulenti, di vini raffinati” un’umanità apparentemente senza appetito? Questo compito appassionante di tutta la Chiesa - questa nuova evangelizzazione - deve occupare tutti i figli del nuovo popolo di Dio. Ne va di mezzo la vita e la vita del mondo. Sembra che annunciare l’invito con un nuovo ardore, con nuovi metodi, con una nuova espressione non sia un mezzo superato. Alcuni tra coloro che trasmettono questo invito alle nozze saranno forse maltrattati, forse uccisi. Ci saranno certamente quelli che rifiutano l’invito. Poco importa. C’è gente agli angoli delle strade. Basta annunciare con convinzione che noi andiamo a un banchetto, che l’invito di Cristo è arrivato fino a noi e che noi conosciamo le portate. Basta sapere che noi possiamo tutto in colui che ci conforta. L’annunciamo così? Siamo convincenti perché abbiamo già partecipato a questo banchetto? Non c’è niente di più ripugnante di coloro le cui parole ripetono quello che dicono gli altri, senza dare prova di alcuna esperienza.

Approfondimento del Vangelo (L’invito universale al banchetto del Regno)
Il testo: In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Il contesto: Il significato della parabola risulta molto chiaro se la leggiamo nel suo contesto. Essa segue immediatamente un’altra parabola sul Regno (21,33-43) e fa parte di una disputa di Gesù con i sommi sacerdoti e i farisei sulla sua missione e autorità (vedi 21,23-46). Nella parabola precedente, la parabola della vigna, Gesù fa un riassunto della storia della salvezza. Dio circondava Israele con attenzione particolare e aspettava che tanta cura avrebbe prodotto frutto in una vita di fedeltà e giustizia. Di tempo in tempo inviava i profeti per ricordare al popolo il frutto che Dio attendeva, ma la loro missione incontrava sempre il rifiuto da parte di Israele. Finalmente Dio inviò il proprio Figlio, ma questi fu ucciso. A questo punto Gesù dichiara che siccome Israele continuava a rifiutare il Regno, questo passerà ad un altro popolo, cioè ai pagani (21,43). Questa frase ci offre la chiave di lettura per la nostra parabola che in realtà ripete il messaggio della precedente con un’altra immagine e altre sfumature. Bisogna dirlo chiaramente. Le due parabole non possono giustificare in nessun modo l’idea che Dio avrebbe ripudiato Israele in favore della Chiesa. Basta leggere Rom 9-11 per convincersi del contrario. Gesù usa un discorso duro, di tipo profetico, per indurre il suo popolo al pentimento e farsi accettare da lui. D’altronde, anche i pagani, divenuti i nuovi invitati, corrono il rischio di venire gettati fuori se non sono trovati rivestiti dell’abito nuziale.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella riflessione personale.
a) Chi rappresentano gli invitati che rifiutano l’invito?
b) Chi rappresentano i nuovi invitati trovati per strada?
c) Chi rappresenta l’uomo senza abito nuziale?
d) Ci sono nella mia vita degli “affari urgenti” che mi impediscono di accettare l’invito di Dio?
e) Quale è l’abito nuziale richiesto da me concretamente per poter partecipare al banchetto nuziale del Regno di Dio?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento:
- Il banchetto del Regno: I profeti diverse volte annunciarono i beni della salvezza e specialmente quelli dei tempi escatologici con l’immagine di un banchetto. La prima lettura della liturgia di questa domenica (Is 25,6-10a) ne è un esempio. Anche Isaia, al pari di Gesù, parla di un banchetto preparato da Dio per tutti i popoli, però il popolo d’Israele e più specificamente la città eletta di Gerusalmme, restano al centro del progetto di Dio, come mediatori della salvezza che Dio offre a tutti. Nel Nuovo Testamento, invece, pur riconocendo che “la salvezza viene dai Giudei” (Gv 4,22), l’unico mediatore della salvezza è Gesù, che continua a esercitare la sua mediazione attraverso la comunità dei suoi discepoli, la Chiesa.
- L’abito nuziale: È un offesa a chi ti ha invitato di andare alla festa con l’abito ordinario da lavoro. È un segno che non tieni nella dovuta considerazione l’occasione a cui sei invitato. Questa immagine, utilizzata nella parabola del banchetto del Regno, vuol significare che non si entra nel Regno senza essersi preparati; l’unico modo per prepararsi ad esso è la conversione. Infatti, cambiare vestito nel linguaggio biblio indica cambiare stile di vita ovvero convertirsi (vedi ad esempio, Rom 13,14; Gal 3,27; Ef 4,20-24).
- “Molti i chiamati, pochi gli eletti”: L’espresione è un semitismo. Nell’assenza del comparativo, l’ebraico biblico usa espressioni fondate su drastiche opposizioni. Per cui questa espresione non dice niente sulla relazione numerica tra i convocati nella Chiesa e gli eletti per la vita eterna. Però è anche vero che la parabola distingue tra la chiamata alla salvezza e l’elezione e perseveranza finale. La generosità del re è immensa, ma bisogna prendere sul serio le esigenze del Regno. L’espressione è un pressante appello a non accontentarsi di una appartenenza formale al popolo di Dio. Non si può dare per scontato la salvezza. In questo Gesù segue da vicino l’insegnamento dei profeti. Basti ricordare Ger 7,1-15 e Os 6,1-6.

Orazione finale: O Dio, Signore del mondo e re di tutti i popoli, tu hai preparato da sempre una festa per i tuoi figli e ci vuoi radunare tutti attorno alla tua mensa per partecipare alla tua stessa vita. Ti ringraziamo per averci chiamati nella tua Chiesa per mezzo di Gesù tuo Figlio. Il tuo Spirito ci renda sempre attenti e disponibili per continuare ad accogliere il tuo invito e ci rivesta dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e ealla santità vera, a immagine di Cristo, per poter entrare alla festa del tuo Regno insieme con una moltitudine di sorelle e fratelli. Serviti anche di noi, se lo desideri, per continuare a chiamare altri al banchetto universale del tuo Regno.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE


Letture:
Gb 1,13-21
Sal 16,1-4b.6-7
2Tm 2,6-15
Lc 17,7-10

Servi senza pretese
La novità del Regno di Dio sta tutta nella iniziativa di un Dio che si mescola alla vicenda umana per costruire nella storia una sua storia di salvezza. Cristo ne è l’esecutore, e con lui l’insieme degli uomini che egli sceglie come suoi collaboratori. Parliamo oggi del ministero ecclesiale, apostolico e pastorale, cioè dei carismi sparsi dallo Spirito da mettere alla utilità comune. Nello stile della gratuità, senza pretese, e nell’umile coinvolgimento. Come ha fatto Gesù, il servo obbediente, radice e modello di ogni servizio nella Chiesa. Tema attuale oggi nella crescente responsabilizzazione di un laicato generoso che si impegna nella gestione diretta della vita ecclesiale.
Il servizio di Gesù: Proprio di Gesù si dice: “Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, ..umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-8). Fu, la sua, una vita messa tutta a servizio per la salvezza dell’uomo: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Immagine-icona della sua missione fu il gesto compiuto nell’Ultima Cena, quando si mise a lavare i piedi ai suoi discepoli: “Capite quello che ho fatto per voi? Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,12-15). È stato un servizio che gli era stato richiesto dal Padre, cui aveva obbedito “amando i suoi fino alla fine” (Gv 13,1): “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38). E diceva: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). La piena sintonia d’amore col Padre è stata la radice e la forza di tutta la sua missione. Anche tutta la missione di Paolo scaturì da un amore profondo a Cristo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,19-20). Per questo dirà che “annunciare il vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone, è un incarico che mi è stato affidato” (1Cor 9,16-17). Ogni servizio nella Chiesa è allora un mandato, non iniziativa propria: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16). E porta frutto nella misura del legame profondo con Cristo: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). La sua caratteristica deve essere la fedeltà. Diceva Paolo: “Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1Cor 4,1-2). Del resto vi è già uno stratega che gestisce la Chiesa di Cristo: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri.., vi sono diverse attività.., ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Cor 12,4-11).
Il nostro servizio: Ogni prestazione (e ogni autorità) deve essere un servizio. “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavole o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure il sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,25-27). Ecco cosa significa la parola di oggi: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Quella parola “inutili” nel testo greco significa “senza utile, cioè senza proprio tornaconto, gratuitamente”. Che si traduce: senza pretese davanti a Dio, senza arrivismi entro la comunità, nell’umiltà di una collaborazione che stima l’ascolto, il dialogo e la corresponsabilità: “Ti scongiuro davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta” (Epist.). “Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!” (Lett.). È l’atteggiamento umile di Giobbe: sa che tutto quello che ha è dono di Dio. Anche il bene che si riesce a fare - dice Paolo - è dono della grazia divina: “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. Fate tutto senza mormorare e senza esitare” (Fil 2,13-14). Operare quindi senza presunzioni, con la gioiosa coscienza di suggerire quel che ci sembra giusto, capaci anche di prendere posizioni che ci coinvolgano personalmente: “Forzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa direttamente la parola della verità” (Epist.). Alla fine il servizio di Dio richiede un cuore pienamente disponibile, pronto alle chiamate e alle sorprese di Dio. Come è stata la disponibilità della vergine Maria alle grandi cose compiute in lei dal Signore: “Ha guardato l’umiltà della sua serva. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,48-49). Una disponibilità che è docilità: la beata Madre Teresa di Calcutta voleva sentirsi semplicemente la “matita” in mano a Dio perché scrivesse attraverso lei le sue grandi opere di amore agli ultimi. Il beato Carlo de Foucauld così pregava: “Padre mio, io mi abbandono a te: fa’ di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me. È per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura, con una confidenza infinita, perché tu sei il Padre mio”.
“La nostra capacità viene da Dio” (2Cor 3,5). Siamo come da Lui ingaggiati in una impresa che ci supera, e che richiede da noi semplicemente confidenza, e quindi coraggio. Siamo solo una ruota di un ingranaggio più grande. Non siamo noi a cambiare il mondo. Le vie di Dio non sono le nostre vie (Is 55,8). A volte ci vuole anche tanta pazienza. Sa lui ritmi, modi e scadenze. “Servi senza pretese”, ma a servire un padrone che “è il più grande di tutti” (Gv 10,29). “Se perseveriamo, con lui anche regneremo” (Epist.).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 15 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 11, 2011 3:29 pm

SABATO 15 OTTOBRE 2011

SANTA TERESA D’AVILA


Preghiera iniziale: Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene.

Letture:
Rm 4,13.16-18 (Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza)
Sal 104 (Il Signore si è sempre ricordato della sua alleanza)
Lc 12,8-12 (Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire)

Riconoscere per essere riconosciuti
Gli Apostoli, primi testimoni dell’annuncio di salvezza operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, anche dinanzi alle persecuzioni, anche quando venivano portati dinanzi ai tribunali, anche quando veniva loro ingiunto di non parlare più della nuova dottrina, affermavano con vigore: «non possiamo tacere». Ciò derivava dalla certezza della loro fede e dal mandato ricevuto dal Signore. Anche noi, battezzati in Cristo, dal giorno del nostro battesimo ci impegniamo in prima persona e per tutta la vita ad essere suoi testimoni. Oggi siamo sollecitati da una ulteriore certezza ad adempiere questo sacrosanto dovere: «chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà». Questo ammonimento ci proietta nella fase finale della nostra esistenza e ci pone dinanzi al giudizio di Dio. Riconoscere Cristo e testimoniarlo diventa la garanzia di un riconoscimento dinanzi agli angeli di Dio e dinanzi a Dio stesso. Accade esattamente il contrario per coloro che misconoscono il Cristo e lo rinnegano nella vita terrena; si preparano volontariamente e colpevolmente ad essere ignorati nel regno di Dio e a cadere nel buio dell’amore. Per essere poi capaci di resistere alle tentazioni e alle violenze il Signore ci assicura l’assistenza dello Spirito Santo per confutare ogni errore e vivere nella pienezza della verità.
Santa Teresa è stata riconosciuta dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, parlando veramente dall’abbondanza del cuore. E un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio e che appunto racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale. Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili”. “Salvàti nella speranza”, noi gemiamo verso Dio. Questa vita “spirituale” nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l’attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un’invenzione umana: è l’attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Padre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente”, anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. “E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito”: c’è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio. Ora tutto questo continua la lettera di Paolo – è affinché diventiamo simili al Figlio, perché “quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”. Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l’acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio. E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l’uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d’Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive. Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato.Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

Riflessione:
- Contesto. Mentre Gesù è in cammino verso Gerusalemme Luca nel cap. 11, che precede il nostro brano, lo presenta come intento a svelare gli abissi dell’agire misericordioso di Dio e nello stesso la profonda miseria che si nasconde nel cuore dell’uomo ed in particolar modo in coloro che hanno il compito di essere testimoni della Parola e dell’opera dello Spirito santo nel mondo. Tali realtà Gesù li presenta con una serie di riflessioni che provocano nel lettore degli effetti: sentirsi attratti dalla forza della sua Parola al punto dal sentirsi giudicati interiormente e spogliati da tutte quelle manie di grandezza che agitano l’uomo (9,46). Inoltre il lettore si identifica con vari atteggiamenti che l’insegnamento di Gesù viene a suscitare: innanzitutto si riconosce nel discepolo alla sequela di Gesù e inviato a precederlo nel ruolo di messaggero del regno; nel tale che ha qualche esitazione nel seguirlo; nel fariseo o Dottore della legge, schiavi delle loro interpretazioni e stili di vita. In sintesi il percorso del lettore nel cap.11 è caratterizzato da questo incontro con l’insegnamento di Gesù che gli rivela l’intimità di Dio, la misericordia del cuore di Dio, ma anche la verità del suo essere uomo. Nel cap.12, invece, Gesù contrappone al giudizio pervertito dell’uomo la benevolenza di Dio che dona sempre con sovrabbondanza. È in questione la vita dell’uomo. Bisogna prestare attenzione alla perversione del giudizio umano o meglio all’ipocrisia che distorce i valori per privilegiare soltanto il proprio interesse e i propri vantaggi, più che interessarsi alla vita, quella che va accolta gratuitamente. La parola di Gesù lancia al lettore un appello sul come affrontare la questione della vita: l’uomo sarà giudicato per come si comporterà al momento delle minacce. Bisogna preoccuparsi non tanto degli uomini che possono «uccidere il corpo» ma piuttosto avere a cuore il timore di Dio che giudica e corregge. Ma Gesù non promette ai discepoli che saranno risparmiati da minacce, persecuzioni, ma li rassicura sull’aiuto di Dio al momento della difficoltà.
- Saper riconoscere Gesù. L’impegno coraggioso a riconoscere pubblicamente la sua amicizia con Gesù, comporta come conseguenza la comunione personale con lui al momento del suo ritorno per giudicare il mondo. Allo stesso tempo il tradimento, «chi mi rinnegherà», colui che ha paura di confessare, riconoscere pubblicamente Gesù, si condanna da solo. Il lettore è invita a riflettere sulla portata cruciale di Gesù nella storia della salvezza: bisogna decidersi o con Gesù o contro di Lui e della sua Parola di grazia; da questa decisione, riconoscere o rinnegare Gesù, dipende la nostra salvezza. Luca evidenzia che la comunione che Gesù dona nel tempo presente ai suoi discepoli verrà confermata e diventerà perfetta al momento della sua venuta nella gloria («verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi»: 9,26). L’appello alle comunità cristiane è molto evidente: anche se si è esposti alle ostilità del mondo, è indispensabile non venir meno nella testimonianza coraggiosa a Gesù, alla sua comunione con Lui, valere non vergognarsi di essere e mostrarsi cristiani.
- La bestemmia contro lo Spirito Santo. Bestemmiare è inteso qui da Luca come il parlare offensivo o parlare contro. Tale verbo era stato applicato a Gesù quando in 5,21 aveva perdonato i peccati. La questione che pone il nostro brano può sollevare nel lettore qualche difficoltà: la bestemmia contro il Figlio dell’uomo è meno grave di quella contro lo Spirito santo? Il linguaggio di Gesù può risultare abbastanza forte per il lettore del vangelo di Luca: nel percorso del vangelo ha visto Gesù che mostrava il comportamento di Dio che va in cerca del peccatore, che è esigente ma che sa attendere il momento del ritorno a Lui o la maturazione del peccatore. In marco e Matteo la bestemmia contro lo Spirito è il mancato riconoscimento del potere di Dio dietro gli esorcismi di Gesù. Ma in Luca può significare il deliberato e consapevole rifiuto dello Spirito profetico che è all’opera nelle azioni e nell’insegnamento di Gesù, vale a dire, un rifiuto all’incontro con l’agire misericordioso e salvifico col Padre. Il mancato riconoscimento dell’origine divina della missione di Gesù, le offese dirette alla persona di Gesù, possono essere perdonati, ma chi nega l’agire dello Spirito santo nella missione di Gesù non sarà perdonato. Non si tratta di un’opposizione tra la persona di Gesù e lo Spirito santo, o di un contrasto, simbolo di due periodi della storia diversi, quello di Gesù e quello della comunità post-pasquale, ma, in definitiva, l’evangelista intende mostrare che rinnegare la persona del Cristo equivale a bestemmiare contro lo Spirito santo.

Per un confronto personale:
- Sei consapevole che essere cristiani richiede di affrontare difficoltà, insidie, pericoli, fino a rischiare la propria vita per testimoniare la propria amicizia con Gesù?
- Ti vergogni di essere cristiano? Ti sta più a cuore il giudizio degli uomini, la loro approvazione o quello di non perdere la tua amicizia con Cristo?

15 ottobre: Santa Teresa di Gesù, Vergine e Dottore della Chiesa
Biografia: Nata ad Avila, in Spagna, nel 1515 da nobile ed antica famiglia. Fin dall’infanzia si distinse per grande amore alla lettura della Sacra Scrittura e fu animata dal desiderio del martirio. A vent’anni entrò nell’Ordine Carmelitane, fece grandi progressi nella via della perfezione e ebbe rivelazioni mistiche. L’Ordine seguiva allora osservanze mitigate. Riformò il suo Carmelo, e con l’aiuto di s. Giovanni della Croce fondò una serie di case per carmelitani e carmelitane “scalzi”. Santa Teresa è una delle più grandi mistiche della Chiesa; scrisse libri di profonda dottrina e le sue opere sono annoverate tra i capolavori della letteratura spagnola. Il Signore esaudì i fervidi voti e, ad Alba de Tormes, passò da questa vita, era nel 1582. Venne proclamata santa nel 1622. Paolo VI il 27 settembre 1970 le riconobbe il titolo di dottore della Chiesa.

Martirologio: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Avila in Spagna nell’ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di un’ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.

Dagli scritti
Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, Vergine
Ricordiamoci sempre dell’amore di Cristo
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacralissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l’esperienza, e me l’ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. È da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà. Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l’aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia. Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell’amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell’accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica (Opusc. «Il libro della vita», cap. 22,6-7,14).

Preghiera finale: O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti hai proclamato la tua lode (Sal 8).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 16 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 11, 2011 3:38 pm

DOMENICA 16 OTTOBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 45,1. 4-6 (Ho preso Ciro per la destra per abbattere davanti a lui le nazioni)
Sal 95 (Grande è il Signore e degno di ogni lode)
1Ts 1,1-5 (Mèmori della vostra fede, della carità e della speranza)
Mt 22,15-21 (Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio)

Una gerarchia inviolabile
Quanto si è scritto e discusso circa i rapporti tra Stato e Chiesa, tra potere politico e valori religiosi! Le polemiche e le incomprensioni non si sono esaurite, nonostante i numerosi trattati, i Concili e i vari concordati. Un primo punto assolutamente inviolabile è il primato dell’uomo al disopra di ogni altro valore temporale. È quanto afferma la Chiesa nella sua dottrina sociale. È stato il messaggio su cui ha imperniato i suoi messaggi il beato Giovanni Paolo II. Quando il Signore Gesù, rispondendo alle solite insidie dei farisei, afferma solennemente: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», vuole dire essenzialmente e innanzitutto che l’uomo è di Dio, gli appartiene perché è sua creatura. Quel «rèndere» a Dio, allora significa tutto ciò che noi esprimiamo con il culto e con la fede, è l’affermazione concreta e storica di una indiscutibile appartenenza e di un assoluto primato. Un primato che non misconosce i diritti e le leggi dello Stato civile, anzi li accetta, li stima ed esorta i fedeli a rispettarli, purché non inficino altri valori essenziali della morale cristiana. Sulla stessa scia s’innesta un motivo di fede e razionale insieme: si conviene ampiamente che i valori dello spirito sovrastino quello del corpo, anche se tutto l’uomo deve poter godere di quel dono prezioso ed inviolabile che è la libertà. Quindi i valori dell’uomo quelli temporali e materiali, quelli spirituali ed eterni non sono mai completamente scindibili tra loro, si completano invece e si integrano vicendevolmente. Di conseguenza è sempre auspicabile che tra Chiesa e Stato, tra religione e politica si instauri sempre la migliore forma di collaborazione. È una meta questa che richiede un dialogo intelligente, onesto e costruttivo alquanto auspicabile proprio nei giorni nostri.
L’ipocrisia dei farisei e dei sadducei proclama la veridicità di Gesù, che essi cercano di cogliere nella rete di un dilemma sapientemente calcolato: o egli afferma che il tributo ad uno Stato straniero e idolatra è lecito, e perde la stima di coloro che non accettano il dominio romano; oppure dichiara che questo tributo è illecito, e apre la porta al suo processo con l’accusa di istigare la sedizione. “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare”. Gesù non è il capo di un movimento di rivolta: il suo discepolo deve compiere i suoi obblighi civici. È in questo modo che l’ha capito la prima Chiesa (Rm 13,1-7; 1Pt 2,13-17). Ma ciò che è importante e decisivo, e che non sembra preoccupare i farisei, è il seguito: “E a Dio quello che è di Dio”. Soltanto a Dio si devono l’adorazione e il culto, e né lo Stato né alcun’altra realtà di questo mondo possono pretendere ciò che è dovuto esclusivamente a Dio. Il martirio è l’espressione suprema della resistenza cristiana di fronte al tentativo assolutistico del potere temporale di usurpare il posto di Dio (Ap 20,4). A Dio ciò che è di Dio! Ma tutto appartiene a Dio, che è il creatore. Ed è per questo che non si può astrarre Dio durante la costruzione della città terrena, “quasi che Dio non meriti alcun interesse nell’ambito del disegno operativo ed associativo dell’uomo” (Reconciliatio et paenitentia 14). L’uomo può realizzare la pretesa blasfema di costruire un mondo senza Dio, ma “questo mondo finirà per ritorcersi contro l’uomo” (ivi 18).

Approfondimento del Vangelo (Il tributo a Cesare)
Il testo: In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 22,15-17: La domanda dei farisei e degli erodiani
- Matteo 22,18-21: Risposta di Gesù

Chiave di lettura: Gesù giunge dalla Galilea per la festa annuale della Pasqua a Gerusalemme. Entrando in città è acclamato dalla gente (Mt 21,1-11). Entra subito nel tempio da dove caccia i venditori (Mt 21,12-16). Anche se risiede a Gerusalemme, Gesù passa le notti fuori dalla città e ritorna poi al mattino, (Mt 21,17). La situazione è molto tesa. A Gerusalemme nella discussione con le autorità, i capi dei sacerdoti, gli anziani e i farisei, Gesù esprime il suo pensiero in parabole (Mt 21,23 a 22,14). Vorrebbero prenderlo ma hanno paura (Mt 21,45-46). Il vangelo di questa domenica sul tributo a Cesare (Mt 22,15-21) si colloca in questo insieme di conflitti di Gesù con le autorità.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto del testo che più ti ha colpito? Perché?
b) Quali sono i gruppi di potere che preparano una trappola contro Gesù? Quale tipo di trappola?
c) Cosa fece Gesù per liberarsi dalla trappola dei potenti?
d) Che senso ha oggi la frase: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il tema:
a) Contesto in cui si presenta il nostro testo nel Vangelo di Matteo: Como dicevamo, il contesto del Vangelo di questa 29° Domenica comune è il dibattito tra Gesù e le autorità. Comincia con la discussione con i sacerdoti e gli anziani sull’autorità di Gesù (Mt 21,23-27). Dopo viene la parabola dei due figli, in cui Gesù denuncia l’ipocrisia di alcuni gruppi (Mt 21,28-32). Seguono due parabole, dei vignaioli assassini (Mt 21,33-46) e degli invitati che non vogliono partecipare al banchetto nuziale (Mt 22,1-14). Ora qui nel nostro testo (Mt 22,15-22) appaiono i farisei e gli erodiani per preparare una trappola. Gli pongono domande sul tributo da pagare ai romani. Era un assunto polemico che divideva l’opinione pubblica. Volevano a tutti i costi accusare Gesù e, così, diminuire la sua influenza sulla gente. Subito i sadducei cominciano a porre la domanda sulla risurrezione dei morti, un altro tema polemico, causa di dissenso tra sadducei e farisei (Mt 22,23-33). Tutto termina con la discussione attorno al mandamento più grande (Mt 22,34-40) ed al messia figlio di Davide (Mt 22,41-45). Come Gesù, anche i cristiani delle comunità cristiane della Siria e della Palestina, per le quali Matteo scriveva il suo vangelo, erano accusati ed interrogati dalle autorità, dai gruppi o dai vicini che si sentivano a disagio per la loro testimonianza. Leggendo questi episodi di conflitti con le autorità si sentivano confortati e prendevano coraggio per continuare il cammino.
b) Commento del testo:
- Matteo 22,15-17: Una domanda dei farisei e degli erodiani. Farisei ed erodiani erano i leaders locali non appoggiati dal popolo in Galilea. Avevano deciso da tempo di uccidere Gesù (Mt 12,14; Mc 3,6). Ora, per ordine dei sacerdoti e degli anziani, vogliono sapere da Gesù se è a favore o contro il pagamento del tributo ai romani. Domanda fatta apposta, piena di malizia! Sotto l’apparenza di fedeltà alla legge di Dio, cercano motivi per accusarlo. Se Gesù dicesse: “Devi pagare!” potrebbero accusarlo, insieme alla popolazione, di essere amico dei romani. Se lui dicesse: “Non devi pagare!” potrebbero accusarlo, con le autorità romane, di essere un sovversivo. Una strada senza uscita!
- Matteo 22,18-21a: La risposta di Gesù: mostrami la moneta. Gesù si rende conto dell’ipocrisia. Nella sua risposta, non perde tempo in discussioni inutili, e va direttamente al nucleo della domanda: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?” Loro rispondono: “Di Cesare!”.
- Matteo 22,21b: Conclusione di Gesù. Gesù ne trae la conclusione: “Allora, rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!”. Di fatto, riconoscevano già l’autorità di Cesare. Stavano già dando a Cesare quello che era di Cesare, poiché usavano le sue monete per comprare e vendere e perfino per pagare il tributo al Tempio! Di conseguenza, la domanda era inutile. Perché chiedere una cosa, la cui risposta è già evidente nella pratica? Loro che per la domanda fingevano di essere servi di Dio, stavano dimenticando la cosa più importante: dimenticavano di dare a Dio ciò che era di Dio! A Gesù interessa che “diano a Dio quello che è di Dio”, cioè, che restituiscano il popolo che si era allontanato per loro colpa da Dio, perché con i loro insegnamenti bloccavano al popolo l’entrata del Regno (Mt 23,13). Altri dicono: “Date a Dio quello che è di Dio”, cioè praticate la giustizia e l’onestà secondo le esigenze della Legge di Dio, perché a causa della vostra ipocrisia state negando a Dio quello che gli è dovuto. I discepoli e le discepole, devono rendersi conto di questo! Poiché era l’ipocrisia di questi farisei ed erodiani che stava accecando i loro occhi! (Mc 8,15).

Approfondimento: imposte, tributi, tasse e decimi: Al tempo di Gesù, il popolo della Palestina pagava moltissime imposte, tasse, tributi, multe, contribuzioni, offriva donativi, decimi. Secondo i calcoli fatti da studiosi, la metà delle entrate familiari erano destinate a pagare le imposte. Ecco un elenco per avere un’idea di tutto ciò che la popolazione pagava in imposte:
a) Imposte Dirette sulle proprietà e sulle persone fisiche:
- Imposta sulla proprietà (tributum soli). I fiscali del governo verificavano l’entità delle proprietà, della produzione e del numero di schiavi e fissavano la quantità da pagare. Periodicamente, c’erano nuove fiscalizzazioni mediante censimenti.
- Imposta sulle persone (tributum capitis). Per i ceti poveri, senza terra. Includeva sia le donne che gli uomini, tra i 12 ed i 65 anni. Un’imposta sulla forza del lavoro: il 20% del reddito di ogni individuo era per l’imposta.
b) Imposta Indiretta su varie transazioni:
- Corona d’oro: originalmente, si trattava di un dono all’imperatore, ma diventava un’imposta obbligatoria. Veniva pagata in occasioni speciali, quali per esempio le feste o le visite dell’imperatore.
- Imposta sul sale: Il sale era monopolio dell’imperatore. Il tributo riguardava il sale per uso commerciale. Per esempio, il sale usato dai pescatori per salare il pesce. Ecco da dove viene la parola “salario”.
- Imposta sulla compravendita: Per ogni transazione commerciale si pagava l’1%. Era i fiscali che raccoglievano questi soldi. Nella compra di uno schiavo, per esempio, esigevano il 2%.
- Imposta per svolgere una professione: Per fare qualsiasi cosa c’era bisogno di una licenza. Per esempio, un calzolaio della città di Palmira pagava un denaro al mese. Ed un denaro era l’equivalente al salario di una giornata. Perfino le prostitute dovevano pagare.
- Imposta sull’uso di cose di pubblica utilità: L’imperatore Vespasiano introdusse l’imposto per poter usare i bagni pubblici a Roma. Lui diceva “Il denaro non ha odore!”.
c) Altre tasse ed obblighi:
- Pedaggio: Si trattava di un’imposta sulla circolazione delle merci, chiesto dai pubblicani. Si pagava il pedaggio sulle strade. Nei punti fiscali c’erano soldati che obbligavano a pagare coloro che non volevano farlo.
- Lavoro forzato: Tutti potevano essere obbligati a rendere qualche servizio allo Stato durante cinque anni, senza essere remunerati. Fu così che Simone fu obbligato a portare la croce di Gesù.
- Sussidio speciale per l’esercito: La popolazione era obbligata ad offrire ospitalità ai soldati. E bisognava pagare una certa quantità di denaro in alimenti per il sostento delle truppe.
d) Imposta per il Tempio e per il Culto:
- Shekalim: Era l’imposta per la manutenzione del Tempio.
- Decimo: Era l’imposta per la manutenzione dei sacerdoti. “Decimo” significa la decima parte!
- Primizie: Era l’imposta per la manutenzione del culto. “Primizie” ossia i primi frutti di tutti i prodotti del campo.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO
CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI


Letture:
Bar 3,24-38;oppure Ap 1,10;21,2-5
Sal 86
2Tm 2,19-22
Mt 21,10-17

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera
Anniversario della consacrazione del Duomo, festa della Cattedrale e della Chiesa Locale che si stringe attorno al proprio Vescovo. “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera”: è la Chiesa “dalle pietre vive” (cfr. 1Pt 2,5), luogo dell’incontro con Dio per costruire attorno a Lui la famiglia dei figli di Dio, “quelli che sono suoi” (Epist.). È la “Gerusalemme celeste” che oggi inizia nel tempo e che sfocerà in Casa Trinità, dove “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28). “Il Signore Gesù - diciamo oggi al prefazio - ha elevato la sua Chiesa alla dignità di sposa e regina”: è immagine che esprime lo speciale “mistero” di comunione che la unisce a Cristo “suo fondatore”. A partire dall’esito finale (“le nozze dell’Agnello”), cogliamo in profondità il legame e quindi la vera identità oggi della Chiesa al di là delle sue strutture giuridiche.
La Gerusalemme celeste: “Vieni - è l’ultima visione dell’Apocalisse - ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (21,9). È la Chiesa, giunta al suo compimento per celebrare le nozze eterne con Cristo e con Dio. “Vidi la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Lett.). Li unisce l’ultimo anelito: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni! - Sì, vengo presto! - Amen. Vieni Signore Gesù” (22,17.20). Sarà tutto un mondo nuovo dominato dalla presenza piena di Dio: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova” (21,1): “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (Lett.). La Chiesa è l’insieme dei credenti: quello è il destino, la patria finale del nostro cammino terreno! “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Si cambia vita: “Asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Lett.). Sarà la realizzazione di ogni aspirazione di bene: “Io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore erediterà questi beni: io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio” (Ap 21,6-7). Si avrà in Dio la partecipazione alla sua stessa vita, appunto figli divenuti eredi, cittadini della sua città eterna: “E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. I suoi servi vedranno il suo volto e regneranno nei secoli dei secoli” (22,1-5). Si ritorna a mangiare “dell’albero della vita” dal quale fummo allontanati (cfr. Gen 3,22). Nozze finali dopo che Cristo avrà coltivato con cura amorosa la sua futura sposa. “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,25-27). Premura concreta come fa un marito per la sua sposa: “I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (5,28-30). Si rievoca il divenire “una carne sola” (5,31). Così del resto Gesù aveva pregato: “Che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi” (Gv 17,21). Anche per il cristiano è oggi tempo di fidanzamento: “Io provo per voi - dice Paolo - una specie di gelosia divina: vi ho promesso infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta” (2Cor 11,2).
Cristo sposo e la sua chiesa: Qual è più propriamente il legame sponsale tra Cristo e la sua Chiesa? Scrive un autore medievale: “L’Onnipotente avendo preso in sposa una debole e l’Eccelso una di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina e colei che gli stava sotto i piedi la pose al suo fianco. Uscì infatti dal suo costato, donde la fidanzò a sé”. Cristo ha fatto della umanità che di Lui si fida la sua Sposa, quasi nuova creazione, nuova Eva, uscita dal fianco del secondo Adamo nel momento della redenzione. L’amore è condivisione di tutto e comunione di cuore e di vita: così avviene d’ogni sposalizio ben riuscito; così avviene in questo stupendo sposalizio tra Cristo e l’uomo credente. Da questa intimità sponsale con Cristo derivano la nostra sicurezza e gioia. Promette Gesù: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” (Gv 10,28). Prosegue Gesù: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio” (Gv 10,29). Il testo medievale aggiunge: “Come tutte le cose del Padre sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, così lo Sposo ha dato tutte le cose sue alla Sposa, e lo Sposo ha condiviso tutto quello che era della sposa, che pure rese una cosa sola con se stesso e con il Padre. Voglio, dice il Figlio al Padre pregando per la Sposa, che come io e tu siamo una cosa sola, così anch’essi siano una cosa sola con noi. Lo Sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e uno con la sposa”. Troppo profondo è il legame che ci unisce al Padre tramite Cristo; e Dio è fedele! “Le solide fondamenta gettate da Dio sono solide e portano questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi” (Epist.). L’intimità con Dio produce profonde trasformazioni nell’uomo. Cristo elimina il peccato, assume la natura umana e la rende partecipe della natura divina. “Quello che ha trovato di estraneo nella Sposa l’ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei. Quanto appartiene per natura alla Sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito. Invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l’ha regalato alla Sposa. Egli annullò ciò che era del diavolo, assunse ciò che era dell’uomo, donò ciò che era di Dio” (Beato Isacco abate del monatesro della Stella). Si tratta ora di rimanergli fedele:”Chi si manterrà puro, sarà come un vaso nobile, santificato, utile al padrone di casa, pronto per ogni opera buona” (Epist.). Potremo così servire il Signore con cuore puro e il suo regno con utilità e frutto.
“In una casa grande non vi sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di argilla; alcuni per usi nobili, altri per usi spregevoli” (Epist.). Nella Casa di Dio ciascuno ha il suo dono e il suo ruolo: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune; e tutte le opera l’unico e il medesimo Spirito, distribundole a ciscuno come vuole” (1Cor 12,7.11). Non conta davanti a Dio fare il papa o l’ultimo semplice fedele: conta fiorire bene là dove lo Spirito ti ha piantato.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 22 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMer Ott 19, 2011 2:20 pm

SABATO 22 OTTOBRE 2011

SABATO DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito.

Letture:
Rm 8,1-11 (Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi)
Sal 23 (Noi cerchiamo il tuo volto, Signore)
Lc 13,1-9 (Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo)

Come leggere la storia
Abbiamo ascoltato dal vangelo di ieri il rimprovero di Gesù per non essere capaci di leggere i segni dei tempi con la luce della fede. Oggi lo stesso Signore ci invita a riflettere sugli episodi di cronaca, accaduti in quei giorni, ma che sostanzialmente continuamente accadono nella storia degli uomini. Era ferma convinzione dei credenti di allora che ogni disgrazia derivasse da un castigo divino in seguito a peccati commessi. Gesù viene a correggere tale concetto: egli afferma che le vittime di quei disastri e di tutti quelli che sono accaduti o possono accadere, non sono periti per un castigo divino, sicuramente però dovevano essere letti come monito ad una vera conversione e un appello a cambiare vita, memori della fragilità dell’uomo. Come ci appare evidente questo insegnamento in questi giorni! La parabola del fico sterile è proclamata a conferma di quanto Gesù ci ha già detto: se non ascoltiamo con la dovuta sollecitudine gli appelli divini, se non facciamo seguire a questi, la nostra sincera conversione per rendere fruttuosa la vita, rischiamo di essere poi respinti dal Signore. Anche questa triste eventualità scaturisce più da un’autocondanna che da un castigo.
Il Signore insiste affinché accogliamo il suo invito a convertirci e lo fa anche prospettandoci la sorte che ci aspetta se rimaniamo chiusi alla sua insistenza: “Se non vi convertite, perirete tutti all0 stesso modo!”. Ma se siamo in lui ogni condanna cade: “Non c’è più nessuna condanna scrive Paolo, e sembra un grido di trionfo non c e più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. Lo Spirito di Cristo è una forza più potente dei nostri istinti, della “carne”, come scrive san Paolo, che ci porta verso la Terra invece che verso i valori spirituali. Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in noi ed è capace di rinnovare tutto. Chiediamo alla Madonna la grazia di accogliere con docilità perfetta la sua azione, che ci guida con forza e soavità verso il Padre e verso Gesù. “I desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace”. Sappiamo per esperienza come fluisca in noi la pace quando corrispondiamo ai desideri che lo Spirito esprime nel nostro cuore; Maria ci doni davvero una costante adesione a lui, nella semplicità e nella gioia.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?. Ma quello gli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci dà informazioni che ci sono solo nel vangelo di Luca e non hanno passaggi paralleli negli altri vangeli. Stiamo meditando il lungo cammino dalla Galilea fino a Gerusalemme che occupa quasi la metà del vangelo di Luca, dal capitolo 9 fino al capitolo 19 (Lc 9,51 a 19,28). In questa parte Luca colloca la maggior parte delle informazioni che ottiene sulla vita e l’insegnamento di Gesù (Lc 1,1-4).
- Luca 13,1: L’avvenimento che richiede una spiegazione. “In quel tempo, si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici”. Quando leggiamo i giornali o quando assistiamo alle notizie in TV, riceviamo molte informazioni, ma non sempre capiamo tutto il loro significato. Ascoltiamo tutto, ma non sappiamo bene cosa fare con tante informazioni e con tante notizie. Notizie terribili come lo tsunami, il terrorismo, le guerre, la fame, la violenza, il crimine, gli attentati, ecc.. Così giunse a Gesù la notizia dell’orribile massacro che Pilato, governatore romano, aveva fatto con alcuni pellegrini samaritani. Notizie così ci scombussolano. Ed uno si chiede: “Cosa posso fare?” per calmare la coscienza, molti si difendono e dicono: “È colpa loro! Non lavorano! È gente pigra!”. Al tempo di Gesù, la gente si difendeva dicendo: “È un castigo di Dio per i peccati!” (Gv 9,2-3). Da secoli si insegnava: “I samaritani non dicono il vero. Hanno una religione sbagliata!” (2Rs 17,24-41)!
- Luca 13,2-3: La risposta di Gesù. Gesù ha un’opinione diversa. “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe che li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Gesù aiuta le persone a leggere i fatti con uno sguardo diverso ed a trarne una conclusione per la loro vita. Dice che non è stato un castigo di Dio. Al contrario. “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Cerca di invitare alla conversione ed al cambiamento.
- Luca 13,4-5: Gesù commenta un altro fatto. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? Deve essere stato un disastro di cui si parlò molto in città. Un temporale fece cadere la torre di Siloe uccidendo diciotto persone che si stavano riparando sotto di essa. Il commento normale era: “Castigo di Dio!”. Gesù ripete: “No vi dico, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”. Loro non si convertirono, non cambiarono, e quaranta anni dopo Gerusalemme fu distrutta e molta gente morì uccisa nel Tempio come i samaritani e molta più gente morì sotto le macerie delle mura della città. Gesù cerco di prevenire, ma la richiesta di pace non fu ascoltata: “Gerusalemme, Gerusalemme!” (Lc 13,34). Gesù insegna a scoprire le chiamate negli avvenimenti della vita di ogni giorno.
- Luca 13,6-9: Una parabola per fare in modo che la gente pensi e scopra il progetto di Dio. “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai”. Molte volte, la vigna è usata per indicare l’affetto che Dio ha verso il suo popolo, o per indicare la mancanza di corrispondenza da parte della gente all’amore di Dio (Is 5,1-7; 27,2-5; Jr 2,21; 8,13; Ez 19,10-14; Os 10,1-8; Mq 7,1; Gv 15,1-6). Nella parabola, il padrone della vigna è Dio Padre. L’agricoltore che intercede per la vigna è Gesù. Insiste con il Padre di allargare lo spazio della conversazione.

Per un confronto personale
- Il popolo di Dio, la vigna di Dio. Io sono un pezzo di questa vigna. Mi applico la parabola. Quali conclusioni ne traggo?
- Cosa ne faccio delle notizie che ricevo? Cerco di avere un’opinione critica, o continuo ad avere l’opinione della maggioranza e dei mezzi di comunicazione?

Preghiera finale: Chi è pari al Signore nostro Dio che si china a guardare nei cieli e sulla terra? Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero (Sal 112).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 23 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMer Ott 19, 2011 2:24 pm

DOMENICA 23 OTTOBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Es 22,20-26 (Se maltratterete la vedova e l’orfano, la mia ira si accenderà contro di voi)
Sal 17 (Ti amo, Signore, mia forza)
1Ts 1,5-10 (Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio)
Mt 22,34-40 (Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso)

Il più grande comandamento
Quando non si è più capaci di cogliere ciò che è essenziale, quando anche nell’ambito religioso le leggi si moltiplicano e diventano un vero groviglio, quando l’interpretazione arbitraria delle scritture sacre sfocia in mille precetti impraticabili, diventa legittima la domanda che viene rivolta a Gesù: «Maestro qual è il più grande comandamento della legge». La risposta di Gesù è chiara ed inequivocabile: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». L’enunciato di Gesù è importante in tutte le sue parti: Egli, solo Lui poteva farlo come Redentore, dichiara una importantissima e fondamentale nostra appartenenza e un vincolo sacro: Egli dice: «Il Signore Dio tuo». Descrive così il nostro ritorno, la nostra redenzione che si sta già compiendo in Cristo Gesù. Cuore, anima e mente sono le fibre interiori del nostro essere, le doti mirabili di cui siamo stati dotati e che ci consentono di entrare in comunione con il nostro Creatore e Signore, una comunione che si esprime nell’amore, nella lode, nella perenne gratitudine. La scoperta amorosa della verità su Dio ci fa da guida alla comprensione dell’altro, degli altri, del nostro prossimo. Nella esperienza della paternità di Dio impariamo ad amare anche i nostri fratelli. Quando siamo certi di questo stato di intimità e di comunione con il Signore e con il nostro prossimo, la legge perde i suoi connotati di coercizione e di obbligatorietà per diventare e lampada ai nostri passi luce sul nostro cammino. San Benedetto scrivendo ai suoi Monaci parla della dilatazione del cuore e della corsa sulla via dei comandamenti del Signore.
I farisei vivevano per meditare la legge, per capirla, per interpretarla. Alcuni sono riusciti a capire Gesù Cristo che ha detto a uno di loro che non era lontano dal regno dei cieli (Mc 12,34). E un altro fariseo, Paolo di Tarso, riuscì ad essere l’apostolo dei gentili. Ma tanti tra di loro, al contrario, rifiutavano il giovane Rabbi di Nazaret, e lo hanno messo a morte sulla croce... Interpretando la legge, i farisei ottenevano una casistica minuziosa che rendeva il giogo della legge insopportabile. Ed è per questo che non potevano capire Gesù che, secondo loro, infrangeva il riposo del sabato guarendo i malati il sabato, e anche dicendo che il Figlio dell’uomo era padrone del sabato e che questo giorno, così importante, era stato fatto per l’uomo, e non il contrario... (Mt 12,8; Mc 2,27). Gesù disfa il repertorio molto complicato dei precetti, e lo riassume nell’amore di Dio e del prossimo sopra tutto. Egli considera che questo è il primo comandamento, da cui tutti gli altri derivano... Di fronte a queste parole non possiamo fare altro che rivedere la nostra condotta, riconoscere i nostri errori e proporci in modo concreto di vivere per amore, di morire per amore.

Approfondimento del Vangelo (Amare Dio è uguale ad amare il prossimo)
Il testo: In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Chiave di lettura: Nel Vangelo di questa 30ª Domenica del Tempo Ordinario i farisei vogliono sapere da Gesù qual è il comandamento più grande della legge. In quel tempo, tra i giudei, si discuteva molto su questo tema. Si trattava di una questione polemica. Anche oggi molte persone vogliono sapere cosa definisce una persona come un buon cristiano. Alcuni dicono che ciò consiste in essere battezzati, pregare ed andare a messa la domenica. Altri dicono che consiste in praticare la giustizia e vivere la fraternità. Ognuno ha la propria opinione. Secondo te, cos’è la cosa più importante nella religione e nella vita della Chiesa? Durante la lettura del testo, cerca di prestare molta attenzione al modo in cui Gesù risponde a questa domanda.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale punto di questo testo ti è piaciuto di più o cosa ti ha colpito di più? Perché?
b) Chi erano i farisei in quel tempo? Chi sono i farisei oggi?
c) Come poteva mettere Gesù alla prova la domanda rivoltagli dai farisei?
d) Quale rapporto esiste tra il primo ed il secondo comandamento?
e) Perché l’amore verso Dio e verso il prossimo costituisce il riassunto della legge e dei profeti?

Per coloro che desiderano approfondire il tema
a) Contesto in cui questo testo appare nel Vangelo di Matteo: Si tratta di una delle molte discussioni di Gesù con le autorità religiose di quell’epoca. Questa volta con i farisei. Prima, i farisei avevano cercato di screditare Gesù tra la popolazione spargendo su di lui la calunnia secondo cui era posseduto dai demoni che cacciava in nome di Belzebù (Mt 12,24). Ora, a Gerusalemme, loro entrano di nuovo in discussione con Gesù attorno all’interpretazione della legge di Dio.
b) Commento del testo:
- Matteo 22,34-36: Una domanda dei farisei. Prima, per mettere Gesù alla prova, i sadducei avevano fatto una domanda sulla fede nella risurrezione, ma furono duramente ripresi da Gesù (Mt 22,23-33). Ora sono i farisei che passano all’attacco. Farisei e sadducei erano nemici gli uni degli altri, ma diventano amici nella critica contro Gesù. I farisei si riuniscono ed uno di loro diventa porta parola con una domanda di chiarimento: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”. In quel tempo i giudei avevano una quantità enorme di norme, costumi e leggi, grandi e piccole, per regolamentare l’osservanza dei Dieci Comandamenti. Una discussione attorno a due comandamenti della legge di Dio era un punto molto discusso tra i farisei. Alcuni dicevano: “Tutte le leggi hanno lo stesso valore, siano grandi che piccole, perché tutte vengono da Dio. Non ci compete introdurre distinzioni nelle cose di Dio”. Altri dicevano: “Alcune leggi sono più importanti di altre e, per questo, obbligano di più!”. I farisei vogliono sapere qual è l’opinione di Gesù su questo tema polemico.
- Matteo 22,37-40: La risposta di Gesù. Gesù risponde citando alcune parole della Bibbia: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente!” (cfr. Dt 6,4-5). Al tempo di Gesù, i giudei che si consideravano pii recitavano questa frase tre volte al giorno: la mattina, a mezzogiorno e la sera. Era una preghiera assai conosciuta tra loro, come lo è oggi per noi il Padre Nostro. E Gesù cita di nuovo il Vecchio Testamento: “Questo è il più grande o il primo comandamento. Il secondo è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18). E conclude: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti”. Detto con altre parole, è questa la porta per arrivare a Dio ed al prossimo. Non ce n’è un’altra. La più grande tentazione dell’essere umano è quella di voler separare questi due amori, perché così la povertà degli altri non metterebbe a disagio la loro coscienza.
c) Approfondimento:
1) Farisei: La parola farisei significa separato, poiché il loro modo rigido di osservare la legge di Dio li separava dagli altri. Tra di loro si chiamavano compagni, poiché formavano comunità, il cui ideale era quello di osservare in tutto e per tutto le norme e tutti i comandamenti della legge di Dio. La testimonianza di vita della maggioranza di loro costituiva una testimonianza per il popolo, perché vivevano del proprio lavoro e dedicavano molte ore del giorno alla studio ed alla meditazione della legge di Dio. Ma avevano qualcosa di molto negativo: cercavano la loro sicurezza non in Dio, bensì nell’osservanza rigorosa della Legge di Dio. Avevano più fiducia in ciò che loro stessi facevano per Dio che in ciò che Dio faceva per loro. Avevano perso la nozione della gratuità che è la sorgente ed il frutto dell’amore. Dinanzi a questo falso atteggiamento verso Dio, Gesù reagisce con fermezza ed insiste sulla pratica dell’amore che relativizza l’osservanza della legge e del suo vero significato. In un’epoca di mutamenti e di insicurezza, come lo è oggi la nostra, ritorna sempre la stessa tentazione di cercare la sicurezza davanti a Dio, non nella bontà di Dio per noi, bensì nell’osservanza rigorosa della Legge. Se cadiamo in questa tentazione, meritiamo la stessa critica da parte di Gesù.
2) Parallelo tra Marco e Matteo: Nel Vangelo di Marco è un dottore della legge che rivolge la domanda (Mc 12,32-33). Dopo aver ascoltato la risposta da Gesù, il dottore concorda con Lui e trae la seguente conclusione: “Si, amare Dio ed il prossimo è molto più importante di tutti gli olocausti e di tutti i sacrifici”. Ossia, il comandamento dell’amore è il più importante tra i comandamenti legati al culto ed ai sacrifici del Tempio e dell’osservanza esterna. Questa affermazione era già presente nel Vecchio Testamento fin dai tempi del profeta Osea (Os 6,6; Sal 40,6-8; Sal 51,16-17). Oggi diciamo che la pratica dell’amore è più importante dalle novene, dalle promesse, dai digiuni, dalle preghiere e dalle processioni. Gesù conferma la conclusione a cui arriva il dottore della legge e dice: “Tu non sei lontano dal Regno!”. Il Regno di Dio consiste in questo: riconoscere che l’amore di Dio è uguale all’amore per il prossimo. Non si arriva a Dio senza il dono di se stessi al prossimo!
3) Il Comandamento più grande: Il comandamento più grande o il primo comandamento è questo: “Amare Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mc 12,30; Mt 22,37). Nella misura in cui il popolo di Dio, lungo i secoli, ha approfondito il significato di questo amore, si è reso conto che l’amore di Dio sarà reale e vero solo se diventa concreto nell’amore verso il prossimo. È per questo che il secondo comandamento è simile al primo (Mt 22,39; Mc 12,31). “Se qualcuno dice: “Amo Dio ma odia suo fratello, è un mentitore” (1Gv 4,20). “Tutta la legge ed i profeti dipendono da questi due comandamenti” (Mt 22,40). In questa identificazione dei due amori ha avuto luogo un’evoluzione divisa in tre tappe:
- 1ª Tappa: “Prossimo” è il parente della stessa razza. Il Vecchio Testamento insegnava già l’obbligo di “amare il prossimo come se stessi!” (Lv 19,18). In quel tempo, la parola prossimo era sinonimo di parente. Si sentivano obbligati ad amare tutti coloro che facevano parte della stessa famiglia, dello stesso clan, dello stesso popolo. Per quanto riguardava gli stranieri, cioè coloro che non appartenevano al popolo ebreo, il libro del Deuteronomio diceva: “Potrai esigere il prestito dallo straniero, ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo fratello, lo lascerai cadere (parente, prossimo)!” (Dt 15,3).
- 2ª Tappa: “Prossimo” è colui a cui mi avvicino o che si avvicina a me. Il concetto di prossimo si è esteso. E nel tempo di Gesù ci fu tutta una discussione attorno a “chi è il mio prossimo?”. Alcuni dottori della legge pensavano che si doveva estendere il concetto di prossimo oltre i limiti della razza. Ma altri non volevano saperne di questo. Allora un dottore rivolse a Gesù questa domanda polemica: “Chi è il mio prossimo?”. Gesù rispose con la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,29-37), in cui il prossimo non è il parente o l’amico, bensì tutti coloro che si avvicinano a noi, indipendentemente dalla religione, dal colore, dalla razza, dal sesso o dalla lingua! Tu devi amarlo!
- 3ª Tappa: La misura dell’amore verso il “prossimo” è amare come Gesù ci ha amati. Gesù aveva detto al dottore della legge: “Non sei lontano dal Regno!” (Mc 12,34). Il dottore era già vicino, perché infatti, il Regno consiste nell’unire l’amore di Dio con l’amore verso il prossimo, come aveva affermato solennemente un dottore davanti a Gesù (Mc 12,33). Ma per poter entrare nel Regno doveva fare un passo in più. Nel Vecchio Testamento, il criterio dell’amore verso il prossimo era il seguente: “ama il tuo prossimo come te stesso”. Gesù espande il criterio e dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi! Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici!” (Gv 15,12-13). Ora, nel Nuovo Testamento, il criterio sarà: “Amare il prossimo come Gesù ci ha amato!”. Gesù ha interpretato il senso esatto della Parola di Dio e ha indicato il cammino per una convivenza più giusta e più fraterna.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE
IL MANDATO MISSIONARIO


Letture:
At 10,34-48°
Sal 95
1Cor 1,17b-24
Lc 24,44-49°

Di questo voi siete testimoni
La missione è il compito principale della Chiesa; e ad ogni credente è chiesto di “essere luce del mondo, perché gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,14.16). Annuncio e testimonianza: è la nuova evangelizzazione oggi necessaria, per chi non ha mai conosciuto il vangelo, e per chi l’ha dimenticato. A fianco dei missionari “ad gentes”, e impegnati a costruire in una società pluralista una umanità penetrata dai valori evangelici. Un mandato che viene direttamente da Cristo, con un suo contenuto specifico, aperto a frontiere universali, che si muove con la forza dello Spirito, vera anima di ogni apostolato nella Chiesa.
Testimoni del Cristo risorto: Davanti alla prima conversione di un pagano, Pietro ha riassunto così tutto il vangelo che annuncia: “Noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi l’uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che si manifestasse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (Lett.). I fatti della Pasqua sono il cuore dell’annuncio cristiano; ma come vertice di una vicenda tutta consacrata da Dio: “Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: cioè come Dio consacrò il Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui”. Sono fatti non casuali, ma eventi stabiliti da un lontano disegno di Dio: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, comunicando da Gerusalemme”. Sono quindi eventi che riguardano la vicenda di ogni uomo: “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36). Pietro sa di esserne testimone: “Ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio” (Lett.). Perciò è decisivo per avere salvezza l’accoglienza di fede di questo vangelo: “A lui tutti i profeti danno testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome” (Lett.). Ma è un vangelo non facile da accettare. Paolo sa di annunciare un paradosso: “Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (Epist.). È contro ogni logica un Dio che salva col fallimento della croce: “Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione” (Epist.). La morte “di un Dio” per la salvezza dell’uomo è al di là di ogni ipotesi e ragionevolezza umana. “Sta scritto infatti: distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti” (Epist.). Non rimane che la predicazione.
Missionari della parola: Proprio perché il fatto cristiano non può essere invenzione umana, ha solo la via della testimonianza, della memoria da trasmettere, del vangelo da annunciare. Paolo ne ricevette la missione in modo straordinario sulla via di Damasco: “Cristo mi ha mandato ad annunciare il vangelo” (Epist.). “Guai a me se non annuncio il vangelo!” (1Cor 9,16). Pietro e Giovanni diranno: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Compito affidato a tutti i discepoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Col battesimo ogni cristiano è investito di questa missione profetica come partecipazione della missionarietà di tutta la Chiesa. È una missione a raggio universale. “In verità sto rendendomi conto - dice Pietro nel battezzare il centurione Cornelio - che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questi è il Signore di tutti” (Lett.). “Così sta scritto - nelle Scritture -; “e fino ai confini della terra” (At 1,8). Confini non più soltanto terrestri, ma entro le diverse culture e anche religioni diverse. In mezzo a noi sta sempre più gente che non ha mai sentito parlare di Cristo; e ne ha pieno diritto di poterlo conoscere. O non lo ha mai conosciuto in un modo significativo, stordito da una cultura imposta dal media secolarizzati e di superficiale relativismo. “Tu va e annuncia il regno di Dio”, chiese Gesù a un tale cui aveva detto: Seguimi” (Lc 9,59-60). Missione nella forza dello Spirito Santo. Gesù l’aveva detto: “Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso”. “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni” (At 1,8). Gli Apostoli esploderanno il giorno di Pentecoste quando su di loro fu effuso lo Spirito Santo. Una forza, lo Spirito, che muove a fare i passi giusti, come qui è capitato per Pietro: “Stava ancora parlando, quando lo Spirito Santo discese su tutti coloro che ascoltavano la Parola. Allora Pietro disse: Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?” (Lett.). Paolo ne era ben cosciente: “Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo”. La fede (che salva) non è risultato di una evidenza, ma “è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Eb 11,1).
Giornata Missionaria, per sentirci debitori a tutti gli uomini del vangelo che ci è stato consegnato non come privilegio ma come missione. Per sentirci corresponsabili di quanti sulle frontiere difficili del primo annuncio cercano il sostegno - anche economico - per una testimonianza della “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). Per sentire di fare la nostra parte di “nuova evangelizzazione” là dove Cristo ci ha piantati quale fiore fragrante di vangelo: “Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano: odore di vita per la vita” (2Cor 2,15).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 29 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 25, 2011 9:34 am

SABATO 29 OTTOBRE 2011

SABATO DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi.

Letture:
Rm 11,1-2.11-12.25-29 (Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?)
Sal 93 (Il Signore non respinge il suo popolo)
Lc 14,1.7-11 (Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato)

Il nostro posto: vicino o lontano.
Il Vangelo di oggi ci invita ad ingaggiare in modo giusto la nostra lotta: non già per ottenere i primi posti ma gli ultimi, è questa la logica di Dio seguita da Cristo e da quanti ne hanno voluto ricalcare le orme. Non è una questione di buona educazione o di tattiche politiche far passar avanti gli altri, ma è una questione di vita o di morte; scegliere l’umiltà è scegliere Dio, è scegliere di entrare per la porta stretta della morte di Cristo per entrare nel banchetto della sua risurrezione. Solo l’umiltà ci porta a conoscere Dio, per cui come dice sant’Ignazio di Loyola il fine ultimo di ogni apostolato è portare gli uomini all’umiltà. La liturgia di oggi ci invita dunque a capovolgere il nostro metro di valutazione onorando e amando i più poveri e facendoci noi stessi poveri, piccoli per sentirci chiamare «amici» da colui che si è fatto povero per noi. Dio ci ama così come siamo, cioè humus, terra per innalzarci alla sua gloria. E ciò che ha vissuto la Madonna che in questo mese abbiamo pregato in modo del tutto particolare con il Rosario, Maria ha conosciuto Dio grazie alla sua umiltà perché vuota di sé, ha posto in Dio tutta la sua speranza fino a divenire sua dimora. Affidiamo il nostro apostolato alla Madonna con questa splendida preghiera: «Ascolta, figlia,… il Re si è innamorato dello splendore della tua bellezza e si è degnato di preparare per sé nella sua terra una dimora purissima, ottiènici quindi da Lui che versi in noi la straordinaria dolcezza del desiderio di Lui, così che restiamo dedicati al suo servizio in questa vita e dopo il nostro passaggio arriviamo senza confusione a colui che da te è nato» (Orazionario visigotico).
Gesù nel Vangelo odierno ci precisa un aspetto della santità al quale spontaneamente non penseremmo: per salire nella santità bisogna che discendiamo. Ascoltando la proclamazione di Paolo: “In tutte queste cose noi siamo più che vincitori”, si pensa naturalmente a un cammino verso la gloria, a una strada in salita. Ed è vero. Ma Gesù ci dice che questa strada ascendente in realtà si percorre camminando in discesa: andare all’ultimo posto, scegliere l’ultimo posto. E questo è contemporaneamente rassicurante ed esigente. E rassicurante perché non ci viene chiesto di fare delle scalate straordinarie, di assomigliare agli alpinisti che arrivano in vetta all’Hymalaya servendosi dei mezzi più perfezionati e dopo un allenamento estremamente duro. Ci è domandato solo di andare umilmente più in basso che possiamo. Chi non è capace di andare all’ultimo posto? È sempre possibile a chiunque. Ma noi sappiamo che è anche molto esigente, esigente per il nostro amor proprio, per il nostro orgoglio, che non ci rende facile metterci al di sotto del rango che pretendiamo di avere. Noi tendiamo piuttosto a prendere un posto anche solo un po’ più in alto di quello che ci spetta. Gesù lo nota finemente e ci propone un ragionamento conforme alla nostra mentalità: se tu prendi un posto migliore di quello a cui hai diritto, rischi di essere umiliato: se invece vai a metterti in un posto inferiore, sarai esaltato. Mettersi da sé all’ultimo posto è certamente difficile per l’amor proprio, ma è la via più sicura per essere esaltati. E esigente, ma Gesù ci fa vedere che è semplice e che ci stabilisce nella pace. Non fare sogni straordinari, neppure di santità, ma camminare nell’umiltà, riconoscendo che siamo deboli, imperfetti, tanto spesso infedeli alla voce di Dio e non scoraggiarci, ma lodare ancora di più il Signore per la sua bontà e la sua misericordia, è la strada in discesa che ci fa salire verso di lui. Ci sono dunque due prospettive da unire: una prospettiva grandiosa che corrisponde alla chiamata di Dio, che ci vuole santi, immacolati, senza macchia né ruga, come scrive Paolo agli Efesini a proposito della Chiesa, sposa splendente che Cristo vuol presentare al Padre; e insieme una prospettiva di umiltà, di semplicità, di fiducioso abbandono, come bambini che neppure pensano ai primi posti, ma accettano di rimanere all’ultimo, fino a quando il Padre non li inviterà a salire verso di lui. Domandiamo a Maria di insegnarci la strada della vera santità, lei che ha saputo unire alla straordinaria magnanimità che il Magnificat ci rivela un’umiltà ancor più straordinaria, una semplicità che ci riempie di ammirazione e di meraviglia.

Lettura del Vangelo: Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cédigli il posto!. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti!. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Riflessione:
- Contesto. La Parola di grazia che Gesù rendeva visibile con il suo insegnamento e le sue guarigioni rischia di essere soppressa; per Gesù si avvicina sempre di più l’evento della morte, come tutti i profeti che l’hanno preceduto.. Tale realtà a cui Gesù va incontro mostra con chiarezza il rifiuto dell’uomo e la pazienza di Dio. Rifiutando Gesù come il primo inviato, l’unica Parola di grazia del Padre l’uomo si procura la propria condanna e chiude quella possibilità che il Padre gli aveva aperto per accedere alla salvezza. Tuttavia la speranza non è ancora spenta: è possibile che un giorno l’uomo riconosca Gesù come «colui» che viene dal Signore e ciò sarà motivo di gioia.. La conclusione, quindi, del cap.13 di Luca ci fa comprendere che la salvezza non è un’impresa umana, la si può solo accogliere come un dono assolutamente gratuito. Vediamo, dunque, come si avvera questo dono della salvezza, tenendo sempre presente questo rifiuto di Gesù come l’unico inviato di Dio.
- L’invito a pranzo. Di fronte al pericolo di essere ridotto al silenzio era stato suggerito a Gesù di fuggire e, invece, accetta un invito a pranzo. Tale atteggiamento di Gesù fa capire che egli non teme i tentativi di aggressione alla sua persona, anzi non lo rendono pauroso. A invitarlo è «un capo dei farisei», una persona autorevole. Tale invito cade di sabato, un giorno ideale per pranzi di festa che di solito venivano consumati verso mezzogiorno dopo che tutti avevano partecipato alla liturgia sinagogale. Durante il pranzo i farisei «stavano ad osservarlo» (v.1): un azione di controllo e vigilanza che allude al sospetto circa il suo comportamento. In altri termini lo osservavano aspettando da lui qualche azione inammissibile con la loro idea della legge. Ma in fin dei conti lo controllano non per salvaguardare l’osservanza della legge quanto per incastrarlo su qualche suo gesto. Intanto di sabato, dopo aver guarito dinanzi ai farisei e dottori della legge un idropico, esprime due riflessioni risolutive su come bisogna accogliere l’invito a tavola e con quale animo si deve invitare (vv.12-14). La prima è chiamata da Luca «una parabola», vale a dire, un esempio, un modello o un insegnamento da seguire. Innanzitutto bisogna invitare con gratuità e con libertà d’animo. Spesso gli uomini si fanno avanti, si propongono per essere invitati, invece, di ricevere l’invito. Per Luca il punto di vista di Dio è il contrario, è quello dell’umiltà: «Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili». La chiamata a partecipare alla «grande cena» del Regno ha come esito una maggiorazione del livello di vita per chi è capace di accogliere con gratuità l’invito della salvezza.
- L’ultimo posto. É vero che cedere il proprio posto agli altri non è gratificante, ma può essere umiliante; è una limitazione del proprio orgoglio. Ma ancor più umiliante e motivo di vergogna quando si deve compiere il movimento verso l’ultimo posto; è un disonore agli occhi di tutti. Luca, da un parte, pensa a tutte quelle situazioni umilianti e dolorose in cui il credente si può trovare, dall’altra al posto riservato per chi vive questi eventi davanti agli occhi di Dio e al suo regno. Gli orgogliosi, coloro che cercano i primi posti, i notabili, si gratificano della loro posizione sociale. Al contrario, quando Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi, «non c’era posto per lui» (2,7) e ha deciso di rimanervi scegliendo il posto tra la gente umile e povera. Per questo Dio lo ha elevato, lo ha esaltato. Da qui il prezioso suggerimento a scegliere il suo atteggiamento, privilegiando l’ultimo posto. Il lettore può rimanere disturbato da queste parole di Gesù che minano il senso utilitaristico ed egoistico della vita; ma a lungo andare il suo insegnamento si rivela determinante per l’ascesa in alto; il cammino dell’umiltà conduce alla gloria.

Per un confronto personale
- Nel tuo rapporto di amicizia con gli altri prevale il calcolo dell’interesse, l’attesa di ricevere un contraccambio?
- Nel relazionarti con gli altri al centro dell’attenzione c’è sempre e comunque il tuo io, anche quando fai qualcosa per i fratelli? Sei disposto a donare ciò che sei?

Preghiera finale: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Sal 41).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 30 ottobre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Ott 25, 2011 9:40 am

DOMENICA 30 OTTOBRE 2011

RITO ROMANO
ANNO A
XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, mandaci il tuo Spirito perché possiamo leggere la tua Parola liberi dai pregiudizi, perché possiamo meditare il tuo annuncio nella sua integrità e non selettivamente, perché possiamo pregare per crescere nella comunione con te, con i fratelli e le sorelle. Perché possiamo, alla fine, agire, contemplando la realtà che viviamo ogni giorno con i tuoi stessi sentimenti e la tua stessa misericordia. Tu che vivi con il Padre e ci doni l’Amore, amen.

Letture:
Ml 1,14-2,2.8-10 (Avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento)
Sal 130 (Custodiscimi, Signore, nella pace)
1Ts 2,7-9.13 (Avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita)
Mt 23,1-12 (Dicono e non fanno)

Il più grande tra voi sia il vostro servo.
Salire in cattedra è l’espressione proverbiale di chi si ritiene maestro, capace di insegnare agli altri e si erge a modello di vita. Ma chi può vantare in modo permanente tali prerogative? Forse per questo, coloro che non sono consapevoli dei propri limiti o, pur conoscendoli, fingono di ignorarli, ricorrono alla spettacolarizzazione nel tentativo di camuffare l’inadeguatezza e soggiogare i discepoli. È ciò che facevano abitualmente gli scribi e i farisei. Imponevano agli altri pesanti precetti che loro non osservavano minimamente. Amavano esibirsi in pubblico per carpire l’ammirazione degli altri, esigevano i primi posti nei conviti e nelle sinagoghe e si facevano chiamare «maestri». La falsità, l’ipocrisia e la vanità pervadevano ormai la loro vita, ciò nonostante Gesù raccomanda: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno». C’è il rischio ancora oggi di diventare ciarlatani maldestri della Parola di Dio. È fin troppo facile cadere nell’esibizionismo e nella vanità e nella spettacolarizzazione anche in campo religioso. Può accadere ancora che tuoniamo moralismi dai nostri pulpiti e infanghiamo di miserie la nostra vita nella più assurda incoerenza. Anche i sacerdoti di Cristo possono cadere nella tentazione di allargare filatteri e frange per far mostra di una dignità che non possiedono e non testimoniano con la vita. Ad ogni cristiano può accadere di guardarsi intorno per condannare e piangere i mali del mondo e ignorare i propri mali. Dover essere modelli per i propri figli ed essere incapaci di assolvere a tale dovere. Quanti maestri pretendono di insegnare solo con la voce e non con la forza dell’esempio. Per questo Gesù ci raccomanda la coerenza e ci esorta a non farci chiamare maestri. È prudente e saggio nascondere i titoli e sentirsi invece impegnati costantemente ad essere modelli di verità. È indice di autenticità di fede per tutti non cercare pretesti dalle altrui infedeltà per giustificare le nostre incoerenze. È sempre vero che i peccati e le debolezze degli altri non giustificano le nostre. Molti fedeli invece si dispensano dal dare il dovuto culto a Dio, prendendo a pretesto le miserie dei propri pastori, vere o presunte. La via che Gesù ci indica per non cadere in queste tentazioni è l’umiltà vera, quella che ci fa riconoscere per quel che siamo e ciò che dovremmo essere, che ci predispone ad essere sempre gli ultimi, «abbassati», per essere innalzati da Colui che è la nostra forza. Quel Dio che ci ha chiamati alla nostra personale vocazione, che ci ha affidato la sua vigna, non ci lascia mancare il suo aiuto, a condizione però che non cadiamo nella presunzione di poter assolvere da soli il mandato che Egli ci ha affidato. «Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».
Che cosa significa essere cristiano? Andare a Messa, battezzare i propri figli, fare la comunione a Pasqua, rispettare i comandamenti? Nel Vangelo di oggi, Cristo svela la falsità della religiosità dei farisei servendosi dell’esempio dei sacerdoti dell’Antico Testamento: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo; ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”. Viene da pensare ai genitori e agli educatori: non basta parlare o insegnare, bisogna dare il buon esempio. Quante volte un padre alcolizzato, una madre negligente o degli educatori poco adatti avviano i bambini alla menzogna? Quello che dovrebbe essere il comportamento del vero cristiano appare nell’insegnamento di san Paolo ai Tessalonicesi. Chiamato da Cristo sulla via di Damasco, san Paolo scoprì, per un’improvvisa folgorazione, tutto il mistero di Cristo e capì che l’essere cristiano consiste nello spirito di apostolato. Egli stesso, pieno dello Spirito di Cristo risorto, lo trasmise agli altri. Essere cristiani vuol dire questo: non tanto rispettare ciecamente delle formule o dei precetti, ma donare Cristo agli altri, mediante una vita cristiana onesta, perché, grazie all’apostolato della preghiera, della sofferenza e delle opere, il cristiano possa divenire una forza vivente del Vangelo di Cristo. Questo è l’insegnamento di Gesù ed è così che deve vivere chi vuole essere cristiano.

Approfondimento del Vangelo (Contro l’ipocrisia)
Il testo: In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Chiave di lettura: Questo brano evangelico è l’ultimo degli insegnamenti pubblici di Gesù iniziati con il discorso della montagna (cc. 5-7). Gesù si trova a Gerusalemme, si avvicina il momento dell’arresto, sta avendo un duro confronto con le diverse categorie di persone: sommi sacerdoti, anziani, erodiani, scribi, farisei, ecc. Gesù non sta contestando la religiosità giudaica in quanto tale, ma pronuncia parole dure sul tentativo di alcuni, i capi in particolare, di stravolgerne i valori autentici con atteggiamenti incoerenti. L’evangelista Matteo, in questa prima parte del capitolo 23, riportando queste parole di Gesù, mette in guardia la comunità dei primi cristiani dal riprodurre uno stile di vita incompatibile con la fede in Lui. Sullo sfondo si percepisce il conflitto tra la chiesa nascente e la sinagoga.

Una possibile divisione del testo:
- Matteo 23,1-7: Messa in guardia degli ascoltatori e denuncia del comportamento degli scribi e farisei.
- Matteo 23,8-12: Raccomandazioni alla comunità dei discepoli.

Momento di silenzio per ascoltare lo Spirito, far entrare la Parola di Dio nel cuore e illuminare la nostra vita

Alcune domande:
- A chi sono rivolte le parole di Gesù?
- Chi sono gli interlocutori dell’evangelista Matteo?
- Osservanza e ipocrisia possono convivere?
- Qual è la novità del messaggio di Gesù?
- Quali atteggiamenti caratterizzano la comunità dei discepoli di Gesù?

Meditazione: Queste parole di Gesù appaiono dure e polemiche. Proviamo a meditarle in rapporto al primo discorso di Gesù, quello sul monte, secondo la redazione di Matteo. Esse diventano allora come un paragone tra l’ideale di vita del discepolo di Cristo e i comportamenti non corrispondenti a questo ideale, evidenti in coloro che sono ancora “sotto la Legge”, direbbe Paolo. Il discorso è rivolto alle folle e in particolare ai discepoli, non agli scribi e ai farisei, almeno in questa prima parte del capitolo. Ci sono comunque anche scribi “non lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34). Sono ovunque quelli che “dicono e non fanno”. Il riferimento all’insegnamento degli scribi, stando “seduti sulla cattedra di Mosè”, era reale nelle sinagoghe, ma ha anche un riferimento simbolico, perché è divenuto un segno di potere, così Gesù ammaestrava stando seduto per terra (Mt 5,1). Il rapporto di Gesù con la Legge è chiarito nel discorso della montagna, egli non è venuto per abolirla, ma per portarla a compimento (Mt 5, 17-19) quindi i comandamenti autentici sono da mettere in pratica: “quanto vi dicono fatelo e osservatelo”. Aggiungeva però Gesù nel precedente discorso: “Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei celi” (Mt 5,20). Seguiva l’interpretazione autentica della Legge: “avete inteso che fu detto... ma io vi dico”. Gesù supera l’osservanza formale della Legge (Mc 7,15) perché è giunto il Regno di Dio (Mt 4,17), col suo avvento l’Amore è al di sopra della Legge. Non basta più ricorrere alla Legge per giustificare la validità delle disposizioni cultuali (il sabato, lavarsi le mani) né per imporre “pesanti fardelli”, ora ci si deve riferire all’amore di Dio che solo conferisce all’agire dell’uomo il suo significato ultimo. Per il discepolo di Cristo sono valide le motivazioni interiori, le intenzioni autentiche (Mt 6, 22-23). Annunciando che il regno di Dio è qui, Gesù offre un nuovo criterio di azione che non sopprime la Legge, ma ne rivela il senso autentico. Il comandamento dell’amore è il metro di misura nella critica della Legge. “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi... Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-30). I “pesanti fardelli” sono prescrizioni elaborati dalla tradizione orale. Queste possono aiutare l’osservanza della Torah, ma la possono anche aggirare e soppiantare con usanze umane. Ecco allora che riguardano gli altri piuttosto che i capi: “loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. La religiosità può essere pure motivo di esibizionismo (vv.5-7) contrario a quanto insegnato nel discorso della montagna. “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini” (Mt 6,1): l’elemosina (Mt 6,3), la preghiera (Mt 6,5), il digiuno (Mt 6,16) che erano le opere buone più frequenti per un giudeo, devono essere fatte “in segreto” dal discepolo di Cristo, perché hanno come unica motivazione l’adorazione di Dio. Più importante per il discepolo non è il consenso sociale e il rispetto degli uomini, né i titoli di onore, “rabbi”, ma essere “poveri in spirito” (Mt 5,3) perché tutto si è posto nelle mani di Dio e non si ha nulla per sé, là è il proprio tesoro (Mt 6,21), in cielo. Questo porta persecuzione (Mt 5,10-11) più che applausi e consenso (Mt 23,6-7). Dio è “Padre nostro” (Mt 6,9), nessuno si può interporre a Lui. Per questo il discepolo di Cristo si deve guardare dal conferire ad alcuni titoli: rabbi, padre, maestro un’importanza e un potere che oscuri il fatto che uno solo è rabbi, padre, maestro e voi siete tutti fratelli. Giovanni che battezzava, quando vide passare il vero Maestro, mandò i suoi discepoli da lui (Gv 1,35), l’unico Maestro e non li trattenne per sé. La comunità di Gesù è quella delineata nel discorso delle “Beatitudini” con le sue esigenze radicali. Una comunità di fratelli e sorelle capace di accogliere Dio che viene a salvare gratuitamente. Questa comunità ha il suo ideale nel “servizio” (Mt 20,28) del Figlio dell’uomo, modello della Chiesa. L’autorità del capo perde la sua attrazione, non è più un ideale, “Il più grande tra voi sia vostro servo” (conf. Mc 10,41-44; Gv 13), non si parla più di modello gerarchico, ma di servire e di abbassarsi, “chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. Nelle parole di Gesù c’è molto di più di una polemica con gli scribi e i farisei, molto di più di una esortazione a essere coerenti, è un richiamo all’identità stessa dei suoi discepoli, alla novità che loro son chiamati a testimoniare.

Contemplazione: Mi hai messo in guardia, Signore, da un comportamento ipocrita che non riflette la novità di vita che anima la comunità dei tuoi discepoli. Come è facile tornare a mettere al centro se stessi, attaccarsi alle usanze, a rimanere immobili, ascoltando la tua Parola. Sì, anch’io sono tra coloro che “dicono e non fanno”, la tua Parola mi mette in imbarazzo. La ricerca di segni esteriori, di consenso, di titoli e onorificenze turba i miei pensieri e indebolisce la fraternità. Come era pura di cuore tua madre, Maria, così siano le mie intenzioni e i miei atteggiamenti in modo da poter costruire una comunità secondo i tuoi stessi sentimenti con la tua stessa compassione verso tutti. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE
LA PARTECIPAZIONE DELLE GENTI ALLA SALVEZZA


Letture:
Is 45,20-23
Sal 21
Fil 3,13b-4,1
Mt 13,47-52

Una rete che raccoglie ogni genere di pesci
L’opera missionaria della Chiesa vuol raggiungere ogni uomo e ogni cultura: “Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci”. Ma la salvezza alla fine è decisa dalla propria scelta personale, perché c’è un bene e un male che ciascuno è chiamato a discernere nella propria vita. Pesci buoni e pesci cattivi hanno diversa sorte. Ci dice, da una parte, l’apertura a tutti, una missionarietà che non deve trovare barriere: ogni uomo ha diritto al regno e a sentirne l’annuncio. Forse anche significa una Chiesa più accogliente e tollerante, e non una setta di perfetti. Dall’altra poi però, appartenere al regno di Dio è qualcosa di ben preciso e definito, non un generico buonismo che tutto contiene, un sincretismo che mena all’indifferenza, un soggettivismo che - come capita - diviene “dittatura del relativismo”.
Apertura e tolleranza: Il mondo si rimescola sempre più; la nostra diviene sempre più una società multietnica, multiculturale, multireligiosa. La Chiesa è chiamata ad essere anche qui un segnale e una luce. Molti di questi stranieri tra noi sono anche cristiani: saperli riconoscere, accogliere e stimare il loro dono come ricchezza per tutta la comunità. Forse anche uno stimolo di rinnovamento e giovinezza. Molti hanno altre fedi: nei loro confronti il rispetto, una conoscenza più precisa, un dialogo. E magari quel contagio che si esprime nella buona relazione quotidiana. Il linguaggio però che tutti sanno percepire è quello della carità: solo questa fa intuire che dietro ci sta una visione diversa della vita, una verità e delle motivazioni superiori; l’amore gratuito fa trasparire una fede matura! Il mondo è da sempre un miscuglio di buoni e cattivi, di chi vive una onestà e di chi invece perverte se stesso e gli altri con una coscienza sbagliata. Questo anche entro la Chiesa. Paolo si lamentava già delle sue comunità: “Molti si comportano da nemici della croce di Cristo: il ventre è il loro Dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Epist.). Verrebbe da dire: “Vuoi che andiamo a raccoglierla” la zizzania? “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania con essa sradichiate anche il grano” (Mt 13,28-29). Anche la Chiesa, inizio del Regno, è “una rete che raccoglie ogni genere di pesci”! Sapersi distinguere, ma tolleranza: solo alla fine, non noi, ma Dio farà il giudizio. La tentazione di una Chiesa, sette chiusa di perfetti, è tentazione di sempre. Anche oggi, da noi, c’è chi si crede più perfetto e diviene intransigente con tutti, e tratta gli altri come “pattume”. Ci si chiude in un ambito privilegiato (socialmente ed economicamente) e ci si pone entro la cultura di oggi come in una torre di difesa, in un ghetto chiuso, impenetrabile, privilegiando una “presenza” più d’alternativa e di scontro che non di dialogo. Peggio poi è quel ghetto di cristiani che si ergono a nostalgici di un passato che è superato non solo in forme e atteggiamenti di fede, ma anche dottrinalmente. È passato nella Chiesa un Concilio, proprio “simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. Sale e lievito è detto il discepolo, e quindi si pone in mezzo agli altri con la coerenza e la testimonianza discreta.
Lo specifico: Non di meno il compito della Chiesa è quello dell’annuncio dello “specifico cristiano”, il riferimento cioè a Dio e a Cristo come realtà decisiva per la vita di ognuno. “Fuori di me non c’è altro Dio; un Dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri” (Lett.). Raccontare Dio e le sue opere, fare memoria degli eventi salvifici di Cristo è la prima missione dei credenti: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). “Raccontate, presentate le prove, consigliatevi pure insieme!” (Lett.). Pietro esortava a essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16). Il dialogo vero comporta una identità che sa confrontarsi su cose precise non sul vuoto, il generico o.. “l’ecumenico”! Specifico soprattutto per quello che è il destino ultimo (e unico) cui è chiamato ogni uomo. Per Paolo era la tensione della sua vita: “Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Epist.). Là deve correre il nostro cuore e il nostro proposito: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Epist.). Si sente ogni tanto qualcuno che rimprovera ai credenti di parlare troppo poco della vita eterna. E anche - soprattutto - di parlare poco dell’inferno; o comunque del giudizio finale di Cristo. “Quando la rete è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi”. Altra volto Gesù fu più esplicito: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria,.. si siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri” (Mt 25,31ss). E avranno sorte diversa. “Così sarà alla fine del mondo. verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. Sarà il fallimento definitivo: “Lo stagno ardente di fuoco e di zolfo sarà la morte seconda” (Ap 21,8).
“Avete compreso tutte queste cose? Gli risposero: Sì”. Lo possiamo dire anche noi? Compreso in un modo significativo, che orienta diversamente al vita. Dicevano gli antichi Padri: “Fa’ memoria delle Ultime Cose e non peccherai mai più!”. Tutto l’opposto della cultura moderna, che nasconde e non vuol sentire parlare della morte. Sembrano tutti... immortali!
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: martedì 1° novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyLun Ott 31, 2011 12:04 pm

MARTEDÌ 1° NOVEMBRE 2011

SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI


Preghiera iniziale: O Signore, cercare la tua Parola, che ci è venuta incontro in Cristo, è tutto il senso della nostra vita. Rendici capace di accogliere la novità del vangelo delle Beatitudini, così la mia vita può cambiare. Di te, Signore, non potrei sapere nulla, se non ci fosse la luce delle parole del tuo Figlio Gesù, venuto per ‘raccontarci’ le tue meraviglie. Quando sono debole, appoggiandomi a Lui, verbo di Dio, divento forte. Quando mi comporto da stolto, la sapienza del suo vangelo mi restituisce il gusto di Dio, la soavità del suo amore. E mi guida per i sentieri della vita. Quando appare in me qualche deformità, riflettendomi nella sua Parola l’immagine della mia personalità diventa bella. Quando la solitudine tenta di inaridirmi, unendomi a lui nel matrimonio spirituale la mia vita diventa feconda. E quando mi scopro in qualche tristezza o infelicità, il pensiero di Lui, quale unico mio bene, mi schiude il sentiero della gioia. Un testo che riassume in modo forte il desiderio della santità, quale ricerca intensa di Dio e ascolto dei fratelli è quello di Teresa di Gesù Bambino: «Se tu sei niente, non dimenticare che Gesù è tutto. Devi dunque perdere il tuo piccolo nulla nel suo infinito tutto e non pensare più che a questo tutto unicamente amabile...» (Lettere, 87, a Maria Guèrin).

Letture (rito romano):
Ap 7,2-4.9-14 (Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua)
Sal 23 (Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore)
1Gv 3,1-3 (Vedremo Dio così come egli è)
Mt 5,1-12 (Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli)

Letture (rito ambrosiano):
Ap 7,2-4.9-14
Sal 88
Rm 8,28-39
Mt 5,1-12a

I veri beati
Oggi la chiesa militante, tutti noi ancora in cammino verso la patria beata, ci uniamo alla schiera dei santi. Lo facciamo durante tutto l’anno quando ricorre il «dies natalis», come viene definito il giorno della loro morte, ma non ci è proprio consentito si ricordarli tutti, sia perché nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, la chiesa ha dovuto necessariamente, operare una selezione, sia perché il loro numero, costituisce una schiera che nessuno può numerare. Infatti oggi, oltre che ricordare i santi canonizzati ufficialmente dalla Chiesa, ci uniamo a tutti coloro che, spesso in modo nascosto e rimasti anonimi, hanno raggiunto la salvezza. Sicuramente tra questi speriamo di poter annoverare tanti nostri cari, persone semplici, che senza mai assurgere agli onori della cronaca e senza nessuna proclamazione, hanno però servito il Signore con costanze e fedeltà. Li festeggiamo perché volgiamo innanzitutto rendere grazie a Dio, autore e fonte della santità, a Cristo nostro redentore e modello e anche a tutti loro che ci incoraggiano con i loro esempi e intercedono per noi affinché possiamo con loro un giorno godere la stessa gioia nella visione beatifica. Ricordandoli e festeggiandoli oggi la Chiesa proclama ancora una volta, il vangelo delle beatitudini. Vuole dirci qual’è stato il loro codice di vita, come hanno potuto raggiungere la vera e definitiva beatitudine. Vogliono anche distoglierci dal nostro mondo di distrazioni, di superficialità e di fatuo materialismo. Oggi i nostri occhi, il nostro spirito deve essere rivolto più che mai alla patria che ci attende. Dobbiamo riprendere fiducia e riappropriarci di certezze che solo la fede e la fedeltà vissute possono infonderci. Dobbiamo avere il coraggio di pensare con fermezza che la nostra vocazione comune è una chiamata alla santità. Non è definitivamente importante che questa sia riconosciuta e proclamata dalla chiesa, è importante che sia riconosciuta da Signore giusto giudice e Padre misericordioso. Sant’Agostino pensando ai santi, meditando sulle loro eroiche virtù, affermava: «Se questi e queste… perché non io?».
Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, tutti hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze. Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. È Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà, è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.

Approfondimento del Vangelo (Le beatitudini)
Il testo: In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Momenti di silenzio orante: Per essere raggiunti dalla parola di Cristo e perché la Parola fatta carne, che è Cristo, possa abitare i nostri cuori e noi vi possiamo aderire, è necessario che ci sia ascolto e silenzio profondo. Solo in cuori silenziosi la Parola di Dio può nascere anche in questa solennità dei Santi e, anche oggi, prendere carne.

Contesto: La parola di Gesù sulle Beatitudini che Matteo ha attinto dalle sue fonti era condensata in brevi e isolate frasi e l’evangelista l’ha inserita in un discorso di più ampio respiro; è quello che gli studiosi della Bibbia chiamano “discorso della montagna” (capitoli 5-7). Tale discorso viene considerato come lo statuto o la magna charta che Gesù ha affidato alla sua comunità come parola normativa e vincolante per definirsi cristiana. I vari temi della parola di Gesù contenuti in questo lungo discorso non sono una somma o agglomerato di esortazioni, ma piuttosto indicano con chiarezza e radicalità quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello. Alcune espressioni di tale insegnamento di Gesù possono apparire esagerate, ma sono utilizzate per dare un’immagine più viva della realtà e quindi realistiche nel contenuto, anche se non nella forma letteraria: per esempio ai vv.29-30: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna». Tale modo di esprimersi sta a indicare l’effetto che si vuole creare sul lettore, il quale deve intendere rettamente le parole di Gesù per non travisarne il senso. La nostra attenzione per esigenze liturgiche si sofferma sulla prima parte del “discorso della montagna”, quella appunto che s’apre con la proclamazione delle beatitudini (Mt 5,1-12).

Alcuni particolari: Matteo introduce il lettore ad ascoltare le beatitudini pronunciate da Gesù con una ricca concentrazione di particolari. Innanzitutto viene indicato il luogo nel quale Gesù pronuncia il suo discorso: “Gesù salì sulla montagna” (5,1). Per tale motivo gli esegeti lo definiscono “discorso della montagna” a differenza di Luca che lo inserisce nel contesto di un luogo pianeggiante (Lc 6,20-26). L’indicazione geografica della “montagna” potrebbe alludere velatamente ad un episodio dell’AT molto simile al nostro: è quando Mosé promulga il decalogo sulla montagna del Sinai. Non si esclude che Matteo intenda presentare al lettore la figura di Gesù, nuovo Mosé, che promulga la legge nuova. Un altro particolare che ci colpisce è la posizione fisica con cui Gesù pronunzia le sue parole: “e, messosi a sedere”. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità nella mentre legifera. Lo circondano i discepoli e le “folle”: tale particolare intende mostrare che Gesù nel pronunziare tali parole le ha rivolte a tutti e che sono da considerarsi attuabili per ogni ascoltatore. Và notato che il discorso di Gesù non presenta degli atteggiamenti di vita impossibili, né che essi siano diretti a un gruppo di persone speciali o particolari, né mirano a fondare un’etica esclusivamente dall’indirizzo interiore. Le esigenze propositive di Gesù sono concrete, impegnative e decisamente radicali. C’è qualcuno che ha cosi stigmatizzato il discorso di Gesù: «Per me, è il testo più importante della storia umana. S’indirizza a tutti, credenti e non, e rimane dopo venti secoli, l’unica luce che brilla ancora nelle tenebre di violenza, di paura, di solitudine in cui è stato gettato l’Occidente dal proprio orgoglio ed egoismo» (Gilbert Cesbron). Il termine “beati” (in greco makarioi) nel nostro contesto non esprime un linguaggio “piano”, ma un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell’AT, per esempio, vengono definite persone “felici” coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Sir 25,7-10). L’orante dei Salmi definisce “felice” chi “teme”, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell’osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1). L’originalità di Matteo consiste nell’aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l’affermazione principale “beati i poveri in spirito” è illustrata da una frase aggiunta “perché di essi è il regno dei cieli”. Un’altra differenza rispetto all’AT: quella di Gesù annunciano una felicità che salva nel presente e senza limitazioni. Inoltre, per Gesù, tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui.

Le prime tre beatitudini:
- Il primo grido riguarda i poveri: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Il lettore ne resta scioccato: come è possibile che i poveri possano essere felici? Il povero nella Bibbia è colui che si svuota di sé e soprattutto rinuncia alla presunzione di costruire il suo presente e futuro in modo autonomo per lasciare, invece, più spazio e attenzione al progetto di Dio e alla sua Parola. Il povero, sempre in senso biblico, non è un uomo chiuso in se stesso, miserabile, rinunciatario, ma nutre apertura a Dio e agli altri. Dio rappresenta tutta la sua ricchezza. Potremmo dire con S.Teresa d’Avila: felici sono coloro che fanno esperienza del “Dio solo basta!”, nel senso che sono ricchi di Dio. Un grande autore spirituale del nostro tempo ha così descritto il senso vero di povertà: «Finché l’uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell’atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l’Eternità» (Divo Barsotti). È la prima beatitudine, non solo perché dà inizio alla serie, ma perché sembra condensarle nella varie specificità.
- “Beati gli afflitti perché saranno consolati”. Si può essere afflitti per un grande dolore o sofferenza. Tale stato d’animo sottolinea che si tratta di una situazione grave anche se non vengono indicati i motivi per identificarne la causa. Volendo identificare nell’oggi l’identità di questi “afflitti” si potrebbe pensare a tutti quei cristiani che hanno a cuore le istanze del regno e soffrono per tante negatività presenti nella Chiesa; invece, di attendere alla santità, la chiesa presenta divisioni e lacerazioni. Ma possono essere anche coloro che sono afflitti per i loro peccati e inconsistenze e che, in qualche modo, rallentano il cammino della conversione. A queste persone solo Dio può portare la novità della “consolazione”.
- “Beati quelli che sono miti, perché erediteranno la terra”. La terza beatitudine riguarda la mitezza. Un atteggiamento, oggi, poco popolare. Anzi per molti ha una connotazione negativa e viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Qual è il significato del termine “miti” nella Bibbia? I miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace (Sal 37,10), ritenute felici, benedette, amate da Dio. E nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l’AT presenta una ricchezza di significati che non ci permettono una definizione univoca. Nel NT il primo testo che ci viene incontro è Mt 11,29: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Un secondo è in Mt 21,5, Matteo nel riportare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, cita la profezia di Zaccaria 2,9: “Ecco il tuo servo viene a te mite”. Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza. Anche Paolo ricorda la mitezza come un atteggiamento specifico dell’essere cristiano. In 2 Corinti 10,1 esorta i credenti “per la benignità e la mitezza di Cristo”. In Galati 5,22 la mitezza è considerata un frutto dello Spirito Santo nel cuore dei credenti e consiste nell’essere mansueti, moderati, lenti nel punire, dolci, pazienti verso gli altri. E ancora in Efesini 4,32 e Colossesi 3,12 la mitezza è un comportamento che deriva dall’essere cristiani ed è un segno che caratterizza l’uomo nuovo in Cristo. E infine, un’indicazione eloquente ci viene dalla 1 Pietro 3,3-4: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati in collane d’oro, sfoggio di vestiti -, cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace ecco ciò che è prezioso davanti a Dio”. Nel discorso di Gesù che significato ha il termine “miti”? Davvero illuminante è la definizione dell’uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: “L’uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l’ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l’uomo, e muove l’uomo all’obbedienza e all’amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione”. A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta: “La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell’aspetto dell’umiltà che si manifesta nell’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. Infondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui” (Jacques Dupont).

La parola m’illumina (per meditare)
a) So accettare quei piccoli segni di povertà che possono riguardarmi? Ad esempio la povertà della salute, piccole indisposizioni? Ho pretese esorbitanti?
b) So accettare qualche aspetto della mia povertà e fragilità?
c) So pregare come un povero, come uno che chiede con umiltà la grazia di Dio, il suo perdono, la sua misericordia?
d) Ispirato dal messaggio di Gesù sulla mitezza so rinunciare alla violenza, alla vedetta, allo spirito vendicativo?
e) So coltivare, in famigli e sul posto di lavoro, uno spirito di dolcezza di mitezza e di pace?
f) Rispondo con il male alle piccole malignità, alle insinuazioni, alle allusioni offensive?
g) So essere attento ai più deboli, che sono incapaci di difendersi? Sono paziente con gli anziani? Accogliente verso gli stranieri soli, i quali spesso sono sfruttati sul lavoro?

1° novembre: Solennità di Ognisanti
Biografia: La festa di tutti i Santi, il 1 novembre si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi anche a Roma, fin dal sec. IX. Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.

Dagli scritti
Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. È chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi. Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso. Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368).

Preghiera finale: Signore Gesù, tu ci indichi il sentiero delle beatitudini per giungere a quella felicità che è pienezza di vita e quindi santità. Tutti siamo chiamati alla santità, ma il tesoro per i santi è solo Dio. La tua Parola, o Signore, chiama santi tutti coloro che nel battesimo sono stati scelti dal tuo amore di Padre, per essere conformati a Cristo. Fa’, o Signore, che per tua grazia sappiamo realizzare questa conformità a Cristo Gesù. Ti ringraziamo, Signore, per i tuoi santi che hai posto nel nostro cammino manifestazione del tuo amore. Ti chiediamo perdono se abbiamo sfigurato in noi il tuo volto e rinnegato la nostra chiamata ad essere santi.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: mercoledì 2 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyLun Ott 31, 2011 12:06 pm

MERCOLEDÌ 2 NOVEMBRE 2011

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI


Orazione iniziale: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano (Ez 37, 9) vieni Spirito Santo, soffia nella nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra anima, affinché diventiamo in Cristo una creazione nuova, primizia della vita eterna. Amen.

Letture (messa I):
Gb 19,1.23-27 (Io lo so che il mio redentore è vivo)
Sal 26 (Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi)
Rm 5,5-11 (Giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui)
Gv 6,37-40 (Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno)

Letture (messa II):
Is 25,6.7-9 (Il Signore eliminerà la morte per sempre)
Sal 24 (Chi spera in te, Signore, non resta deluso)
Rm 8,14-23 (Aspettiamo la redenzione del nostro corpo)
Mt 25,31-46 (Venite benedetti del Padre mio)

Letture (messa III):
Sap 3,1-9 (Il Signore li ha graditi come l’offerta di un olocausto)
Sal 41 (L’anima mia ha sete del Dio vivente)
Ap 21,1-5.6-7 (Non vi sarà più la morte)
Mt 5,1-12 (Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli)

Perché chiunque abbia la vita eterna
Nessuno di noi conosce con certezza la sorte dei propri cari dopo la loro morte. Sappiamo però che tutti subiscono e noi sorbiremo il giudizio di Dio che in modo inappellabile segnerà la nostra sorte. Abbiamo perciò il fondato timore, per le inevitabile debolezze e umane fragilità, che prima di entrare nella gloria dei santi, sia necessario un periodo, più o meno lungo, di purificazione nel Purgatorio. Mentre le anime purganti più nulla possono fare per se stesse, essendo concluso per loro il tempo della prova, noi cristiani siamo convinti che possiamo suffragare le loro anime, con le nostre preghiere, con i nostri sacrifici e soprattutto affidandole a Cristo redentore, quando ripete il suo Sacrificio nella santa Messa. È sorta così la pia consuetudine di antichissima origine e comune a molte religioni, di pregare per i defunti. Molti buoni fedeli, non mancano di fare e chiedere suffragi per i propri cari, implorando per loro un particolare ricordo nella celebrazione eucaristica. Alcuni cercano di lucrare indulgenze da offrire sempre in suffragio dei defunti. Sono però praticamente innumerevoli le così dette anime dimenticate, quelle per cui nessuno prega in particolare, anche se sappiamo bene, che la chiesa incessantemente, in ogni celebrazione, implora misericordia e pietà per tutti i defunti. Oggi in atteggiamento di cristiana solidarietà, con spirito di fraternità, siamo sollecitati a ricordarli tutti e in modo speciale. Ecco spiegata la lunga processione verso i cimiteri, le visite ai sepolcri, i fiori e le preghiere di tanti. L’invito alla preghiera, unico modo valido di dare suffragio alle anime dei trapassati, vuole anche correggere alcuni atteggiamenti superficiali, fatti solo di cure esteriori alle tombe con ornamenti e fronzoli che servono solo ad appagare il nostro occhio, ma a nulla giovano ai nostri cari. La fede infatti ci illumina e ci fa credere che lì riposano sole le misere spoglie mortali in preda alla corruzione, la loro anima vive ormai in un’altra dimensione. Ci sia di ulteriore sprone il pensiero che se per le nostre preghiere le anime purganti giungono in Paradiso, ci garantiamo una schiera di santi intercessori per noi presso Dio. Non possiamo infatti dubitare che ci ricambieranno abbondantemente il favore che abbiamo loro fatto.
Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali (cfr. Lumen gentium, 49). La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi (ivi, 50). Nei riti funebri la Chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine (cfr. Rito delle esequie, 1). Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV.

Approfondimento del vangelo (messa I - Il pane della vita)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Momenti di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Chiave di lettura: Nel vangelo di Giovanni, il punto di vista fondamentale su Gesù e la sua missione è che il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita e a salvare ciò che era perduto. Il mondo sa parte sua rifiuta il Verbo incarnato. Il prologo del Vangelo ci presenta questo pensiero (Gv 1,1-18), che successivamente l’evangelista continuerà ad elaborare nel racconto evangelico. Anche i vangeli sinottici, a loro modo, annunciano questa novella. Si pensi alle parabole della pecora smarrita e della dramma perduta (Lc 15,1-10); oppure alla dichiarazione: non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori (Mc 2,17). Questo filo di pensiero lo troviamo anche in questo brano: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38). Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (Gv 6,40). Parole chiavi del vangelo di Giovanni sono: vedere e credere. Vedere, implica e significa automaticamente credere nel Figlio mandato dal Padre. Con questo atteggiamento di fede il credente possiede già la vita eterna. Nel vangelo di Giovanni, la salvezza del mondo si compie già nella prima venuta di Cristo tramite l’incarnazione e con la risurrezione di colui che si lascia elevare sulla croce. Il secondo ritorno di Cristo nell’ultimo giorno sarà un completamento di questo mistero della salvezza. Il brano del vangelo di oggi è tratto dalla sessione che parla del ministero di Gesù (Gv 1-12). Il testo ci porta nella Galilea, al tempo di pasqua, la seconda volta nel testo giovanneo: Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea... Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Gv 6,1.4). Una grande folla lo seguiva, (Gv 6,2) e Gesù vedendo le folle che lo seguivano moltiplica i pani. La folla lo vuole proclamare re, ma Gesù fugge e si ritira sulla montagna tutto solo (Gv 6,15). Dopo una breve pausa che ci fa contemplare il Signore che cammina sulle acque (Gv 6,16-21), il racconto prosegue il giorno dopo (Gv 6,22), con la folla che continua ad aspettare e a cercare Gesù. Segue poi il discorso sul pane della vita e l’ammonimento di Gesù a procurare il cibo che rimane per sempre (Gv 6,27). Gesù definisce se stesso come il pane della vita, facendo riferimento alla manna data al popolo da Dio tramite Mosè, come una figura del vero pane che scende dal cielo e dà la vita al mondo (Gv 6,30-36). In quest’ambito si svolgono le parole di Gesù che noi stiamo usando per la nostra Lectio (Gv 6,37-40). In questo contesto troviamo poi una nuova opposizione e un nuovo rifiuto della rivelazione di Cristo come il pane della vita (Gv 6,41-66). Le parole di Gesù su colui che va da lui, fanno eco dell’invito di Dio a partecipare ai beni del banchetto dell’alleanza (Is 55,1-3). Gesù non respinge quelli che vanno da lui ma li da la vita eterna. La sua missione è infatti di cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,27). Questo ci ricorda il racconto dell’incontro di Gesù con la Samaritana vicino al pozzo di Giacobbe (Gv 4,1-42). Gesù non respinge la Samaritana, ma incomincia un dialogo ‘pastorale’ con la donna che viene al pozzo per l’acqua materiale e lì trova l’uomo, il profeta e il messia che le promette l’acqua della vita eterna (Gv 4,13-15). Abbiamo nel racconto la stessa struttura: da una parte la gente cerca il pane materiale e d’altra parte, invece si fa da parte di Gesù tutto un discorso spirituale sul pane della vita. Anche la testimonianza di Gesù che mangia il pane della volontà di Dio (Gv 4,34) riecheggia ciò che il Maestro insegna in questo brano evangelico (Gv 6,38). Nell’ultima cena Gesù riprende ancora tutto questo discorso nel capitolo 17. È lui che da la vita eterna (Gv 17,2), conserva e custodisce a tutti coloro che il Padre gli ha dato. Di questi nessuno è andato perduto tranne il figlio della perdizione (Gv 17,12-13).

Alcune domande per orientare la meditazione e l’attualizzazione
- Il Verbo fatto carne viene mandato dal Padre nel mondo a darci la vita, ma il mondo rifiuta il Verbo incarnato. Accetto nella mia vita il Verbo Divino che da la vita eterna? Come?
- Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6, 38). In Gesù si vede l’obbedienza alla volontà del Padre. Interiorizzo questa virtù nella mia vita per viverla quotidianamente?
- Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (Gv 6, 40). Chi è Gesù per me? Cerco di vederlo con gli occhi della fede, ascoltando le sue parole, contemplando il suo modo di essere? Che cosa significa per me la vita eterna?

2 novembre: Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Biografia: Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria e, distrutta la morte, gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli defunti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec.XIV.

Martirologio: Nel Martirologio Romano leggiamo: In questo giorno si fa la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la Chiesa, pia Madre comune, dopo essersi adoperata a celebrare con degne lodi tutti i suoi figli, che già esultano in cielo, subito si affretta a sollevare con validi suffragi presso Cristo, suo Signore e Sposo, tutti gli altri suoi figli, che gemono ancora nel Purgatorio, affinché possano quanto prima pervenire alla società dei cittadini beati.

Dagli scritti
Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» di sant’Ambrogio, vescovo
Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere é Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che é spirito di vita, se non dopo la morte corporale? Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l’anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l’anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7,24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7,25 ss.). Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina é la grazia di Cristo, e il corpo mortale é il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo. Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia. Il mondo é stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte é la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte; quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte é vittoria, la sua morte é sacramento, la sua morte é l’annuale solennità del mondo. E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l’esempio divino che la morte sola ha conseguito l’immortalità e che la morte stessa si é redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non é da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non é da schivare. A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisce quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l’immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio. L’anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne. Arrivarvi é proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d’arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15,3-4). L’anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa é accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64,3). Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26,4) (Lib. 2, 40.41.46.47.132.133; CSEL 73,270-274,323-324).

Preghiera finale: O Dio, che alla mensa della tua parola e del pane della vita ci nutri per farci crescere nell’amore. Donaci di accogliere il tuo messaggio nel nostro cuore per divenire nel mondo lievito e strumento di salvezza.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 5 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyLun Ott 31, 2011 12:09 pm

SABATO 5 NOVEMBRE 2011

SABATO DELLA XXXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.

Letture:
Rm 16,3-9.16.22-27 (Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo)
Sal 144 (Ti voglio benedire ogni giorno, Signore)
Lc 16,9-15 (Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?)

Non è possibile servire a due padroni
Quando un padre smette l’amore per i propri figli, diventa per loro padrone, e despota e figli diventano, di conseguenza, sudditi e schiavi. Non mancano nelle vicende umane storie di questo genere. Non solo gli uomini hanno il potere di soggiogare i propri simili, ma le cose del mondo e il denaro in modo particolare, esercita tale assurdo e subdolo potere. Nasce così l’alternativa, la scelta che ognuno nella propria vita è chiamato coerentemente ad operare. Di questa scelta il Signore oggi ci parla, volendo innanzitutto, distoglierci dall’equivoco di non fare scelte e cadere così nell’intento disastroso di voler far coesistere in noi valori diversi e contrastanti. Rischiamo così una forma morbosa di schizofrenia personale e collettiva. Gesù vuole svelarci il potere ingannatore che il denaro esercita talvolta su di noi: può accaderci di diventarne schiavi e illusi dal suo fascino bugiardo perché «ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio». Ciò anche perché l’animo umano, se non illuminato dallo Spirito, è insaziabile nella sue bramosie. Dio non è padrone, ma padre di noi tutti e ci vuole come figli, liberi dagli inganni e dalle seduzioni. Se scegliamo di servirlo possiamo godere, già in questa vita, del suo amore e sentirci appagati e sazi nell’anima. I desideri migliori poi, noi credenti, li orientiamo nella speranza, verso i beni futuri, che non periscono perché eterni.
Oggi, sabato, il Vangelo ci permette di meditare sull’umiltà e sulla fedeltà della Madonna. Gesù dice ai farisei: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è detestabile davanti a Dio”. Dio conosce anche il cuore umile di Maria: “Ha guardato l’umiltà della sua serva”, e lo ha scelto per farne la dimora dello Spirito Santo, perché il Figlio suo si facesse carne in lei. Cuore umile e cuore fedele, nelle cose piccole e nelle grandi cose di cui è stata intessuta la sua vita. Maria è vissuta nella costante fedeltà ai doveri quotidiani: cose nascoste, cose che tutti ritengono ovvie, e che possono diventare così pesanti nella loro ripetitività. Ed è stata fedelissima alla volontà di Dio nei grandi eventi della sua vita: grandi, ma ancora nascosti: “Sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto”. Si è compiuto in lei il più grande evento della storia umana, ma chi lo sa? “E l’Angelo partì da lei”. La vita di Maria continua senza “angeli”: messaggeri saranno per lei da ora in avanti Elisabetta, i pastori, l’anziano Simeone. Ma la sua fedeltà non verrà meno fino al Calvario, quando offrirà al Padre il suo dono più prezioso, la vita del Figlio: fedele nei piccoli gesti d’amore e fedele nel gesto supremo. Chiediamo alla Madonna, che per la sua umiltà e fedeltà è stata scelta ad essere madre di Gesù e Madre della Chiesa, di farci partecipare a questi doni e di custodirli e farli crescere in noi, perché possiamo essere “fedeli nel poco e fedeli nel molto”.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi riporta alcune parole di Gesù attorno all’uso dei beni. Sono parole e frasi isolate, di cui non conosciamo l’esatto contesto in cui furono pronunciate. Sono state messe qui da Luca per formare una piccola comunità attorno all’uso corretto dei beni di questa vita e per aiutare a capire meglio il senso della parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8).
- Luca 16,9: Usare bene il denaro ingiusto. “Procuratevi amici con la iniqua ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne”. Nell’Antico Testamento, la parola più antica per indicare il povero è “ani” che significa impoverito. Viene dal verbo “ana”, cioè opprimere, ribassare. Questa affermazione evoca la parabola dell’amministratore disonesto, la cui ricchezza era iniqua, ingiusta. Qui appare il contesto delle comunità del tempo di Luca, cioè, degli anni 80 dopo Cristo. All’inizio le comunità cristiane sorsero tra i poveri (cfr. 1Cor 1,26; Gal 2,10). Poco a poco ne entrarono a far parte persone più ricche. L’entrata dei ricchi portò con sé problemi che appaiono nei consigli dati nella lettera di Giacomo (Gi 2,1-6;5,1-6), nelle lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 11,20-21) e nel vangelo di Luca (Lc 6,24). Questi problemi si aggravarono verso la fine del primo secolo, come attesta l’Apocalisse nella sua lettera alla comunità di Laodiceia (Ap 3,17-18). Le frasi di Gesù che Luca conserva sono un aiuto per chiarire e risolvere questo problema.
- Luca 16,10-12: Essere fedele nel piccolo e nel grande. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella iniqua ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?”. Questa frase chiarisce la parabola dell’amministratore disonesto. Lui non fu fedele. Per questo, fu tolto dall’amministrazione. Questa parola di Gesù suggerisce anche come dar vita al consiglio di farsi amici con il denaro ingiusto. Oggi avviene qualcosa di simile. Ci sono persone che parlano bene della liberazione, ma in casa opprimono la moglie e i figli. Sono infedeli nelle cose piccole. La liberazione comincia nel piccolo mondo della famiglia, della relazione giornaliera tra le persone.
- Luca 16,13: Voi non potete servire Dio e il denaro. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”. Ognuno di noi dovrà fare una scelta. Dovrà chiedersi: “Chi metto al primo posto nella mia vita: Dio o il denaro?”. Al posto della parola denaro ognuno può mettere un’altra parola: macchina, impiego, prestigio, beni, casa, immagine, etc. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, ma di una scelta ben concreta di vita che comprende gli atteggiamenti.
- Luca 16,14-15: Critica dei farisei cui piace il denaro. I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”. In un’altra occasione Gesù menziona l’amore di alcuni farisei verso il denaro: “Voi sfruttate le vedove, e rubate nelle loro case e, in apparenza, fate lunghe preghiere” (Mt 23,14: Lc 20,47; Mc 12,40). Loro si lasciavano trascinare dalla saggezza del mondo, di cui Paolo dice: “Considerate, infatti, la vostra chiamata, fratelli; non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,26-28). Ad alcuni farisei piaceva il denaro, come oggi a alcuni sacerdoti piace il denaro. Vale per loro l’avvertimento di Gesù e di Paolo.

Per un confronto personale
- Tu e il denaro? Che scelta fai?
- Fedele nel piccolo. Come parli del vangelo e come vivi il vangelo?

Preghiera finale: Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta (Sal 111).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 6 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyLun Ott 31, 2011 12:13 pm

DOMENICA 6 NOVEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, sopratutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Sap 6,12-16 (La sapienza si lascia trovare da quelli che la cercano)
Sal 62 (Ha sete di te, Signore, l’anima mia)
1Ts 4,13-18 (Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti)
Mt 25,1-13 (Ecco lo sposo! Andategli incontro!)

In attesa dello sposo
Come le dieci vergini del Vangelo di questa Domenica, anche noi siamo in attesa dell’arrivo dello Sposo. È l’attesa della beata speranza e del nostro Salvatore, Gesù Cristo. Egli arriva quando meno ce l’aspettiamo, anche nel cuore della notte, e noi non conosciamo né il momento né l’ora. Siamo perciò sollecitati a vegliare, ad attendere con la lucerna accesa e con il buon rifornimento dell’olio della fede. La vigilanza deve essere urgente e assidua, sia per l’importanza dell’incontro, sia per il rischio, sempre attuale, di restare senza olio. Nulla di ciò che ci è dato in dono è definitivo per noi. Dobbiamo far fruttificare i talenti, dobbiamo alimentare la lampada. Dobbiamo essere sempre desti, vivificati dalla grazia divina. Tutta la nostra vita la viviamo in prospettiva di un incontro finale e gioioso; viviamo nella speranza di poter celebrare le nostre nozze eterne con Cristo nostro Sposo. È incalcolabile ed irreparabile il danno che potremmo subire a causa di un colpevole ritardo. Quando è indispensabile essere nella luce per incontrare la Luce, la mancanza di olio potrebbe risultare fatale. Innumerevoli volte nel corso della vita terrena il Signore interviene generosamente a rifornire le nostre lampade quando le ha viste spente o senza olio. Poi arriva il momento in cui dobbiamo rendere conto di tutti i doni, soprattutto del dono della fede. Come la sapienza cristiana s’identifica con la saggezza e la previdenza delle cinque vergini che hanno preso con se l’olio, così la stoltezza ci assomiglia alla cinque stolte, che hanno sì, preso con se le lampade, ma non si sono rifornite di olio sufficiente. Ciò ci fa pensare a tanti che dicono di credere, ma non agiscono in conformità alla fede che professano. Così la lampada lentamente si spegne perché non rifornita a sufficienza. Viene da pensare anche a coloro che abusano del tempo e con ottusità non ne considerano la fine. Vivono come se la loro fissa ed ultima dimora dovesse essere per sempre quaggiù. È inevitabile poi che si trovino impreparati quando il grido di amore dello sposo che sopraggiunge, ci trova al buio, impreparati, distratti. È molto triste la sorte delle cinque stolte e di tutti i ritardatari; si sentono dire dallo sposo quando bussano alla porta del banchetto nuziale: «In verità vi dico: non vi conosco». Se, alla luce della fede, pensiamo alla fine della nostra vita, coma ad un incontro con lo Sposo, ad una celebrazione pasquale, ad un invito alle nozze eterne, possiamo fugare la paura, alimentare la nostra speranza e far ardere costantemente la nostra fede, non resteremo mai al buio, ma saremo figli della luce.
Ai tempi di Gesù la sposa aspettava nella casa dei genitori l’arrivo dello sposo. Dopo il tramonto del sole, lo sposo arrivava con un corteo nuziale per portarla nella sua casa. Alcune damigelle seguivano la sposa. Diverse ragioni potevano causare il ritardo dello sposo come, per esempio, lunghi discorsi con i genitori della sposa sui doni e sulla dote. Il tirare in lungo le trattative era di buon auspicio. Ma non è lo stesso per le spose di cui si parla nel Vangelo di oggi. Qui si tratta infatti del ritorno di Cristo e tutto è riassunto nelle ultime parole: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, cioè: “Siate pronte per l’arrivo di Cristo”. Così la parabola delle vergini poteva cominciare con questa frase: “Per il regno dei cieli accadrà come per le dieci vergini che uscirono, con le loro lampade, incontro allo sposo”. Agli occhi di Gesù, è saggio chi veglia, cioè chi pensa sempre, nel suo animo, al giorno del ritorno del Signore e all’ora della propria morte, chi vive ogni giorno nell’amicizia di Dio, nella grazia santificante, e chi si rialza subito se, per debolezza, cade. Allora “Vegliate”, perché nessuno, all’infuori di Dio, conosce il giorno e l’ora.

Approfondimento del Vangelo (La parabola delle dieci vergini)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: Ecco lo sposo! Andategli incontro!. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Le sagge risposero: No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!. Ma egli rispose: In verità io vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Una chiave di lettura: Meditiamo la parabola delle dieci vergini, o delle dieci giovani ragazze. Nelle parabole Gesù ama usare fatti ben conosciuti della vita del popolo come mezzo di paragone per chiarire un aspetto sconosciuto del Regno di Dio. Nel caso della parabola delle dieci vergini, egli costruisce una storia attorno al comportamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo nel giorno di festa del matrimonio. Questo fatto ben noto a tutti è usato da Gesù per chiarire l’avvenimento dell’arrivo improvviso del Regno di Dio nella vita delle persone. Generalmente Gesù non spiega le parabole, ma dice: “Chi ha orecchi per intendere intenda!”. Ossia: “È così. Avete udito! Ora cercate di capire”. Egli provoca le persone, perché i fatti conosciuti nella vita quotidiana li aiutino a scoprire gli appelli di Dio nella loro vita. Egli coinvolge gli uditori nella scoperta del significato della parabola. L’esperienza che ciascuno ha del fatto di vita narrato nella parabola, contribuisce a scoprire il senso delle parole di Gesù. Segno che Gesù aveva fiducia nella capacità di comprensione delle persone. Essi diventano co-produttrici del significato. Alla fine della Parabola delle dieci vergini, Gesù dice: “Vigilate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Questo avvertimento finale serve come chiave di lettura. Essa indica la direzione del pensiero di Gesù. Durante la lettura cercare di scoprire quale sia il punto centrale di questa parabola che serve a Gesù come similitudine con il Regno di Dio.

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- Mt 25,1-4: L’atteggiamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo: cinque prudenti e cinque stolte
- Mt 25,5-6: Il ritardo dello sposo e il suo arrivo improvviso nella notte
- Mt 25,7-9: L’atteggiamento differente della prudenti e delle stolte
- Mt 25,10-12: La sorte differente delle prudenti e delle stolte
- Mt 25,13: Conclusione della parabola

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Qual è il punto della parabola che più vi è piaciuto o che ha richiamato di più l’attenzione? Perché?
- Qual’ è il contesto della vita normale del popolo, sul quale Gesù insiste in questa parabola?
- Dall’inizio, fare una distinzione fra “prudenti” e “stolte”. In che cosa consiste la prudenza e la stoltizia?
- Come giudicare la risposta così dura dello sposo: “In verità vi dico: non vi conosco”?
- Di quale giorno e di quale ora parla Gesù alla fine della parabola?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il tema
a) Il contesto nel quale Matteo conserva le parole di Gesù: Il Vangelo di Matteo ha due tipi di parabole. Quelle che aiutano a percepire il Regno di Dio presente nell’attività di Gesù, e quelle che aiutano a prepararsi per la venuta futura del Regno. Quelle appaiono soprattutto nella prima parte della vita apostolica di Gesù. Queste sono più frequenti nella seconda metà, quando appare evidente che Gesù sarà perseguitato, arrestato e ucciso per mano delle autorità civili e religiose. In altre parole, nelle parabole si mescolano le due dimensioni del Regno: (1) il Regno già presente, qui e ora, nascosto nel quotidiano della nostra vita e che va scoperto e approfondito da parte nostra; (2) il Regno futuro che ancora deve venire e per il quale ciascuno deve prepararsi fin da ora. La tensione fra già e non ancora pervade la vita cristiana. Il Natale è allo stesso tempo, una celebrazione del Regno già presente e un anticipo del Regno che ancora deve venire.
b) Commento delle parole di Gesù, conservate da Matteo
- Matteo 25,1-4: L’atteggiamento differente delle ragazze che accompagnano lo sposo: cinque sagge e cinque stolte. Gesù inizia la parabola con le parole: “Il Regno dei cieli sarà simile...”. Significa che la parabola delle dieci vergini si riferisce alla venuta futura del Regno, per la quale dobbiamo prepararci fin da ora. Per chiarire questa dimensione del Regno, Gesù ricorre all’uso ben noto di invitare alcune giovani del paese ad accompagnare lo sposo al suo arrivo per la festa delle nozze. Esse dovevano accompagnare lo sposo con le lampade accese. Però le lampade erano piccole e l’olio che contenevano bastava solo per un tempo limitato. Per questo era prudente che ciascuna portasse con sé un po’ d’olio di riserva. Perché il percorso con lo sposo poteva durare più del tempo limitato dell’olio nella lampada. Questo è ciò che si sottintende in questa storia delle dieci vergini: chi accetta un determinato compito deve prepararsi in base alle esigenze del compito stesso. La giovane che accetta di essere dama di onore nello sposalizio deve comportarsi in modo adeguato a questa funzione. Deve essere previdente e portare l’olio necessario per la sua lampada. Chi deve far un viaggio di 100 chilometri su una strada senza posti di rifornimento e, sapendo questo, parte con benzina per appena 50 chilometri, non è previdente né prudente. La gente dice: “Stupido, non ha cervello”.
- Matteo 25,5-6: Il ritardo dello sposo e il suo arrivo improvviso nella notte. La sequenza dei fatti narrati da Gesù è molto normale. È notte, lo sposo ritarda. Anche senza volerlo, per quanto sia grande la buona volontà delle giovani, cominciano ad addormentarsi. E allo stesso tempo si sforzano di stare attente, perché lo sposo può arrivare da un momento all’altro. All’improvviso il grido: “Lo sposo sta arrivando!”. È il segnale che tutti stavano aspettando. È in questo momento di crisi che si rivela il valore della persona. I fatti che accadono all’improvviso, indipendenti dalla nostra volontà, dimostrano se siamo previdenti o stolti.
- Matteo 25,7-9: Attitudine differente delle sagge e delle stolte. Svegliatesi, le giovani cominciano a preparare le lampade che devono servire per far luce sul cammino. Era giunta l’ora di mettere più olio, perché le lampade si stavano spegnendo. Le giovani che non avevano con sé olio di riserva, chiedono dell’olio in prestito alle altre. Queste rispondono che non possono dargliene, perché alla fine mancherebbe ad entrambe. Se fosse stato solo per far luce al cammino, le sagge avrebbero potuto dire: camminate vicino a noi e vedrete dove mettere i piedi. Ma non si tratta solo di far luce sulla strada. Le lampade servivano anche per festeggiare e illuminare l’arrivo dello sposo. Era questo il compito delle dame d’onore: che ciascuna tenesse una lampada accesa in mano. Nel momento della crisi le giovani stolte chiedono condivisione. Chiedono che le sagge dividano con loro l’olio che avevano portato. La condivisione era una pratica molto importante e fondamentale nella vita del popolo di Dio. Ma qui non si trattava tanto di condividere: perché se le sagge avessero condiviso l’olio avrebbero provocato danno allo sposo, intralciando la festa delle nozze; e avrebbero finito per non adempiere il compito che si erano assunte né loro né le altre. Per questo le sagge, di fronte alla richiesta delle stolte, rispondono che non possono condividere, e danno un consiglio realista: “Andate a comprarlo!”. Essendo già mezzanotte, sarebbe stato difficile trovare un negozio aperto.
- Matteo 25,10-12: Destino differente delle sagge e delle stolte. Mentre le stolte andavano a comprare, giunse lo sposo e quelle che erano pronte entrarono con lui alla festa di nozze, e la porta fu chiusa. Nella storia della parabola, le stolte trovarono un negozio aperto, comprarono dell’olio. Seppur in ritardo, arrivano e gridano: “Apriteci la porta!”. Lo sposo (almeno sembra sia lui) risponde con durezza: “In verità vi dico: non vi conosco”.
- Matteo 25,13: Conclusione: vigilanza. La conclusione dello stesso Gesù, alla fine della storia, è una frase che può servire come chiave per tutta la parabola: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora!”. Dio può venire in qualunque ora nella nostra vita. Tutti devono star preparati. Come le giovani delle nozze, tutti devono essere prudenti e previdenti, portando olio sufficiente con sé. Cioè devono fare attenzione di non essere causa per altri di deviazione, anche se insistono su cose buone come la condivisione. Devono imparare a star sempre attenti nel servizio che devono dare a Dio e al prossimo.
- A completamento: Come spiegare la frase tanto severa: “Non vi conosco!”? Mettiamo qui due suggerimenti per la risposta:
1) Molte parabole hanno qualcosa di strano: il padre che non rimprovera il figlio prodigo, il pastore che lasciò le novantanove pecore per preoccuparsi solo di una, il samaritano che agisce meglio del sacerdote e del levita, ecc. Generalmente questi aspetti strani o sorprendenti nascondono una chiave importante per scoprire il punto centrale della parabola. Così, nella parabola delle dieci vergini ci sono varie cose strane, che di solito non succedono: a) di notte non ci sono negozi aperti; b) nella festa di matrimonio non si usa chiudere la porta; c) in situazioni normali, lo sposo mai direbbe: non vi conosco. È per questi aspetti strani di sorpresa che passa il filo centrale dell’insegnamento della parabola. Quale sarebbe? “Chi ha orecchi per intendere, intenda”.
2) Lo sposo della parabola è (anche) lo stesso Gesù, che arriva repentinamente di notte. È quello che il contesto di altri testi dei vangeli e dell’AT suggeriscono. Nella conversazione con la samaritana Gesù dice che aveva cinque mariti e che quello che ha ora, cioè il sesto, non è vero marito. Il settimo è Gesù, lo sposo vero (Gv 4,16-18). Finché lo sposo sta con i suoi discepoli essi non hanno bisogno di digiunare (Mt 2,19-20). Fin dai tempi del profeta Osea, VIII secolo avanti Cristo, cresceva nel popolo la speranza di poter giungere un giorno a una intimità tale con Dio simile all’intimità dello sposo con la sposa (Os 2,19-20). Isaia dice chiaramente: è desiderio di Dio essere il marito del popolo (Is 54,5; Ger 3,14), gioire con il popolo come uno sposo gioisce alla presenza della sua sposa (Is 62,5). Questa speranza si realizza con l’arrivo di Gesù. Quando Gesù fa la sua entrata nella vita delle persone, tutto deve ritirarsi, perché lui è lo sposo. Questa visione di fondo della storia e della speranza secolare del popolo aiuta a comprendere meglio il senso della frase così severa dello sposo: “Non vi conosco!”. Per la mancanza di impegno e di serietà, le cinque giovani stolte mostrarono chiaramente che ancora non erano pronte per l’impegno definitivo del matrimonio con Dio. Avevano bisogno di altro tempo per prepararsi: “Vigilate, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
ULTIMA DOMENICA DELL’ANNO LITURGICO
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
SOLENNITÀ DEL SIGNORE


Letture:
2Sam 7,1-6.8-9.12-14a.16-17
Sal 44
Col 1,9b-14
Gv 18,33c-37

Sono venuto per dare testimonianza alla verità
Il Regno di Dio è questione che riguarda la coscienza di ogni uomo, è proclamazione e azione di un Dio che “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Epist.). Si tratta del modo di vivere personale che riconosce la signoria propria di Cristo come l’unico modo giusto che porta a riuscita la vita; una ‘salvezza’ che sta oltre i nostri criteri e le nostre capacità; e in definitiva la scelta di una ‘verità’ di noi stessi che non è quella che pensiamo noi. È lo scontro di sempre - dall’albero proibito di Adamo fino alle scelte morali che siamo chiamati a fare ogni giorno - tra la propria autonomia e l’obbedienza a Dio. È la pretesa di Gesù di essere solo Lui il Signore della nostra esistenza, al quale siamo chiamati ad aderire con totalità di cuore e di vita: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.
Il mio regno non è di questo mondo: Davanti a Pilato sembra che il discorso riguardi un potere politico; ma alla dichiarazione di Gesù, Pilato risponde: “Che cosa è la verità!” (Gv 18,18). Si è cioè rimandati ad un altro livello: “Il mio regno non è di questo mondo”. Non è di un potere esterno - dice Gesù - quello di cui io parlo e per il quale io opero, ma di una signoria che decide della vita, che tocca i riferimenti morali, che richiede una scelta di fondo come orientamento globale del senso, del fine, del destino di ogni uomo; in sostanza è interpellanza alla libertà e alla ‘verità’ dell’uomo. Il vangelo interviene a questo profondo livello, e quindi anche l’azione della Chiesa e del credente. Esclude quindi automaticamente ogni forma di potere politico, economico, di pressione mediatica: siamo nel regno della coscienza interiore e di una salvezza che è del tutto religiosa. Un livello che, stando a Paolo, si riferisce a un rapporto quasi esclusivo con Dio: “Non cessate di pregare perché abbiate piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi il maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (Epist.). Tradotto significa che è ambito che riguarda la fede, operazione religiosa, di scelta di vita per Dio, di comunione con lui per amarlo “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27). Dal rapporto così totale con Dio scaturisce poi l’atteggiamento giusto con gli altri. Dice il Concilio che “la Chiesa è in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1,1). Il confronto quindi col mondo, e la conseguente missione, è un lavoro religioso, un impegno educativo, più propriamente una iniziazione alla ben più profonda opera di Cristo che santifica le anime con la Parola, i sacramenti e la vita ecclesiale: “Resi forti di ogni fortezza secondo la potenza della sua gloria, per essere perseveranti e magnani in tutto, ringraziando il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Epist.). Il che vuol dire: opera ‘pastorale’ che predilige mezzi spirituali (e sacramentali), azione divina più che agitazione organizzativa, comunione con Dio prima di ‘comunità’ strutturata. “Il mio regno non è di quaggiù”, e quindi non usa i mezzi mondani, né si scontra sullo stesso piano né si misura con gli stessi parametri del successo, del prestigio, dei numeri, .. del potere!
Dare testimonianza alla verità: Un giorno Gesù, parlando del potere politico, ebbe a chiarire l’atteggiamento dei suoi discepoli e ne indicò l’esempio e la radice: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimano. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,25-28). Cristo ha conquistato il suo Regno dalla croce, “amando i suoi fino alla fine” (Gv 13,1). “Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1,18-19). Il nostro è un re che regna dalla croce, dove c’era il titolo: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19,19). Ha così rivelato la verità più profonda del cuore e del disegno di Dio, il quale “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Davanti a Pilato Gesù lo dichiara esplicitamente: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. Ecco il contenuto positivo della sua regalità. La verità è la rivelazione di Dio, il suo autocomunicarsi per salvare e arricchire l’uomo della sua divinità. La verità è ciò che ha fatto e portato Gesù, anzi è lui la verità: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Egli è quella “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), egli è la verità dell’uomo, è colui che rivela la più profonda identità e il più alto destino di questa nostra povera umanità, riscattata e nobilitata da quel gesto paradossale di un re coronato di spine e appeso alla croce. Di fronte ad un re così, è facile rimanere sconcertati e magari riderci sopra, come han giocato i soldati al pretorio vestendolo da re da burla. Anche oggi si ride dei cristiani e della loro inerte debolezza. E si prende gusto a perseguitarli e ad emarginarli. Tanto più che il bene di tanto volontariato e di tanta carità ecclesiale, non fa mai cronaca televisiva. Ma è questa trama nascosta che tiene insieme ancora la nostra società sfilacciata in tanta corruzione, ingiustizia e violenza. Come sale, come lievito. Un Regno di Dio che si inizia a costruire anche qui. “Carità di alto profilo” chiama il papa l’impegno politico di credenti. “La fede cristiana purifica la ragione e l’aiuta ad essere meglio se stessa; e irrobustisce le energie morali e spirituali che consentono di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali” (Deus caritas est).
Un re, un regno, quello di Gesù, oggi modesto all’apparenza. Rideva Stalin chiedendosi: “Quante divisioni ha il Vaticano?!”. Ma proprio Gesù un giorno disse: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). E anche alla sua Chiesa ha promesso “che le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18). Anzi alla fine, quando verrà come giudice, “ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto” (Ap 1,7).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 12 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 08, 2011 9:54 am

SABATO 12 NOVEMBRE 2011

SAN GIOSAFAT


Preghiera iniziale: Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio.

Letture:
Sap 18,14-16; 19,6-9 (Il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli e saltellarono come agnelli esultanti)
Sal 104 (Ricordate le meraviglie che il Signore ha compiuto)
Lc 18,1-8 (Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui)

Pregare sempre
Ai nostri giorni due grandi difficoltà non ci consentono di entrare in un clima di preghiera assidua e costante: da una parte un certo tipo di progresso che ci ha convinti di essere quasi onnipotenti, pare che nulla e nessuno possa più arrestare il cammino verso sempre nuove e affascinanti conquiste, da ciò deriva un senso di autosufficienza che esclude di fatto ogni ricorso a qualsiasi richiesta di aiuto. Dall’altra ci siamo convinti di godere di una forma di invulnerabilità ed anche questo tipo di sufficienza e di sicurezza, benché fasulla, non lascia spazio a quel pensiero di umiltà e di verità che ci consentirebbe invece di rivolgerci ad un Essere superiore. Onnipotenti ed invulnerabili, quindi niente preghiera! L’uomo saggio invece, che si lascia illuminare dallo Spirito di Dio, prende coscienza dei propri limiti, si mette alla ricerca del suo Signore e Padre e, trovatolo, lo invoca incessantemente per conoscerlo, per amarlo, per godere del suo amore, per scoprire il piano divino che lo conduce alla salvezza. Pregare sempre allora non è più una richiesta assurda perché diventa un bisogno irrefrenabile dell’anima, un bisogno di comunione con Dio che non può conoscere più pause o intervalli.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi riporta un elemento molto caro a Luca: la preghiera. È la seconda volta che Luca riporta le parole di Gesù per insegnarci a pregare. La prima volta (Lc 11,1-13), ci insegnò il Padre Nostro e, per mezzo di paragoni e parabole, insegnò che dobbiamo pregare con insistenza, senza stancarci. Ora, questa seconda volta (Lc 18,1-8), ricorre di nuovo ad una parabola tratta dalla vita per insegnare la costanza nella preghiera. È la parabola della vedova che scomoda il giudice senza morale. Il modo di presentare la parabola è molto didattico. In primo luogo, Luca presenta una breve introduzione che serve da chiave di lettura. Poi racconta la parabola. Alla fine, Gesù stesso la spiega.
- Luca 18,1: L’introduzione. Luca presenta la parabola con la frase seguente: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi“. La raccomandazione di “pregare senza stancarsi” appare molte volte nel Nuovo Testamento (1Ts 5,17; Rom 12,12; Ef 6,18; ecc). Ed è una caratteristica della spiritualità delle prime comunità cristiane.
- Luca 18,2-5: La parabola. Poi Gesù presenta due personaggi della vita reale: un giudice senza considerazione per Dio e senza considerazione per gli altri, ed una vedova che lotta per i suoi diritti presso il giudice. Il semplice fatto di indicare questi due personaggi rivela la coscienza critica che aveva della società del suo tempo. La parabola presenta la gente povera che lotta nel tribunale per ottenere i suoi diritti. Il giudice decide di prestare attenzione alla vedova e di farle giustizia. Il motivo è questo: per liberarsi dalla vedova molesta e non essere più importunato da lei. Motivo di interesse personale. Ma la vedova ottiene ciò che vuole! Ecco un fatto di vita quotidiana, di cui Gesù si serve per insegnare a pregare.
- Luca 18,6-8: L’applicazione. Gesù applica la parabola: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente”. Se non fosse Gesù, noi non avremmo avuto il coraggio di paragonare Gesù ad un giudice disonesto! Ed alla fine Gesù esprime un dubbio: “Ma il Figlio dell’Uomo quando viene, troverà fede sulla terra?”. Ossia, avremo il coraggio di sperare, di avere pazienza, anche se Dio tarda nel fare ciò che gli chiediamo?
- Gesù in preghiera. I primi cristiani avevano un’immagine di Gesù in preghiera, in contatto permanente con il Padre. Infatti, la respirazione della vita di Gesù era fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Gesù pregava molto ed insisteva, affinché la gente e i suoi discepoli pregassero. Poiché è confrontandosi con Dio che emerge la verità e che la persona ritrova se stessa in tutta la sua realtà ed umiltà. Luca è l’evangelista che più ci informa sulla vita di preghiera di Gesù. Presenta Gesù in costante preghiera. Ecco alcuni momenti in cui Gesù appare in preghiera. Tu, voi potete completare l’elenco:
- A dodici anni va al Tempio, alla Casa del Padre (Lc 2,46-50).
- Prega quando è battezzato e nell’assumere la missione (Lc 3,21).
- All’inizio della missione, trascorre quaranta giorni nel deserto (Lc 4,1-2).
- Nell’ora della tentazione, affronta il diavolo con testi della Scrittura (Lc 4,3-12).
- Gesù ha l’abitudine di partecipare il sabato a celebrazioni nelle sinagoghe (Lc 4,16)
- Cerca la solitudine del deserto per pregare (Lc 5,16; 9,18).
- Prima di scegliere i dodici Apostoli, trascorre la notte in preghiera (Lc 6,12).
- Prega prima dei pasti (Lc 9,16; 24,30).
- Prega prima della sua passione e nell’affrontare la realtà (Lc 9,18).
- Nella crisi, sale sulla Montagna ed è trasfigurato quando prega (Lc 9,28)
- Dinanzi alla rivelazione del vangelo ai piccoli, dice: “Padre io ti ringrazio!” (Lc 10,21).
- Pregando, suscita negli apostoli la volontà di pregare (Lc 11,1).
- Prega per Pietro affinché non perda la fede (Lc 22,32).
- Celebra la Cena Pasquale con i suoi discepoli (Lc 22,7-14).
- Nell’Orto degli Ulivi, prega, anche sudando sangue (Lc 22,41-42).
- Nell’angoscia dell’agonia, chiede ai suoi amici di pregare con lui (Lc 22,40.46).
- Nell’ora di essere inchiodato sulla croce, chiede perdono per i malfattori (Lc 23,34).
- Nell’ora della morte dice: “Nelle tue mani consegno il mio spirito!” (Lc 23,46; Sal 31,6).
- Gesù muore emettendo il grido del povero (Lc 23,46).
- Questa lunga lista indica quanto segue. Per Gesù la preghiera è intimamente legata alla vita, ai fatti concreti, alle decisioni che doveva prendere. Per poter essere fedeli al progetto del Padre, cercava di rimanere da solo con Lui. Lo ascoltava. Nei momenti difficili e decisivi della sua vita, Gesù recitava i Salmi. Come qualsiasi giudeo pio, li conosceva a memoria. La recita dei Salmi non spense in lui la creatività. Anzi. Gesù creò lui stesso un Salmo che ci trasmise: il Padre Nostro. La sua vita è una preghiera permanente: “Cerco sempre la volontà di colui che mi ha mandato!” (Gv 5,19.30). A lui si applica ciò che dice il Salmo: “Io sono preghiera!” (Sal 109,4).

Per un confronto personale:
- C’è gente che dice di non saper pregare, ma parla con Dio tutto il giorno? Tu conosci persone così? Racconta. Ci sono molti modi in cui oggi la gente esprime la sua devozione e prega. Quali sono?
- Cosa ci insegnano queste due parabole sulla preghiera? Cosa mi insegnano sul mio modo di vedere la vita e le persone?

12 novembre: San Giosafat, Vescovo e Martire
Biografia: Nacque in Ucraina verso il 1580 da genitori ortodossi. Abbracciata la fede cattolica, fu accolto fra i monaci di San Basilio. Ordinato sacerdote ed eletto vescovo di Polock, si dedicò con grande impegno alla causa dell’unità della chiesa. Ciò suscitò contro di lui l’odio di alcuni che decisero di ucciderlo. Affrontò il martirio nel 1623.

Dagli scritti
Dall’enciclica «Ecclesiam Dei» di Pio XI, papa
Versò il suo sangue per l’unità della Chiesa
La Chiesa di Dio, per ammirabile provvidenza, fu costituita in modo da riuscire nella pienezza dei tempi come un’immensa famiglia. Essa é destinata ad abbracciare l’universalità del genere umano e perciò, come sappiamo, fu resa divinamente manifesta per mezzo dell’unità ecumenica che é una delle sue note caratteristiche. Cristo, Signor nostro, non si appagò di affidare ai soli apostoli la missione che egli aveva ricevuto dal Padre, quando disse: «Mi é stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,18-19). Ma volle pure che il collegio apostolico fosse perfettamente uno, con doppio e strettissimo vincolo. Il primo é quello interiore della fede e della carità, che é stata riversata nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5). L’altro é quello esterno del governo di uno solo sopra tutti. A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità. Ma perché tale unità e concordia si perpetuasse, Iddio, sommamente provvido, la volle consacrare, per così dire, col sigillo della santità e, insieme, del martirio. Un onore così grande é toccato appunto a san Giosafat, arcivescovo di Polock, di rito slavo orientale, che a buon diritto va riconsciuto come gloria e sostegno degli Slavi orientali. Nessuno diede al loro nome una rinomanza maggiore, o provvide meglio alla loro salute di questo loro pastore ed apostolo, specialmente per aver egli versato il proprio sangue per l’unità della santa Chiesa. C’é di più. Sentendosi mosso da ispirazione divina a ristabilire dappertutto la santa unità, comprese che molto avrebbe giovato a ciò il ritenere nell’unione con la Chiesa cattolica il rito orientale slavo e l’istituto monastico basiliano. E parimenti, avendo anzitutto a cuore l’unione dei suoi concittadini con la cattedra di Pietro, cercava da ogni parte argomenti efficaci a promuoverla e a consolidarla, principalmente studiando quei libri liturgici che gli Orientali, e i dissidenti stessi, sono soliti usare secondo le prescrizioni dei santi padri. Premessa una così diligente preparazione, egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell’unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di «rapitore delle anime» (AAS 15 [1923] 573-582).

Preghiera finale: Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta (Sal 111).
[b]
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 08, 2011 9:59 am

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Prv 31,10-13.19-20.30-31 (La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani)
Sal 127 (Beato chi teme il Signore)
1Ts 5,1-6 (Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro)
Mt 25,14-30; forma breve Mt 25,14-15.19-21 (Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone)

I talenti, doni per la vita da far fruttificare
Nella fede noi credenti riconosciamo il buon Dio come creatore e signore; Lui è la fonte di ogni bene e da Lui provengono i doni che adornano l’esistenza di ogni essere vivente. Tutto ciò viene illustrato dalla parabola dei talenti che leggiamo in questa Domenica. Diverse verità importanti emergono da questo brano evangelico: i doni divini sono affidati in modo e misura diversi ad ognuno di noi, ma tutti devono tendere ad un fine unico, quello di restituirli moltiplicati a Colui che ce li ha gratuitamente elargiti; il datore di ogni bene ripone una grande stima e fiducia in ciascuno di noi, una fiducia che non dovrebbe essere tradita; la legittima attesa da parte di Dio di un rendimento proporzionato a quanto ci viene dato non sminuisce la nostra libertà, ma la esalta e la finalizza a qual progetto universale di salvezza a cui tutto deve tendere. Il rendimento dei conti ci richiama al giudizio finale, all’incontro con il Signore, all’esame sulla nostra fedeltà e sulla nostra operosità: è l’esame finale della nostra vita. Già nel tempo però dovremmo spesso esaminarci per valutare nella luce del Signore l’andamento della nostra vita. È opportuno riconoscere con la migliore gratitudine, senza falsa umiltà, tutti i talenti che Dio ci ha dato; dopo questa scoperta dobbiamo interrogarci sull’uso che ne facciamo, ricordando che colui che sotterra il proprio dono è meritevole di condanna.
La parabola dei talenti parla della venuta di Gesù per il giudizio universale. Quando ritornerà, egli esigerà di sapere da noi come abbiamo usato il nostro tempo, cosa abbiamo fatto della nostra vita e dei talenti che abbiamo ricevuto, cioè delle nostre capacità. Il premio per il buon uso sarà la partecipazione alla gioia del Signore, cioè al banchetto eterno. La parabola racchiude un insegnamento fondamentale: Dio non misurerà né conterà i nostri acquisti, le nostre realizzazioni. Non ci chiederà se abbiamo compiuto delle prodezze ammirate dal mondo, perché ciò non dipende da noi, ma è in parte condizionato dai talenti che abbiamo ricevuto. Vengono tenute in conto soltanto la fedeltà, l’assiduità e la carità con le quali noi avremo fatto fronte ai nostri doveri, anche se i più umili e i più ordinari. Il terzo servitore, “malvagio e infingardo” ha una falsa immagine del padrone (di Dio). Il peggio è che non lo ama. La paura nei confronti del padrone l’ha paralizzato ed ha agito in modo maldestro, senza assumersi nessun rischio. Così ha sotterrato il suo talento. Dio si aspetta da noi una risposta gioiosa, un impegno che proviene dall’amore e dalla nostra prontezza ad assumere rischi e ad affrontare difficoltà. I talenti possono significare le capacità naturali, i doni e i carismi ricevuti dallo Spirito Santo, ma anche il Vangelo, la rivelazione, e la salvezza che Cristo ha trasmesso alla Chiesa. Tutti i credenti hanno il dovere di ritrasmettere questi doni, a parole e a fatti.

Approfondimento del Vangelo (La parabola dei Talenti: vivere con responsabilità)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 25,14-15: Il padrone distribuisce i suoi beni tra i suoi impiegati
- Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni impiegato
- Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato
- Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato
- Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato
- Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola

Chiave di lettura: In questa 33ª domenica del tempo ordinario mediteremo la Parabola dei Talenti che tratta due temi molto importanti e molto attuali: 1) I doni che ogni persona riceve da Dio ed il modo in cui li riceve. Ogni persona ha qualità, talenti con cui può e deve servire gli altri. Nessuno è solamente alunno, nessuno è solamente professore. Impariamo gli uni dagli altri. 2) L’atteggiamento con cui le persone si pongono davanti a Dio che ci hai dato i suoi doni. Nel corso della lettura, cercheremo di essere ben attenti a questi due punti: quale è l’atteggiamento dei tre impiegati rispetto ai doni ricevuti e quale è l’immagine di Dio che ci rivela questa parabola?

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale è il punto di questo testo che mi è piaciuto di più o che mi ha maggiormente colpito? Perché?
b) Nella parabola, i tre impiegati ricevono secondo le loro capacità. Quale è l’atteggiamento di ognuno di loro rispetto al dono ricevuto?
c) Quale è la reazione del padrone? Cosa esige dai suoi impiegati?
d) Come capire la frase: “A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”?
e) Quale immagine di Dio ci rivela questa parabola?

Per coloro che desiderano approfondire il tema
a) Contesto in cui appare il nostro testo nel Vangelo di Matteo: La “Parabola dei Talenti” (Mt 25,14-30) fa parte del 5º Sermone della Nuova Legge (Mt 24,1 a 25,46) e si colloca tra la parabola delle Dieci vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio finale (Mt 25,31-46). Queste tre parabole chiariscono il concetto relativo al tempo dell’avvento del Regno. La parabola delle Dieci vergini insiste sulla vigilanza: il Regno di Dio può giungere da un momento all’altro. La parabola dei talenti orienta sulla crescita del Regno: il Regno cresce quando usiamo i doni ricevuti per servire. La parabola del Giudizio finale insegna come prendere possesso del Regno: il Regno è accolto, quando accogliamo i piccoli. Una delle cose che più influiscono nella nostra vita è l’idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano Dio come un Giudice severo che trattava le persone secondo il merito conquistato seguendo le osservanze. Ciò causava paura ed impediva alle persone di crescere. Impediva che aprissero uno spazio dentro di loro per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.
b) Commento del testo:
- Matteo 25,14-15: Una porta per entrare nella storia della parabola. La parabola racconta la storia di un uomo che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce i suoi beni agli impiegati, dando cinque, due ed un talento, secondo la capacità di ognuno di loro. Un talento corrisponde a 34 chili d’oro, il ché non è poco! In definitiva tutti ricevono la stessa cosa, perché ognuno di loro riceve “secondo la sua capacità”. Chi ha la tazza grande la riempie, chi ha la tazza piccola, la riempie anche lui. Ecco che il padrone va all’estero e vi rimane molto tempo. Il racconto ci lascia un po’ sospesi. Non sappiamo perché il padrone distribuisce il suo denaro agli impiegati, non sappiamo quale sarà la fine del racconto. Forse lo scopo è che tutti coloro che ascoltano la parabola devono cominciare a confrontare la loro vita con la storia descritta nella parabola.
- Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ciascun impiegato. I due primi impiegati lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo seppellisce, per conservarlo bene e non perderlo. Si tratta di beni del Regno che sono dati alle persone ed alle comunità secondo le loro capacità. Tutti e tutte ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!
- Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo impiegato. Dopo molto tempo, il proprietario ritorna per fare i conti con gli impiegati. I due primi dicono la stessa cosa: “Padrone mi ha dato cinque/due talenti. Ecco altri cinque/due che ho guadagnato!”. Ed il padrone risponde allo stesso modo a tutti e due: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
- Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo impiegato. Il terzo impiegato arriva e dice: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo!”. In questa frase appare un’idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. L’impiegato vede in Dio un padrone severo. Davanti a un Dio così, l’essere umano ha paura e si nasconde dietro l’osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che agendo in questo modo eviterà il giudizio e che la severità del legislatore non lo castigherà. Così pensavano alcuni farisei. In realtà, una persona così non ha fiducia in Dio, bensì ha fiducia in se stessa e nella sua osservanza della legge. È una persona rinchiusa in se stessa, lontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l’essere umano, uccide la comunità, non fa vivere la gioia ed impoverisce la vita.
- Matteo 25,26-27: Risposta del padrone al terzo impiegato. La risposta del padrone è ironica. Lui dice: “Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse!”. Il terzo impiegato non è stato coerente con l’immagine severa che aveva di Dio. Se avesse immaginato Dio così severo, avrebbe dovuto per lo meno depositare il denaro in banca. Per questo è stato condannato non da Dio, ma dall’idea sbagliata che aveva di Dio e che lo lascia più spaventato ed immaturo di quanto era. Non era possibile per lui essere coerente con l’immagine che aveva di Dio, poiché la paura paralizza la vita.
- Matteo 25,28-30: La parola finale del padrone che chiarisce la parabola. Il padrone chiede di togliergli il talento e darlo a chi già ne ha: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Ecco la chiave che chiarisce tutto. In realtà i talenti, “il denaro del padrone”, i beni del Regno, sono l’amore, il servizio, la condivisione, il dono gratuito. Talento è tutto ciò che fa crescere la comunità e che rivela la presenza di Dio. Quando ci si chiude in se stessi per paura di perdere il poco che si ha si perde perfino quel poco che si ha, perché l’amore muore, la giustizia si indebolisce, la condivisione sparisce. Invece la persona che non pensa a sé e si dona agli altri, cresce e riceve sorprendentemente tutto ciò che ha dato e molto di più. “Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39).
c) Approfondimento (La moneta diversa del Regno): Non c’è differenza tra coloro che ricevono di più e coloro che ricevono di meno. Tutti ricevono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che il dono sia posto al servizio del Regno e che faccia crescere i beni del Regno che sono l’amore, la fraternità, la condivisione. La chiave principale della parabola non consiste nel produrre talenti, ma indica il modo in cui bisogna vivere la nostra relazione con Dio. I primi due impiegati non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non guardano i talenti per sé, non calcolano, non misurano. Con la più grande naturalità, quasi senza rendersene conto e senza cercare merito per loro, cominciano a lavorare, affinché il dono ricevuto frutti per Dio e per il Regno. Il terzo impiegato ha paura e, per questo, non fa nulla. Secondo le norme dell’antica legge, lui agisce in modo corretto. Si mantiene nelle esigenze stabilite. Non perde nulla, ma nemmeno guadagna nulla. Per questo perde perfino ciò che aveva. Il Regno è rischio. Chi non vuole correre rischi, perde il Regno!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
DOMENICA I DI AVVENTO
LA VENUTA DEL SIGNORE


Letture:
Is 24,16b-23
Sal 79
1Cor 15,22-28
Mc 13,1-27

Cristo tornerà a porre fine alla storia
Una parola introduttiva per capire il contesto del vangelo. Era l’anno 70 d.C. L’esercito romano di Vespasiano-Tito distrugge il tempio di Gerusalemme, cuore di tutta la fede giudaica. Il fatto era parso la fine di un’epoca, la fine del mondo. I cristiani - anche nei secoli successivi in cui erano maggioranza - non vollero mai toccare quelle rovine, quasi a memoria di un giudizio di Dio sulla infedeltà di Israele. Gesù avrà parlato della fine del mondo, non dicendo però né il quando né il come; ma certamente sul significato di quel fatto futuro: sarebbe stato il giudizio di Dio sulla incredulità del mondo. Ad esprimere tale significato gli evangelisti non hanno trovato di meglio che usare le immagini e le impressioni della fine di Gerusalemme per esprimere il senso del ritorno glorioso di Cristo come giudizio finale alla fine del tempo, alla “parusia”. Così si capiscono gli accenni al tempio sconsacrato e distrutto, alle angosce e paure per le violenze di una guerra, in sostanza per lo scombussolamento di un mondo che finisce e trova impreparata e angosciata una umanità che si crede sicura e .. immortale.
Il mondo finisce: C’è il dato scientifico che il mondo finirà.., tra 10 alla ottantesima anni! Ma la Bibbia dice che il mondo finirà non di morte naturale, ma alla venuta del Figlio dell’uomo. E questa venuta è imprevedibile e improvvisa: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24,27). È il primo dato di verità: il mondo finisce, l’umanità ha un termine, l’uomo muore, e anche il cosmo, o il creato, sarà perlomeno trasformato, e forse in un modo drammatico. “A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra” (I lett.). Certamente, dice Paolo, essa è in attesa di un riscatto, di una ri-creazione, “geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” (Rm 8,22). Nel linguaggio di Gesù sarà l’avvento aperto e definitivo di quel nuovo mondo che Lui ha annunciato come Regno di Dio, oggi piccolo granello di senape, ma domani realtà piena e gloriosa come unica signoria di Dio. “Perché Dio sia tutto in tutti” (II lett.). “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. Il Regno di Dio, la signoria di Dio sul male e sulla morte, era iniziato il giorno di Pasqua con la risurrezione di Cristo. È stato un inizio e una risorsa gettata nella storia per lievitare - a fianco della libertà dell’uomo - un mondo rinnovato verso la pienezza della vita. Un lievito efficace ma nascosto, che ha dato l’impressione dell’insignificanza, al punto che l’uomo si è sentito da sempre l’unico artefice della sua vita e della sua storia. S’è sentito l’unico padrone del mondo. Ma la sua era una libertà per delega, una amministrazione ad tempus, fino al giorno in cui il Signore chiederà conto del nostro operato. E sarà il momento del giudizio: “Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti”. “Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza” (II lett.). Un mondo nuovo, definitivo, oltre a tutte le brutture dell’oggi, o meglio, oltre a tutte le menzogne, le violenze, e .. le potenze (politiche, economiche, mediatiche, ..diaboliche!) che hanno amareggiato la vita degli uomini con l’egoismo e la prepotenza. “E vidi un nuovo cielo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi. Vidi anche la città nuova, la Gerusalemme nuova... Udii allora una voce potente: Ecco la tenda di Dio con gli uomini! .. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte né lutto né lamento né affanno perché le cose di prima sono passate... Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,1-5). Fine di questo mondo, dal primo Adamo condotto alla morte, per dare spazio e compimento all’opera del secondo Adamo: “Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita” (II lett.).
Chiamati alla scelta: Se il mondo finisce, se ne devono scorgere le crepe, o i limiti! La storia è un grande campo di battaglia tra il bene e il male, la vita stessa è una lotta difficile di scelte e di “obbedienze” che dicono che non ne siamo assolutamente noi i padroni. Quanta falsa retorica è quella di un mondo di progresso indefinito! Certamente il mondo, il creato, l’uomo hanno una intrinseca evoluzione verso una finalizzazione positiva; ma non terrestre, non semplicemente “umana”, bensì verso un punto “omega” che è il Cristo, cioè verso una umanità divinizzata che entrerà per sempre nella realtà di vita piena propria di Dio. È un “treno”, l’umana vicenda, che corre nella piana della storia verso il tunnel difficile della “Pasqua”, ma per sfociare oltre l’orizzonte temporale. Da qui l’accorgerci del precario e legarci al definitivo. Saltare sul treno giusto! Queste sono le scelte decisive che toccano all’uomo e alla storia: “guerre” e tribolazioni cui fa cenno il vangelo di oggi. Scelte in sostanza su chi affidare la propria salvezza. “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti...Se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là, voi non credeteci”. Quanti falsi messianismi invadono la nostra vita! Ed è ingenuo irenismo credere che l’essere cristiano sia semplicemente un innocuo vogliamoci bene! Persecuzioni ci sono, anche all’interno della famiglia (come vivono oggi molti genitori nei confronti dei figli proprio in fatto di scelte di fede!), che comportano decisioni che costano. Gesù ci ha avvertito: “Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto”. Ma per fortuna Dio assiste i suoi: “Non preoccupatevi!”. Lo Spirito Santo ci darà capacità di difesa e di perseveranza fino ad essere salvati. Sarà il Signore stesso “ad abbreviare quei giorni, grazie agli eletti che egli si è scelto”. E li raccoglierà attorno a sé. Non c’è d’aver paura nelle prove. Come Pietro, quando ci sentiamo affondare, gridiamo: “Signore salvami!” (Mt 14,30), e Lui stende la mano. Sulla barca in tempesta, basta svegliare Gesù che “è sempre con noi”. E subito dice: “Taci, calmati!” (Mc 4,39). “Chi prega si salva”, diceva sant’Alfonso. Sembra cosa da poco, ma è l’unico invito che anche Gesù ripete al Getsemani: “Pregate per non venir meno nella tentazione” (Lc 22,40.46).
Avvento, venuta del Signore. Oggi abbiamo professato l’articolo del Credo: Verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. Sarà la fine del tempo. Ma c’è stato un momento centrale del tempo - Paolo lo chiama “la pienezza del tempo” (Gal 4,4) - in cui Dio è venuto a porre le premesse e quasi a sintetizzare tutto il suo progetto sull’uomo con la vicenda umana di Gesù di Nazaret. È stato come il “culmine” del tempo. Prima di quella venuta di Dio nella carne, c’è stata una lunga preparazione. L’Avvento liturgico ci aiuterà in queste domeniche a rivivere questa preparazione per poter ogni anno riconoscere nella venuta del Figlio di Dio nella carne l’avvento del Salvatore. E poi si proseguirà di domenica in domenica a cogliere gli elementi essenziali della vicenda salvifica espressa dai “misteri” di Cristo. L’Anno liturgico li formulerà in una triplice scansione: mistero dell’Incarnazione (Avvento, Natale, Epifania), mistero della Pasqua (Quaresima, Pasqua, Pentecoste), mistero della Pentecoste o della Chiesa (tempo dopo Pentecoste).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 19 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 15, 2011 10:39 am

SABATO 19 NOVEMBRE 2011

SABATO DELLA XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura.

Letture:
1Mac 6,1-13 (Per i mali che ho commesso a Gerusalemme, muoio nella più profonda tristezza)
Sal 9 (Esulterò, Signore, per la tua salvezza)
Lc 20,27-40 (Dio non è dei morti, ma dei viventi)

Maestro hai parlato bene
Quando Gesù si trova a parlare delle realtà umane trova sempre l’ammirazione di chi gli sta intorno. Parlare dell’uomo e quanto gli sta intorno non significa limitare l’argomento alla sua realtà biologica e temporale. Per parlare in maniera efficace dell’uomo bisogna parlare di Dio; per parlare della vita bisogna parlare del Dio dei vivi. Ecco perché quello che dice Gesù risulta così convincente anche su argomenti che alla nostra comprensione risultano difficile e quasi incomprensibili. Gesù è messo alla prova con una sottile questione giuridica che riguarda i nostri rapporti nella vita che ci aspetta quando la nostra parentesi terrena sarà finita. La gloria in Dio ed essere immersi nel suo amore, certamente travalica ogni schema e rapporto umano. Nella vita in Dio, nella sua completa rivelazione, che ci sarà donata in abbondanza, trovano posti tutti gli amori umani, rivestiti di nuova luce e forza. Le nostre relazioni umane troveranno tutte la stessa fonte; saranno tutte dirette ad un unico Amore che assorbirà e completerà tutto e tutti. Non vi potranno essere distrazioni e non saranno possibili esclusioni. La fonte di ciò è proprio l’amore di Dio. La sua rivelazione completa sarà allora immutabile. La nostra temporalità sarà trasfigurata in Dio con una scintilla del suo Eterno; noi saremo vivi perché sempre in relazione con il Dio vivo dei vivi che è fonte inesauribile e mai prosciugabile. Il cibo che permetterà la nostra vita sarà un cibo per la vita eterna; avremo l’acqua che disseterà per sempre. Ci siederemo a quel pozzo al quale Gesù aveva invitato la Samaritana. Gesù è chiaro: la nostra fede nella resurrezione si basa sulla nostra fede in Dio, del Dio vivente la cui gloria, diceva sant’Ireneo è l’uomo vivente. Vita e morte non sono più categorie che riguardano il nostro essere «naturale» ma il nostro rapporto con Dio, che è la nostra meta «naturale».
Le due letture di oggi ci preparano alla festa di domani, la festa della regalità del Signore. Nella prima vediamo un re terreno che muore “nella più nera tristezza” di chi è stato tiranno, oppressore, sprezzante della legge e del culto del vero Dio. Il Vangelo, all’opposto, parla della risurrezione, alla quale invano si oppongono i sadducei. “Dio dice Gesù non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui”. Gesù, il nostro re, non ha imposto il suo dominio con la violenza: è morto sulla croce, apparentemente nella delusione del fallimento. In realtà la sua morte, accettata con amore nella radicale adesione alla volontà del Padre, ha trionfato sulla morte e si è vittoriosamente aperta sulla risurrezione. Prepariamoci ad accogliere il nostro re “giusto, vittorioso, umile”, come scrive il profeta Zaccaria, con la profonda umiltà di Maria; sottomettiamoci a lui con tutto il cuore, come egli si è sottomesso alla volontà del Padre. Così entreremo nel suo regno: “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore, e di pace”.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi - i quali dicono che non c’è risurrezione - e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci riporta la discussione dei sadduccei con Gesù sulla fede nella risurrezione.
- Luca 20,27: L’ideologia dei sadduccei. Il vangelo di oggi comincia con questa affermazione: “I sadduccei affermano che non esiste resurrezione”. I sadduccei erano un’elite di latifondisti e di commercianti. Erano conservatori. Non accettavano la fede nella risurrezione. In quel tempo, questa fede cominciava ad essere valorizzata dai farisei e dalla pietà popolare. Spingeva il popolo a resistere contro il dominio sia dei romani sia dei sacerdoti, degli anziani e dei sadduccei. Per i sadduccei, il regno messianico era già presente nella situazione di benessere che loro stavano vivendo. Loro seguivano la così detta “Teologia della Retribuzione” che distorceva la realtà. Secondo tale teologia, Dio retribuisce con ricchezza e benessere coloro che osservano la legge di Dio e castiga con sofferenza e povertà coloro che praticano il male. Così, si capisce perché i sadduccei non vogliono mutamenti. Volevano che la religione permanesse tale e come era, immutabile come Dio stesso. Per questo, per criticare e ridicolizzare la fede nella resurrezione, raccontavano casi fittizi per indicare che la fede nella risurrezione avrebbe portato le persone all’assurdo.
- Luca 20,28-33: Il caso fittizio della donna che si sposò sette volte. Secondo la legge dell’epoca, se il marito fosse morto senza figli, suo fratello si doveva sposare con la vedova del defunto. Questo per evitare che, in caso che qualcuno morisse senza discendenza, la sua proprietà passasse ad un’altra famiglia (Dt 25,5-6). I sadduccei inventarono la storia di una donna che seppellì sette mariti, fratelli l’uno dell’altro, e lei stessa morì senza figli. E chiesero a Gesù: “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Caso inventato per mostrare che la fede nella resurrezione crea situazioni assurde.
- Luca 20,34-38: La risposta di Gesù che non lascia dubbi. Nella risposta di Gesù emerge l’irritazione di chi non sopporta la finzione. Gesù non sopporta l’ipocrisia dell’elite che manipola e ridicolizza la fede in Dio per legittimare e difendere i suoi propri interessi. La risposta contiene due parti: (a) voi non capite nulla della risurrezione: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (vv. 34-36). Gesù spiega che la condizione delle persone dopo la morte sarà totalmente diversa dalla condizione attuale. Dopo la morte non ci saranno più sposalizi, ma tutti saranno come angeli nel cielo. I sadduccei immaginavano la vita in cielo uguale alla vita sulla terra; (b) voi non capite nulla di Dio: “Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. I discepoli e le discepole, che stiano attenti ed imparino! Chi sta dalla parte di questi sadduccei si trova al lato opposto a Dio!
- Luca 20,39-40: La reazione degli altri di fronte alla risposta di Gesù. “Dissero allora alcuni scribi: Maestro, hai parlato bene. E non osavano più fargli alcuna domanda”. Probabilmente questi dottori della legge erano farisei, poiché i farisei credevano nella risurrezione (cfr. At 23,6).

Per un confronto personale
- Oggi i gruppi di potere, come imitano i sadduccei e preparano trabocchetti per impedire cambiamenti nel mondo e nella Chiesa?
- Tu credi nella risurrezione? Quando dici che credi nella risurrezione, pensi a qualcosa del passato, del presente o del futuro? Hai mai avuto un’esperienza di resurrezione nella tua vita?

Preghiera finale: Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore (Sal 26).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 20 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 15, 2011 10:44 am

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO A
SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO


Orazione iniziale: Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.

Letture:
Ez 34,11-12.15-17 (Voi siete mio gregge, io giudicherò tra pecora e pecora)
Sal 22 (Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla)
1Cor 15,20-26.28 (Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti)
Mt 25,31-46 (Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri)

Si siederà… e… separerà…
Oggi, alla conclusione dell’anno Liturgico celebriamo la Festa di Cristo Re, in tutto - come ci dice San Paolo - tutto l’universo è ricapitolato, e tutto sussiste in Lui e tramite Lui. I Vangeli ci presentano molti brani sulla regalità di Cristo; potremmo scrivere tantissimo su ciò. Il vangelo che la Liturgia oggi ci propone, però ci pone su una prospettiva ben precisa. Gesù parla del giudizio finale, quando egli ritornerà con tutta la gloria che gli compete. Qui, in questo contesto che ci è posta la questione della regalità di Cristo; sappiamo che il suo regno non è di questo mondo ma vogliamo vedere cosa significa questo per la nostra vita. Gesù invita a riconoscerlo nel volto del nostro prossimo. Gesù ci dice chiaramente che in Lui ci vuol partecipare la sua regalità. Il Figlio, per natura ci partecipa, con l’adozione di figli, alla sua vita nella gloria di Dio. Noi, con il battesimo diventiamo in Cristo: re, sacerdoti e profeti. In Cristo, diventiamo tutti re perché rechiamo, nel nostro essere creature l’immagine di Dio stesso. La Festa di Cristo Re è l’invito a ricercare in tutti la stessa origine e la stessa dignità di persone; l’attenzione ai piccoli, ai poveri, ai malati e chi è oppresso significa allora riscoprire concretamente la regalità di Cristo nel nostro battesimo. Riconoscere Cristo come il vero ed unico re della nostra vita significa riconoscerlo nei nostri fratelli. Affidarsi a Cristo significa, concretamente richiamarlo nella nostra vita nell’amore che doniamo. La gioia a partecipare allo stesso banchetto regale ci invita ad aprire i nostri cuori verso chi è meno fortunato di noi. La manifestazione regale di Cristo nella Passione vuol rendere più attenta la nostra attenzione verso i dolori e le sofferenze del nostro prossimo. Chiedere a Cristo di essere Lui l’unico nostro Signore che ci guida è un appello alla nostra coscienza che non sia sorda ai bisogni altrui. Pregare Cristo per noi è scoprire nella vera fratellanza, la possibilità concreta di rendere la nostra vita piena. Chiedere perdono a Dio per i nostri peccati significa saper donare il nostro perdono prontamente.
Conosciamo questo testo che, ai giorni nostri, è uno dei più citati e discussi. Per alcuni esso riassume quasi tutto il Vangelo. Questa tendenza non dipende da una moda o da una certa ideologia, ma corrisponde a qualcosa di assai più profondo che già esiste in noi. Quando siamo colpiti e sorpresi da un’idea, da un avvenimento o da una persona, sembriamo dimenticare tutto il resto per non vedere più che ciò che ci ha colpiti. Cerchiamo una chiave in grado di aprire tutte le porte, una risposta semplice a domande difficili. Se leggiamo questo passo del Vangelo con questo spirito, il solo criterio di giudizio, e di conseguenza di salvezza o di condanna, è la nostra risposta ai bisogni più concreti del nostro prossimo. Poco importa ciò che si crede e come si crede, poco importa la nostra appartenenza o meno a una comunità istituzionale, poco importano le intenzioni e la coscienza, ciò che conta è agire ed essere dalla parte dei poveri e dei marginali. Eppure, questa pagina del Vangelo di san Matteo è inscindibile dal resto del suo Vangelo e del Vangelo intero. In Matteo troviamo molti “discorsi” che si riferiscono al giudizio finale. Colui che non si limita a fare la volontà di Dio attraverso le parole non sarà condannato (Mt 7,21-27). Colui che non perdona non sarà perdonato (Mt 6,12-15; 1-35). Il Signore riconoscerà davanti a suo Padre nei cieli colui che si è dichiarato per lui davanti agli uomini (Mt 10,31-33). La via della salvezza è la porta stretta (Mt 7,13). Per seguire Cristo bisogna portare la propria croce e rinnegare se stessi. Colui che vuole salvare la propria vita la perderà (Mt 16,24-26). San Marco ci dice anche: Colui che crederà e sarà battezzato, sarà salvato. Colui che non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). Queste parole ci avvertono di non escludere dal resoconto finale la nostra risposta ai doni soprannaturali e alla rivelazione. Guarire le piaghe del mondo, eliminare le miserie e le ingiustizie, tutto questo fa parte integrante della nostra vita cristiana, ma noi non rendiamo un servizio all’umanità che nella misura in cui, seguendo il Cristo, liberiamo noi stessi e liberiamo gli altri dalla schiavitù del peccato. Allora solamente il suo regno comincerà a diventare realtà.

Approfondimento del Vangelo (Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?. E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?. Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Il contesto: Il nostro testo fa parte di un lungo discorso escatologico (24,1 - 25,46) pronunciato da Gesù sul monte degli Ulivi ai suoi discepoli in disparte (24,3). Il discorso parte dall’annunzio della distruzione di Gerusalemme per parlare della fine del mondo. I due eventi si confondono come se fossero uno solo. Questa parte del discorso finisce con la venuta del Figlio dell’uomo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli a radunare tutti i suoi eletti (24,30-31). A questo punto il flusso cronologico dei fatti annunciati viene interrotto con l’inserzione di alcune parabole sulla necessità di vegliare per non essere sorpresi alla venuta del Figlio dell’uomo (24,24 - 25,30). Il discorso escatologico trova il suo culmine letterario e teologico nel nostro testo che, riallacandosi a 24,30-31, torna a parlare della venuta del Figlio dell’uomo accompagnato dagli angeli. Il raduno degli eletti prende qui la forma di un giudizio finale.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella riflessione personale.
a) Quale è il criterio della separazione che compie Gesù?
b) Chi sono i fratelli più piccoli con cui Gesù si identifica?
c) Nella sua vita, come ha dimostrato Gesù la sua predilezione per gli ultimi
d) Chi sono i fratelli più piccoli di Gesù che incontro io?
e) Sono capace di vedere, amare e servire Gesù in loro?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
- Il Figlio dell’uomo: Figlio dell’uomo è una espressione semitica che significa semplicemente un essere umano (vedi ad esempio il parallelismo tra “uomo” e “figlio dell’uomo” in Sal 8,5). Così la usa frequentemente il libro di Ezechiele dove Dio indirizza il profeta come “figlio dell’uomo” (2,1.3.6.8; 3,1.2.4.10.16) per risaltare la distanza tra Dio che è trascendente e il profeta che è un semplice uomo. Però in Daniele 7,13-14 l’espressione acquista un significato particolare. Il profeta vede “apparire sulle nubi del cielo uno simile ad un figlio di uomo” che riceve da Dio “potere, gloria e regno”. Si tratta pur sempre di un essere umano, che però viene introdotto nella sfera di Dio. Il testo è stato interpretato sia in senso personale che collettivo, ma sempre in senso messianico. Quindi, sia che si tratti di una sola persona sia che si tratti del Popolo di Dio nel suo insieme, il Figlio dell’uomo è il Messia che inaugura il Regno di Dio, un regno eterno e universale. L’applicazione del titolo “Figlio dell’uomo” a Gesù sullo sfondo di Daniele 7,13-14 è diffusissima nei vangeli. Si trova anche in Atti 7,56 e Apocalisse 1,13 e 14,14. Gli studiosi pensano che è stato Gesù stesso a darsi questo titolo. Nel vangelo di Matteo viene messo in bocca a Gesù particolarmente quando egli parla della sua passione (17,12.22; 20,18.28), della sua resurrezione come evento escatologico (17,19; 26,64) e del suo ritorno glorioso (24,30; e 25,31, inizio del nostro testo).
- Gesù re, giudice e pastore: Matteo da’ anche il titolo di re a Gesù (1,23; 13,41; 16,28; 20,21). La regalità di Dio è un tema molto caro alla Bibbia. Perché è il Figlio di Dio, Gesù regna assieme al Padre. Nel nostro testo il re è Gesù ma egli esercita la sua regalità in stretta relazione con il Padre. Gli eletti sono i “benedetti del Padre mio” e il regno in cui sono invitati ad entrare è un regno preparato per loro da Dio come indica la forma passiva del verbo. Questa forma verbale, detta passivo divino, si trova spesso nella Bibbia e ha sempre Dio come soggetto implicito. In questo testo il regno sta a indicare la vita eterna. Come in Daniele 7 (vedi in particolare i versetti 22,26-27), anche nel nostro testo la regalità del Figlio dell’uomo è legata al giudizio. Il re, specialmente nell’antichità, è stato sempre considerato giudice supremo. Il giudizio che fa Gesù è un giudizio universale, un giudizio che coinvolge tutte le genti (vedi v. 32). Eppure non è un giudizio collettivo. Non sono i popoli che vengono giudicati ma le persone singole. Ugualmente unito alla regalità è il simbolismo pastorale. Nell’antichità il re veniva spesso presentato come pastore del suo popolo. Anche l’Antico Testamento parla di Dio, re d’Israele, come pastore (vedi ad esempio Sal 23; Is 40,11; Ez 34) e il Nuovo Testamento applica il titolo anche a Gesù (Mt 9,36; 26,31; Gv 10). I pastori della Terra Santa al tempo di Gesù pascolavano greggi misti, composti da pecore e capri. La sera però li separavano perché le pecore dormono all’aperto mentre i capri preferiscono mettersi al riparo. Nel nostro testo le pecore rappresentano gli eletti perché sono di valore economico maggiore dei capri e anche per il loro coloro bianco che nella Bibbia spesso indica la salvezza.
- “I miei fratelli più piccoli”: Tradizionalmente si interpretava questo brano evangelico come l’identificazione di Gesù con i poveri e gli emarginati. Gesù giudicherebbe tutti, e particolarmente quelli che non hanno avuto l’opportunità di conoscere il suo vangelo, sulla misericordia che hanno dimostrato per i bisognosi. Tutti hanno l’opportunità di accoglierlo o rifiutarlo se non personalmente, almeno nella persona dell’indigente con cui si identifica. L’esegesi contemporanea tende a leggere il testo in senso più ecclesiologico. Mettendolo in stretto rapporto con Matteo 10,40-42, gli esegeti insistono che qui non si tratterebbe di filantropia ma della risposta al vangelo del Regno che viene portato dai fratelli di Gesù, non solo dai capi della Chiesa ma anche da ogni fratello, anche il più insignificante. Le nazioni, cioè i pagani, sono quindi invitati ad accogliere i discepoli di Gesù che predicano loro il vangelo e soffrono per esso, come se stessero accogliendo lo stesso Gesù in persona. I cristiani, da parte loro, sono invitati all’ospitalità generosa con i loro fratelli che si fanno predicatori itineranti per causa del vangelo, soffrendo persecuzioni (vedi 2Gv 5-8). Così dimostrerebbero l’autenticità del proprio impegno di discepolato. Nel contesto del vangelo di Matteo questa seconda interpretazione è probabilmente più precisa. Eppure nel contesto della Bibbia tutta intera (vedi ad esempio Is 58,7; Gc 2,1-9; 1Gv 3,16-19) non si può scartare completamente la prima.

Dagli scritti
Dall’opuscolo «La preghiera» di Origéne, sacerdote
Venga il tuo regno
Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio é in mezzo a noi (cfr. Lc 16,21), poiché assai vicina é la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10,8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in essi abita. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell’anima dei giusti é presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell’affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Ma questo regno di Dio, che é in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l’Apostolo del Cristo. Quando cioé egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,24.28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo. Diciamo al nostro Padre che é in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6,9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi é rapporto tra la giustizia e l’iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2Cor 6,14-15). Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6,12). Mortifichiamo le nostre membra che appartengono alla terra (cfr. Col 3,5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98,5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1Cor 25,26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov’é, o morte, la tua vittoria? Dov’é, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55; cfr. Os 13,14). Fin d’ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di incorruttibilità; e ciò che é mortale cacci via la morte, si ricopra dell’immortalità del Padre (cfr. 1Cor 15,54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione (cap. 25; PG 11,495-499).

Orazione finale: Signore Dio, tu hai costituito tuo Figlio Gesù re e giudice universale. Egli verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni. Egli viene a noi ogni giorno in mille modi e ci chiede di accoglierlo. Lo incontriamo nella Parola e nel pane spezzato. Ma lo incontriamo anche nei fratelli spezzati e sfigurati per la fame, l’oppressione, l’ingiustizia, la malattia, lo stigma della società...... Apri i nostri cuori a saperlo accogliere nell’oggi nella nostra vita per essere da lui accolti nell’eternità del suo regno.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
II DOMENICA DI AVVENTO
I FIGLI DEL REGNO


Letture:
Is 51,7-12a
Sal 47
Rm 15,15-21
Mt 3,1-12

Il Regno dei cieli è vicino
Il Regno dei cieli è l’iniziativa sorprendente di Dio di voler radunare attorno a Casa Trinità tutta una famiglia di uomini e donne che vi vogliono aderire; è la proposta fatta a tutte le creature a divenire figli di Dio e quindi suoi eredi, in una comunità di fratelli che già nel tempo inizia a formare una comunione con Dio e degli uomini tra di loro. Appunto, la Chiesa, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1,1). L’iniziativa parte da lontano, in Israele, da Abramo, “padre di una moltitudine di popoli” (Gen 17,5); e perciò da subito universale proprio perché fondata sulla gratuità della chiamata. Dentro la storia del popolo di Dio avrà la sua svolta decisiva con l’invito del Precursore ad aprirsi - convertirsi - al definitivo iniziatore del Regno aperto a tutti, quel Gesù di Nazaret che “battezzerà in Spirito santo”. E, quale suo prolungamento, nell’opera degli Apostoli a portare il vangelo “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Tutti sono chiamati, ma tocca a ciascuno “spianare la strada” e accogliere con interiore conversione la proposta di salvezza offerta da Dio.
Tutti chiamati: Israele si è accorto di avere un Dio capace di riscatto e di salvezza quando sperimentò la liberazione dall’Egitto: “Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti?” (I lett.). Da allora fu tutto un susseguirsi di premure - e di pazienza - da parte di Dio nel raccogliere attorno a Sé un popolo fedele: “la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione”. Da qui la fiducia nell’agire di Dio e l’invocazione: “Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate”. La grande certezza cui educa tutta la Bibbia è quella di aver scoperto un Dio affidabile, anzi un Dio che previene il bisogno di vita e felicità dell’uomo col promuovere e stimolare un ritorno a Lui da parte di tutti: “Io, io sono il vostro consolatore”. Su questo sfondo (su questa preparazione) si colloca l’iniziativa di Dio di inviare il definitivo Salvatore, di cui il Battista è il battistrada. “Il Regno di Dio è vicino”. Siamo al colmo della vicenda salvifica: “Colui che viene dopo di me è più forte di me e io non son degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Dalle promesse - dalla preparazione - ai fatti definitivi: l’azione di Dio salvatore si storicizza in una Persona concreta, nei suoi gesti e nella sua vicenda umana che esprime tutto quanto Dio voleva fare e offrire per l’uomo e il suo riscatto. La voce del Battista risuona al Giordano nell’anno 28 della nostra èra, e la missione di Gesù tra il 28 e il 30. Luoghi e date di fatti ben precisi. Dio agisce tra gli uomini mettendosi sulle loro strade per un contatto addirittura fisico. La salvezza divina è appunto una Persona, Gesù di Nazaret. E da lì, come un fiume ormai inarrestabile, si dilata a tutti gli uomini “con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito” (II lett.). È Paolo l’emblema di questa corsa del vangelo lungo le strade del mondo, col suo puntiglio “di non annunziare il vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo”. Sta scritto infatti - cioè è disegno preciso di Dio -: “Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno”. Il proposito è esplicito: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). Al Regno di Dio tutti gli uomini sono chiamati, per la via maestra dell’annuncio del vangelo, ma anche per altre vie note solo a Dio dacché Cristo è morto per la salvezza di tutti. “Da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo”.
Convertitevi: Ora tocca ad ognuno di noi rispondere di sì, cioè convertirci! “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Il primo passo della conversione è passare dal soggettivismo alla “verità”. Questo è il vero male del nostro tempo: non credere più che esista una verità sulla quale misurarsi, ma solo l’opinione o l’interesse soggettivo di ognuno. Ne deriva un grande indifferentismo morale. Il Battista annuncia il giudizio di Dio: “Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”. Non è tutto indifferente: il bene e il male hanno ancora un nome preciso e Dio ne è il garante! “La scure è posta alla radice degli alberi”. “Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Raddrizzare i sentieri significa poi compiere frutti di conversione morale. Il Battista indicherà ad ogni categoria i suoi doveri di giustizia e di carità. Non vale l’appartenenza, servono le opere: “Non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre!”. Capita di vivere la nostra religiosità in pratiche abitudinarie. O di sentirci arrivati, perché magari siamo del giro.. Il battesimo di conversione praticato da Giovanni significa fare dei passi personali di apertura operosa verso il nuovo stile del Regno. Paolo dice che per mezzo suo “Cristo ha operato per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere” (II lett.). Ma il vertice del cambiamento lo si ottiene solo quando si arriva ad essere toccati dallo Spirito. Questa è la novità del Cristianesimo, o della Nuova Alleanza: uno Spirito nuovo che trasforma il cuore di pietra in cuore di carne. Perché il risultato finale deve essere “che le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo” (II lett.). Il sacramento sancisce e perfeziona l’autentica trasfigurazione dell’uomo, ben oltre le sue buone intenzioni e le sue capacità morali. La salvezza piena la si ottiene solo quando si è toccati dall’opera di Cristo: “Colui che viene dopo di me è più forte di me - confessa il Battista - Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Troppi ancora ingenuamente pensano a un generico ricorso a Dio, trascurando il “sacramento”, cioè all’unico canale efficacia della grazia che trasforma e salva l’uomo.
Se il cuore di Dio è grande quanto il mondo, significa che in ogni uomo è posta una fiammella di “fede”, magari anche solo una nostalgia di Lui. Certamente una “capacità di Dio” e un angolo sul quale far attecchire l’invito al Regno. Tertulliano li chiamava “semina Verbi”. Forse bisogna partire da questa stima per avere più fiducia e coraggio come testimoni e annunciatori del Regno anche a chi sembra lontano e.. fuori giro del perimetro visibile della Chiesa.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 26 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 22, 2011 3:27 pm

SABATO 26 NOVEMBRE 2011

SABATO DELLA XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia.

Letture:
Dn 7,15-27 (Il regno e il potere saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo)
Sal da Dn 3 (A lui la lode e la gloria nei secoli)
Lc 21,34-36 (Vegliate, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere)

Non più notte
L’anno liturgico termina il suo corso con questo sabato. Domani inizierà un nuovo anno. La scrittura ci fa intravedere in uno squarcio l’esito finale della lotta dell’uomo contro un mondo corrotto e corruttore. È una città dove corre un fiume dalle acque prodigiose, capaci di far rifiorire continuamente la vita e a guarire da ogni malattia. In essa si erge il trono di Dio e dell’Agnello dove sarà eliminata la notte e splenderà sempre la luce che promana dal trono di Dio. Simboli molto eloquenti: Il fiume indica il battesimo che è capace di guarire da ogni malattia spirituale; in esso è innestato l’albero della vita, cioè della grazia di Dio, che si riacquista anche attraverso il sacramento della riconciliazione. È necessario però credere alle parole profetiche ed attendere nella vigilanza la venuta del Signore che non può mancare. Vigilanza che ci viene ribadita nel breve brano del vangelo dove Luca ci parla degli avvenimenti della fine del mondo. Una vigilanza che ci spinge a tenerci liberi da appesantimenti che derivano da attaccamenti a noi stessi e alle realtà che ci circondano. La tempestività con cui si abbatterà quel giorno finale deve spingerci a maggior ragione a tenerci pronti in ogni momento e a vivere con l’animo proteso verso il futuro. Forse è opportuno fermarci un poco nelle nostra corsa frenetica per chiederci se camminiamo nella direzione giusta. E se il giorno del Signore giungesse oggi, per me e per te, ci sentiremmo preparati ad accoglierlo nella fiducia di essere salvati? Eppure quel momento verrà: “Ecco, io verrò presto”. State pronti, vigilate?
Il versetto dell’Alleluia nella Eucaristia odierna (vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo) esprime l’atteggiamento che la Chiesa ci suggerisce oggi, ultimo giorno dell’anno liturgico: speranza e vigilanza: “Siate vigilanti, fissate la speranza in quella grazia che vi sarà data al ritorno del Signore Gesù Cristo”. Possiamo sperare perché, come leggiamo nel libro di Daniele, “il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni saranno dati al popolo dei Santi dell’Altissimo”. Allora il Figlio dell’uomo di cui abbiamo letto ieri corrisponde al popolo? È un punto oscuro. L’espressione qui ha senso collettivo e sempre messianico, ma il senso personale non è eliminato, perché il Figlio dell’uomo è nello stesso tempo il capo, il rappresentante e il modello del popolo dei santi: Gesù ha più volte indicato se stesso come il Figlio dell’uomo. I santi, dice Daniele, saranno per un certo tempo dati nelle mani dei nemici, poi Dio li sottrarrà al loro potere ed essi riceveranno il regno. Ecco la nostra speranza. “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”. Gesù ha vinto e noi partecipiamo alla sua vittoria se rimaniamo uniti a lui, pregando e vigilando. L’ultimo giorno dell’anno. liturgico ci mette in questa atmosfera di fiducia e di pace e possiamo con gioia benedire il Signore con le parole del salino responsoriale: “Benedite, figli dell’uomo, il Signore. Benedica Israele il Signore. Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore. Benedite, o servi del Signore, il Signore. Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore. Benedite, pii e umili di cuore, il Signore”.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Riflessione:
- Stiamo giungendo alla fine del lungo discorso apocalittico ed anche alla fine dell’anno ecclesiastico. Gesù dà un ultimo consiglio, invitandoci alla vigilanza (Lc 21,34-35) ed alla preghiera (Lc 21,36).
- Luca 21,34-35: Attenzione a non perdere la coscienza critica. “State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazione, ubriacature e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso, come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra”. Un consiglio simile Gesù l’aveva già dato quando gli chiesero dell’avvento del Regno (Lc 17,20-21). Lui rispose che l’avvento del Regno avviene come un lampo. Improvvisamente, senza preavviso. Le persone devono stare attente e preparate, sempre (Lc 17,22-27). Quando l’attesa è lunga, corriamo il pericolo di essere distratti e di non fare attenzione agli avvenimenti della vita “i cuori si appesantiscono in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Oggi, le molte distrazioni ci rendono insensibili e la propaganda può perfino cambiare in noi il senso della vita. Lontani dalla sofferenza di tanta gente nel mondo, non ci rendiamo conto delle ingiustizie che si commettono.
- Luca 21,36: Preghiera, fonte di coscienza critica e di speranza. “Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. La preghiera costante è un mezzo assai importante per non perdere la presenza di spirito. Approfondisce nel nostro cuore la consapevolezza della presenza di Dio in mezzo a noi e, così, ci dà forza e luce per sopportare i giorni brutti e crescere nella speranza.
- Riassunto del Discorso Apocalittico (Lc 21,5-36). Abbiamo trascorso cinque giorni, da martedì ad oggi sabato, meditando ed approfondendo il significato del Discorso Apocalittico per la nostra vita. Tutti e tre i vangeli sinottici riportano questo discorso di Gesù, ognuno a modo suo. Cerchiamo di vedere da vicino la versione che il vangelo di Luca ci offre. Qui diamo un breve riassunto di ciò che abbiamo potuto meditare in questi cinque giorni.
Tutto il Discorso Apocalittico è un tentativo di aiutare le comunità perseguitate a collocarsi nell’insieme del piano di Dio e cosi avere speranza e coraggio per continuare il cammino. Nel caso del Discorso Apocalittico del vangelo di Luca, le comunità perseguitate vivevano nell’anno 85. Gesù parlava nell’anno 33. Il suo discorso descrive le tappe o i segnali della realizzazione del piano di Dio. In tutto sono 8 i segnali e i periodi da Gesù fino ai nostri tempi. Leggendo e interpretando la sua vita alla luce dei segnali dati da Gesù, le comunità scoprivano a che altezza si trovava l’esecuzione del piano. I primi sette segnali erano già avvenuti. Appartenevano tutti al passato. Sopratutto il 6º e il 7º segnale (persecuzione e distruzione di Gerusalemme) le comunità trovano l’immagine o lo specchio di ciò che stava avvenendo nel loro presente. Ecco i sette segnali:
a) Introduzione al Discorso (Lc 21,5-7)
b) 1º segnale: i falsi messia (Lc 21,8);
c) 2º segnale: guerra e rivoluzioni (Lc 21,9);
d) 3º segnale: nazioni che lottano contro altre nazioni, un regno contro un altro regno (Lc 21,10);
e) 4º segnale: terremoti in diversi luoghi (Lc 21,11);
f) 5º segnale: fame, peste e segni nel cielo (Lc 21,11);
g) 6º segnale: persecuzione dei cristiani e missione che devono svolgere (Lc 21,12-19) + Missione
h) 7º segnale: distruzione di Gerusalemme (Lc 21,20-24). Giungendo a questo 7º segnale le comunità concludono: Siamo nel 6° e nel 7° segnale. E questa è la domanda più importante: “Quanto manca alla fine?”. Chi è perseguitato non ne vuole sapere di un futuro distante. Ma vuole sapere se sarà vivo il giorno dopo o se avrà la forza per sopportare la persecuzione fino al giorno seguente. La risposta a questa domanda inquietante viene nell’ottavo segnale:
i) 8º segnale: cambiamenti nel sole e nella luna (Lc 21,25-26) annunciano la venuta del Figlio dell’Uomo. (Lc 21,27-28). Conclusione: manca poco, tutto è secondo il piano di Dio, tutto è dolore da parto, Dio è con noi. È possibile sopportare. Cerchiamo di testimoniare la nostra fede nella Buona Novella di Dio, annunciataci da Gesù. Alla fine, Gesù conferma tutto con la sua autorevolezza (Lc 21,29-33).

Per un confronto personale
- Gesù chiede vigilanza per non lasciarci sorprendere dai fatti. Come vivo questo consiglio di Gesù?
- L’ultimo avvertimento di Gesù, alla fine dell’anno ecclesiastico è questo: Vegliate e pregate in ogni momento. Come vivo questo consiglio di Gesù nella mia vita?

Preghiera finale: Grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dei. Nella sua mano sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti. Suo è il mare, egli l’ha fatto, le sue mani hanno plasmato la terra (Sal 94).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 27 novembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 22, 2011 3:30 pm

DOMENICA 27 NOVEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO B
I DOMENICA DI AVVENTO


Orazione iniziale: O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture:
Is 63,16-17.19; 64,1-7 (Se tu squarciassi i cieli e scendessi!)
Sal 79 (Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi)
1Cor 1,3-9 (Aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo)
Mc 13,33-37 (Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà)

Vigilanti, in attesa
La consapevolezza che la nostra vita è segnata da un inizio e da una fine nel tempo ci dovrebbe porre spontaneamente in un atteggiamento più o meno vigile di continua attesa, ancor più se, illuminati dalla fede, siamo ben desti e memori delle parole del Signore: “Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora”. La nostra attesa e la nostra vigilanza deve quindi essere senza soste, continua, assidua e crescente, e ciò non soltanto in vista del passaggio finale verso l’eternità, ma anche per quegli eventi che si susseguono nel corso dei giorni, degli anni e della stessa vita e che servono a prepararci nel modo migliore a quell’ultimo incontro. La liturgia ben vissuta a questo ci prepara e in questa direzione ci orienta. La fede e la nostra buona religiosità ci fanno comprendere che alcuni eventi liturgici, l’Avvento è sicuramente uno di questi, meritano una specialissima attenzione e la migliore partecipazione possibile in vista della ricorrenza a cui ci preparano. Ecco per noi il tempo forte di preparazione alla nascita del Figlio di Dio. Ecco puntale l’ammonimento del Signore rivolto a tutti. “Vegliate”. Bisogna destarsi dal sonno dell’assuefazione e dall’apatia delle nostre quotidiane banalità perché sta per accadere un fatto pensato per noi da Dio stesso, che riguarda la nostra salvezza nel tempo e nell’eternità. Sgorga da una storia passata e sempre nuova: la triste esperienza del peccato, della infedeltà da parte nostra e l’incrollabile amore di Dio manifestato in mille modi fino a quando non rivela il progetto della redenzione già preannunciato subito dopo il primo .peccato. “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. La solenne promessa, che si attua nella pienezza dei tempi, riguarda la “donna”, la Madre, la Vergine Maria, riguarda il Figlio unigenito Gesù Cristo, riguarda la nostra redenzione, già ci parla del santo Natale. Ecco allora i motivi dell’attesa, della solerte vigilanza, della interiore revisione di vita per proiettarci verso Dio, essere accoglienti e recuperare il volto della grazia, rinascere per poi risorgere con Cristo. Voglia Dio che la nascita del Figlio suo unigenito segni la nostra rinascita ad una vita nuova.
L’anno B del ciclo triennale delle letture è l’anno di Marco. Eppure non si comincia dal paragrafo iniziale del suo Vangelo, che sarà oggetto di lettura nella settimana prossima: si parte dal punto in cui terminerà la penultima settimana dell’anno, con l’annuncio del ritorno di Cristo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. A prima vista, ciò può sembrare strano ed illogico. Invece, nella liturgia, c’è un’estrema sottigliezza nell’effettuare il cambiamento di tono: la nostra attenzione, che nelle ultime settimane era centrata sul giudizio e sulla fine del mondo, si sposta ora sul modo di accogliere Cristo: non con paura, ma con impazienza, proprio come un servo che attende il ritorno del padrone (Mc 13,35). In quanto preparazione al Natale, l’Avvento deve essere un tempo di attesa nella gioia. San Paolo interpreta il nostro periodo d’attesa come un tempo in cui dobbiamo testimoniare Cristo: “Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1,7).

Approfondimento del Vangelo (Sulla vigilanza)
Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Momenti di silenzio perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Chiave di lettura: “Vegliate!”. Questa è la parola chiave nel breve brano che la Chiesa riserva per la liturgia della prima domenica di Avvento. Vegliare, stare attenti, aspettare il padrone di casa che deve ritornare, non addormentarsi. È questo che viene richiesto da Gesù al cristiano. Questi quattro versi del vangelo di San Marco fanno parte del discorso escatologico del capitolo tredici. Questo capitolo ci parla della rovina del Tempio e della città di Gerusalemme. Gesù prende spunto da una osservazione che gli fa un discepolo: “Maestro, guarda che pietre e che costruzione!” (Mc 13, 1). Gesù, perciò, chiarisce le idee: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta” (Mc 13,2). Il Tempio, segno tangibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo eletto, Gerusalemme “la città salda e compatta” dove “salgono insieme le tribù del Signore, per lodare il nome del Signore” (Sal 122,4), tutto questo, segno sicuro della promessa fatta a Davide, segno dell’alleanza, tutto questo andrà in rovina...è solo un segno di qualcosa altro che verrà in futuro. I discepoli incuriositi chiedono al Signore seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio: “Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi?” (Mc 13,4). A questa domanda, rifacendosi allo stile apocalittico giudaico ispirato dal profeta Daniele, Gesù si limita solo ad annunciare i segni premonitori (falsi cristi e falsi profeti che con inganno annunzieranno la venuta imminente del tempo, persecuzioni, segni nelle potenze del cielo (cfr. Mc 13,5-32), “quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mc 13,32). Da questo si capisce l’importanza dell’attesa vigilante e attenta ai segni dei tempi che ci aiutano ad accogliere la venuta del “padrone di casa” (Mc 13,35). Quando verrà lui, tutto sparirà, “il potere dei servi” (Mc 13,34) anche i segni che ci aiutano a ricordarci della sua benevolenza (tempio, Gerusalemme, casa). I “servi” e “il portiere” (Mc 13,34) all’arrivo del padrone non badano più ai segni, ma si compiacciono nel padrone stesso: “Ecco lo Sposo andategli incontro” (Mt 25,6; Mc 2,19-20). Gesù spesso chiedeva ai suoi di vegliare. Nell’orto degli Ulivi, il giovedì sera, prima della passione, il Signore dice a Pietro, Giacomo e Giovanni: “restate qui e vegliate con me” (Mc 14,34; Mt 26,38). La veglia ci aiuta a non cadere in tentazione (Mt 26,41) ma a rimanere svegli. Nell’orto degli ulivi i discepoli dormono perché la carne è debole anche se lo spirito è pronto (Mc 14,38). Chi si addormenta va in rovina, come Sansone che si era lasciato farsi addormentare, perdendo così la sua forza, dono del Signore (Gdc 16, 19). Bisogna sempre stare svegli e non addormentarsi, ma vegliare e pregare per non essere ingannati, avviandosi così alla propria perdizione (Mc 13,22; Gv 1,6). Perciò “svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti, e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14).

Domande per orientare la meditazione e attualizzazione:
- Che significato ha per te la veglia?
- Il Signore predice la rovina del tempio e della città di Gerusalemme, vanto del popolo eletto, simboli della presenza di Dio. Perché Gesù predice la loro rovina?
- Il tempio e la città santa erano delle forme concrete dell’alleanza tra Dio e il popolo. Ma questi hanno passato dalla rovina. Quali sono le nostre forme concrete dell’alleanza? Pensi che faranno la stessa fine?
- Gesù, ci chiama a trascendere le forme e di attaccarci a lui. Quali cose, forme, segni, credi che il Signore ti chiede di trascendere per attaccarti di più a lui?
- Sei addormentato? In che cosa?
- Vivi sempre in attesa del Signore che viene? L’Avvento è una occasione per te, che ti ricordi l’elemento di attesa nella vita cristiana?

Orazione finale: O Dio Padre, ti rendiamo grazie, per il tuo Figlio Gesù Cristo che è venuto nel mondo per sollevarci e metterci sul giusto cammino. Quando risvegli nei nostri cuori la sete alla preghiera e alla carità, tu ci prepari all’aurora di quel nuovo giorno quando la nostra gloria verrà manifestata insieme a tutti i santi nella presenza del Figlio del Uomo.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
III DOMENICA DI AVVENTO
LE PROFEZIE ADEMPIUTE


Letture:
Is 51,1-6
Sal 45
2Cor 2,14-16a
Gv 5,33-39

Le opere che faccio testimoniano di me
Fatti non parole. Parole che diventano vere coi fatti. Parole che preannunciano e fatti che attuano quelle promesse. Allora anche la speranza si fa sicura e diviene forza di vita. La nostra speranza in Cristo - sulle sue promesse di salvezza - hanno come fondamento fatti che hanno già attuato parole antiche; Paolo dirà di Cristo che è l’Amen, il Sì di Dio alle sue promesse di salvezza. “Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono Sì” (2Cor 1,20). “Le opere che io sto facendo testimoniano di me”. Gesù porta la prova dei fatti a dire che in lui opera quel Dio che aveva promesso un suo intervento salvifico nella storia. Giovanni ne era stato l’immediato testimone. E oggi tocca alla Chiesa, ad ognuno di noi, essere testimoni di una speranza-salvezza ben garantita dai fatti.
La testimonianza di Dio: Dentro uno dei momenti di crisi più acuta del popolo di Dio, schiavo a Babilonia, si alza la voce del profeta ad annunciare una liberazione: “La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza” (I lett.). L’impegno di Dio è fondato sulla elezione di Abramo, sulla promessa cioè di fare della sua discendenza il suo popolo: “Guardate ad Abramo vostro padre: io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai. Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti”. Una salvezza che ha già una mira universalistica: “Porrò il mio diritto come luce dei popoli; le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole”. Universale perché scaturita dalla gratuità e dalla fedeltà della iniziativa divina: “La mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta”. Un giorno il Battista, nell’annunciare l’arrivo del Messia, si sentì dire: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il vangelo” (Mt 11,4-5). Ciò che le Scritture avevano annunciato, ora si stava realizzando per l’opera di Gesù di Nazaret. Lui era l’incarnazione fisica del Dio che veniva ad attuare la salvezza promessa. Lo dichiara oggi Gesù stesso: “Voi scrutate le Scritture..: sono proprio esse che danno testimonianza di me”. La vicenda storica di Gesù è lo spazio umano, abitato interamente da Dio, in cui si compiono definitivamente le promesse antiche. E Gesù è puntiglioso a dare consistenza divina al suo operare. “Io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere.. testimoniano di me che il Padre mi ha mandato”. Un giorno a Cafarnao, guarendo un paralitico, lo disse esplicitamente: “Ora, perché sapppiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico - alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua” (Mt 2,10-11). Non solo le opere straordinarie dicono il “dito di Dio” operante in Gesù, ma la voce stessa di Dio (al Battesimo e alla Trasfigurazione) e poi soprattutto la risurrezione, direttamente dicono che “il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me”. In Gesù si condensa ora tutta la lunga preparazione-promessa di rendere il deserto di questo mondo “un Eden, e la steppa come il giardino del Signore” (I lett.).
La nostra testimonianza: A noi ora tocca anzitutto di conoscere le Scritture. L’Antico Testamento è premessa necessaria per riconoscere il Cristo. Diceva san Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”. Lo aveva fatto anche Gesù con i discepoli di Emmaus: “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). Per questo il nuovo Lezionario Ambrosiano ci offre una più vasta gamma di letture bibliche. Scrive sant’Ambrogio: “Nell’antico testamento è adombrato il nuovo e nel nuovo si disvela l’antico. Bevi per prima cosa l’antico testamento, per bere poi anche il secondo.. Bevi dunque tutt’e due i calici, perché in entrambi bevi Cristo”. Impariamo, la domenica, a stimare e penetrare tutte e tre le letture bibliche che, in particolare nel nuovo Lezionario, sono integrate a sfaccettare l’unico mistero di Cristo che il vangelo annuncia. Come il Battista -”lampada che arde e risplende” quale testimone della “Luce vera che veniva nel mondo” (Gv 1,9) - siamo chiamati anche noi ad annunciare il Cristo. Come fatti anzitutto. La vicenda umana di Gesù, chiusa in un periodo preciso di tempo e spazio, non favola o mito, è realtà ben documentata. E i fatti non sono discutibili. Ci possono interessare o meno, ma sono cose capitate. È il fondamento “razionale” del nostro credere in Gesù, perché ha dimostrato appunto di essere il Dio resosi visibile e vicino. Assieme bisogna testimoniare lo specifico del suo messaggio, ben oltre le nostre intuizioni filosofiche o.. “religiose”. Il volto di Dio e il volto dell’uomo che Gesù ci rivela è l’unico vero e il definitivo. Quanto generico annuncio si fa spesso di ciò che chiamiamo cristianesimo perché poco radicato nei fatti e nello specifico contenuto biblico! Infine è detto oggi da Paolo che noi siamo chiamati a divenire “il profumo di Cristo”. “Il profumo della sua conoscenza” e il profumo della nostra coerenza nelle opere, testimoni quindi davanti a tutti gli uomini, “per quelli che si salvano e per quelli che si perdono”. Una volta c’era un canto: “Noi siamo l’ultima Bibbia che legge la gente”. “Voi siete la luce del mondo.. non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,14-15). San Gerolamo diceva: “Traduciamo le parole in opere; non dire cose sante, ma farle”. Dice Gesù: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16).
Di Giovanni oggi Gesù fa un elogio grande: “Egli ha dato testimonianza alla verità”. Naturalmente intendendo la persona di Gesù che Giovanni aveva indicato a dito. “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), dice il Signore. Via di salvezza e vita: unica verità dell’uomo è Gesù. La sua vicenda umana e il suo insegnamento sono l’unico modo di realizzare la vita. Egli è l’unico uomo pienamente riuscito. In lui si legge l’identità, il senso e il destino di ogni uomo, cioè quello di essere figlio di Dio, figlio obbediente ed erede. “Eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17). Noi.. testimoniamo questa unica verità all’uomo pensoso che ha il diritto di saperla da noi Chiesa di Cristo?
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: sabato 3 dicembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 29, 2011 10:10 am

SABATO 3 DICEMBRE 2011

SAN FRANCESCO SAVERIO


Preghiera iniziale: O Dio, che hai mandato in questo mondo il tuo unico Figlio a liberare l’uomo della schiavitù del peccato, concedi a noi, che attendiamo con fede il dono del tuo amore, di raggiungere il premio della vera libertà.

Letture:
Is 30,19-21.23-26 (A un tuo grido di supplica il Signore ti farà grazia)
Sal 146 (Beati coloro che aspettano il Signore)
Mt 9,35-10,1.6-8 (Vedendo le folle, ne sentì compassione)

Beati coloro che aspettano il Signore
È la nostra beatitudine se siamo in fervente attesa del Natale! Popolo di Sìon che abiti in Gerusalemme, tu non dovrai più piangere; a un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, tuttavia non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: «Questa è la strada, percorretela». Isaia parla a ciascuno di noi: egli vede e legge la storia dei suoi tempi, ma evidentemente si riferisce con sorprendente attualità anche alla nostra storia e persino ai tempi, alle calamità che ci stanno colpendo e al tempo liturgico che stiamo vivendo. Ci invita, nonostante le tribolazioni, a smettere l’abito di lutto, a far cessare il pianto, ad alimentare di cristiana certezza le nostre suppliche, perché Colui che è nostro maestro, l’Onnipotente Signore, la fonte della divina Sapienza, tende benevolmente il suo orecchio alle nostre preghiere, ci illumina con la sua dottrina divina e soprattutto nascendo da Maria si rende visibile ai nostri occhi: il Verbo si fa carne. Siamo invitati a percorrere la “strada” che conduce al presepio per trovare il Bambino che è nato, la Via che ci riconduce al Padre. Passiamo dalla strada alla Via! Ed ecco pronta la risposta del Signore Gesù: lo vediamo nelle nostre strade: “Andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità”. Il Messia inizia la sua missione: illumina con la sua Parola e guarisce con la sua divina potenza. “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Lo sguardo del Signore, pare, ora s’immerga nella secolare storia della sua Chiesa, la sua messe, la sua vigna, il suo gregge e si muove a compassione; accende e fa ardere più intensa la fiamma del suo amore per noi. Ci invita ad essere partecipi della sua ansia, del suo patire per noi e ci sollecita a pregare affinché siano tanti e santi i pastori del nuovo gregge, che sappiano essere i continuatori della sua opera e i testimoni credibili del suo Vangelo.
Ripensiamo al ministero apostolico di san Francesco Saverio, per ammirare il dinamismo che lo animò sempre. San Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, come dire, allora nel 1542 all’estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi e pieni di pericoli. Subito si diede all’evangelizzazione, ma non in un solo posto, bensì in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie né pericoli di ogni genere. E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato, che sarebbe bastato per parecchie vite d’uomo. Egli era spinto dall’urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceyfon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche. Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, per organizzare, per dare nuovo impulso all’opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo. Vuoi andare ancora più lontano, in Giappone, perché gli hanno detto che è un regno molto importante, ed egli spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l’Estremo Oriente. E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme. Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell’isola di Sanchian nel 1552. In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna. Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi. Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo. E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno. E ora? Ora, se si vuole che Gesù venga, bisogna agire nello stesso modo: non aspettare che gli altri vengano da noi, ma andare noi da loro. San Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall’urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in se stesso. Dopo essersi estenuato, dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po’ le grazie di cui lo inondava. Il suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l’ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo. Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta. Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina. È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell’Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano. Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell’amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore. E questo l’insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio, in modo impressionante. Per ricevere l’amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente. Domandiamo al Signore la grazia di corrispondere davvero al desiderio del suo cuore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Riflessione
- Il vangelo di oggi è formato da due parti: (a) Un breve riassunto dell’attività apostolica di Gesù (Mt 9,35-38) e (b) l’inizio del “Sermone della Missione” (Mt 10,1.5-8). Il vangelo della liturgia di oggi omette i nomi degli apostoli che sono presenti nel vangelo di Matteo (Mt 10,2-4).
- Matteo 9,35: Riassunto dell’attività missionaria di Gesù. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi insegnando nelle sinagoghe, predicando il vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità”. Con poche parole Matteo descrive i punti centrali dell’attività missionaria di Gesù: (a) Percorrere tutte le città e i villaggi. Gesù non aspetta che la gente vada da lui, ma va in cerca della gente percorrendo lui stesso tutte le città e i villaggi. (b) Insegnare nelle sinagoghe, cioè, nelle comunità. Gesù va lì dove la gente è riunita attorno alla sua fede in Dio. È lì che lui annuncia la Buona Novella del Regno, cioè, la Buona Notizia di Dio. Gesù non insegna dottrine come se la Buona Novella fosse un nuovo catechismo, ma in tutto ciò che dice e fa lascia emergere qualcosa della grande Buona Novella che lo abita, cioè, Dio, il Regno di Dio. (c) Cura ogni malattia e infermità. Ciò che più segnava la vita della gente povera era la malattia, qualsiasi tipo di malattia, e ciò che più distingue l’attività di Gesù è la consolazione della gente, che lui solleva dal dolore.
- Matteo 9,36: La compassione di Gesù dinanzi alla situazione della gente. “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Gesù accoglie le persone come sono davanti a lui: malate, sfinite, stanche. Lui si comporta come il Servo di Isaia, il cui messaggio centrale consiste in “consolare la gente” (cfr. Is 40,1). L’atteggiamento di Gesù verso la gente era come l’atteggiamento del Servo, la cui missione era così definita: “Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà la canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,2-3). Come il Servo, anche Gesù si commuove vedendo la situazione della gente “stanca, sfinita e abbattuta, come pecore senza pastore”. Lui comincia ad essere Pastore identificandosi con il Servo che diceva: “Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare lo sfiduciato” (Is 49,4). Come il Servo, Gesù diventa discepolo del Padre e del popolo e dice: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati” (Is 49,4b). E dal contatto con il Padre Gesù riceve la parola di consolazione da comunicare ai poveri.
- Matteo 9,37-38: Gesù coinvolge i discepoli nella missione. Dinanzi all’immensità dell’azione missionaria, la prima cosa che Gesù chiede ai discepoli è di pregare: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate, dunque, il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. La preghiera è la prima forma di impegno dei discepoli con la missione. Perché se si crede nell’importanza della missione che si ha, si fa il possibile perché non muoia con noi, bensì che continui negli altri mediante noi e dopo di noi.
- Matteo 10,1: Gesù conferisce ai discepoli il potere di curare e di scacciare i demoni. “Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità”. La seconda cosa che Gesù chiede ai discepoli non è che comincino a insegnare dottrine e leggi, bensì che aiutino la gente a vincere la paura degli spiriti immondi e che aiutino nella lotta contro le infermità. Oggi, coloro che fanno più paura ai poveri sono certi missionari che li minacciano con il castigo di Dio e con il pericolo del demonio. Gesù fa il contrario: “Se invece scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11,20). È triste dirlo, ma oggi ci sono persone che hanno bisogno del demonio per poterlo scacciare e così guadagnano soldi. Per loro vale la pena leggere ciò che disse Gesù contro i farisei e i dottori della legge (Mt 23).
- Matteo 10,5-6: Rivolgetevi prima alle pecore perdute di Israele. Gesù manda i dodici con queste raccomandazioni: “Non prendete il cammino dei pagani, e non entrate nelle città dei samaritani. Andate prima alle pecore perdute della casa di Israele”. Inizialmente la missione di Gesù era diretta alle “pecore perdute di Israele”. Chi erano queste pecore perdute di Israele? Erano forse le persone escluse, come per esempio le prostitute, i pubblicani, gli impuri, considerati persi e condannati dalle autorità religiose dell’epoca? Erano i dirigenti, cioè i farisei, i sadducei, gli anziani e i sacerdoti che si consideravano il popolo fedele di Israele? O erano le moltitudini stanche e sfinite, come pecore senza pastore? Probabilmente, qui nel contesto del vangelo di Matteo, si tratta di questa gente povera e abbandonata che è accolta da Gesù (Mt 9,36-37). Gesù voleva che i discepoli partecipassero con lui alla missione insieme a queste persone. Pero nella misura in cui lui si occupa di queste persone, Gesù stesso espande l’orizzonte. Nel contatto con la donna Cananea, pecora perduta di altra razza e di altra religione, che vuole essere ascoltata, Gesù ripete ai suoi discepoli: “Sono stato mandato solo per le pecore perdute di Israele” (Mt 15,24). E dinanzi all’insistenza della madre che non cessa di intercedere per la figlia, Gesù si difende dicendo: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26). Ma la reazione della madre fa cadere la difesa di Gesù: “È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Mt 15,27). E di fatto, c’erano molte briciole! Dodici cesti pieni di pezzi che avanzavano dalla moltiplicazione dei pani per le pecore perdute di Israele (Mt14,20). La risposta della donna smonta gli argomenti di Gesù. Lui si occupa della donna: Gesù ascolta la donna: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita” (Mt 15,28). Attraverso l’attenzione continua data alle pecore perdute di Israele, Gesù scopre che in tutto il mondo ci sono pecore perdute che vogliono mangiare le briciole.
- Matteo 10,7-8: Riassunto dell’attività di Gesù. “Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Come rivelare la vicinanza del Regno? La risposta è semplice e concreta: curando malati, risuscitando morti, purificando i lebbrosi, scacciando i demoni e servendo gratuitamente, senza arricchirsi del servizio alla gente. Dove questo avviene il Regno si rivela.

Per un confronto personale
- Noi tutti riceviamo la stessa missione data da Gesù ai discepoli e alle discepole. Sei cosciente di questa missione? Come vivi la tua missione?
- Nella tua vita, hai avuto qualche contatto con le pecore perdute, con gente stanca e sfinita? Quale lezione ne hai tratto?

3 dicembre: San Francesco Saverio, sacerdote e missionario
Biografia: Nacque in Spagna nel 1506; mentre a Parigi seguiva gli studi letterari, si fece compagno di sant’Ignazio. A Roma nel 1537 fu ordinato sacerdote ed attese ad opere di carità. Nel 1541 partì per l’Oriente, evangelizzò indefessamente per dieci anni l’India e il Giappone e convertì molti alla fede. Morì nel 1552 nell’isola cinese di San-cion o San-cian.

Dagli scritti
Dalle «Lettere» a sant’Ignazio di san Francesco Saverio, sacerdote
Abbiamo percorso i villaggi dei neofiti, che pochi anni fa avevano ricevuto i sacramenti cristiani. Questa zona non è abitata dai Portoghesi, perché estremamente sterile e povera, e i cristiani indigeni, privi di sacerdoti, non sanno nient’altro se non che sono cristiani. non c’è nessuno che celebri le sacre funzioni, nessuno che insegni loro il Credo, il Padre nostro, l’Ave ed i Comandamenti della legge divina. Da quando dunque arrivai qui non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l’hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l’Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli. Perciò, non potendo senza empietà respingere una domanda così giusta, a cominciare dalla confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnavo loro il Simbolo apostolico, il Padre nostro e l’Ave Maria. Mi sono accorto che sono molti intelligenti e, se ci fosse qualcuno a istruirli nella legge cristiana, non dubito che diventerebbero ottimi cristiani. Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d’Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno! Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?» (At 9, 6 volg.). Mandami dove vuoi, magari anche in India (Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544; Epist. S. Francisci Xaverii aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I, Mon. Hist. Soc. Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167).

Preghiera finale: Il Signore risana i cuori affranti e fascia le loro ferite; egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome (Sal 146).
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
VINCENZO

VINCENZO


Messaggi : 694
Data di iscrizione : 06.01.09
Età : 44
Località : NAPOLI

LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: domenica 4 dicembre 2011   LECTIO - Pagina 9 EmptyMar Nov 29, 2011 10:19 am

DOMENICA 4 DICEMBRE 2011


RITO ROMANO
ANNO B
II DOMENICA DI AVVENTO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 40,1-5.9-11 (Preparate la via al Signore)
Sal 84 (Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza)
2Pt 3,8-14 (Aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova)
Mc 1,1-8 (Raddrizzate le vie del Signore)

L’esilio è finito!
“Nell’orazione odierna così ci rivolgiamo al buon Dio: “Padre di ogni consolazione, che agli uomini pellegrini nel tempo hai promesso terra e cieli nuovi, parla oggi al cuore del tuo popolo, perché in purezza di fede e santità di vita possa camminare verso il giorno in cui manifesterai pienamente la gloria del tuo nome”. Chiediamo di approssimarci al santo Natale percorrendo una via nuova in “purezza di fede e santità di vita”, per comprendere al meglio la manifestazione della gloria del Signore, per fare cioè un buono e santo Natale. Isaia ci garantisce che l’esilio derivante dal peccato è finito finalmente, “La tribolazione è compiuta e la colpa e scontata”. Già si apre la via del ritorno. Nel deserto senza segnali e senza strade, dove facilmente ci si smarrisce, si apre una via nuova, sicura, la voce di Giovanni è il segnale che riconduce a Cristo: lo stesso Figlio di Dio grida al mondo “Io sono la Via, chi segue me non cammina nelle tenebre”. Occorre soltanto riconoscere nella Verità le nostre colpe, mostrarci sinceramente pentiti e riprendere la via della santità, come ci dice l’Apostolo Pietro. In questa luce comprendiamo meglio la missione di Giovanni Battista, inviato a preparare la via al Signore, con la sua estrema umiltà, con l’inflessibile austerità, con un battesimo di conversione per avere il perdono dei peccati. Si dice di lui che è l’ultimo e il primo dei profeti, ma possiamo anche dire che è il primo degli apostoli: sarà lui infatti a battezzarlo nelle acque del Giordano, lui ad additarlo al mondo come l’Agnello che toglie i peccati del mondo, lui infine a testimoniare con il martirio la sua indefettibile fedeltà.
In confronto all’introduzione discreta nel tempo dell’Avvento avvenuta domenica scorsa, l’annuncio di oggi è spettacolare: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te... Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Giovanni Battista fa il suo ingresso spettacolare nel mondo, vestito di peli di cammello. Le sue parole bruciano l’aria, le sue azioni frustano il vento. Predica “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” ed immerge i suoi discepoli nelle acque del Giordano. Il suo messaggio, pur legato a un momento della storia, è eterno. Si rivolge anche a noi. Anche noi dobbiamo preparare la strada del Signore, poiché un sentiero si spinge fino ai nostri cuori. Sfortunatamente, troppo spesso, durante l’Avvento, molte distrazioni ci ostacolano nell’accogliere, spiritualmente, il messaggio del Vangelo. Non dovremmo, invece, cercare di dedicare un po’ di tempo alla meditazione di quanto dice san Pietro: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13)?

Approfondimento del Vangelo (Predica di Giovanni Battista: come ha iniziato l’annuncio della Buona Novella)
Il testo: Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Chiave di lettura: L’unità letteraria di Marco 1,1-13, a cui appartiene il nostro testo (Mc 1,1-8), è una breve introduzione all’annuncio della Buona Novella di Dio. Tre ne sono i punti principali: (i) La Buona Notizia viene preparata dall’attività di Giovanni Battista (Mc 1,2-8). (ii) Viene proclamata in occasione del battesimo di Gesù (Mc 1,9-11). (iii) Viene provata nel momento della tentazione di Gesù nel deserto (Mc 1,12-13). Negli anni 70, epoca in cui Marco scrive il suo vangelo, le comunità vivevano una situazione difficile. Erano perseguitate, dal di fuori, dall’Impero Romano. Dal di dentro, si vivevano dubbi e tensioni. Alcune unità affermavano che Giovanni Battista era uguale a Gesù. (At 18,26; 19,3). Altre volevano sapere come dovevano iniziare l’annuncio della Buna Notizia di Gesù. In questi pochi versetti, Marco comincia a rispondere, raccontando come iniziò la Buona Notizia di Dio che Gesù ci annuncia e qual è il posto che Giovanni Battista occupa nel progetto di Dio. Durante la lettura, cerchiamo di essere attenti a scorgere come penetra la Buona Notizia nella vita delle persone.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Marco 1,1: Apertura e titolo del Vangelo di Marco
- Marco 1,2-3: Citazione dei profeti Malachia ed Isaia
- Marco 1,4-5: Contenuto e ripercussione della predicazione di Giovanni Battista
- Marco 1,6-8: Significato della predicazione di Giovanni Battista

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale è il punto del testo che più ti è piaciuto o che più ti ha colpito?
b) Cosa dice il testo sulla missione di Giovanni Battista?
c) Con quale scopo il Vangelo cita i due profeti del Vecchio Testamento?
d) Cosa ci dice il testo sulla persona di Gesù e sulla sua missione?
e) Cosa ci insegna questo per noi oggi?

Per coloro che vogliono approfondire il tema
a) Contesto di allora e di oggi: Il Vangelo di Marco comincia così: Inizio della Buona Notizia (vangelo) di Gesù Cristo, Figlio di Dio! (Mc 1,1). Tutto ha un inizio, anche la Buona Notizia di Dio che Gesù ci comunica. Il testo che ci aggiungiamo a meditare ci mostra come Marco cercò questo inizio. Cita i profeti Isaia e Malachia e menziona Giovanni Battista, che preparò la venuta di Gesù. Marco ci mostra così che la Buona Notizia di Dio, rivelata da Gesù, non è caduta dal cielo, ma viene da lontano, attraverso la storia. Ed ha un precursore, qualcuno che ha preparato la venuta di Gesù. Anche per noi, la Buona Notizia viene attraverso le persone e gli eventi ben concreti che ci indicano il cammino che porta a Gesù. Per questo, nel meditare il testo di Marco, conviene non dimenticare questa domanda: “Lungo la storia della mia vita, chi mi ha indicato il cammino verso Gesù?”. Ed ancora un’altra domanda: “Ho aiutato qualcuno a scoprire la Buona Notizia di Dio nella sua vita? Sono stato il precursore per qualcuno?”.
b) Commento del testo:
- Marco 1,1: Inizio della Buona Notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Nella prima frase del suo Vangelo, Marco dice: Inizio della Buona Notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio! (Mc 1,1). Al termine del Vangelo, nel momento della morte di Gesù, un soldato romano esclama: Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio (Mc 15,39). All’inizio ed alla fine, c’è questo titolo Figlio di Dio. Tra l’inizio e la fine, lungo le pagine del suo vangelo, Marco chiarisce come deve essere intesa ed annunciata questa verità centrale della nostra fede: Gesù è il Figlio di Dio.
- Marco 1,2-3: Il seme della Buona Novella è nascosto nella speranza della gente. Per indicare l’inizio della Buona Notizia, Marco cita i profeti Malachia ed Isaia. Nei testi di questi due profeti appare la speranza, che abitava nei cuori della gente ai tempi di Gesù. La gente sperava che il messaggero, annunciato da Malachia, venisse a preparare il cammino del Signore (Ml 3,1), secondo quanto proclamato dal profeta Isaia che disse: Voce di colui che grida: Preparate il cammino al Signore, raddrizzate i suoi sentieri (Is 40,3). Per Marco il seme della Buona Notizia è la speranza suscitata nella gente dalle grandi promesse che Gesù aveva fatto nel passato per mezzo dei due profeti. Finora, la speranza della gente è il gancio a cui si afferra la Buona Notizia di Dio. per sapere come iniziare l’annuncio della Buona Novella, è importante scoprire la speranza che la gente ha nel cuore. La speranza è l’ultima a morire!
- Marco 1,4-5: Il movimento popolare suscitato da Giovanni Battista fa crescere la speranza della gente. Marco fa come noi facciamo fino ad oggi. Si serve della Bibbia per illuminare i fatti della vita. Giovanni Battista aveva provocato un grande movimento popolare. Tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme andavano all’incontro di Giovanni! Marco si serve dei testi di Malachia e di Isaia per illuminare questo movimento popolare, suscitato da Giovanni Battista. Indica che con la venuta di Giovanni Battista la speranza del popolo ha cominciato ad incontrare una risposta, a realizzarsi. Il seme della Buona Notizia comincia a spuntare, a crescere.
- Marco 1,6-8: Giovanni Battista è il profeta Elia che la gente aspettava. Del profeta Elia si diceva che veniva a preparare il cammino del Messia “riconducendo il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i padri” (Mal 3,24; cfr. Lc 1,17), ossia, speravano che Elia venisse a ricostruire la vita comunitaria. Elia era conosciuto come “uomo peloso che portava una cintura di cuoio attorno ai fianchi” (2Re 1,8). Marco dice che Giovanni si vestiva di peli di cammello. Indicava con chiarezza che Giovanni Battista era venuto a svolgere la missione del Profeta Elia (Mc 9,11-13).
- Negli anni 70, epoca in cui Marco scrive, molta gente pensava che Giovanni Battista fosse il messia (cfr. At 19,1-3). Per aiutarli a discernere Marco riporta le parole di Giovanni stesso: Dopo di me viene colui che è più forte di me e di cui non sono degno di sciogliere i sandali. Io ho battezzato con acqua. Lui battezzerà con lo Spirito Santo. Marco ci dice che Giovanni indica il cammino verso Gesù. Fa sapere alle Comunità che Giovanni non era il Messia, bensì il suo precursore.

Ampliando l’informazione:
a) Il contesto più ampio dell’inizio del Vangelo di Marco (Mc 1,1-13)
- La solenne proclamazione della Buona Notizia (Mc 1,9-11). La gente pensava che il battesimo di Giovanni era cosa di Dio! (Mc 11,32). Come il popolo, anche Gesù percepiva che Dio si manifestava nel messaggio di Giovanni. Per questo, uscì da Nazaret, si recò fino al Giordano, ed entrò nella fila per ricevere il battesimo. Nel momento di essere battezzato, Gesù fece una profonda esperienza di Dio. Vide il cielo aprirsi e lo Spirito Santo discendere su di lui, e la voce del Padre che gli diceva: Tu sei il mio Figlio prediletto. In Te ho posto tutta la mia fiducia. In questi brevi parole appaiono tre punti molto importanti.
1) Gesù sperimentò Dio come un Padre e sperimenta se stesso come un Figlio. Ecco la grande novità che lui ci comunica: Dio è Padre. Il Dio che era lontano come il Signore Altissimo, giunge vicino come Padre, ben vicino come Abbà, Papà. È questo il centro della Buona Notizia che Gesù ci porta.
2) Una frase che Gesù ascoltò dal Padre e dal profeta Isaia, in cui si annuncia che il Messia è il Servo di Dio e della gente (Is 42,1). Il Padre stava indicando a Gesù la missione del Messia Servo, e non Re glorioso. Gesù assumeva questa missione di servizio e fu fedele ad essa fino alla morte, ed alla morte in croce! (cfr. Fil 2,7-8) Lui disse: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire!” (Mc 10,45).
3) Gesù vide il cielo aprirsi e lo Spirito scendere su di lui. Proprio quando Gesù scopre la sua missione di Messia Salvatore, riceve il dono dello Spirito Santo per poter svolgere la missione. Il dono dello Spirito era stato promesso dai profeti (Is 11,1-9; 61,1-3; Gioele 3,1). La promessa comincia a realizzarsi, solennemente, quando il Padre proclama Gesù, figlio suo prediletto.
- La Buona Notizia viene messa a prova e verificata nel deserto (Mc 1,12-13). Dopo il battesimo, lo Spirito di Dio prende possessione di Gesù e lo spinge verso il deserto, dove lui si prepara per la missione (Mc 1,12s). Marco dice che Gesù rimase nel deserto 40 giorni, e che fu tentato dal demonio, Satana. Matteo 4,1-11 esplicita la tentazione: tentazioni che assaltarono il popolo nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto: la tentazione del pane, la tentazione del prestigio, la tentazione del potere (Dt 8,3; 6,16; Dt 6.13). Tentazione è tutto ciò che assalta qualcuno lungo il cammino verso Dio. Lasciandosi orientare dalla Parola di Dio, Gesù affronta le tentazioni e non si lascia deviare (Mt 4,4.7.10). È in tutto uguale a noi, perfino nelle tentazioni, meno nel peccato (Eb 4,15). Inserito in mezzo ai poveri ed unito al Padre mediante la preghiera, fedele al Padre ed alla preghiera, resiste, e segue il cammino del Messia-Servo, il cammino del servizio a Dio ed al popolo (Mt 20,28).
b) Inizio della Buona Notizia di Gesù, oggi! Il seme della Buona Notizia tra di noi. Marco inizia il suo vangelo descrivendo come fu l’inizio dell’annuncio della Buona Notizia di Dio. Forse ci si aspetterebbe una data ben precisa. Ma ciò che abbiamo è una risposta apparentemente confusa, poi Marco cita Isaia e Malachia (Mc 1,2-3), parla di Giovanni Battista (Mc 1,4-5), allude al profeta Elia (Mc 1,4), evoca la profezia del Servo di Yahvé (Mc 1,11) e fa pensare alle tentazioni del popolo nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (Mc 1,13). E chiediamo: “Ma, in definitiva, Marco, l’inizio fu quando: all’uscita dall’Egitto, nel deserto, con Mosè, Isaia, Malachia, Giovanni Battista? Quando?”. L’inizio, il seme, può essere tutto ciò nello stesso tempo. Ciò che Marco vuole suggerire è che dobbiamo imparare a leggere la nostra storia con un altro sguardo. L’inizio, il seme della Buona Notizia di Dio, è nascosto nella nostra vita, nel nostro passato, nella storia che viviamo. Il popolo della Bibbia aveva questa convinzione: Dio è presente nella nostra vita e nella nostra storia. Per questo loro si preoccupavano di ricordare i fatti e le persone del passato. La persona che perde la memoria per la propria identità non sa da dove viene né dove va. Loro leggevano la storia del passato per imparare a leggere la storia del presente e scoprire in essa i segnali della presenza di Dio. È ciò che Marco fa qui all’inizio del suo vangelo. Cerca di scoprire i fatti e appunta il filo di speranza che veniva dall’esodo, da Mosè, passando per i profeti Elia, Isaia e Malachia, fino a giungere a Giovanni Battista che vede in Gesù colui che realizza la speranza del popolo. Quali sono i fili di speranza, per piccoli che siano, che oggi esistono nella nostra storia e che indicano un futuro migliore e più giusto? Ecco alcune possibili suggerimenti: (1) la resistenza ed il risveglio ovunque nel mondo di etnie oppresse alla ricerca di vita, di dignità per tutti; (2) il risveglio della coscienza del genere in molte donne ed uomini, che rivela nuove dimensioni della vita che prima non si percepivano; (3) la nuova sensibilità ecologica che aumenta ovunque, soprattutto tra i giovani ed i bambini; (4) la consapevolezza crescente della cittadinanza che cerca nuove forme di democrazia; (5) una discussione ed il dibattito dei problemi sociali che suscitano un desiderio maggiore di partecipazione che trasforma perfino da quelle persone che in mezzo al lavoro ed allo studio trovano il tempo di dedicare gratuitamente il loro servizio agli altri; (6) la ricerca crescente di nuove relazioni di tenerezza, di rispetto reciproco tra le persone e tra la gente; (7) cresce l’indignazione della gente per la corruzione e la violenza. Detto in una parola, c’è qualcosa di nuovo che sta nascendo e che non permette più di rimanere indifferenti davanti agli abusi politici, sociali, culturali, di classe e di genere. C’è una nuova speranza, un sogno nuovo, un desiderio di cambiamento! L’annuncio della Buona Notizia sarà realmente Buona Notizia se è portatrice di questa novità che spunta in mezzo al popolo. Aiutare a aprire gli occhi per vedere questa novità, impegnare le comunità di fede alla ricerca di questa utopia, vuol dire riconoscere la presenza di Dio che libera e trasforma agendo nel quotidiano della nostra vita.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
IV DOMENICA DI AVVENTO
L’INGRESSO DEL MESSIA


Letture:
Is 16,1-5
Sal 149
1Ts 3,11-4,2
Mc 1,1-11

Osanna nel più alto dei cieli
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli” (Lc 2,14), cantavano gli angeli sulla grotta di Betlemme. “Osanna nel più alto dei cieli” cantava Gerusalemme nell’accogliere Gesù il giorno delle palme, riconoscendolo come Messia. “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” ci fa ripetere oggi la Chiesa nel volgere lo sguardo verso il prossimo Natale dove celebriamo il mistero dell’Incarnazione, la venuta nella carne del Figlio di Dio, punto focale di tutta la storia che ha cambiato la nostra vicenda umana. E ancora: a Betlemme si annuncia: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore” (2,11). A Maria l’angelo aveva detto: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre.. e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32). E oggi ripetiamo anche noi: “Osanna. Benedetto il regno che viene del nostro padre Davide!”. Nel Natale siamo chiamati a riconoscere il quel Gesù che nasce il Dio che viene tra noi come Salvatore. E che viene sempre tra noi, anche oggi. Non è facile riconoscerlo perché viene.. “su un puledro”, come a Betlemme nacque piccolo e povero in una stalla! Accoglilo, questo Salvatore, preparargli la strada, che viene!
Come viene: Un “re” che viene su un asinello! O, se si vuole, più provocatoriamente, un re che regna dalla croce! Un Dio che nasce in una stalla “perché non c’era posto per lui nell’alloggio” (Lc 2,7). È sconcertante un Messia, un Dio così! Giovanni Battista lo presenterà come “Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Ma già Isaia aveva parlato del Messia come “dell’agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” (Is 53,7). “Allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine” (I lett.). Il profeta Zaccaria ha scritto: “Ecco, a te viene il tuo re, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (9,9). Come dirà poi Gesù di sé: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Naturalmente perché Dio non vuol imporsi con la forza ma con la condivisione e l’amore. Bisogna cogliere tutta la sorpresa dell’incarnazione. Di Dio ci si aspetta la potenza, la giustizia, non la povertà, l’umiltà e la misericordia. Neanche che nasca piccolo, profugo, perseguitato, fallito in croce. San Paolo ne legge in profondità tutto lo stile: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo..” (Fil 2,6-8). Dio volle condividere pienamente la nostra condizione di uomini, “essendo stato messo alla prova in ogni cosa come noi” (Eb 4,15). Aveva già creato scandalo ai suoi paesani di Nazaret: che pretesa ha costui? “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22). Come è pensabile - dicono i filosofi - che l’Infinito si chiuda nel finito? Che il Dio supremo si sporchi le mani con la nostra umanità?, pensa l’Islam. Un canto liturgico scritto da san Tommaso dice: “Hai nascosto in croce la divinità; qui - nell’Eucaristia - tu mi nascondi pur l’umanità” (Adoro te devote). Proprio anche alla messa la Chiesa ci fa cantare ogni volta: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, come nel giorno delle palme. Anche oggi Gesù viene nella discrezione, nel nascondimento, nel segno. Nel segno del Pane, così quotidiano e modesto. Non è facile crederlo. È “mistero della fede”. Come viene a noi nella mediazione umana della Chiesa, che qualche volta anche a noi crea problema. È la scelta di Dio di avere bisogno degli uomini, di voler giungere ad ognuno di noi attraverso il “suo Corpo che è la Chiesa”.
Come accoglierlo: Si tratta di riconoscerlo e accoglierlo. Nel Natale, nell’oggi, e nella sua venuta finale rimanendo “saldi e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro con tutti i suoi santi” (II lett.). Se il modo di venire è sorprendente, bisogna avere la libertà di accettare i fatti, senza pregiudizi, o..decurtazioni ideologiche, come s’usa oggi in molti pseudo studi sull’origine del cristianesimo che - come da sempre ogni razionalismo - nega ogni realtà soprannaturale o semplicemente qualcosa di diverso dal buon senso comune. Il veicolo storico sicuro, dopo più di trecento anni di ricerche scientifiche, sono ancora e sempre i quattro vangeli e gli scritti del Nuovo Testamento. Viviamo l’Avvento alla riscoperta di questi dati e ci faremo la convinzione che il Gesù che lì appare è molto più verosimile di quante immagini che i tuttologi che vengono in tv si sono fatti di lui. Se Dio viene nella discrezione, bisogna adattarsi al suo metodo. Non nelle luci abbaglianti delle platee o forse neanche nei raduni di massa.., ma nelle mozioni dello Spirito che parla nel segreto dei cuori e nei momenti di preghiera, sicuramente nei modesti segni sacramentali in cui il Signore ha promesso di essere presente - in particolare “allo spezzare del pane” (Lc 24,35) -, e quando “due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Il Signore si definisce “Colui che viene” (Ap 1,4) perché infinite sono le sue viste nella vita personale di ognuno: avvenimenti, persone, incontri ..; basta essere attenti, cioè “puri di cuore, perché questi vedranno Dio” (Mt 5,8). Un altro modo, più inatteso ancora, di riconoscerlo e di incontrarlo è nella carità e nell’amore tra di noi. “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi” (1Gv 4,7-8.12). E nei poveri che soccoriamo: “Quando mai, Signore, ti abbiamo visto.. In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,37-39). Per questo oggi Paolo prega che “il Signore vi faccia crescere nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi” (II lett.). È il modo più impensabile di incontrare Dio, ma d’altra parte il più ovvio dacché lui si è così immedesima in ogni uomo con l’incarnazione. Afferma il Concilio: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo” (GS 22).
In Gerusalemme Gesù si presenta ufficialmente come Messia, il promesso e l’atteso Salvatore. L’Avvento è fatto per risvegliare in noi il bisogno di una salvezza, oltre le frustrazioni e le delusioni della vita, oltre le alienazioni che ci rendono ormai rassegnati e privi d’ogni speranza. Il Natale getta nella nostra storia una risorsa di vita che è la stessa forza creatrice e rinnovatrice di Dio. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Forse conviene che ci sentiamo orgogliosi (e impegnati) a segnalare questa risorsa e questa speranza anche ai nostri fratelli pieni di paure al di là della facciate a volte supponente anche nei confronti di Dio.
Torna in alto Andare in basso
https://preghierainsieme.forumattivo.com/index.htm
Contenuto sponsorizzato





LECTIO - Pagina 9 Empty
MessaggioTitolo: Re: LECTIO   LECTIO - Pagina 9 Empty

Torna in alto Andare in basso
 
LECTIO
Torna in alto 
Pagina 9 di 16Vai alla pagina : Precedente  1 ... 6 ... 8, 9, 10 ... 12 ... 16  Successivo

Permessi in questa sezione del forum:Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
Preghiera Insieme :: NEL BEL MEZZO... :: LECTIO-
Vai verso: