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MessaggioTitolo: LECTIO   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:16 pm

study Like a Star @ heaven per capire la Parola... Like a Star @ heaven study


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MessaggioTitolo: Enzo giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:19 pm

Letture:

Is 49,1-6 (Ti renderò luce delle nazioni)

Sal 138 (Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda)

At 13,22-26 (Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo)

Lc 1,57-66.80 (Giovanni è il suo nome)


Camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia

Dio si serve degli uomini; con noi e per noi realizza i suoi piani di salvezza. Sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Egli sa rendere fecondo ciò che è sterile e aprire la bocca ai muti. Intreccia le sue con le nostre storie affinché ciò che egli vuole si compia in cielo e sulla terra. Rende feconda la vergine Maria affinché generi il Salvatore del Mondo, ma concede la maternità anche ad Elisabetta, sterile e avanti negli anni. Predispone un incontro tra le due mamme e i rispettivi nascituri e già sgorga la gioia messianica! È riconosciuta la Madre del Signore e il futuro battezzatore freme e sussulta di gioia nel grembo della madre sua. È lo stesso angelo ad annunciare a Zaccaria i motivi della gioia: “Elisabetta ti darà un figlio… Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita”. Il suo compito sarà quello di preparare la via al Signore affinché Egli trovi un popolo ben disposto. Umanamente parlando, dato l’evolversi degli eventi e la sorte toccata a Cristo e allo stesso Giovanni Battista, potremmo anche concludere che la sua missione sia fallita. Ciò però eventualmente nulla toglie alla fedeltà del Precursore e interviene a sciogliere ogni dubbio il magnifico elogio che Cristo stesso ne tesse. Al più potremmo con migliore saggezza, concludere che la missione che Dio ci affida va sempre vista e valutata nel contesto di un ben più ampio progetto di salvezza e solo in quella luce assume la sua vera dimensione il suo pieno valore. Egli, infatti, precede e annuncia il Messia, l’Agnello di Dio, ma poi sa che deve farsi da parte e lasciare spazio a Colui dinanzi al quale egli si prostra e non si sente degno neanche di sciogliergli i legacci dei sandali. Lo precederà anche nel martirio: pagherà con la vita la sua coerenza e la sua incrollabile fermezza, ignaro delle prepotenze dei grandi e delle losche trame di due donne. Così egli concluderà la sua missione, alla stessa maniera di Cristo; così lo vediamo brillare nella chiesa come ultimo dei profeti dell’Antico Testamento e il primo dei tempi messianici.

Per bocca del profeta Dio annunciò: “Per voi... cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla” (Ml 3,20). L’inno di Zaccaria è il mirabile sviluppo di questa profezia. Quando, obbedendo all’ingiunzione dell’angelo, diede a suo figlio il nome di Giovanni (che significa: Dio è misericordioso), avendo fornito la prova di una fede senza indugi e senza riserve, la sua pena finì. E, avendo ritrovato la parola, Zaccaria cantò un inno di riconoscenza contenente tutta la speranza del popolo eletto. La prima parte, in forma di salmo, è una lode a Dio per le opere da lui compiute per la salvezza. La seconda parte è un canto in onore della nascita di Giovanni e una profezia sulla sua futura missione di profeta dell’Altissimo. Giovanni sarà l’annunciatore della misericordia divina, che si manifesta nel perdono concesso da Dio ai peccatori. La prova più meravigliosa di questa pietà divina sarà il Messia che apparirà sulla terra come il sole nascente. Un sole che strapperà alle tenebre i pagani immersi nelle eresie e nella depravazione morale, rivelando loro la vera fede, mentre, al popolo eletto, che conosceva già il vero Dio, concederà la pace. L’inno di Zaccaria sulla misericordia divina può diventare la nostra preghiera quotidiana.



Approfondimento del Vangelo (Nascita del Precursore del Signore):

Il testo: Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.
80Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.



Chiave di lettura: Questo brano del vangelo fa parte dei così detti racconti dell’infanzia di Gesù. In modo particolare questo testo segue la scena della visitazione di Maria “nella casa di Zaccaria” (Lc 1,40) dopo l’evento dell’annunciazione dell’angelo messaggero della nuova creazione. L’annunciazione infatti inaugura gioiosamente il compimento delle promesse di Dio al suo popolo (Lc 1,26-38). La gioia dei tempi nuovi, che ha riempito Maria, inonda adesso il cuore di Elisabetta. Essa gioisce dell’annuncio portato da Maria (Lc 1,41). Maria d’altronde “magnifica il Signore” (Lc 1,46) perché ha operato in lei grandi cose, come ha operato grandi prodigi per il suo popolo bisognoso di salvezza. L’espressione “si compì il tempo” ci ricorda che questa realtà non colpisce soltanto Elisabetta partoriente, ma rivela anche qualcosa del progetto di Dio. San Paolo infatti ci dice che quando il tempo fu compiuto, Dio mandò il suo Unigenito “nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” di Dio (Gal 4,4). Nel vangelo Gesù parla infatti del compimento dei tempi, specialmente nel vangelo di Giovanni. Due di questi istanti sono le nozze di Cana (Gv 2,1-12) e l’agonia sulla croce dove Gesù proclama che “tutto è compiuto” (Gv 19,30). Nel compimento dei tempi Gesù inaugura un’era di salvezza. La nascita di Giovanni Battista inaugura questo tempo di salvezza. Egli, infatti, all’arrivo del Messia esulta e sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta sua madre (Lc 1,44). Più tardi egli definirà se stesso come l’amico dello sposo (Gesù) che esulta e gioisce per l’avvenimento delle nozze con la sua sposa, la Chiesa (Gv 3,29). Il figlio non si chiamerà per suo padre Zaccaria ma Giovanni. Zaccaria ci ricorda che Dio non dimentica il suo popolo. Il suo nome infatti significa “Dio ricorda”. Suo figlio, adesso non potrà essere chiamato “Dio ricorda”, perché le promesse di Dio stavano compiendosi. La missione profetica di Giovanni deve indicare la misericordia di Dio. Egli infatti si chiamerà Johanan, cioè “Dio è misericordia”. Questa misericordia si manifesta nella visita al popolo, proprio “come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un tempo” (Lc 1,67-70). Il nome indica perciò l’identità e la missione del nascituro. Zaccaria scriverà il nome di suo figlio su una tavoletta perché tutti potessero vedere con meraviglia (Lc 1,63). Questa tavola fa eco ad un’altra iscrizione, scritta da Pilato per essere appesa alla croce di Gesù. Questa iscrizione rivelava l’identità e la missione del crocifisso: “Gesù nazareno re dei Giudei” (Gv 19,19). Anche questa scritta provocò la meraviglia di coloro che stavano a Gerusalemme per la festa. In tutto Giovanni è precursore di Cristo. Già dalla sua nascita e infanzia egli punta a Cristo. “Chi sarà mai questo bambino?” Egli è “la voce che grida nel deserto” (Gv 1,23), incitando tutti a preparare le vie del Signore. Non è lui il Messia (Gv 1,20), ma lo indica con la sua predicazione e soprattutto con il suo stile di vita di ascesi nel deserto. Egli intanto “cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80).



Domande per orientare la meditazione e l’attualizzazione

- Cosa ti ha colpito in questo brano e nella riflessione?

- Giovanni si identifica come l’amico dello sposo. Secondo te, che significato ha questa immagine?

- La chiesa ha sempre visto in Giovanni Battista il suo tipo. Egli è colui che prepara la strada del Signore. Ha questo una rilevanza per la nostra vita quotidiana?


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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:25 pm

Letture:

Zc 12,10-11 (Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto)

Sal 62 (Ha sete di te, Signore, l’anima mia)

Gal 3,26-29 (Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo)

Lc 9,18-24 (Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto)


Chi sono io secondo la gente?

Un domanda di estrema attualità, che ognuno di noi potrebbe e dovrebbe porsi. La risposta dipende non tanto dalla nostra intelligenza o dalle nostre cognizioni teologiche, ma dalla fede che ci anima e dalla grazia che ci illumina. Identificare Cristo significa infatti conoscerlo nel senso biblico, amarlo cioè ed imitarlo. Soltanto chi vive in intima comunione con Lui è in grado di conoscerlo davvero e l’intimità della comunione nasce da una intensa vita sacramentale. Noi come credenti e fedeli vediamo in Cristo il Figlio di Dio, incarnato nel seno della Vergine Maria, umiliato nella nostra natura umana, condannato e crocifisso per i nostri peccati e poi gloriosamente risorto. Egli ci ha dato un comandamento nuovo: ha proclamato, vissuto l’amore fino allo stremo, fino alla morte e tutto ciò per riscattarci del peccato e riconciliarci con il Padre celeste. Pietro, quando sente che Gesù non è tanto interessato alla voci e alle chiacchiere della gente, ma piuttosto a cosa pensano i «suoi» di Lui, a nome di tutti proclama la grande essenziale verità: «Il Cristo di Dio». Viene subito da pensare ai fiumi di parole che noi spendiamo per cercare le migliori definizioni sulle verità di Dio e all’essenzialità della risposta di Pietro. Proprio perché si tratta di misteri dobbiamo cercare di cogliere il significato ultimo delle nostre povere parole attingendole dalla rivelazione e non dalla fioca ragione umana. Comprendiamo poi il perché del silenzio che Gesù impone: «Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno». Infatti sarebbe risultato inconciliabile ed incomprensibile che il Cristo di Dio dovesse essere messo a morte. Solo alla luce della risurrezione è possibile comprendere l’infinito valore della sua morte. L’ammonizione che segue: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà», è la conferma della sua e nostra passione. È anche l’impegno di una sequela, di una imitazione che non ci risparmia dal sacrificio e dalla croce. Arriva a dirci che l’inutile affanno per «guadagnare» la nostra vita è una condanna alla perdita finale e l’offerta invece dei nostri personali sacrifici, la perdita apparente della vita è certezza di una vittoria finale. È proprio per questo che i migliori conoscitori di Cristo sono stati e sono ancora i santi e i sofferenti. La simbiosi genera amore vero e conoscenza certa.

La confessione di Pietro, l’annuncio della passione di Gesù e l’invito a seguire il suo esempio costituiscono un’unità organica. Gesù è il Messia, ma non come quello di cui fantasticavano gli uomini. Egli segue il cammino tracciato da Dio, che è il cammino della croce. Chiunque vuole essere con lui, deve seguirlo in questo cammino. Rispetto agli altri evangelisti, Luca introduce alcuni cambiamenti ed accenti caratteristici. Non cita il luogo della conversazione di Gesù con i discepoli, lega questa conversazione alla preghiera di Gesù e, soprattutto, rivolge a tutti l’invito ad imitare Cristo. È un invito importante, che non è rivolto solo agli eletti, ai santi e agli uomini pronti all’eroismo. Tutti i credenti sono discepoli di Cristo. Egli non li tratta come mercenari, ma come amici, vuole che lo accompagnino nel suo cammino e prendano parte alle sue sofferenze. Il suo destino deve essere anche il loro. Che essi portino ogni giorno la loro croce. Gesù non parla del martirio, che può capitare una sola volta, ma delle sofferenze che ognuno incontra nell’adempimento serio del proprio dovere e delle difficoltà quotidiane che devono essere sopportate pazientemente grazie all’amore per lui.



Lettura del Vangelo: Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: “Chi sono io secondo la gente?” Essi risposero: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?” Pietro, prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”.



Riflessione
- Il vangelo di oggi riprende lo stesso tema del vangelo di ieri: l’opinione della gente su Gesù. Ieri, partendo da Erode, oggi è Gesù stesso che chiede cosa pensa la gente, l’opinione pubblica e gli apostoli rispondono dando la stessa opinione di ieri. Viene immediatamente dopo il primo annuncio della passione, della morte e della risurrezione di Gesù.

- Luca 9,18: La domanda di Gesù dopo la preghiera. “Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: “Chi sono io secondo la gente?” Nel vangelo di Luca, in diverse occasioni importanti e decisive, Gesù si presenta in preghiera: nel battesimo quando assume la sua missione (Lc 3,21); nei 40 giorni nel deserto, quando vince le tentazioni del diavolo alla luce della Parola di Dio (Lc 4,1-13); la notte prima di scegliere i dodici apostoli (Lc 6,12); nella trasfigurazione, quando con Mosè ed Elia conversa sulla passione a Gerusalemme (Lc 9,29); nell’orto, quando affronta l’agonia (Lc 22,39-46); sulla croce, quando chiede perdono per il soldato (Lc 23,34) e consegna lo spirito a Dio (Lc 23,46).

- Luca 9,19: L’opinione del popolo su Gesù. “Loro risposero: “Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, ma altri pensano che tu sei uno degli antichi profeti che è risorto.” Come Erode, molti pensavano che Giovanni Battista fosse risorto in Gesù. Era credenza comune che il profeta Elia doveva ritornare (Mt 17,10-13; Mc 9,11-12; Ml 3,23-24; Eclo 48,10). E tutti alimentavano la speranza della venuta del profeta promesso da Mosè (Dt 18,15). Risposte insufficienti.

- Luca 9,20: La domanda di Gesù ai discepoli. Dopo aver ascoltato le opinioni degli altri, Gesù chiede: “E voi chi dite che io sia?” Pietro rispose: “Il Messia di Dio!” Pietro riconosce che Gesù è colui che la gente sta aspettando e che viene a realizzare le promesse. Luca omette la reazione di Pietro che cerca di dissuadere Gesù dal seguire il cammino della croce ed omette anche la dura critica di Gesù a Pietro (Mc 8,32-33; Mt 16,22-23).

- Luca 9,21: La proibizione di rivelare che Gesù è il Messia di Dio: “Allora Gesù ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno”. A loro fu proibito di rivelare alla gente che Gesù è il Messia di Dio. Perché Gesù lo proibì? In quel tempo, come abbiamo già visto, tutti aspettavano la venuta del Messia, ma ognuno di loro a modo suo: alcuni aspettavano un re, altri un sacerdote, altri un dottore, un guerriero, un giudice, o profeta! Nessuno sembrava aspettare il messia servo, annunciato da Isaia (Is 42,1-9). Chi insiste nel mantenere l’idea di Pietro, cioè del Messia glorioso senza la croce, non capisce nulla e non giungerà mai ad assumere l’atteggiamento del vero discepolo. Continuerà a camminare nel buio, come Pietro, cambiando la gente per alberi (cfr. Mc 8,24). Perché senza la croce è impossibile capire chi è Gesù e cosa significa seguire Gesù. Per questo, Gesù insiste di nuovo sulla Croce e fa il secondo annuncio della sua passione, morte e risurrezione.

- Luca 9,22: Il secondo annuncio della passione. E Gesù aggiunge: “Il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno”. La comprensione piena della sequela di Gesù non si ottiene mediante l’istruzione teorica, ma mediante l’impegno pratico, camminando con lui lungo il cammino del servizio, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Il cammino della sequela è il cammino del dono di sé, dell’abbandono, del servizio, della disponibilità, dell’accettazione del conflitto, sapendo che ci sarà risurrezione. La croce non è un incidente di percorso, fa parte di questo cammino. Perché nel mondo organizzato partendo dall’egoismo, l’amore ed il servizio possono esistere solo crocifissi! Chi fa della sua vita un servizio agli altri, scomoda coloro che vivono afferrati ai privilegi, e soffre.

- Lc 9,23-24: Condizioni per seguire Gesù. Gesù tira conclusioni valide fino al giorno d’oggi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. In quel tempo la croce era la pena di morte che l’impero romano imponeva ai criminali emarginati. Prendere la croce e caricarla dietro Gesù era lo stesso che accettare di essere emarginato dal sistema ingiusto che legittimava l’ingiustizia. Era lo stesso che rompere con il sistema. Come dice Paolo nella Lettera ai Galati: “Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). La croce non è fatalismo, nemmeno è esigenza del Padre. La Croce è la conseguenza dell’impegno liberamente assunto da Gesù di rivelare la Buona Novella che Dio è Padre, e che quindi tutti e tutte dobbiamo essere accettati e trattati/e da fratelli e sorelle. A causa di questo annuncio rivoluzionario, lui fu perseguitato e non ebbe paura di dare la propria vita. Non c’è prova d’amore più grande che dare la vita per il fratello.



Per un confronto personale

- Tutti crediamo in Gesù. Ma c’è chi lo capisce in un modo e chi in un altro. Qual’è oggi il Gesù più comune nel modo di pensare della gente?

- La propaganda, come interferisce nel mio modo di vedere Gesù? Cosa faccio per non cadere nel giro della propaganda? Cosa ci impedisce oggi di riconoscere e di assumere il progetto di Gesù?

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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:33 pm

Letture:

2Cr 24,17-25 (Avete ucciso Zaccarìa tra il santuario e l’altare)

Sal 88 (La bontà del Signore dura in eterno)

Mt 6,24-34 (Non preoccupatevi del domani)

Gli inutili affanni del mondo


O il mondo e le sue attrattive (è il «mammona» del vangelo odierno) o Dio; è l’esigenza di una scelta radicale, sgorga dalla coerenza e dalla fede che il cristiano vuole professare e di vivere. «Non potete servire a Dio e a mammona». Ci sono nella nostra vira compromessi irrealizzabili, anche se spesso siamo tentati di attuarli. Certamente il Signore non disconosce l’importanza del nutrimento, del vestire e di quanto serve alla vita di ogni giorno. Vuole farci comprendere però che non è questo che dà il vero senso alla vita e vuole metterci in guardia da quegli eccessivi affanni che inutilmente ci affliggono e da quell’attaccamento alle cose che ci procura solo amare delusioni. Vuole far rinascere in noi la fede nel Dio provvido, che ai nostri giorni sembra quasi scomparsa. Sollecitandoci alla preghiera ci ricorda Gesù che il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glie lo chiediamo. Ci sollecita perciò a guardare con intelligenza spirituale gli uccelli de cielo, che, non ammassano nei granai, pure sono nutriti dal Padre celeste e i gigli del campo che provvidenzialmente si adornano di tutta la loro splendida bellezza. La conclusione e di quelle che dovrebbero entrare pienamente nel programma di vita di ogni cristiano: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Capita invece che proprio perché colpevolmente privi di beni spirituali, ci attacchiamo ai surrogati del mondo. Si tratta di spiritualizzare la nostra vita per imparare a cogliere i valori che davvero possono essere fonte della nostra gioia. Il materialismo si è sempre alleato all’ateismo l’uno a supporto dell’altro.

Che Cristo non abbia esitato a porre (anche se solo verbalmente) Dio e il denaro uno di fianco all’altro, questo ci sbalordisce. Eppure il Denaro (con la D maiuscola) è troppo spesso venerato come un Dio. Lo si cerca, se ne è sedotti, stregati, lo si adula, lo si adora, per esso si uccide, si fa la guerra e non ci si ferma se non ci conviene, ci si vende per esso. E Cristo ci chiede di scegliere tra lui e il denaro. Alcuni seguono Cristo, altri il denaro, ed altri immaginano che, per non perdere nulla, potranno servire tutti e due nello stesso tempo. Ma Cristo è categorico: “Non potete servire Dio e il denaro”. Ciò mi ricorda un gruppo di universitari libanesi in visita ad un vecchio saggio sulla montagna, pacifico e felice nella sua evidente povertà. “Parlaci del denaro”, chiedono i giovani. Il saggio sorride e dice: “Guardate attraverso il vetro della mia finestra. Che cosa vedete?”. “Il cielo, il sole, la montagna, gli alberi, la gente che passa...”. Il saggio, allora, tende loro, un piccolo specchio e dice: “Guardate in questo specchio. Che cosa vedete?”. “I nostri volti, evidentemente”, rispondono i giovani, meravigliati. Il saggio riprende lo specchio, vi toglie la lamina d’argento e lo porge di nuovo ai suoi visitatori. “Ed ora, che cosa vedete?”. “Questo specchio non è che un vetro, dicono, non ci si vede più, ma si vedono gli altri”. Credo che abbiate capito come loro hanno capito.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona. Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”.



Riflessione:

- Il vangelo di oggi ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro (Mt 6,24) e il nostro rapporto con la Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). I consigli dati da Gesù suscitano varie domande di difficile risposta. Per esempio, come capire oggi l’affermazione: “Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24)? Come capire la raccomandazione di non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito(Mt 6,25).

- Matteo 6,24: Non potete servire Dio e mammona. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona.” Ognuno dovrà fare la propria scelta. Dovrà chiedersi: “Chi pongo al primo posto nella mia vita. Dio o il denaro?” Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, bensì di una scelta di vita ben concreta che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.

- Matteo 6,25: Gesù critica la preoccupazione eccessiva per il mangiare e il bere. Questa critica di Gesù causa fino ai nostri giorni molto spavento nella gente, perché la grande preoccupazione di tutti i genitori è come procurarsi cibo e vestiti per i figli. Il motivo della critica è che la vita vale più del cibo e il corpo vale più del vestito. Per chiarire la sua critica, Gesù presenta due parabole: i passeri e i fiori.

- Matteo 6,26-27: La parabola degli uccelli: la vita vale più del cibo. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Non seminano, non raccolgono, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. “Non contate voi, forse, più di loro!” Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della vita delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.

- Matteo 6,28-30: La parabola dei gigli: il corpo vale più del vestito. Gesù chiede di guardare i fiori, i gigli del campo. Con che eleganza e bellezza Dio li veste! “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, non farà assai più per voi, gente di poca fede!” Gesù dice di guardare le cose della natura, perché così vedendo i fiori e il campo, la gente ricordi la missione che abbiamo: lottare per il Regno e creare una convivenza nuova che possa garantire il cibo e il vestito per tutti.

- Matteo 6,31-32: Non essere come i pagani. Gesù riprende e critica la preoccupazione eccessiva per il cibo, la bevanda e il vestito. E conclude: “Di queste cose si preoccupano i pagani!” Ci deve essere una differenza nella vita di coloro che hanno fede in Gesù e di coloro che non hanno fede in Gesù. Coloro che hanno fede in Gesù condividono con lui l’esperienza della gratuità di Dio Padre, Abba. Questa esperienza di paternità deve rivoluzionare la convivenza. Deve generare una vita comunitaria che sia fraterna, seme di una nuova società.

- Matteo 6,33-34: Il Regno al primo posto. Gesù indica due criteri: “Cercare prima il Regno di Dio” e “Non preoccuparsi per il domani”. Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia significa cercare di fare la volontà di Dio e lasciare regnare Dio nella nostra vita. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna e giusta. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare.

- Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Il Regno di Dio deve stare al centro di tutte le nostre preoccupazioni. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona si sente responsabile dell’altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori, perché per Gesù la Provvidenza Divina passa attraverso l’organizzazione fraterna. Preoccuparsi del Regno e della sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi di accettare Dio Padre ed essere fratello e sorella degli altri. Dinanzi all’impoverimento crescente causato dal neoliberalismo economico, la forma concreta che il vangelo ci presenta e grazie alla quale i poveri potranno vivere è la solidarietà e l’organizzazione.

- Un coltello affilato in mano ad un bambino può essere un’arma mortale. Un coltello affilato in mano ad una persona appesa ad una corda è l’arma che salva. Così sono le parole di Gesù sulla Provvidenza Divina. Sarebbe antievangelico dire ad un padre disoccupato, povero, con otto figli, e moglie malata: “Non ti preoccupare del cibo e delle bevande! Perché preoccuparsi del vestito e della salute?” (Mt 6,25.28). Questo possiamo dirlo solo quando noi stessi, imitando Gesù, ci organizziamo tra di noi per condividere, garantendo così al fratello la possibilità di sopravvivere. Altrimenti, siamo come i tre amici di Giobbe che, per difendere Dio, raccontavano menzogne sulla vita umana (Giobbe 1-3,7). Sarebbe come ingannare un orfano e un amico (Giobbe 1-7). In bocca al sistema dei ricchi, queste parole posso essere un’arma mortale contro i poveri. In bocca al povero, possono essere uno sbocco reale e concreto per una convivenza migliore, più giusta e fraterna.



Per un confronto personale

- Cosa intendo io per Provvidenza Divina? Ho fiducia nella Provvidenza Divina?

- Noi cristiani abbiamo la missione di dare un’espressione concreta a ciò che portiamo dentro. Qual è l’espressione che stiamo dando alla nostra fiducia nella Provvidenza Divina?



Preghiera finale: Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore (Sal 118


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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:43 pm

Letture:

2Sam 12,7-10.13 (Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai)

Sal 31 (Togli, Signore, la mia colpa e il mio peccato)

Gal 2,16.19-21 (Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati)

Lc 7,36 - 8,3 (Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato)




La verità sulla propria vita

Il messaggio che ci viene dalla liturgia della Parola è molto importante per tutti e in particolare per chi detiene il potere con quale è tentato di giustificare tutte le sue scelte, anche quelle contro ogni logica e moralità. Davide (prima lettura) ha commesso adulterio, ha ucciso il marito della donna sedotta e l’ha presa come moglie. Dio ordina al profeta Natan di recarsi da lui: gli narra il fatto ipotetico di una grave ingiustizia subita da un povero da parte di un prepotente. Davide freme di rabbia e dice con forza: Chi è quell’uomo che ha fatto questo? Merita la morte!. Natan gli dice: Tu sei quell’uomo! E gli svela quello che avrebbe voluto tener nascosto. Davide risponde con il pentimento, immortalato nel salmo 50. Anche il brano del vangelo ci riporta allo stesso messaggio. È peccatrice la donna, è vero… ma il fariseo non è innocente… Dinanzi ai pensieri di giudizio e di condanna di Simone, il fariseo, nei confronti di una donna peccatrice prostrata ai piedi del Maestro, mentre bagna di lacrime i suoi piedi, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di profumo, Gesù pone una questione: Simone, ti sembra che si mostri più riconoscente: colui che ha avuto il condono di cinquecento denari, o colui a cui ne sono stati condonati solo cinquanta? La risposta di Simone è ovvia: Chi è stato maggiormente beneficato… E Gesù, pendendo le difesa della donna, gli svela come anche lui è debitore, è peccatore… Non è giusto quindi infierire contro chi ha mancato di più, ma comportarsi come il Signore che perdona entrambi suscitando nei loro cuori sentimenti di gratitudine. Tutto questo però è frutto della fede viva nella salvezza donataci dalla misericordia di Dio più che guadagnata dalle nostre buone opere, come ci insegna la seconda lettura. Qualche anno addietro andava di moda una canzone che diceva: La verità ti fa male… lo so… Ci sarebbe bisogno di tanti Natan che abbiano il coraggio di dirci la verità circa la nostra vita… Purtroppo molte volte la verità genera nemici… allora si preferisce tacere e magari adulare… e questo anche contro l’ordine di Gesù che esorta alla correzione. La correzione produce sofferenza sul momento, poi però porta gioia… L’esempio di Davide e dei Santi ci aiuti ad accogliere con umiltà la parola di correzione, da chiunque venga.

Gesù è stato accusato di essere amico dei peccatori. Ebbene sì, vuole esserlo. Ma in che senso? Il Vangelo di oggi lo spiega. In quei tempi era costume che si invitassero i maestri itineranti. Prima del pasto, erano obbligatori alcuni gesti di ospitalità come, ad esempio, offrire dell’acqua e salutare con un abbraccio. Ecco che una donna, conosciuta come peccatrice, mostra nei confronti di Gesù un’ospitalità eccessiva, mentre Simone non è certo prodigo in gesti. Di fronte alla sua perplessità, Gesù racconta una parabola sul perdono. La donna si converte, piange lacrime di contrizione e di ringraziamento. Gesù dichiara: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato”. Gesù la conferma nella sua fede: davanti agli occhi di tutti riconcilia la peccatrice con Dio e la reintegra nella società degli uomini onesti. Abbiamo, dunque, qui l’esempio della contrizione perfetta. Il confessore ripete nella formula dell’assoluzione le parole che nell’epilogo Gesù rivolge a questa donna. Gesù era un infaticabile viaggiatore che annunciava il vangelo. Lo accompagnavano non solo i discepoli, ma anche le donne. Egli le ha associate alla sua attività apostolica, ha accettato il loro servizio e il loro aiuto materiale, comportandosi così in modo rivoluzionario per quell’epoca. Gesù restituisce pienamente alla donna la sua dignità di essere umano: agli occhi di Dio è pari all’uomo.



Approfondimento del Vangelo (Gesù accoglie e difende la donna con il profumo. Fiducia dei poveri nella persona di Gesù)

Il testo: Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure». «Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; và in pace!». In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.


Chiave di lettura: Il testo del Vangelo di questa domenica ci presenta due episodi legati tra di loro. Il primo è un episodio pieno di emozione. Una donna considerata peccatrice nella città ha il coraggio di entrare nella casa di Simone, un fariseo, durante il pranzo, per incontrare Gesù, lavargli i piedi e coprirli di baci e profumo. Il secondo è la descrizione della comunità di Gesù, in cui partecipano discepole e discepoli. Quando leggi il testo immagina di essere nella casa del fariseo, durante il pranzo, ed osserva con molta attenzione gli atteggiamenti, i gesti e le parole delle persone: della donna, di Gesù e dei farisei. Rileggi anche attentamente la breve informazione di Luca nei riguardi della comunità che si formò attorno a Gesù e cerca di esaminare bene le parole usate per indicare la partecipazione sia degli uomini che delle donne che seguono Gesù.



Una divisione del testo per aiutarne la lettura:

- Luca 7,36-38: Una donna lava i piedi di Gesù a casa di un Fariseo

- Luca 7,39-40: La reazione del fariseo e la risposta di Gesù

- Luca 7,41-43: La parabola dei due debitori e la risposta del Fariseo

- Luca 7,44-47: Gesù applica la parabola e difende la ragazza

- Luca 7,48-50: L’amore fa nascere il perdono, il perdono fa crescere l’amore



- Luca 8,1-3: I discepoli e le discepole della comunità di Gesù



Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.



Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.

a) Qual è il punto del testo che più ti ha colpito? Perché?

b) Osservare l’atteggiamento della donna: cosa fa e come lo fa?

c) Osservare l’atteggiamento del fariseo con Gesù e con la donna: cosa fa e cosa dice?

d) Osservare l’atteggiamento di Gesù con la donna: cosa fa e cosa dice?

e) La donna non avrebbe fatto ciò che fece se non avesse avuto l’assoluta certezza di essere accolta da Gesù. Sarà che gli emarginati di oggi hanno la stessa certezza rispetto a noi cristiani?

f) L’amore ed il perdono. Quali sono le donne che seguono Gesù? Qual è il legame tra loro?

g) La comunità di Gesù. Quali sono le donne che seguono Gesù? Cosa fanno?



Per coloro che volessero approfondire maggiormente il tema

a) Contesto letterario e storico del testo: Nel capitolo 7 del suo Vangelo, Luca descrive le cose nuove e sorprendente che sorgono tra il popolo a partire dall’annuncio che Gesù fa del Regno di Dio. A Cafarnao, elogia la fede dello straniero: “Io vi dico che neanche in Israele ho incontrato una fede così grande! (Lc 7,1-10). A Naim risuscita il figlio di una vedova (Lc 7,11-17). Il modo di Gesù di annunciare il Regno sorprende molto i fratelli giudei, che perfino Giovanni Battista rimane sorpreso e manda a chiedere: “Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7,18-30). Gesù critica l’incoerenza dei suoi anfitrioni: “Sono simili ai bambini che non sanno ciò che vogliono!” (cfr. Lc 7,31-35). Ed ora alla fine del capitolo, qui nel nostro testo (Lc 7,36 a 8,3), un’altra novità della Buona Novella del Regno comincia ad spuntare ed a sorprendere. L’atteggiamento di Gesù verso le donne.
All’epoca del Nuovo Testamento, in Palestina, la donna viveva emarginata. Non partecipava nella sinagoga, non poteva testimoniare nella vita pubblica. Fin dal tempo di Esdra (Sec IV aC), la resistenza non faceva che crescere, come vediamo nella storia di Giuditta, Ester, Ruth, Noemi, Susanna, di Sulamita e di molte altre. Questa resistenza delle donne trovò eco ed accoglienza in Gesù. Nell’episodio della donna del profumo (Lc 7,36-50) appaiono sia l’anticonformismo e la resistenza delle donne, sia l’accoglienza di Gesù verso di loro. Nella descrizione della comunità che nasce e cresce attorno a Gesù (Lc 8,1-3), vediamo uomini e donne riuniti attorno a Gesù, in parità di condizioni, come discepoli e discepole.

b) Commento del testo:- Luca 7,36-38: Una donna lava i piedi di Gesù in casa di un Fariseo. Tre persone totalmente diverse si incontrano: Gesù, un fariseo ed una donna di cui si diceva che era peccatrice. Gesù si trova nella casa di Simone, un fariseo che lo aveva invitato a mangiare a casa sua. Una donna entra, si inginocchia ai piedi di Gesù, comincia a piangere, bagna con le sue lacrime i piedi di Gesù, si scoglie i capelli per asciugare i piedi di Gesù, li bacia e li unge con profumo. Era un gesto di indipendenza quello di sciogliersi i capelli in pubblico. Questa è la situazione che si crea e che causa il dibattito che segue.

- Luca 7,39-40: La risposta dei farisei e la risposta di Gesù. Gesù non si tira indietro, non sgrida la donna, bensì accoglie il suo gesto. Accoglie una persona che, secondo i giudei osservanti dell’epoca, non poteva essere accolta. Il fariseo, osservando la scena, critica Gesù e condanna la donna: “Se questo uomo fosse un profeta saprebbe che tipo di donna è questa, una peccatrice!” Gesù si serve di una parabola per rispondere alla provocazione del fariseo. Una parabola che aiuterà il fariseo e tutti noi a percepire l’appello invisibile dell’amore di Dio che si rivela nell’episodio.

- Luca 7,41-43: La parabola dei due debitori e la risposta del fariseo. La storia della parabola dice quanto segue. Un creditore aveva due debitori. Uno gli doveva 500 denari ed un altro 50. Un denaro era il salario di una giornata. Il salario di cinquecento giorni! Nessuno dei due aveva con ché pagare. Tutti e due sono stati perdonati. Quale dei due lo amerà di più? Risposta del fariseo: “Lo amerà di più colui a cui ha condonato di più!” La parabola suppone che, prima, i due, sia il fariseo come pure la donna, abbiano ricevuto qualche favore da parte di Gesù. Ed ora, nell’atteggiamento che assumono dinanzi a Gesù, i due mostrano come apprezzano il favore ricevuto. Il fariseo mostra il suo amore, la sua gratitudine, invitando Gesù a mangiare a casa sua. La donna mostra il suo amore, la sua gratitudine con lacrime, con baci e con il profumo. Quale dei due gesti rivela maggior amore: mangiare o i baci ed il profumo? La misura dell’amore dipende forse dalla misura del regalo?

- Luca 7,44-47: Gesù applica la parabola e difende la donna. Dopo aver ricevuto la risposta corretta dal fariseo, Gesù applica la situazione creatasi con l’entrata della donna a metà del pranzo. Lui difende la donna peccatrice contro la critica del giudeo praticante. Ciò che Gesù ripete al fariseo di tutti i tempi è questo: “Colui a cui fu perdonato poco, mostra poco amore!” La sicurezza personale che io, fariseo, mi creo per la mia osservanza delle leggi di Dio e della Chiesa, molte volte, mi impedisce di sperimentare la gratuità dell’amore di Dio che perdona. Ciò che importa non è l’osservanza della legge in sé, bensì l’amore con cui osservo la legge. Usando i simboli dell’amore della donna peccatrice, Gesù risponde al fariseo che si considerava giusto: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». É come se dicesse: “Simone, malgrado tutto il banchetto che mi offri, tu hai poco amore!” Perché? Il profeta Geremia aveva già detto che nel futuro, nella nuova alleanza, “non dovranno più istruirsi gli uni gli altri dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”. (Gr 31,34). É la consapevolezza di essere perdonati gratuitamente che fa sperimentare l’amore di Dio. Il fariseo, chiamando la donna “peccatrice”, si considera uomo giusto, osservante e praticante. Come il fariseo dell’altra parabola che diceva: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano!” (Lc 18,11). Simone deve aver pensato: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come questa donna peccatrice!” Ma chi ritornò giustificato a casa sua non fu il fariseo, bensì il pubblicano che aveva detto: “Abbi pietà di me peccatore!” (Lc 18,14). I farisei da sempre si considerano senza peccato, perché in tutto osservano la legge di Dio, vanno a Messa, pregano, danno l’elemosina, pagano le tasse. Mettono la loro sicurezza in ciò che fanno per Dio, e non nell’amore e nel perdono di Dio per loro. Per questo, Simone, il fariseo, non può sperimentare la gratuità dell’amore di Dio.

- Luca 7,48-50: L’amore fa nascere il perdono, il perdono fa crescere l’amore. Gesù dichiara alla donna: “I tuoi peccati ti sono perdonati.” Allora gli invitati cominciano a pensare: “Chi è costui che perdona perfino i peccati?” Ma Gesù dice alla donna: “La tua fede ti ha salvato. Va e non peccare più!” Qui appare la novità dell’atteggiamento di Gesù. Lui non condanna, bensì accoglie. Ed è la fede che accoglie la donna a ricomporsi ed a incontrasi con se stessa e con Dio. Nel rapporto con Gesù, irrompe in lei una forza nuova che la fa rinascere. Sorge in noi una domanda importante. La donna, peccatrice nella città, avrebbe fatto ciò che fece se non avesse avuto la certezza assoluta di essere accolta da Gesù? Ciò significa che per i poveri della Galilea di quell’epoca, Gesù era una persona di assoluta fiducia! “Possiamo aver fiducia in lui. Lui ci accoglie!” Sarà che oggi i marginati possono avere questa stessa certezza rispetto a noi cristiani?

- Luca 8,1-3: I discepoli e le discepole della comunità di Gesù. Gesù si recava nei villaggi e nelle città della Galilea, annunciando la Buona Novella del Regno di Dio ed i dodici erano con lui. L’espressione “seguire Gesù” indica la condizione del discepolo che segue il Maestro cercando di imitare il suo esempio e partecipando al suo destino. È sorprendente che accanto agli uomini ci siano anche donne che “seguono Gesù”. Luca colloca i discepoli e le discepole sullo stesso piano. Delle donne dice inoltre che loro servono Gesù con i loro beni. Luca conserva anche i nomi di alcune di queste discepole: Maria Maddalena, nata nella città di Magdala. Era stata liberata di sette demoni. Giovanna, moglie di Cuza, procuratore di Erode Antipa, che era governatore della Galilea. Susanna e diverse altre.

c) Ampliando le informazioni

- Il Vangelo di Luca fu considerato sempre il Vangelo delle donne. Infatti Luca è colui che riporta il maggior numero di episodi in cui si mostra il rapporto di Gesù con le donne. Pero la novità, la Buona Novella di Dio per le donne, non sta nelle abbondanti citazioni della loro presenza attorno a Gesù, bensì nell’atteggiamento di Gesù verso di loro. Gesù le tocca, e si lascia toccare da loro, senza paura di essere contaminato (Lc 7,39; 8,44-45.54). la differenza con i maestri dell’epoca è che Gesù accetta le donne come seguaci e discepole (Lc 8,2-3; 10,39). La forza liberatrice di Dio, che agisce in Gesù, fa sì che la donna si alzi ed assuma la sua dignità (Lc 13,13). Gesù è sensibile alla sofferenza della vedova e solidarizza con il suo dolore (Lc 7,13). Il lavoro della donna che prepara il cibo è visto da Gesù come segno del Regno (Lc 13,20-21). La vedova tenace che lotta per i suoi diritti viene posta quale modello di preghiera (Lc 18,1-8), e la vedova povera che condivide i suoi pochi beni con gli altri è modello di dono e di dedizione (Lc 21,1-4). In un’epoca in cui la testimonianza delle donne non era considerata valida, Gesù sceglie le donne quali testimoni della sua morte (Lc 23,49), della sua sepoltura (Lc 23,55-56) e risurrezione (Lc 24,1-11.22-24).

- Nei vangeli si conservano diverse liste con i nomi dei dodici discepoli che seguivano Gesù. Non sempre sono gli stessi nomi, ma sono sempre dodici, evocando così le dodici tribù del nuovo popolo di Dio. C’erano anche donne che seguirono Gesù, dalla Galilea a Gerusalemme. Il vangelo di Marco definisce il loro atteggiamento con tre parole, tre verbi: seguire, servire, salire fino a Gerusalemme (Mc 15,41). Gli evangelisti non riuscirono ad elaborare un elenco delle discepole che seguivano Gesù, ma i loro nomi sono fino ad oggi disseminati nelle pagine dei vangeli, soprattutto in quello di Luca, e sono questi: Maria Maddalena (Lc 8,3; 24,10); Giovanna, moglie di Cuza (Lc 8,3); Susanna (Lc 8,3); Salomè (Mc 15,45); Maria, madre di Giacomo (Lc 24,10); Maria, moglie di Cleofe (Gv 19,25); Maria, madre di Gesù (Gv 19,25).

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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:50 pm

Letture:

Is (Gioisco pienamente nel Signore)

Sal da 1Sam 2,1.4-8 (Il mio cuore esulta nel Signore, mio salvatore)

Lc 2,41-51 (Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo)




Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: “Questa stanza è immacolata”, intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: “Appari immacolato” significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola “cuore” si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: “Abbi cuore” comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, “serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo. Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore.



Lettura del Vangelo: I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.



Riflessione

- La dinamica del racconto. All’inizio c’è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell’osservanza della legge. Un angoscioso incidente – Gesù dodicenne si perde – offre l’occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v. 47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L’evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv. 39-40) e con quest’ultimo motivo (vv. 51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.

- Dio come il Padre suo (v. 51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio.
Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell’obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo.
La risposta ai genitori che l’hanno cercato e l’hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell’identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v. 50).

- La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all’attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v. 52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un’attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall’ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.



Per un confronto personale

- I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?

- Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?



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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 1:55 pm

Letture:

Ez 34,11-16 (Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare)

Sal 22 (Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla)

Rm 5,5-11 (Dio dimostra il suo amore verso di noi)

Lc 15,3-7 (Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta
)



Dov’è il tuo tesoro?

Tutto ciò che ci appaga o crediamo che ci appaghi, finiamo per amarlo e, quando riteniamo di aver trovato il bene migliore, quello diventa il nostro tesoro, che si annida poi nelle profondità del nostro spirito, ma quante illusioni, quante delusioni! Quanti falsi tesori che si dissolvono in un batter d’occhio e tramutano il momentaneo godimento in amara tristezza. Il Signore conosce bene questa umana eventualità e per questo ci ammonisce a non accumulare falsi tesori sulla terra. «Quae sursun sunt sapite» - ci insegna San Paolo: «cercate (gustate) le cose di lassù», eleviamo cioè il nostro spirito verso i beni che non periscono, che durano oltre il tempo e non riguardano solo il nostro corpo e le vicende che viviamo su questa terra, ma rimangono sempre integri e diventano fonte di felicità eterna. L’uomo d’oggi è spesso prostrato, avvinto e disorientato dai beni di consumo, che sono proposti con la migliore seduzione pubblicitaria come motivi di benessere e di felicità. Occorre saggezza e divina sapienza per sapersi difendere da questi continui assalti. Avere sempre la vera purezza dell’anima, l’occhio dell’anima che ne è lo specchio. O siamo illuminati dallo Spirito e di conseguenza tutto vediamo nella sua luce, o il nostro sguardo diventa tenebroso, cioè sempre orientato verso il buio e il male con tutte le sue brutture.

L’arte paleocristiana rappresenta Gesù come un giovane pastore che porta dolcemente sulle spalle una pecorella. Tale iconografia si ispira alla parabola della misericordia che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. La preoccupazione del Signore per la pecorella smarrita è ricordata nella liturgia del Sacro Cuore di Gesù. Il buon pastore ha tutto il cuore rivolto alle sue pecore, non a se stesso. Provvede ai loro bisogni, guarisce le loro ferite, le protegge dagli animali selvaggi. Conosce ogni pecora per nome e, quando le porta al pascolo, le chiama una per una. Si preoccupa in modo particolare della pecora che si è smarrita, non risparmiandosi pena alcuna pur di avere la gioia di ritrovarla. Una pecorella smarrita è assolutamente indifesa, può cadere in un fossato o rimanere prigioniera fra i rovi. Proprio allora, però, nel pericolo, essa scopre quanto sia prezioso il suo pastore: dopo il ritrovamento, egli la riporta all’ovile sulle sue spalle con gioia. Se un lupo si avvicina, il buon pastore non fugge, ma, per la sua pecorella, rischierà anche la vita. In questi frangenti si rivela il cuore del buon pastore. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi” (Gv 3,16).



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».



Riflessione

- Il vangelo di oggi riporta la prima delle tre parabole che hanno in comune la stessa parola. Si tratta di tre cose perdute: la pecora perduta (Lc 15,3-7), la moneta perduta (Lc 15,8-10), il figlio perduto (Lc 15.11-32). Le tre parabole sono dirette ai farisei ed ai dottori della legge che criticavano Gesù (Lc 15,1-3). Cioè sono dirette al fariseo e al dottore della legge che c'è in ognuno di noi.

- Luca 15,1-3: I destinatari delle parabole. Questi tre primi versi descrivono il contesto in cui furono pronunciate le tre parabole: "In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano". Da un lato, si trovavano i pubblicani e i peccatori; dall'altro i farisei e i dottori della legge. Luca dice con un po' di enfasi: "Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo". Qualcosa di Gesù li attirava. E' la sua parola che li attira (cf Is 50,4). Vogliono ascoltarlo. Segno questo che non si sentono condannati, bensì accolti da lui. La critica dei farisei e degli scribi è questa: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro!" Nell'invio dei settanta e due discepoli (Lc 10,1-9), Gesù aveva comandato di accogliere gli esclusi, i malati ed i posseduti (Mt 10,8; Lc 10,9) e di riunirli per il banchetto (Lc 10,8).

- Luca 15,4: Parabola della pecora perduta. La parabola della pecora perduta inizia con una domanda: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?" Prima di dare una risposta, Gesù deve aver guardato chi lo ascoltava per vedere come avrebbero risposto. La domanda è formulata in modo che la risposta non può essere che positiva: "Sì, va dietro la pecora perduta!" E tu, come risponderesti? Lasceresti le novanta nove nel campo per andare dietro l'unica che si è persa? Chi farebbe questo? Probabilmente la maggior parte avrebbe risposto: "Gesù, qui tra noi, nessuno farebbe una cosa così assurda. Dice il proverbio: "Meglio un passero in mano che cento che volano!"

- Luca 15,5-7: Gesù interpreta la parabola della pecorella perduta. Ora, nella parabola il padrone delle pecore fa ciò che nessuno farebbe: lascia tutto e va dietro la pecora perduta. Solo Dio può assumere un tale atteggiamento! Gesù vuole che il fariseo o lo scriba che c'è in noi, ne prenda coscienza. I farisei e gli scribi abbandonavano i peccatori e li escludevano. Loro non sarebbero mai andati dietro la pecora perduta. L'avrebbero lasciata perdere nel deserto. Preferivano le novantanove. Ma Gesù si mette nella pelle della pecora che si è perduta e che, in quel contesto della religione ufficiale, cadrebbe nella disperazione, senza speranza di essere accolta. Gesù fa sapere a loro e a noi: "Se ti senti peccatore, perduto, ricorda che per Dio tu vali più delle altre novanta nove pecore. E nel caso in cui ti converta, sappi che "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione".


Per un confronto personale

- Tu andresti dietro la pecora perduta?

- Pensi che oggi la Chiesa è fedele a questa parabola di Gesù?

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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 2:09 pm

Letture:

Gn 14,18-20 (Offrì pane e vino)

Sal 109 (Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore)

1Cor 11,23-26 (Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore)

Lc 9,11-17 (Tutti mangiarono a sazietà)




Il Pane di Vita

Gesù eucaristia oggi esce trionfalmente dai tabernacoli e dalle chiese per essere portato in processione per le strade del mondo: ciò è dettato dal desiderio, dalla fede e dalla devozione dei fedeli che vogliono percepire ancora più intensamente, viva e pulsante la presenza del Cristo, come quando percorreva duemila anni fa le strade della Palestina. Vogliamo farlo immergere di nuovo nel cuore del mondo per fargli sentire da vicino l’urgenza della sua rinnovata presenza tra noi. È sicuramente anche il canto della gratitudine e della lode della chiesa militante, dei pellegrini della terra, che lo, seguono imploranti e devoti. È anche una presa di coscienza di tutto il cammino che ci ha fatto percorrere dal deserto delle nostre povertà, dalla condizione servile, nutrendoci di Pane e d’amore e riscattandoci a prezzo del suo sangue. Da quell’Ostia consacrata, da quella prima misteriosa Cena, sgorga come un memoriale, la nostra comunione con Cristo e la vera fraternità tra gli uomini. Quel pane di vita spezzato e moltiplicato sugli altari del mondo, sfama ancora la fame più acuta dell’umanità. È garanzia d’immortalità, è recupero pieno della dignità filiale, è fonte inesauribile d’amore divino che si riversa nel cuore dell’uomo. Non bisognerebbe attendere la solennità annuale odierna per ricordarci di queste verità: per troppo tempo Gesù rimane forzatamente recluso negli angusti tabernacoli delle nostre chiese. Egli chiede di abitare tra gli uomini, di vivere in comunione con ciascuno di noi, di condividere la nostra esistenza per rinvigorirla, per nobilitarla, per condurla all’approdo finale, alla mensa di Dio.

Onoriamo e adoriamo oggi il “Corpo del Signore”, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra “vita nello Spirito”. Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci per nutrire la folla che lo seguiva: il cibo fisico agisce in me anche quando non ci penso, anche quando dormo si trasforma in carne, sangue, energie vitali. Il cibo spirituale è diverso: è efficace se io collaboro con Cristo, che vuole trasformare la mia vita nella sua. L’Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: “Qui c’è il Signore!”. Se guardo a me stesso, mi trovo sempre piccolo, imperfetto, peccatore, pieno di limiti. Eppure Dio mi ama, come ama tutti gli uomini, fino a farsi nostro cibo e bevanda per comunicarci la sua vita divina, farci vivere la sua vita di amore. L’Eucaristia non è credibile se rimane un rito, il ricordo di un fatto successo duemila anni fa. È invece una “scuola di vita”, una proposta di amore che coinvolge tutta la mia vita: deve rendermi disponibile ad amare il prossimo, fino a dare la mia vita per gli altri. Secondo l’esempio che Gesù ci ha lasciato.

Approfondimento del Vangelo (Moltiplicare il pane per gli affamati. Gesù promuove la condivisione)

Il testo: Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta». Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.



Chiave di lettura: il contesto letterario. Il nostro testo si trova a metà del Vangelo di Luca: Gesù espande ed intensifica la sua missione nei villaggi della Galilea e manda i dodici discepoli ad aiutarlo (Lc 9,1-6). La notizia di tutto questo raggiunge Erode, colui che mandò ad uccidere Giovanni Battista (Lc 9,7-9). Quando i suoi discepoli ritornano dalla missione, Gesù li invita ad andare in un luogo solitario (Lc 9,10). Qui segue il nostro testo che parla della moltiplicazione dei pani (Lc 9,11-17). Subito dopo Gesù pone una domanda: “Chi sono io secondo la gente?” (Lc 9,18-21). Detto questo, per la prima volta, parla della sua passione e della sua morte e delle conseguenze di tutto ciò per la vita dei discepoli (Lc 9,22-28). Avviene la Trasfigurazione, in cui Gesù parla con Mosè e con Elia della sua passione e morte a Gerusalemme (Lc 9,28-43). Segue un nuovo annuncio della passione, con sbalordimento ed incomprensione da parte dei discepoli (Lc 9,44-50). Infine, Gesù decide di andare a Gerusalemme, dove incontrerà la morte (Lc 9,52).



Una divisione del testo per aiutarne la lettura:

- Luca 9,10: Si ritirano in un luogo appartato

- Luca 9,11: La folla ne viene a conoscenza e Gesù accoglie la folla

- Luca 9,12: La preoccupazione dei discepoli per la fame della folla

- Luca 9,13: La proposta di Gesù e la risposta dei discepoli

- Luca 9,14-15: L’iniziativa di Gesù per risolvere il problema della fame

- Luca 9,16: L’evocazione ed il senso dell’Eucaristia

- Luca 9,17: Il grande segnale: tutti mangeranno



Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.



Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.

- Qual’è il punto del testo che più ti è piaciuto o che più ti ha colpito?

- Qual’è la situazione della folla che emerge dal testo?

- Qual’è la reazione o il sentimento dei discepoli dinanzi alla situazione della folla?

- Qual’è la reazione o il sentimento di Gesù dinanzi alla situazione della folla?

- Quali fatti della storia dell’Antico Testamento sono evocati in questo testo?

- Conosci iniziative di persone che oggi danno da mangiare alla folla affamata?

- Come aiutiamo noi la folla? Diamo pesci, o insegniamo a pescare?



Una chiave di lettura per coloro che desiderano approfondire il tema.

a) Il contesto storico del nostro testo: Il contesto storico del Vangelo di Luca ha sempre due aspetti: il contesto del tempo di Gesù degli anni ’30, in Palestina, ed il contesto delle comunità cristiane degli anni ’80, per cui Luca scrive il suo Vangelo. Al tempo di Gesù, in Palestina, il popolo viveva nell’aspettativa che il Messia, quando giungesse, sarebbe come un nuovo Mosè e ripeterebbe i grandi segnali operati da Mosè nell’Esodo: condurre il popolo per il deserto e alimentarlo con la manna. La moltiplicazione dei pani nel deserto era per la folla il segnale che era giunto il tempo messianico (cfr. Gv 6,14-15). Al tempo di Luca, nelle comunità della Grecia, era importante confermare i cristiani nelle loro convinzioni di fede ed orientarli in mezzo alle difficoltà. Nel modo di descrivere la moltiplicazione dei pani, Luca evoca la celebrazione dell’Eucaristia che avviene nelle comunità degli anni ’80, ed aiuta le persone ad approfondire il significato dell’Eucaristia per la loro vita. Inoltre, nella stessa descrizione della moltiplicazione dei pani, come vedremo, Luca evoca figure importanti della storia del popolo di Dio: Mosè, Elia ed Eliseo, mostrando, così, che Gesù è veramente il messia che viene a compiere le promesse del passato.

b) Commento del testo:

1) Luca 9,10: Gesù e i discepoli si ritirano in un luogo solitario. I discepoli ritornano dalla missione, a cui sono stati inviati (Lc 9,1-6). Gesù li invita a ritirarsi con lui in un luogo solitario, vicino a Betsaida, al nord del lago di Galilea. Il Vangelo di Marco aggiunge che lui li invita a riposarsi un poco (Mc 6,31). Descrivendo la missione dei 72 discepoli, Luca descrive la revisione dell’azione missionaria da parte di Gesù, azione svolta dai discepoli (Lc 10,17-20).

2) Luca 9,11: La folla cerca Gesù e Gesù accoglie la folla. La folla sa dove si trova Gesù e lo segue. Marco è più esplicito. Dice che Gesù e i discepoli vanno in barca e la folla segue a piedi, per un altro cammino, in un luogo determinato. La folla giunge prima di Gesù (Mc 6,32-33). Giunti al luogo del riposo, vedendo quella folla, Gesù l’accoglie, parla del Regno e cura i malati. Marco aggiunge che la folla sembra un gregge senza pastore. Dinanzi a questa situazione della folla, Gesù reagisce come un “buon pastore”, orientando la folla con la sua parola ed alimentandola con pani e pesci (Mc 6,34ss).

3) Luca 9,12: La preoccupazione dei discepoli e la fame della folla. Il giorno comincia a declinare, si avvicina il tramonto. I discepoli sono preoccupati e chiedono a Gesù di allontanare la folla. Dicono che nel deserto non è possibile trovare cibo per tanta gente. Per loro l’unica soluzione è che la folla vada nei villaggi vicini, a comprare pane. Non riescono ad immaginare un’altra soluzione. Tra le linee di questa descrizione della situazione della folla, appare qualcosa di molto importante. Per poter stare con Gesù, la gente dimentica di mangiare. Vuol dire che Gesù deve aver saputo attrarre la folla, fino al punto che questa dimentica tutto nel seguirlo per il deserto.

4) Luca 9,13: La proposta di Gesù e la risposta dei discepoli. Gesù dice: “Date da mangiare alla folla”. I discepoli sono spaventati, poiché hanno solo cinque pani e due pesci. Ma sono loro che devono risolvere il problema, e l’unica cosa che viene loro in mente di fare è andare a comprare pane. Hanno in mente solo la soluzione tradizionale, secondo cui qualcuno deve procurare pane per la gente. Qualcuno deve procurare il denaro, comprare pane e distribuirlo tra la folla, ma in quel deserto, questa soluzione è impossibile. Loro non vedono un’altra possibilità di risolvere il problema. Ossia: se Gesù insiste nel non rimandare la gente a casa loro, non c’è soluzione per la fame della folla. Non passa loro per la mente che la soluzione potrebbe venire da Gesù e dalla folla stessa.

5) Luca 9,14-15: L’iniziativa di Gesù per risolvere il problema della fame. C’erano lì cinque mila persone. Molta gente! Gesù chiede ai discepoli di far sedere la folla in gruppi di cinquanta. Ed è qui che Luca comincia ad usare la Bibbia per illuminare i fatti della vita di Gesù. Evoca Mosè. È lui infatti che, per primo, dà da mangiare alla folla affamata nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (cfr. Num cap. 1 a 4). Luca evoca anche il profeta Eliseo. È Eliseo, infatti, che nell’Antico Testamento fa bastare pochi pani per sfamare una moltitudine di gente e perfino avanzano (2Re 4,42-44). Il testo suggerisce quindi che Gesù è il nuovo Mosè, il nuovo profeta che deve venire al mondo (cfr. Gv 6,14-15). La moltitudine delle comunità conosceva l’Antico Testamento, ed a buon intenditore basta mezza parola. Così vanno scoprendo, poco a poco, il mistero che avvolge la persona di Gesù.

6) Luca 9,16: Evocazione e significato dell’Eucaristia. Dopo che il popolo si siede per terra, Gesù moltiplica i pani e chiede ai discepoli di distribuirlo. Qui è importante notare come Luca descrive il fatto. Dice: “Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla”. Questo modo di parlare alle comunità degli anni ‘80 (e di tutti i tempi) fa pensare all’Eucaristia. Poiché queste stesse parole saranno usate (e lo sono tuttora) nella celebrazione della Cena del Signore (22,19). Luca suggerisce che l’Eucaristia deve portare alla moltiplicazione dei pani, che vuol dire condivisione. Deve aiutare i cristiani a preoccuparsi dei bisogni concreti del prossimo. È pane di vita che da coraggio e porta il cristiano ad affrontare i problemi della folla in modo diverso, non dal di fuori, ma dal di dentro della gente.

7) Luca 9,17: Il grande segnale: tutti mangeranno. Tutti mangeranno, si sazieranno ed avanzeranno ceste intere! Soluzione inattesa, realizzata da Gesù e nata dal di dentro della folla, partendo da quel poco che avevano portato, cinque pani e due pesci. Ed avanzano dodici cesti dopo che cinque mila persone hanno mangiato cinque pani e due pesci!

c) Approfondimento: Il miracolo più grande. Alcuni chiedono: “Ma allora non ci fu miracolo? Fu solo condivisione?” Ecco tre riflessioni a modo di risposta:

1) Una prima riflessione. Quale sarebbe oggi il miracolo più grande: per esempio, in un determinato giorno dell’anno, il giorno di Natale, tutte le persone hanno di ché mangiare, ricevono un cesto natalizio; o potrebbe essere che la gente cominci a condividere il suo pane, arrivi a sfamare tutti ed avanzi cibo per altre folle. Quale sarebbe il miracolo più grande? Cosa pensate?

2) Una seconda riflessione: La parola Miracolo (miraculum) viene dal verbo ammirare. Un miracolo è un’azione straordinaria, fuori dal normale, che causa ammirazione e fa pensare in Dio. Il grande miracolo, il più grande di tutti, è (1) Gesù stesso, Dio fatto uomo! È così straordinariamente umano, come solo Dio può essere umano! Un altro grande miracolo è (2) il cambiamento che Gesù riesce ad ottenere nella folla, abituata a soluzioni dal di fuori. Gesù riesce a fare in modo che la folla affronti il problema a partire da se stessa, a partire dai mezzi di cui dispone. Grande miracolo, cosa straordinaria, è (3) che mediante questo gesto di Gesù, tutti mangiano ed il cibo avanza! Quando si condivide, ce n’è sempre... ed avanza! Quindi sono tre i grandi miracoli: Gesù stesso, la conversione delle persone, la condivisione dei beni che genera abbondanza! Tre miracoli nati dalla nuova esperienza di Dio come Padre, rivelataci in Gesù. Questa esperienza di Dio cambiò tutti gli schemi mentali ed il modo di vivere, aprì un orizzonte totalmente nuovo e creò un modo nuovo di vivere insieme agli altri. È questo il miracolo più grande: un altro mondo è possibile!

3) Una terza riflessione: È difficile sapere come sono avvenute di fatto le cose. Nessuno sta dicendo che Gesù non fece il miracolo. Ne ha fatti, e molti! Ma non dobbiamo dimenticare che il miracolo più grande è la risurrezione di Gesù. Per la fede in Gesù, la folla comincia a vivere in un modo nuovo, condividendo il suo pane con i fratelli e le sorelle che non hanno nulla e che sono affamati: “E tutti distribuivano ciò che avevano, e non c’era bisognoso tra di loro” (cfr. Atti 4,34). Quando nella Bibbia si descrive un miracolo, l’attenzione maggiore non viene posta nell’aspetto miracoloso in sé, bensì nel significato che ha per la vita e per la fede delle comunità che credono in Gesù, rivelazione del Padre. Nel così detto “primo mondo” dei paesi detti “cristiani”, gli animali hanno più cibo degli esseri umani “del terzo mondo”. Molta gente ha fame! Vuol dire che l’Eucaristia non ha ancora la profondità e la portata che potrebbe e dovrebbe avere.

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MessaggioTitolo: da Enzo, giugno 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 2:20 pm

Letture:

2Tm 4,1-8 (Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo. Io sto già per essere versato in offerta e il Signore mi consegnerà la corona di giustizia)

Sal 70 (La mia bocca, Signore, racconterà la tua giustizia)

Mc 12,38-44 (Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri)




Una religiosità vera e silenziosa

Ci colpisce nel vangelo di oggi la povera vedova che getta nel tesoro del tempio soltanto un quattrino, mentre molti ricchi facevano risuonare il contenitore metallico con ben più pesanti monete. Gesù che sta osservando la scena, posa il suo sguardo compiaciuto proprio su quella donna e ne trae motivo per impartire una lezione ai discepoli ed oggi a noi. «questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» perché «nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere», afferma Gesù. La misura della generosità non è quindi da calcolare con il tanto o con il poco, ma da quanto ci costa realmente il dono che offriamo: è troppo facile dare il superfluo come fanno i ricchi. Dare tutto è veramente difficile, ma è anche segno dell’amore vero. Non meno importante è la prima parte del brano evangelico dove Gesù mette in guardia dagli atteggiamenti pomposi degli scribi, i quali sia nell’abbigliamento sia nei comportamenti ostentano prestigio e santità per ingannare e soggiogare gli altri, specie i più deboli, come le vedove. Stride a questo punto la generosità della povera vedova con la doppiezza e ambiguità dei capi religiosi del tempo.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave”. E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.


Riflessione:

- Nel vangelo di oggi stiamo giungendo alla fine del lungo insegnamento di Gesù ai discepoli. Dalla prima guarigione del cieco (Mc 8,22-26) fino alla guarigione del cieco Bartimeo a Gerico (10,46-52), i discepoli camminano con Gesù verso Gerusalemme, ricevendo da Lui molte istruzioni sulla passione, morte e risurrezione e le conseguenze per la vita del discepolo. Giunti a Gerusalemme, assistono ai dibattiti di Gesù con i commercianti nel Tempio (Mc 11,15-19), con i sommi sacerdoti e scribi (Mc 11,27 a 12,12), con i farisei, erodiani e sadducei (Mc 12,13-27), con i dottori della legge (Mc 12,28-37). Ora, nel vangelo di oggi, dopo l’ultima critica contro gli scribi (Mc 12,38-40), Gesù istruisce i discepoli. Seduto di fronte al tesoro del Tempio, richiamava la loro attenzione sul gesto della condivisione da parte di una vedova povera. In questo gesto loro devono cercare la manifestazione della volontà di Dio (Mc 12,41-44).

- Marco 12,38-40: La critica dei dottori della Legge. Gesù richiama l’attenzione dei discepoli sul comportamento tracotante ed ipocrita di alcuni dottori della legge. A loro piaceva immensamente girare per le piazze indossando lunghe tuniche, ricevere il saluto della gente, occupare i primi posti nelle sinagoghe ed avere posti d’onore nei banchetti. A loro piaceva entrare nelle case delle vedove e fare lunghe preci in cambio di denaro! E Gesù dice: “Questa gente riceverà una grave condanna!”

- Marco 12,41-42. L’obolo della vedova. Gesù e i suoi discepoli, seduti dinanzi al tesoro del Tempio, osservano che tutti lasciano lì la loro elemosina. I poveri gettano pochi centesimi, i ricchi gettano monete di grande valore. Il tesoro del Tempio riceveva molto denaro. Tutti portavano qualcosa per la manutenzione del culto, per il sostentamento del clero e per la conservazione dell’edificio. Una parte di questo denaro era usata per aiutare i poveri, perché in quel tempo non c’era la previdenza sociale. I poveri dipendevano dalla carità pubblica. E i poveri che avevano bisogno di maggiore aiuto, erano gli orfani e le vedove. Loro non avevano nulla. Dipendevano in tutto dall’aiuto degli altri. Ma pur senza avere nulla, loro si sforzavano di condividere. Così, una vedova molto povera, mette la sua elemosina nel tesoro del Tempio. Appena pochi centesimi!

- Marco 12,43-44. Gesù indica dove si manifesta la volontà di Dio. Cosa vale di più: i dieci centesimi della vedova o i mille dollari dei ricchi? Per i discepoli, i mille dollari dei ricchi erano molto più utili dei dieci centesimi della vedova. Loro pensavano che i problemi della gente potevano risolversi solo con molto denaro. In occasione della moltiplicazione dei pani, avevano detto a Gesù: “Dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?” (Mc 6,37) Infatti, per chi pensa così, i dieci centesimi della vedova non servono a nulla. Ma Gesù dice: “Questa vedova che è povera ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”. Gesù ha criteri diversi. Richiama l’attenzione dei suoi discepoli sul gesto della vedova, ed insegna loro dove loro e noi dobbiamo cercare la manifestazione della volontà di Dio: nei poveri e nella condivisione. Molti poveri di oggi fanno lo stesso. La gente dice: “Il povero non lascia morire di fame un altro povero”. Ma a volte, nemmeno questo è possibile. La signora Cícera che dalla zona interna di Paraíba, Brasile, andò a vivere nella periferia della capitale, diceva: “All’interno, la gente era povera, ma aveva sempre una cosetta da dividere con il povero che bussava alla porta. Ora che sono nella grande città, quando vedo un povero che bussa alla porta, mi nascondo di vergogna, perché in casa non ho nulla da condividere con lui!” Da un lato, gente ricca che ha tutto, ma che non vuole condividere. Dall’altro: gente povera che non ha quasi nulla, ma che vuole condividere il poco che ha.

- Elemosina, condivisione, ricchezza. La pratica dell’elemosina era molto importante per i giudei. Era considerata una “buona opera”, poiché la legge dell’Antico Testamento diceva: “Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comandamento e ti dico: apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese”. (Dt 15,11). Le elemosine, depositate nel tesoro del Tempio, sia per il culto, sia per i bisognosi, per gli orfani e per le vedove, erano considerate un’azione gradita a Dio. Dare l’elemosina era un modo di riconoscere che tutti i beni appartengono a Dio e che noi siamo semplici amministratori di questi beni, in modo che ci sia vita abbondante per tutti. La pratica della condivisione e della solidarietà è una delle caratteristiche delle prime comunità cristiane: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli” (At 4,34-35; 2,44-45). Il denaro della vendita, offerto agli apostoli, non era accumulato, bensì “poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno” (At 4,35b; 2,45). L’entrata di persone più ricche nelle comunità fece entrare nella comunità la mentalità dell’accumulazione e bloccò il movimento di solidarietà e di condivisione. Giacomo avverte queste persone: “E ora voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano. Le vostre ricchezze sono imputridite, e le vostre vesti sono state divorate dalle tarme.” (Gc 5,1-3). Per imparare il cammino del Regno, tutti abbiamo bisogno di diventare alunni di quella vedova povera, che condivise tutto ciò che aveva, il necessario per vivere (Mc 12,41-44).



Per un confronto personale:

- Come mai i due spiccioli della vedova possono valere più dei mille dollari dei ricchi? Guarda bene il testo e dì perché Gesù elogia la vedova povera. Quale messaggio racchiude oggi per noi questo testo?

- Quali difficoltà e quali gioie hai incontrato nella tua vita nel praticare la solidarietà e la condivisione con gli altri?



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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 2:42 pm

Letture:

Sof 3,14-18 (Re d’Israele è il Signore in mezzo a te)

Sal da Is 12 (Grande in mezzo a te è il Santo d’Israele)

Lc 1,39-56 (Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili)




La visitazione della Beata Vergine Maria

L’ "Ave Maria”, la preghiera con cui salutiamo ed invochiamo la Vergine, iniziata dall’Angelo Gabriele, è oggi proseguita a completata da Elisabetta. La prescelta da Dio, per essere la madre del Signore, colei che concepirà il Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, ha saputo dal messo divino che anche Elisabetta, che tutti dicevano sterile, è ormai prossima alla maternità. La Madre di Dio, che si era professata “la serva del Signore”, ora la vediamo salire in fretta, verso la montagna, per raggiungere la sua parente e diventare la sua serva. Splende l’umiltà di Maria, brilla di luce vera nel suo cuore purissimo l’amore del Signore; è piena di grazia, lo Spirito Santo è sceso su di lei, la potenza dell’Altissimo l’ha adombrata, ora sollecita e quasi ignara della sublime dignità a cui Dio stesso l’ha innalzata, deve testimoniare lo stesso amore ad Elisabetta, deve prestare a lei quegli umili servizi di cui ogni mamma ha bisogno prima del parto. Proprio da questa testimonianza è della completa disponibilità di Maria, proprio nel dare gratuitamente amore, anche ciò che è arcano, velato nel mistero e chiuso nel segreto del cuore, si svela in un incontro di due anime votate a Dio e illuminate dallo steso Spirito. Al saluto di Maria esulta il bambino nel grembo di Elisabetta. Lei, piena di Spirito Santo, riconosce nella giovane parente “la madre del Signore” e la proclama “benedetta fra tutte le donne” perché ha creduto alla parola del Signore. Esplode in un canto di lode e di ringraziamento la vergine Maria: canta e magnifica il Signore, esulta in Dio salvatore, perché ha posato il suo sguardo di compiacenza sulla sua povertà. Ora più nulla può nascondere Maria e la sua “beatitudine” dovrà essere proclamata nei secoli futuri. La misericordia divina sta per espandersi sul nostro mondo per tutti coloro che, con la stessa umiltà di Maria, accoglieranno i doni di Dio. L’incarnazione del Verbo viene a cancellare la superbia degli uomini e ad esaltare gli umili. La grande promessa di salvezza definitiva ed universale, scandita da Dio sin dal principio, ora si compie, sta per nascere nel grembo della vergine Maria. I motivi della gioia vengono lanciati dal quel canto a tutta l’umanità, l’esultanza di Maria si trasferisce alla chiesa del suo Bambino, che ancora ogni giorno al calar del sole, con le stesse parole, con la stessa gioia canta il suo “Magnìficat”. Abbiamo imparato da lei e ci verrà confermato da Cristo stesso che i privilegi divini non vengono dati per una personale esaltazione, ma per la gloria di Dio e per l’edificazione del nostro prossimo. Maria, la benedetta fra tutte le donne, la Madre del Signore, prima del suo Gesù, insieme a lui, portato in grembo, sale la montagna per essere la serva di Elisabetta e la nostra serva, assumendo così il suo ruolo di madre della chiesa, prima ancora che il suo Figlio, morente sulla croce, la proclamerà tale.

Il vangelo ci rivela che Maria è regina della comunicazione e dell’accoglienza. Il mistero della Visitazione, infatti, è il mistero della comunicazione mutua di due donne diverse per età, ambiente, caratteristiche e della rispettosa vicendevole accoglienza. Due donne, ciascuna delle quali porta un segreto difficile a comunicare, il segreto più intimo e più profondo che una donna possa sperimentare sul piano della vita fisica: l’attesa di un figlio. Elisabetta fatica a dirlo a causa dell’età, della novità, della stranezza. Maria fatica perché non può spiegare a nessuno le parole dell’angelo. Se Elisabetta ha vissuto, secondo il Vangelo, nascosta per alcuni mesi nella solitudine, infinitamente più grande è stata la solitudine di Maria. Forse per questo parte “in fretta”; ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca e da ciò che le ha detto l’angelo ha capito che la cugina è la persona più adatta. Quando si incontrano, Maria è regina nel salutare per prima, è regina nel saper rendere onore agli altri, perché la sua regalità è di attenzione premurosa e preveniente, quella che dovrebbe avere ogni donna. Elisabetta si sente capita ed esclama: “Benedetta tu tra le donne”. Immaginiamo l’esultanza e lo stupore di Maria che si sente a sua volta compresa, amata, esaltata. Sente che la sua fede nella Parola è stata riconosciuta. Il mistero della Visitazione ci parla quindi di una compenetrazione di anime, di un’accoglienza reciproca e discretissima, che non si logora con la moltitudine delle parole, che non richiede un eloquio fluviale ma che con semplici accenni di luci, di fiaccole nella notte, permette una comunicazione perfetta” [Da La donna nel suo popolo, Ed. Ancora, 1984, pp. 77ss].



Lettura del Vangelo: In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.



Riflessione

- Oggi è la festa della visitazione della Vergine, e il vangelo narra la visita di Maria a sua cugina Elisabetta. Quando Luca parla di Maria, pensa alle comunità del suo tempo che vivevano sparse nelle città dell’Impero Romano ed offre loro in Maria un modello di come devono rapportarsi alla Parola di Dio. Una volta, udendo Gesù parlare di Dio, una donna del popolo esclamò: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte” elogiando la madre di Gesù. Immediatamente, Gesù rispose: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,27-28). Maria è il modello della comunità fedele che sa vivere e praticare la Parola di Dio. Nel descrivere la visita di Maria a Elisabetta, lui insegna come devono agire le comunità per trasformare la visita di Dio in servizio ai fratelli e alle sorelle.

- L’episodio della visita di Maria ad Elisabetta mostra ancora un altro aspetto tipico di Luca. Tutte le parole e gli atteggiamenti, soprattutto il cantico di Maria, formano una grande celebrazione di lode. Sembra una descrizione di una liturgia solenne. Così, Luca, evoca l’ambiente liturgico e celebrativo, in cui Gesù si formò ed in cui le comunità devono vivere la propria fede.

- Luca 1,39-40: Maria va a visitare sua cugina Elisabetta. Luca mette l’accento sulla prontezza di Maria nel rispondere alle esigenze della Parola di Dio. L’angelo le parlò della gravidanza di Elisabetta e Maria, immediatamente, si alza per verificare ciò che l’angelo le aveva annunciato, ed esce di casa per aiutare una persona nel bisogno. Da Nazaret fino alle montagne di Giuda ci sono più di 100 km! Non c’erano pullman, né treni.

- Luca 1,41-44: Il saluto di Elisabetta. Elisabetta rappresenta l’Antico Testamento che termina. Maria, il Nuovo che inizia. L’Antico Testamento accoglie il Nuovo con gratitudine e fiducia, riconoscendo in esso il dono gratuito di Dio che viene a realizzare e completare qualsiasi aspettativa della gente. Nell’incontro delle due donne si manifesta il dono dello Spirito che fa’ che la creatura salti di gioia nel seno di Elisabetta. La Buona Novella di Dio rivela la sua presenza in una delle cose più comuni della vita umana: due donne di casa che si scambiano la visita per aiutarsi. Visita, gioia, gravidanza, bambini, aiuto reciproco, casa, famiglia: Luca vuol far capire e far scoprire alle comunità (e a noi tutti) la presenza del Regno. Le parole di Elisabetta, fino ad oggi, fanno parte del salmo più conosciuto e più recitato in tutto il mondo, che è l’Ave Maria.

- Luca 1,45: L’elogio che Elisabetta fa a Maria. “Beata colei che ha creduto, nell’adempimento delle parole del Signore”. È l’avviso di Luca alle Comunità: credere nella Parola di Dio, poiché ha la forza di realizzare ciò che ci dice. È Parola creatrice. Genera una nuova vita nel seno di una vergine, nel seno della gente povera ed abbandonata che l’accoglie con fede.

- Luca 1,46-56: Il cantico di Maria. Molto probabilmente, questo cantico, era già conosciuto e cantato nelle comunità. Lei insegna come deve essere pregato e cantato. Luca 1,46-50: Maria inizia proclamando il cambiamento avvenuto nella sua vita sotto lo sguardo amorevole di Dio, pieno di misericordia. Per questo, canta felice: “Esulto di gioia in Dio, mio Salvatore”. Luca 1,51-53: canta la fedeltà di Dio verso il suo popolo e proclama il mutamento che il braccio di Yavé sta producendo a favore dei poveri e degli affamati. L’espressione “braccio di Dio” ricorda la liberazione dell’Esodo. È questa forza salvatrice di Dio ciò che dà vita al mutamento: disperde gli orgogliosi (1,51), rovescia dai troni i potenti ed innalza gli umili (1,52), rimanda a mani vuote i ricchi e ricolma di beni gli affamati (1,53). Luca 1,54-55: Alla fine, lei ricorda che tutto ciò è espressione della misericordia di Dio verso il suo popolo ed espressione della sua fedeltà alle promesse fatte a Abramo. La Buona Novella non è una risposta all’osservanza della Legge, ma espressione della bontà e della fedeltà di Dio alle promesse fatte. È ciò che Paolo insegnava nelle lettere ai Galati e ai Romani.

- Il secondo libro di Samuele racconta la storia dell’Arca dell’Alleanza. Davide volle metterla a casa sua, ma si impaurì e disse: “Come potrà venire da me l’Arca del Signore?” (2 Sam 6,9) Davide ordinò così che l’Arca fosse messa nella casa di Obed-Edom. “E l’Arca del Signore rimase tre mesi in casa de Obed-Edom, e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la casa” (2 Sam 6,11). Maria, in attesa di Gesù, è come l’Arca dell’Alleanza che, nell’Antico Testamento, visitava le case delle persone portando benefici. Lei si reca a casa di Elisabetta e vi rimane tre mesi. E mentre si trova in casa di Elisabetta, tutta la famiglia è benedetta da Dio. La comunità deve essere come la Nuova Arca dell’Alleanza. Visitando la casa delle persone, deve portare benefici e la grazia di Dio alla gente.



Per un confronto personale

- Cosa ci impedisce di scoprire e di vivere la gioia della presenza di Dio nella nostra vita?

- Dove e come la gioia della presenza di Dio avviene oggi nella mia vita e in quella della comunità?

31 maggio: Visitazione della Beata Vergine Maria

Biografia: Visitazione è l’incontro fra la giovane madre, Maria, l’ancella del Signore e l’anziana Elisabetta simbolo degli aspettanti di Israele. La premura affettuosa di Maria, con il suo cammino frettoloso, esprime insieme col gesto di carità anche l’annunzio che i tempi si sono compiuti.
Giovanni che sussulta nel grembo materno inizia già la sua missione di precursore. Il calendario liturgico tiene conto della narrazione evangelica che colloca la Visitazione entro i tre mesi fra l’Annunciazione e la nascita del Battista

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 2:50 pm

Letture:

Prv 8,22-31 (Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata)

Sal 8 (O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!)

Rm 5,1-5 (Andiamo a Dio per mezzo di Cristo, nella carità diffusa in noi dallo Spirito)

Gv 16,12-15 (Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà)




Il Dio Uno e Trino
Oggi celebriamo il mistero del nostro Dio, Uno e Trino. Tre persone, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, in un’unica natura, nell’unità perfetta, in una reciproca relazione di amore. È il Dio inaccessibile alla nostra fioca luce, me che si è rivelato a noi nella scrittura sacra, con la forza della sua parola, che si è incarnato per noi nella persona di Cristo, che ci ha resi capaci di comprenderlo con la luce dello Spirito Santo, che si fonde con ciascuno di noi nel mistero eucaristico. Chi vive la liturgia della chiesa con attenzione si accorge che il nostro tempo e tutte le nostre liturgie sono segnate dal mistero trinitario. Tutta la nostra vita è orientata verso la Trinità. Il buon cristiano inizia la sua giornata, ogni sua preghiera, ogni sua azione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dal battesimo alla morte la nostra esistenza è contrassegnata dal sigillo della santissima Trinità. Così ciascuno di noi lega il cielo alla terra e la terra al cielo. Così il mistero, che tale sempre rimane, si svela nell’intimità della comunione. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Anche se inaccessibile e incomprensibile nella sua infinita perfezione, inibita in noi e possiamo godere della sua presenza, diventando tempio sacro di Dio. Così superiamo l’influsso malefico della nostra debolezza, il peso della nostra carne e delle nostre passioni. “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”. Dobbiamo solo adoperarci, con tutte le nostre migliori disposizioni ad essere accoglienti e ben disposti in tutta la nostra persona, anima e corpo, affinché prendiamo coscienza della nostra consacrazione trinitaria. “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. Il mistero diventa però buio completo quando non facciamo spazio a Dio. Ricadiamo nella solitudine e nella morte, mentre ci viene offerta la pienezza della vita in Dio. Oggi adoriamo l’unico Dio in tre persone. Lo adoriamo come creatore e Signore, come Redentore nostro e lampada che rischiara il cammino dell’umanità e di ciascuno di noi. Soprattutto adoriamo colui che vive in noi e ci santifica nel suo amore di Padre nel Figlio suo Gesù Cristo e nello Spirito Santo.

Il giorno di Pentecoste Gesù comunica se stesso ai discepoli per mezzo dell’effusione dello Spirito Santo. La piena rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo si ha nel mistero della Pasqua, quando Gesù dona la vita per amore dei suoi discepoli. Bisognava che questi sperimentassero innanzitutto il supremo dono dell’amore compiuto da Gesù per comprendere la realtà di Dio Amore che dona tutto se stesso. Egli, oltre a perdonare i peccati e a riconciliare l’uomo con sé, lo chiama ad una comunione piena di vita (“In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi”: Gv 14,20); gli rivela la ricchezza dei suoi doni e della speranza della gloria futura (Ef 1,17-20); li chiama ad una vita di santità e di donazione nell’amore al prossimo (“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”: Gv 15,12). Anch’essi sull’esempio del loro maestro sono chiamati a dare la vita per i fratelli (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”: Gv 15,13). Per ora essi sono incapaci di accogliere e accettare tali realtà. Lo Spirito Santo farà entrare nel cuore degli apostoli l’amore di Cristo crocifisso e risuscitato per loro, li consacrerà a lui in una vita di santità e d’amore, li voterà alla salvezza delle anime. Non saranno più essi a vivere, ma Gesù in loro (cfr. Gal 2,20). Ogni cristiano nel corso del suo cammino è chiamato ad arrendersi all’amore e allo Spirito di Cristo crocifisso e risorto. Oggi è il giorno della decisione.



Approfondimento del Vangelo (La promessa dello Spirito: Gesù lo invierà nel nome del Padre)

Il testo: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.



Momenti di silenzio orante: Diciamo con Sant’Agostino: «Concedimi tempo per meditare sui segreti della tua legge, non chiudere la porta a chi bussa. O Signore, compi la tua opera in me e svelami quelle pagine. Fa’ ch’io trovi grazia davanti a te e mi si aprano, quando busso, gli intimi segreti della tua Parola».



Preambolo: Prima di inoltrarci nel cammino della lectio è importante soffermarci brevemente sul contesto in cui è inserito il nostro brano liturgico. Le parole di Gesù in Gv 16,12-15 fanno parte di quella sezione del vangelo di Giovanni che gli esegeti chiamano il libro della rivelazione (13,1-17,26). Gesù, nei discorsi di addio, si rivela in profonda intimità, li chiama amici, promette loro lo Spirito Santo che li accompagnerà nell’accogliere il mistero della sua Persona. I discepoli, poi, sono invitati a crescere nell’amore verso il Maestro che si offre totalmente a loro. Sempre, in questa sezione, si possono individuare tre sequenze o parti ben delimitate. La prima comprende i capitoli 13-14 e ha come filo conduttore il seguente tema: la nuova comunità è fondata sul comandamento nuovo dell’amore. Con le sue istruzioni Gesù spiega che la pratica dell’amore è l’itinerario che la comunità deve percorrere nel suo cammino verso il Padre. Nella seconda Gesù descrive il volto della comunità in mezzo al mondo. Ricorda loro che la comunità da lui fondata svolge la sua missione in mezzo a un mondo ostile e solo attraverso la pratica dell’amore è possibile la sua crescita nell’aggregare nuovi membri. In questo consiste il “portare frutto” da parte della comunità. Le condizioni richieste per un amore fecondo nel mondo: restare uniti a Gesù. Da Lui promana la vita - lo Spirito (Gv 15,1-6); l’unione a Gesù con un amore che risponde al suo così da stabilire una relazione di amicizia fra Gesù e i suoi discepoli (Gv 15,7-17). Ma la missione della comunità, similmente a quella di Gesù, avverrà in mezzo all’odio del mondo (Gv 15,18-25), ma i discepoli saranno sostenuti dallo Spirito (Gv 15,26-16,15). Gesù confida loro che la missione nel mondo comporta dolore e gioia e che lui sarà assente-presente (Gv 16,16-23a), ma assicura loro solo il sostegno dell’amore del Padre e la sua vittoria sul mondo (Gv 16,23b-33). La terza parte della sezione contiene la preghiera di Gesù: egli prega per la comunità presente (Gv 17,6-19); per la comunità del futuro (Gv 17,20-23); ed esprime il desiderio che il Padre onori coloro che l’hanno riconosciuto e, infine, che venga portata a compimento la sua opera nel mondo (Gv 17,24-26).


Per meditare:

- La voce dello Spirito è la voce di Gesù stesso: Precedentemente in Gv 15,15 Gesù aveva comunicato ai suoi discepoli ciò che aveva udito dal Padre. Tale messaggio non viene e non poteva essere compreso dai suoi discepoli in tutta la sua forza. Il motivo è che i suoi discepoli ignorano, per il momento, il significato della morte in croce di Gesù e la sostituzione del vecchio modo di essere salvati. Con la sua morte si apre un nuovo e definitivo intervento salvifico nella vita dell’umanità. I discepoli comprenderanno le parole e i gesti di Gesù dopo la sua resurrezione (Gv 2,22) o dopo la sua morte (Gv 12,16). Nell’insegnamento di Gesù ci sono tante realtà e tanti messaggi che potranno essere compresi man mano che l’esperienza porrà la comunità dinanzi a nuovi avvenimenti o circostanze; è nella vita quotidiana, compresa alla luce della risurrezione che si potrà comprendere il significato della sua morte-esaltazione. Sarà lo Spirito Santo, il profeta di Gesù, che comunicherà ai discepoli ciò che avrà udito da Lui. Nella missione che la comunità di Gesù svolgerà lo Spirito Santo le comunica la verità, nel senso di spiegare e a aiutare ad applicare ciò che Gesù è e ciò che significa come manifestazione dell’amore del Padre. Con i suoi messaggi profetici la comunità dei discepoli non trasmette una dottrina nuova ma continuamente propone la realtà della persona di Gesù, contenuto della sua testimonianza e orientamento della sua missione nel mondo. La voce dello Spirito Santo, che la comunità percepirà, è la voce di Gesù stesso. Sulla scia dei profeti veterotestamentari che interpretavano la storia alla luce dell’alleanza, lo Spirito Santo diventa determinante nel far conoscere Gesù offrendo alla comunità dei credenti la chiave per comprendere la storia come un confronto continuo tra ciò che il “mondo” rappresenta e il progetto di Dio. Il punto di partenza per leggere la propria presenza nel mondo è la morte –esaltazione di Gesù e crescendo sempre più nella sua comprensione, i cristiani potranno scoprire negli avvenimenti quotidiani “il peccato del mondo” e i suoi effetti deleteri. È determinante il ruolo dello Spirito Santo come interprete del mistero della vita di Gesù nella vita dei discepoli: è la loro guida nell’intraprendere il giusto impegno a favore dell’uomo. Per avere successo nelle loro attività in favore dell’uomo devono da un lato ascoltare le problematiche della vita e della storia e dall’altra essere attenti alla voce dello Spirito Santo, l’unica fonte attendibile per cogliere il vero senso degli avvenimenti storici nel mondo.

- La voce dello Spirito Santo: il vero interprete della storia: Poi Gesù spiega le modalità con cui lo Spirito Santo interpreta la vita e la storia umana. Innanzitutto manifestando la sua “gloria”, il che vuol dire che “prenderà del suo”. Più specificamente “del mio” vuol dire che lo Spirito Santo attinge da Gesù il messaggio, ogni cosa pronunziata da Lui. Manifestare la gloria significa manifestare l’amore che egli ha dimostrato nella sua morte. Tali parole di Gesù sono molto importanti perché evitano di ridurre il ruolo dello Spirito Santo a un’illuminazione, il suo è una comunicazione dell’amore di Gesù che li pone in sintonia con il suo messaggio ma anche con il senso più profondo della sua vita: l’amore dimostrato donando la propria vita sulla croce. In questo consiste il ruolo dello Spirito Santo, Spirito di verità. L’ascolto del messaggio e la sua penetrazione, l’essere in sintonia con l’amore sono due aspetti del ruolo dello Spirito Santo che permettono alla comunità dei credenti di interpretare la storia. Meglio ancora le parole di Gesù intendono comunicare che solo attraverso la comunicazione dell’amore da parte dello Spirito Santo è possibile conoscere chi è l’uomo, capire la meta della sua vita, e realizzare un mondo nuovo. Il modello è sempre l’amore di Gesù.

- Gesù, il Padre, lo Spirito Santo e la comunità dei credenti (v.15): Quando Gesù dice che “tutto ciò che ha il Padre è mio” cosa intende dire? Innanzitutto che ciò che Gesù possiede è in comune con il Padre. Il primo dono del Padre a Gesù è stato la sua gloria (Gv 1,14), più specificamente, è l’amore leale, lo Spirito (Gv 1,32; 17,10). Questa comunicazione, non va compresa, come statica, ma dinamica, vuol dire continua e vicendevole. In questo senso il Padre e Gesù sono uno. Tale comunicazione vicendevole e costante compenetra l’attività di Gesù il quale può realizzare le opere del Padre, il suo disegno sul creato. Per essere capaci di capire, interpretare la storia i credenti sono chiamati ad essere in sintonia con Gesù accentando nella loro esistenza la realtà del suo amore e concretizzandolo a favore dell’uomo. Tale è il disegno del Padre: l’amore di Gesù per i suoi discepoli va investito nella realizzazione dell’uomo. Il disegno del Padre che si è realizzato nella vita di Gesù deve realizzarsi nella comunità dei credenti e guidare l’impegno dei credenti per promuovere la vita degli uomini. Chi è l’esecutore del disegno del Padre nella vita di Gesù? È lo Spirito Santo, che unendo Gesù al Padre, esegue e porta a compimento il progetto del Padre e rende la comunità dei credenti partecipe di questo attività dinamica di Gesù: “prenderà del mio”, la comunità, grazie all’azione dello Spirito di verità, lo ode nel suo messaggio, lo concretizza come amore per comunicarlo. Lo Spirito Santo comunica ai discepoli di Gesù tutta le verità e ricchezza di Gesù; il luogo in cui abita è Gesù; “viene” nella comunità; accolto, rende la comunità partecipe dell’amore di Gesù.



Alcune domande:

- Un grave pericolo minaccia, oggi, le comunità cristiane. Siamo tentati di dividere Gesù, seguendo o un Gesù uomo che con la sua azione ha cambiato la storia, o un Gesù glorioso staccato dalla sua esistenza terrena e quindi anche dalla nostra?

- Siamo consapevoli che Gesù non è soltanto un esempio del passato, ma anche e soprattutto il salvatore presente? Che Gesù non è soltanto oggetto di contemplazione e gioia, ma il Messia da seguire e alla cui opera è necessario collaborare?

- Dio non è un’astrazione, ma il Padre che si rende visibile in Gesù. Ti impegni a “vederlo” e a riconoscerlo nell’umanità di Gesù?

- Sei attento alla voce dello Spirito di verità che ti comunica tutta la verità totale di Gesù?



Dagli scritti

Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo

Luce, splendore e grazia della Trinità.

Non sarebbe cosa inutile ricercare l’antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale. La nostra fede é questa: la Trinità santa e perfetta é quella che é distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma é tutta potenza creatrice e forza operativa. Una é la sua natura, identica a se stessa. Uno é il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, é mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che é al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed é in tutte le cose (cfr. Ef 4,6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo. L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo é lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo é il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo é Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6). Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito é in noi, é anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi é anche il Padre, e così si realizza quanto é detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Dove infatti vi é la luce, là vi é anche lo splendore; e dove vi é lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia. Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13,13). Infatti la grazia é il dono che viene dato nella Trinità, é concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito (Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26,594-595.599).

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 3:26 pm

Letture:

Giuda 17,20-25 (Dio può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti)

Sal 62 (Ha sete di te, Signore, l’anima mia)

Mc 11,27-33 (Con quale autorità fai queste cose?)



I giudici di Cristo
Gli scribi e i farisei si ritengono i rappresentati qualificati della legge e di conseguenza si arrogano il diritto di tutelarne l’integrità. Gli insegnamenti di Cristo risuonano come novità inattese e indesiderate per loro; spesso si ritengono gravemente offesi dalle sue affermazioni. Il loro imbarazzo, che sfocia in rabbia e aperta contestazione, cresce nel costatare che molti, sempre più numerosi e devoti, seguono Gesù, lo riconoscono come vero profeta e soprattutto notano che “Egli parla con autorità e non come i loro scribi”. Questo confronto particolarmente li ìrrita, per cui affrontano Gesù con una precisa domanda: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Non potendo contestare le verità che Gesù afferma né negare i prodigi che compie, fanno appello all’autorità e alla gerarchia. Vogliono accusare Gesù di millantato credito, di abuso di autorità. Non gli riconoscono il diritto di rivelare al mondo la verità e di proclamare la legge nuova dell’amore. Si érgono a giudici del Cristo, senza essere in grado di valutare con sapienza quanto sta accadendo nel loro mondo. Questa loro insipienza era già stata apostrofata da Signore: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”. Abbiamo ancora un esempio di ottusità mentale e di cecità spirituale. Un mall’esempio purtroppo seguìto da molti. Quanti presumono di giudicare Dio e vorrebbero essere suggeritori dei suoi comportamenti con noi. Quell’iniquo ed assurdo giudizio con cui scribi e farisei condannarono Cristo si perpetua nella storia: i timidi osanna dei suoi fedeli vengono spesso soffocati dalle grida di morte di pochi scalmanati. Il passaggio poi da Cristo alla sua chiesa è breve: non solo Cristo è motivo di scandalo e di contestazioni, ma anche coloro che lo rappresentano, i suoi ministri, i suoi seguaci. Tutto è stato già predetto dal Signore: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, ma ci è stata data anche una indefettibile garanzia: “le porte degli inferi non prevarranno”.

L’evangelista Marco volle mostrare ai destinatari del suo Vangelo che, con la venuta di Gesù, il regno di Dio era già sulla terra. Ovunque Gesù lo proclama. Del resto le sue azioni mostrano, in modo ancora più evidente delle sue parole, che cosa significhi ciò per gli uomini: Gesù guarisce infatti molti malati, caccia molti demoni e compie tali azioni non solo a Cafarnao, ma in tutta la Galilea. Gli uomini troveranno così la santità dell’anima e del corpo. Giovanni riassume quest’esperienza nelle seguenti parole, pronunciate da Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Marco era convinto che chi avesse sentito parlare delle opere di Gesù, avrebbe dovuto riconoscere chi egli era; per questo l’evangelista mostra come rispondevano gli uomini alle azioni in cui Gesù manifestava i suoi poteri. Molti capivano che egli era il Messia, mentre i sommi sacerdoti e gli scribi non ci credevano. Del resto, costoro erano sempre stati e sarebbero sempre stati ostili a Gesù. In particolare, lo furono quando Gesù scacciò i mercanti dal tempio di Gerusalemme. In quell’occasione, Gesù “insegnò loro dicendo: Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”. I sommi sacerdoti e gli scribi, come si dice nel Vangelo di oggi, allora gli chiesero con quale autorità facesse queste cose. Ma Gesù, con una sola domanda, li fece tacere. Essi cercarono allora un modo di farlo morire, ma lo temevano perché tutto il popolo andava a lui ed era ammirato del suo insegnamento.
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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 3:40 pm

Letture:

At 2,1-11 (Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare)

Sal 103 (Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra)

Rm 8,8-17 (Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio)



La forza stessa di Dio

È molto bello che l’Amore di Dio, riversato oggi sulla sua chiesa nascente, nella persona degli apostoli, radunati in preghiera con Maria nel cenacolo, si manifesti in lingue di fuoco. Noi siamo soliti dire che l’amore brucia, è vero: purifica rinnova, santifica e vivifica perché quel fuoco viene da Dio ed è per tutti noi. Scese quel giorno, in quella prima pentecoste, ma ripete la sua azione per sempre, sino alla fine dei tempi. L’amore di Dio è lo Spirito Santo, la terza persona della Santissima Trinità, è l’essenza e la perfezione dell’amore, perché sgorga dal cuore del Padre e del Figlio suo, Gesù Cristo. È il Paràclito, il consolatore, l’avvocato, la verità, l’energia vitale per ognuno e per la chiesa. Ci era stato promesso come garanzia di una unione indissolubile con Cristo e con il Padre. I primi ad essere interiormente trasformati furono gli stessi apostoli: inizialmente titubanti, ignari, deboli poi resi impavidi ed araldi coraggiosi, pronti a tutto, fino al martirio. Il cammino della chiesa dai suoi esordi, costantemente sarà guidato da quello Spirito, che supererà ogni insidia, conserverà integro il deposito della fede, sarà segno visibile di unità e di pace. Le forze degli inferi non prevarranno contro di essa. Con quello stesso Spirito una schiera, che nessuno può contare, ha conseguito la santità fino all’eroismo. Spira ancora quello Spirito sulla Chiesa di oggi e sugli uomini del mondo, segnando il cammino dell’umanità sulle vie della sapienza e della concordia. Molti, è vero, camminano ancora a luci spente o si affidano alla tenue luce della ragione umana, ma sta crescendo il bisogno di luce autentica, di amore vero, di solidarietà operativa, di giustizia a tutto campo. Pare che la pentecoste di quest’anno ci colga particolarmente assetati di luce e di verità. Urge quello Spirito per il nostro mondo dopo i fallimenti di ogni genere. Urge alla chiesa, sempre bisognosa di rinnovamento, sempre protesa a nuove illuminazioni dello Spirito. Urge ai pastori e ai sacerdoti perché siano testimoni di verità con la parola e con l’esempio. Urge a coloro che governano le sorti del mondo perché diventino operatori di pace. Urge alle famiglie affinché attingano amore autentico e siano capaci di fedeltà e di indissolubilità. Urge ad ogni credente in Cristo perché non abbia a mancare l’obiettivo finale della propria esistenza. Urge a chi scrive questi pensieri affinché sappia diffondere speranza e dare luce ai cuori. «Vieni Spirito Santo, accendi in noi il fuoco del tuo amore».

Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi. Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono. Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante - e non contro - la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei gesti della vita cristiana. Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa! Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere esercitata con misericordiae con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.





Approfondimento del Vangelo (La promessa del Consolatore. Lo Spirito Santo, maestro e memoria vivente della Parola di Gesù)

Il testo: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.



Una traduzione un po’ più letterale dal greco può aiutare a un contatto più intimo e profondo con Gesù, che parla e con la Trinità, di cui Egli parla: Se amate me, i comandamenti i miei custodirete e io pregherò il Padre e un altro Consolatore darà a voi, affinché con voi per sempre sia. Se qualcuno ama me, la parola mia custodirà e il Padre mio lo amerà e verso di lui noi verremo e dimora presso di lui faremo. Il non amante me, le parole mie non custodisce; la parola che voi ascoltate non è mia, ma dell’inviante me, il Padre. Queste cose vi ho detto, quando ero ancora presso di voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che invierà il Padre nel nome mio, questi vi insegnerà tutte le cose e vi ricorderà tutte le cose che ho detto a voi Io.



Per inserire il brano nel suo contesto: Questi pochi versetti, fra l’altro neanche continui, sono come alcune gocce d’acqua tolte all’oceano; infatti essi fanno parte di quel lungo e grandioso discorso del Vangelo di Giovanni, che va da 13,31 a tutto il capitolo 17. Dall’inizio alla fine di questa unità discorsiva, profondissima e inscindibile, è trattato un solo unico tema e cioè l’«andare di Gesù», che appare anche come inclusione, in 13,33: “Ancora per poco sono con voi, dove vado io, non potete venire” e in 16,28: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” e ancora in 17,13: “Ma ora io vengo a te, o Padre”. L’andare di Gesù verso il Padre porta con sé anche il significato del nostro andare, del nostro percorso esistenziale e di fede in questo mondo; è qui che noi impariamo a seguire Gesù, ad ascoltarlo, a vivere come Lui. È qui che ci viene offerta la rivelazione più completa di Gesù nel mistero della Trinità, come anche la rivelazione sulla vita cristiana, la sua potenza, i suoi compiti, la sua gioia e il suo dolore, la sua speranza e la sua lotta. Penetrando queste parole, noi possiamo trovare la verità del Signore Gesù e di noi stessi davanti a Lui, in Lui. Questi versetti in particolare parlano di tre motivi di consolazione fortissimi, per noi: la promessa della venuta del Consolatore; la venuta del Padre e del Figlio nell’anima del discepolo che crede; la presenza di un maestro, che è lo Spirito santo, grazie al quale l’insegnamento di Gesù non cesserà.



Per aiutare nella lettura del brano:

- vv. 15-16: Gesù rivela che l’osservanza dei comandamenti non è sforzo di costrizione, ma frutto dolce, che nasce dall’amore del discepolo verso di Lui. A questa obbedienza amorosa è legata la preghiera onnipotente di Gesù per noi. Il Signore promette la venuta di un altro Consolatore, mandato dal Padre, che rimarrà sempre con noi per sconfiggere definitivamente ogni nostra solitudine.

- vv. 23-24: Gesù ripete che l’amore e l’osservanza dei comandamenti sono due realtà vitali essenzialmente connesse tra loro, che hanno il potere di introdurre il discepolo nella vita mistica, cioè nell’esperienza della comunione immediata e personale con Gesù e con il Padre.

- v. 25: Gesù afferma una cosa molto importante: c’è una differenza sostanziale tra le cose che Lui ha detto mentre era presso i discepoli e le cose che invece dirà dopo, quando, grazie allo Spirito, Egli sarà in loro, dentro di loro. Prima la comprensione è solo limitata, perché il rapporto con Lui è esterno: la Parola giungeva dal di fuori e colpiva le orecchie, ma non era pronunciata dentro. Dopo la comprensione sarà piena.

- v. 26: Gesù annuncia lo Spirito santo quale maestro, che insegnerà non più dal di fuori, ma venendo dentro di noi. Egli ravviverà le Parole di Gesù, che erano state dimenticate e le farà ricordare, le farà comprendere ai discepoli in tutta la loro portata.



Un momento di silenzio orante: Chiedo al silenzio che mi raccolga, che riunisca tutto il mio essere nel suo grembo, perché io sia portato, nel soffio dell’amore, davanti a Gesù, davanti al Padre e allo Spirito e da lì io possa entrare nella Trinità, in questa comunione d’amore, che mi crea e mi ricrea ogni giorno.


Alcune domande: Entro alla scuola del Maestro, lo Spirito Santo, mi siedo ai suoi piedi e mi lascio da Lui interrogare; apro il mio cuore, non ho paura, perché Lui istruisce, ma consola, ammonisce, ma fa crescere. Lui è l’Amore, è la Luce, il Fuoco, l’Acqua viva per la mia sete; è il vento impetuoso che spalanca le porte del mio egoismo e fa crollare i muri della mia autosufficienza, della mia sicurezza arrogante e stolta.

a) “Se mi amate”. Il mio rapporto con il Signore Gesù è un rapporto d’amore, oppure no? C’è spazio, nel mio cuore, per Lui? Mi guardo dentro con sincerità e mi chiedo: “Dov’è l’amore, nella mia vita, se ce n’è?”; penso ai miei rapporti, alle mie relazioni, anche alle più importanti, a quelli irrinunciabili, a cui tengo di più: “Sono relazioni costruite sull’amore, su un amore vero, forte, che ha radici profonde, capaci di sfidare anche le siccità, le durezze più ardue dei terreni? Ho davvero il coraggio di amare e amare senza vergogna, con tenerezza, coi gesti, con le parole?” E se mi accorgo che dentro di me non c’è amore, o ce n’è solo poco, provo a interrogarmi: “Cos’è che mi blocca, che mi tiene il cuore chiuso, imprigionato, rendendolo, così, triste e solo?”

b) “Custodirete i miei comandamenti”. Mi viene incontro il verbo custodire, con tutta la carica dei suoi molti significati: guardare bene, proteggere, fare attenzione, conservare in vita, riservare e preservare, non gettare via, trattenere con cura, con amore. Vivo, illuminato da questi atteggiamenti, il mio rapporto di discepolo, di cristiano, con la Parola e i comandamenti che Gesù ci ha lasciato, per la nostra felicità? Il mio cuore sa farsi luogo di custodia, di memoria costante, di affetto e calore nei confronti della Parola?

c) “Egli vi darà un altro Consolatore”. Essere consolati è un’esperienza bellissima, che tutti noi desideriamo e abbiamo bisogno di fare. Quante volte mi sono messo alla ricerca di qualcuno che mi consolasse, si prendesse cura di me, mi mostrasse affetto e attenzione! Ma lo so che la vera consolazione viene dal Signore, che “consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri” (Is 49,13) e che dice: “Consolate, consolate il mio popolo (Is 40,1); Io, io sono il tuo consolatore” (Is 51,12) e non si stanca di ripetere: “Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,13). Leggo san Paolo e mi sento dire che il Signore è il Dio della consolazione (Rm 15,5 e 2Cor 1,3), che ci consola in ogni nostra tribolazione, perché anche noi consoliamo, a nostra volta, quelli che si trovano in ogni genere di afflizione, restituendo con amore fraterno quel dono che il Padre aveva dato a noi (2Cor 1,3ss). E poi scopro, nella lettera ai Romani, che le consolazioni vengono dalle Scritture (Rm 15,4). Rimango molto colpito da tutto ciò, ci rifletto e cerco di far aderire il mio cuore alla verità che la Parola mi rivela. Sono pronto ad accettare, ad accogliere con apertura piena, con disponibilità e umiltà questa Consolazione, il vero Consolatore, che viene dall’alto? O mi fido, ancora, molto più delle consolazioni che trovo io, che mendico di qua e di là, che raccatto solo a briciole, senza potermi mai sfamare veramente? So che qui si apre davanti a me un vero cammino di conversione; scelgo di percorrerlo, oppure mi volto indietro e me ne vado via, triste, con le mie povere ricchezze di consolazioni fallaci e ingannatrici?

d) “Prenderemo dimora presso di lui”. Il Signore sta alla porta e bussa e aspetta; Lui non forza, non costringe. Lui dice: “Se vuoi...” e aspetta, con amore. “Se vuoi, osserverai i comandamenti” (Sir 15,5); “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). Qui Egli mi propone di diventare la sua casa, il luogo del suo riposo, della sua intimità; Gesù è pronto, è felice di raggiungermi, di unirsi a me in un’amicizia così speciale, così unica da venire a porre la sua dimora nel mio cuore, per non uscirne più. Ma io, sono pronto? Sto aspettando la visita, la venuta, l’ingresso di Gesù nella mia esistenza più intima, più personale? C’è posto per lui nell’albergo? Ecco, Lo sento: Lui davvero è qui, alla porta e bussa...

e) “Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Il verbo “ricordare” porta con sé un’altra realtà molto importante, essenziale, direi. Vengo provocato, vengo scrutato dalla Scrittura. Dove applico la mia memoria? Cosa mi sforzo di tenere a mente, di far vivere nel mio mondo interiore? La Parola del Signore è un tesoro molto prezioso; è un seme di vita, che viene seminato nel mio cuore; ma io che attenzione pongo a questo seme? So difenderlo dai mille nemici e pericoli che lo assalgono: gli uccelli, la calura, le pietre, le spine, il maligno? So portare con me, ogni mattina, una Parola del Signore per ricordarla durante il giorno e fare di essa la mia luce segreta, la mia forza, il mio nutrimento? O sono un dimenticone, uno smemorato dell’amore e dei benefici di Dio per me? La dimenticanza equivale alla lontananza da Lui, fino a perderlo. Voglio forse ridurmi così e dimenticare il mio Signore? Perché, da oggi in poi, nella potenza dello Spirito Santo, che ha il compito proprio di farci ricordare le Parole sante di Gesù, non mi prendo l’impegno di fissarmi nella mente un versetto, anche breve, magari di due o tre parole soltanto, e poi stare in sua compagnia durante il giorno, mentre lavoro, mentre vado in macchina, mentre mi verrebbe da arrabbiarmi o da correre dietro con la fantasia a mille altri pensieri? Perché non impegnarmi a ruminare la Parola, a mangiarla veramente, visto che essa è vero Cibo?



Una chiave di lettura: In questo momento cerco di entrare ancor più profondamente in queste Parole così intense e ricche, inesauribili, per luce, calore, nutrimento. Mi accosto ad ognuno dei personaggi presenti in queste righe, mi metto in ascolto, in preghiera, in meditazione - ruminazione, in contemplazione...

- Il volto del Padre: Gesù dice: “Io pregherò il Padre” (v. 16) e toglie un po’ il velo al mistero della preghiera: essa è la via che conduce al Padre. Per giungere al Padre, ci è donato il cammino della preghiera; come Gesù vive il suo rapporto col Padre attraverso la preghiera, così anche noi. Percorro le pagine dei Vangeli e mi faccio ricercatore attento di qualche indizio riguardo a questo segreto d’amore tra Gesù e il Padre suo, perché entrando in quel rapporto, anch’io posso sempre più conoscere Dio, il Padre mio. “E un altro Consolatore darà a voi”. Il Padre è colui che dona a noi il Consolatore. Questo dono è preceduto dall’atto di amore del Padre, che sa che noi abbiamo bisogno di consolazione: Lui ha visto la mia miseria in Egitto e ha udito il mio grido, Lui conosce infatti le mie sofferenze e vede le oppressioni che mi tormentano (cfr. Es 3,7-9); nulla sfugge al suo amore infinito per me. Per tutto questo, Egli ci dona il Consolatore. Il Padre è il Donatore: tutto ci viene da Lui e da nessun altro. “Il padre mio lo amerà” (v. 24). Il Padre è l’Amante, che ama di amore eterno, assoluto, inviolabile, incancellabile. Come dice Isaia, come dice Geremia e tutti i profeti (cfr. Ger 31,3; Is 43,4; 54,8; Os 2,21; 11,1). “Verso di lui verremo”. Il Padre è unito al Figlio suo Gesù, è una cosa sola con Lui e con Lui viene verso ogni uomo, dentro ogni uomo. Si sposta, esce, si piega e cammina verso di noi. Spinto da un amore folle e inspiegabile, Lui ci raggiunge. “E faremo dimora presso di lui”. Il Padre costruisce la sua casa in noi; fa di noi, di me, della mia esistenza, di tutto il mio essere, la sua dimora. Lui viene e non se ne va, ma fedelmente rimane. Padre, Padre mio! Credevo di essere orfano, di essere solo in questo mondo e invece oggi, nella tua Parola, mi ritrovo figlio, amato, cercato, rincorso e raggiunto. Tu mi doni il tuo Spirito, che è il Consolatore, che è la tua Presenza costante, certa, fedele. Tu mi ami, Tu vieni verso di me e rimani in me. Grazie, Padre! Oggi io rinasco, perché Tu mi ami, o Padre!

- Il volto del Figlio: “Se voi amate me...” (v. 15); “Se qualcuno ama me...” (v. 23). Gesù entra in rapporto con me in modo unico e personale, faccia a faccia, cuore a cuore, anima ad anima; mi propone un legame intenso, unico, irripetibile e mi unisce a Sé tramite l’amore, se io lo voglio. Pone sempre il “se” e dice, chiamandomi per nome: “Se vuoi...”. L’unica via che Lui continuamente percorre per raggiungermi, è quella dell’amore; infatti noto che i pronomi “voi” e “qualcuno” sono collegati al “me” dal verbo “amare” e da nessun altro verbo. “Io pregherò il Padre” (v. 16). Gesù è l’orante, che vive della preghiera e per la preghiera; tutta la sua vita è stata ricolmata dalla preghiera, era preghiera. Egli è il sommo ed eterno sacerdote, che intercede per noi e offre preghiere e suppliche, accompagnate dalle lacrime (cfr. Eb 5,7), per la nostra salvezza; “egli, infatti, può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,25). “Se qualcuno mi ama, la parola mia custodirà” (v. 23); “Chi non mi ama, non custodisce le mie parole” (v. 24). Gesù mi offre la sua Parola, me la dà in consegna, perché io me ne prenda cura e la custodisca, la deponga nel tesoro del mio cuore e lì la riscaldi, la vegli, la contempli, la ascolti e, così facendo, la faccia fruttificare. La sua Parola è un seme; è la perla più preziosa di tutte, per la quale vale la pena vendere ogni altra ricchezza; è il tesoro nascosto nel campo, per il quale si scava, senza badare alla fatica; è il fuoco, che ci fa ardere il cuore nel petto; è la lampada, che ci permette di aver luce per i nostri passi, anche nella notte più buia. L’amore alla Parola di Gesù si identifica con il mio amore per Gesù stesso, per tutta la sua persona, perché, in definitiva, è Lui la Parola, il Verbo. E perciò qui, in queste parole, Gesù mi sta gridando al cuore che è Lui che io devo custodire! Signore Gesù, Parola di Salvezza, Parola del Padre mio, mia unica Parola di Vita; certo, io ti custodirò! Ti stringerò a me, come una preda e non ti lascerò andare! Farò come Maria, la Vergine santa, che custodiva nel suo cuore ogni tua Parola e se la portava sempre più vicino, confrontando ogni cosa con essa (cfr. Lc 2,19.51). Gesù, fammi entrare nella tua preghiera; alza le mani verso il Padre e accoglimi, come in un abbraccio senza fine, perché la mia vita non ha alcun significato al di fuori di questo dialogo d’amore con te e con il Padre. Amen.

- Il volto dello Spirito Santo: “Il Padre vi darà un altro Consolatore” (v. 16). Lo Spirito Santo ci è dato dal Padre; è il “buon regalo e il dono perfetto, che viene dall’alto e che discende fino a noi” (Gc 1,17). Egli è “un altro Consolatore” rispetto a Gesù, che se ne va e viene per non lasciarci soli, abbandonati. Mentre sono nel mondo, io non sono sconsolato, ma sono confortato dalla presenza dello Spirito Santo, che non è una consolazione soltanto, ma è molto di più: è una persona viva e vivente accanto a me, sempre. Questa presenza, questa compagnia è capace di darmi gioia, la gioia vera; infatti, dice Paolo: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace...” (Gal 5,22; cfr. anche Rm 14,17). “Perché rimanga con voi per sempre”. Lo Spirito è in mezzo a noi, è con me, così come Gesù era con i suoi discepoli. La sua venuta si attua in una presenza fisica, personale; io non lo vedo, ma so che c’è e non mi lascia, non se ne va. Lo Spirito rimane per sempre e vive con me, in me, senza una limitazione di tempo o di spazi; così Lui è il Consolatore. “Vi insegnerà ogni cosa” (v. 26). Lo Spirito santo è il Maestro, colui che apre la via alla conoscenza, all’esperienza; nessuno fuori di Lui può guidarmi, plasmarmi, darmi forma nuova. La sua scuola non è per raggiungere una sapienza umana, che gonfia e non libera; i suoi insegnamenti, i suoi suggerimenti, le sue indicazioni precise vengono da Dio e a Lui riportano. Lo Spirito insegna la sapienza vera e la conoscenza (Sal 118,66), insegna il volere del Padre (Sal 118,26.64), i suoi sentieri (Sal 24,4), i suoi comandamenti (Sal 118,124.135), che fanno vivere. Egli è un Maestro capace di guidarmi alla verità tutta intera (Gv 16,13), che mi rende libero nel profondo, fin nel punto di divisione dell’anima e dello spirito, dove solo Lui, che è Dio, può giungere a portare vita e risurrezione. È umile, come Dio, e si abbassa, scende dalla sua cattedra e viene dentro di me (cfr. At 1,8; 10,44), si dona a me così, in maniera piena, assoluta; non è geloso del suo dono, della sua luce, ma la offre senza misura. Spirito Santo, Tu sei Dono, sei consolazione piena e perciò sei mia gioia, mia esultanza! Tu sei Amore fedele, che non mi lascia, non mi abbandona, ma rimani per sempre! Tu sei con me, ti fai uno con me, accetti di condividere la mia vita più segreta, più intima, anche là dove c’è il dolore, la notte, il peccato. Tu sei il mio Maestro interiore, la mia guida sicura! Ti seguirò, Spirito Santo e non smetterò mai di invocarti e dirti: “Vieni!”. Al mattino ti aspetterò e alla sera cercherò in Te il mio riposo.



Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo

La missione dello Spirito Santo

Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso dicesse anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo. Luca narra che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accorto, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformano il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio. Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paraclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall’alto. Il lavacro battesimale con l’azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell’anima e nel corpo in quell’unità che preserva dalla morte. Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11,2). Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il Paraclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10,18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato. Il Signore affida allo Spirito santo quell’uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore (Lib. 3,17,1-3; SC 34,302-306).

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 3:44 pm

Letture:

At 28,16-20.30-31 (Paolo rimase a Roma, annunciando il regno di Dio)

Sal 10 (Gli uomini retti, Signore, contempleranno il tuo volto)

Gv 21,20-25 (Questo è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e la sua testimonianza è vera
)



Il Vangelo di Giovanni termina con questa sequenza quasi cinematografica. Gesù si allontana. È seguito da Pietro. Pietro si gira e vede Giovanni che li segue. Ancora confuso per la fiducia che Gesù gli ha appena dimostrato (Gv 21,15-17), interroga il Maestro sul conto di questo discepolo che si è comportato certo meglio di lui. Ma Gesù non risponde in modo chiaro. Ma, a dire il vero, non importa molto la sua risposta. Ciò che conta è che Giovanni l’abbia sentita e che possa perciò riferirla. Ciò che conta è la fiducia data al testimone. E, al termine del proprio Vangelo, Giovanni insiste sulla serietà della sua testimonianza: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21,24). Niente importa più di questo. Bisogna che sia vero, altrimenti perché credere? Giovanni lo ripete continuamente. Si ricordi quest’altro passo: “Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate” (Gv 19,35). La nostra fede si fonda sulla testimonianza degli apostoli, come la fede degli apostoli si fonda sulla testimonianza di Gesù (Gv 8,18). Gesù ha dato la vita in segno di fedeltà alla verità che egli stesso testimonia. Così, gli apostoli moriranno martiri, non perché fanatici, ma perché testimoni di fatti e non di idee. Quand’anche li si ucciderà, i fatti resteranno delle realtà, proprio come la morte e la risurrezione di Gesù. È su tale realtà che Giovanni insiste concludendo il suo Vangelo. È questa realtà che noi dobbiamo testimoniare. Ecco perché gli apostoli e, dopo di loro, tutti i fedeli tengono a sottolineare che Gesù è risorto veramente e che è veramente vivo. E ciò è vero perché reale (Lc 24,34). Cristo è risorto, alleluia! È davvero risorto, alleluia!



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Pietro, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?” Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Signore, e lui?” Gesù rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?” Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.



Riflessione

- Il vangelo di oggi comincia con la domanda di Pietro sul destino del discepolo amato: Signore, e lui? Gesù comincia a parlare con Pietro, annunciando il destino o il tipo di morte per mezzo del quale Pietro glorificherà Dio. E alla fine Gesù aggiunge: Seguimi. (Gv 21,19).

- Giovanni 21,20-21: La domanda di Pietro sul destino di Giovanni. In quel momento, Pietro si girò e vide il discepolo amato da Gesù e chiese: Signore, e lui? Gesù ha appena indicato il destino di Pietro ed ora Pietro vuole sapere da Gesù qual è il destino di quest’altro discepolo. Curiosità che non merita la risposta adeguata da parte di Gesù.

- Giovanni 21,22: La risposta misteriosa di Gesù. Gesù dice: Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi. Frase misteriosa che termina di nuovo con la stessa affermazione di prima: Seguimi! Gesù sembra voler frenare la curiosità di Pietro. Così come ognuno di noi ha la propria storia, così anche ognuno di noi ha il suo modo di seguire Gesù. Nessuno è la copia esatta di un’altra persona. Ognuno di noi deve essere creativo nel seguire Gesù.

- Giovanni 21,23: L’evangelista chiarisce il senso della risposta di Gesù. La tradizione antica identifica il Discepolo Amato con l’apostolo Giovanni e dice che morì molto anziano, quando aveva circa cento anni. Unendo l’età avanzata di Giovanni alla risposta misteriosa di Gesù, l’evangelista chiarisce dicendo: “Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?” Forse è un avvertimento a stare molto attenti all’interpretazione delle parole di Gesù e non basarsi su qualsiasi diceria.

- Giovanni 21,24: Testimone del valore del vangelo. Il Capitolo 21 è un’appendice aggiunta quando venne fatta la redazione definitiva del Vangelo. Il Capitolo 20 termina con queste frasi: “Molti atri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31). Il libro era pronto. Ma c’erano molti altri fatti su Gesù. Per questo, in occasione dell’edizione definitiva del vangelo, alcuni di questi “molti altri fatti” su Gesù furono scelti ed aumentati, assai probabilmente per chiarire meglio i nuovi problemi della fine del primo secolo. Non sappiamo chi fece la redazione definitiva con l’appendice, ma sappiamo che è qualcuno di fiducia della comunità, poiché scrive: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”.

- Giovanni 21,25: Il mistero di Gesù è inesauribile. Frase bella per concludere il vangelo di Giovanni: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Sembra un’esagerazione, ma è la verità. Mai nessuno sarà in grado di scrivere tutte le cose che Gesù ha fatto e continua a fare nella vita delle persone che fino ad oggi seguono Gesù!



Per un confronto personale

- C’è nella tua vita qualcosa che Gesù ha fatto e che potrebbe essere aggiunta a questo libro che non sarà mai scritto?

- Pietro si preoccupa molto dell’altro e dimentica di portare avanti il proprio “Seguimi”. Succede anche a te?



Preghiera finale: Giusto è il Signore, ama le cose giuste; gli uomini retti vedranno il suo volto (Sal 10).








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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 3:55 pm



Letture:

At 1,1-11 (Fu elevato in alto sotto i loro occhi)

Sal 46 (Ascende il Signore tra canti di gioia)

Eb 9,24-28; 10,19-23 (Cristo è entrato nel cielo stesso)

Lc 24, 46-53 (Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo)



L’umanità innalzata al cielo

«Esulti di santa gioia, la tua chiesa, o Padre per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te». Così ci fa pregare le liturgia in questo giorno solenne. Siamo sollecitati alla gioia, a dare lode a Dio perché Cristo ascende vittorioso e perché anche la nostra umanità è innalzata nella gloria. Il cielo che si riapre per accogliere il Figlio di Dio, si riapre anche per tutti noi. Il primo dei martiri, Santo Stefano, ci conferma in questa visione e in questa nuova speranza: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Gli apostoli sono testimoni oculari dell’ascensione del Signore. Era stato fissato loro un appuntamento in Galilea, dopo che ripetutamente, lo stesso Signore li aveva preventivamente avvertiti della sua prossima dipartita. Il loro cuore aveva sperimentato angoscia e timore a quell’annuncio. Gesù li aveva rassicurati fino a dire loro: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò». Ciò nonostante alcuni di loro dubitano ancora. Per secoli di storia il cielo era rimasto chiuso agli uomini, quella distanza, stabilita dal peccato, sembrava ormai incolmabile per noi legati alla terra. Gesù deve fugare ogni dubbio e non vuole nemmeno che i suoi rimangano incantati a fissare il cielo che lo sta per avvolgere e nascondere ai loro occhi. Vuole invece che nasca nel cuore di tutti la certezza che egli va a prepararci un posto e che ritornerà a prenderci. Questo è il potere che il Padre gli ha conferito, salire al cielo senza lasciarci orfani, anzi con la reale possibilità di restare con noi sempre fino alla fine dei tempi. La fede degli apostoli, così alimentata, dovrà poi essere annunciata e testimoniata al mondo intero: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Da quel giorno, da quel monte della Galilea, è sorta per il mondo una fede e una fiducia nuova: veramente ci sentiamo innalzati anche noi con Cristo, anche noi abbiamo riscoperto la nostra vera patria, l’ultimo approdo a cui tendere, dopo aver osservato gli insegnamenti di Cristo, nostra via. Ecco perché la chiesa ci ha invitati tutti a godere di santa gioia, ecco perché cielo e terra hanno ritrovato il punto di congiunzione e gli uomini hanno visto rinascere la migliore speranza.

La morte di Gesù ha costituito uno scandalo per i suoi discepoli, perché essi si erano plasmati un Cristo senza croce. Ma Gesù di Nazaret è il Messia; e non esiste altro Messia che il crocifisso e il glorificato. È attraverso la catechesi del Signore, risuscitato, che i discepoli capiscono che il Messia doveva soffrire e risuscitare dai morti. Era il disegno di Dio manifestato nelle Scritture. Il senso della croce e dell’accompagnamento dei discepoli sulla croce, si scontra con l’intelligenza, con il cuore e con i progetti dell’uomo. Affinché i discepoli possano essere i testimoni autorizzati di Gesù Cristo, non solo devono comprendere la sua morte redentrice, ma anche ricevere lo Spirito Santo. Gesù si separa dai discepoli benedicendoli e affidandoli alla protezione di Dio Padre. Ascensione del Signore al cielo e invio dello Spirito Santo, per fare dei discepoli dei testimoni coraggiosi e per accompagnarli fino al ritorno di Gesù, sono strettamente collegati. Lo Spirito Santo aumenterà la potenza della parola del predicatore e aprirà l’intelligenza degli ascoltatori. Della vita fragile del missionario egli farà una testimonianza eloquente di Gesù Cristo morto sulla croce e vivo per sempre. Nel mondo, al fianco dei discepoli, lo Spirito Santo sarà il grande Testimone di Gesù.



Approfondimento del Vangelo (La missione della Chiesa: testimoniare il perdono che Dio offre a tutti)

Il testo: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.



Momento di silenzio: Lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.



Domande:

- Nel nome del Signore. Ciò che vivo ogni giorno in nome di chi lo faccio?

- A tutte le genti. Ho un cuore capace di accogliere tutti oppure discrimino facilmente secondo le mie vedute?

- Restate in città. Riesco a stare nelle situazioni più difficili o tento, prima ancora di capirne il senso, di eliminarle?

- La mia preghiera. Lodo il Signore per ciò che compie nella mia vita oppure chiedo per me?



Chiave di lettura: Poche righe che parlano di vita, di movimento, di cammino, di incontro... Obiettivo che compie il così sta scritto è tutte le genti. La via è quella tracciata dalla testimonianza. Gli apostoli sono dei mandati, non portano qualcosa di proprio, ma si fanno vita, movimento, cammino, incontro, via che fa fiorire la vita ovunque arrivi.

- v. 46. «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno. Cosa sta scritto? Dove? L’unica scrittura che noi conosciamo è quella di un incontro. Dio sembra non possa fare a meno dell’uomo, per questo lo va a cercare, ovunque si trova, e non si arrende finché non lo riabbraccia. Questo è ciò che è scritto. Un amore eterno, capace di scendere nel patire, di bere fino in fondo il calice del dolore pur di rivedere il volto del figlio amato. Negli abissi della non vita Cristo scende per prendere la mano dell’uomo e riaccompagnarlo a casa. Tre giorni. Tre momenti. Passione, morte, risurrezione. Questo è ciò che è scritto. Per Cristo e per ognuno che gli appartenga. Passione: tu ti consegni con fiducia, e l’altro fa di te ciò che vuole, ti abbraccia o ti strapazza, ti accoglie o ti respinge... ma tu continui ad amare, fino alla fine. Morte: una vita che non si tira indietro... muore, si spegne... ma non per sempre, perché la morte ha potere sulla carne, lo spirito che da Dio viene a Dio ritorna. Risurrezione: Tutto acquista senso alla luce della Vita: l’amore donato non muore, risorge sempre.

- v. 47. E nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. La parola di Gesù, pronunciata nella storia, non si ferma. Ha bisogno di annunciatori. E gli apostoli vanno, mandati nel nome santo di Dio. Vanno a tutte le genti. Non più un popolo eletto, ma tutti gli uomini eletti. Vanno a prendere per le spalle i loro fratelli e a convertirli, a girarli verso di loro per dire: Tutto ti è perdonato, puoi tornare a vivere la vita divina, Gesù è morto e risorto per te! Non è una invenzione la fede. Vengo da Gerusalemme. Ho visto con i miei occhi, l’ho sperimentato nella mia vita. Non ti racconto altro che la mia storia, una storia di salvezza.

- v. 48. Di questo voi siete testimoni. Dio lo si conosce per esperienza. Essere testimoni vuol dire portare scritta nella pelle, cucita sillaba per sillaba, la parola che è Cristo. Quando un uomo è stato toccato da Cristo, diventa come una lampada, anche se non lo volesse, risplende! E se la fiamma volessi spegnerla, si riaccende, perché la luce non è della lampada ma dello Spirito riversato nel cuore che irradia senza fine la comunione eterna.

- v. 49. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto. Le promesse di Gesù non vengono meno. Lui se ne va, ma non lascia orfani i suoi amici. Sa che hanno bisogno della presenza costante di Dio. E Dio torna a venire all’uomo. Questa volta non più nella carne, ma invisibilmente nel fuoco di un amore impalpabile, nell’ardore di un vincolo che mai più si romperà, l’arcobaleno dell’alleanza ratificata, lo splendore del sorriso di Dio, lo Spirito Santo. Rivestiti di Cristo, rivestiti dello Spirito gli apostoli non avranno più paura, e potranno finalmente andare!

- v. 50. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Il momento del lasciarsi è solenne. Betania, il luogo dell’amicizia. Gesù alza le mani e benedice i suoi. Un gesto di saluto che è un dono. Dio non si allontana dai suoi, semplicemente li lascia per tornare in altra veste.

- v. 51. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ogni distacco è sicuramente un evento che porta dispiacere. Ma in questo caso la benedizione è un lascito di grazia. E gli apostoli vivono una comunione intensa con il loro Signore tanto da non avvertire separazione.

- v. 52. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia. La gioia degli apostoli è grande, gioia di tornare per le vie di Gerusalemme con un tesoro sconfinato, la gioia dell’appartenenza. L’umanità di Cristo entra in cielo, è una porta che si riapre per non più chiudersi. La gioia della sovrabbondanza di vita che Cristo ha ormai versato nella loro esperienza non si arresterà più...

- v. 53. E stavano sempre nel tempio lodando Dio. Stare... un verbo importantissimo per il cristiano. Stare suppone una forza particolare, la capacità di non fuggire le situazioni ma di viverle assaporandole fino in fondo. Stare. Un programma evangelico da portare a tutti. Allora la lode scaturisce sincera, perché nello stare la volontà di Dio è sorseggiata come bevanda salutare e inebriante di beatitudine.



Riflessione: La testimonianza della carità è senza dubbio nella vita ecclesiale lo specchio più terso per l’evangelizzazione. È lo strumento che dissoda il terreno perché quando il seme della Parola cade porti frutto abbondante. Non può la buona notizia scegliere altre vie per giungere al cuore degli uomini che quella dell’amore vicendevole, un’esperienza che conduce direttamente alla fonte: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Tutto questo trova verifica nella prima Chiesa: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). Il discepolo che ha incontrato e conosciuto Gesù, il discepolo amato, sa che non può parlare di lui e non percorrere le vie che lui ha percorso. «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) Quali parole migliori per dire che la via maestra di ogni evangelizzazione è l’amore gratuito? Cristo è la via per evangelizzare. Cristo è la verità da donare nell’evangelizzazione. Cristo è la vita evangelizzata. Ed è evangelizzazione l’amore con il quale ci ha amati, un amore consegnato senza condizioni, che non si tira indietro ma va avanti fino alla fine fedele a se stesso, a costo di morire su una croce di maledizione, pur di mostrare il volto del Padre quale volto di Amore, un amore che rispetta la libertà dell’uomo, anche quando questa significa rifiuto, disprezzo, aggressione, morte. «La carità cristiana ha in se stessa una grande forza evangelizzatrice. Nella misura in cui sa farsi segno e trasparenza dell’amore di Dio, apre mente e cuore all’annuncio della Parola di verità. Desideroso di autenticità e di concretezza, l’uomo di oggi, come diceva Paolo VI, apprezza di più i testimoni che i maestri, e in genere solo dopo esser stato raggiunto dal segno tangibile della carità si lascia guidare a scoprire la profondità e le esigenze dell’amore di Dio». (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, in Enchirision CEI, vol. 1-5, EDB, Bologna 1996 n. 24). Motivare e sostenere l’apertura agli altri nel servizio è compito di ogni azione pastorale che voglia evidenziare il rapporto profondo esistente tra fede e carità alla luce del vangelo, e quella nota caratteristica dell’amore cristiano che è la prossimità, il prendersi cura (cfr. Lc 10,34).



Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo

Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore. Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25, 35). Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3,13). Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui. Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1Cor 12,12). L’Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo. Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo.



Contemplazione: Signore, comprendo che l’evangelizzazione esige una profonda spiritualità, autenticità e santità di testimoni, persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme per fare della propria esperienza di fede un luogo di incontro e di crescita in un contatto da persona a persona che costruisca relazioni profonde e aperte alla ecclesialità, al mondo, alla storia. E io mi sento ancora inadeguato. In un contesto in cui il susseguirsi repentino di immagini, parole, proposte, progetti, cronache disorienta e quasi ubriaca il pensiero e disperde il sentire, la testimonianza si erge quale parola privilegiata per una sosta di riflessione, per un attimo di ripensamento. Ma se io sono il primo a lasciarmi portar via da quelle immagini, parole, progetti? Di una cosa sono certo, e questo mi conforta. Anche la più bella testimonianza si rivelerebbe a lungo andare impotente, se non fosse illuminata, giustificata, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, presto o tardi ha bisogno di essere annunciata dalla parola di vita. Darò ragione della mia speranza proclamando il tuo nome, il tuo insegnamento, la tua vita, le tue promesse, il tuo mistero di Gesù di Nazareth e Figlio di Dio: penso sia per me la via più semplice per suscitare l’interesse a conoscere e incontrare te, Maestro e Signore, che hai scelto di vivere come figlio dell’uomo per narrare a noi il volto del Padre. Ogni pastorale che oggi si trovi in catene a causa della fede potrà chiedere a te, Dio, che si riapra la porta della predicazione per annunciare il mistero di Cristo, quella predicazione che, quale parola divina, opera in chiunque crede.

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:00 pm

Letture:

At 18,23-28 (Apollo dimostrava attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo)

Sal 46 (Dio è re di tutta la terra)

Gv 16,23-28 (Il Padre vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto
)



La forza del Nome

Un giorno gli Apostoli, dopo essere stati ripetutamente testimoni delle preghiere che Gesù faceva spesso durante intere notti, chiesero al loro maestro: «Signore insegnaci a pregare». Fu allora che sgorgò dal cuore di Cristo la più bella preghiera che mai si sia potuta recitare sulla terra. Più e più volte Gesù tornerà sul tema della preghiera fino a dire di pregare sempre, senza stancarsi. Oggi l’insegnamento di Cristo ci indica in “nome” di chi dobbiamo rivolgere le nostre richieste al Padre nostro che è nei cieli. «In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà». Egli è il nostro mediatore presso Dio, «abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo». Il nome di Cristo sarà usato anche come strumento d’inganno: «Molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno». Quello stesso nome però darà valore anche alle nostre azioni apparentemente insignificanti: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa». I suoi sacramenti saranno amministrati nel nome di Gesù: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo». L’annuncio del Vangelo e i prodigi che l’accompagnano avverranno sempre nello stesso nome: «Pietro gli disse: ‘Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!’». La chiesa di oggi prosegue ancora la sua missione evangelizzatrice nel mondo traendo forza dal nome di Cristo. Le nostre preghiere e le nostre azioni ne traggono efficacia e motivo di santificazione. Non mancano purtroppo coloro che bestemmiano e profanano quel nome santo e benedetto. Saremo noi, davanti al Santo Volto, a riparare questi peccati. Santo Volto di Gesù guardaci con misericordia.

Gesù continua ad aprirsi con i suoi nei giorni che precedono la passione. Gli piace anticipare le realtà sublimi che otterrà per i suoi attraverso la sua ormai prossima morte e la sua risurrezione. Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, ha reso possibile che ci fosse una sola famiglia nel cielo e sulla terra, la famiglia dei figli di Dio. Il Padre eterno è nostro Padre, il suo regno, la sua casa e la vita divina del Cristo sono anche nostri. “Il Padre - posso dire con Gesù - mi ama”. È in questo nuovo ordine che la preghiera cristiana trova il suo posto. Noi prima non sapevamo chiedere, e non potevamo farlo. Non si tratta di pregare ma “di avere una relazione di amicizia con colui che, noi lo sappiamo, ci ama” (Teresa di Gesù, Vita 8). Noi, prima, non sapevamo domandare e non potevamo farlo. Ma, attualmente, dato che il Padre ci ama e desidera la nostra amicizia, possiamo essere sicuri di essere ascoltati, e di ricevere una grande gioia da quella amorosa comunicazione con lui, che è la preghiera. La nostra preghiera non è soltanto nostra, essa è anche e soprattutto quella di Cristo. Così terminano le preghiere della liturgia e così deve terminare la nostra: per Cristo nostro Signore.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre”.



Riflessione:

- Giovanni 16,23b: I discepoli hanno pieno accesso al Padre. È l’assicurazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli: possono accedere alla paternità di Dio in unione con Lui. La mediazione di Gesù porta i discepoli fino al Padre. È evidente che il ruolo di Gesù non è quello di sostituirsi ai «suoi»: non li assume mediante una funzione d’intercessione, ma li unisce a sé, e in comunione con Lui essi si presentano i loro bisogni e necessità. I discepoli hanno la certezza che Gesù dispone della ricchezza del Padre: «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (v.23b). In tale modalità, vale a dire, in unione con Lui, la richiesta diventa efficace. L’oggetto di qualunque domanda al Padre dev’essere sempre collegato a Gesù, vale a dire, al suo amore e al suo impegno di dare la vita per l’uomo (Gv 10,10). La preghiera rivolta al Padre nel nome di Gesù, in unione a Lui (Gv 14,13; 16,23), è esaudita. Finora i discepoli non hanno chiesto nulla nel nome di Gesù, ma lo potranno fare dopo la sua glorificazione (Gv 14,13s) quando riceveranno lo Spirito che li illuminerà pienamente sulla sua identità (Gv 4,22ss) e creerà l’unione con Lui. I suoi potranno chiedere e ricevere in pienezza di gioia quando passeranno dalla visione sensibile di Lui a quella della fede.

- Giovanni 16,24-25: In Gesù il contatto diretto col Padre. I credenti vengono assunti nel rapporto tra il Figlio e il Padre. In Gv 16,26 Gesù ritorna sul legame prodotto dallo Spirito e che permetterà ai suoi di presentare ogni richiesta al Padre in unione con Lui. Ciò avverrà «in quel giorno». Cosa vuol dire «quel giorno chiederete?». È il giorno in cui verrà dai suoi e comunicherà loro lo Spirito (Gv 20,19.22). È allora che i discepoli, conoscendo il rapporto tra Gesù e il Padre sapranno di essere esauditi. Non occorrerà che Gesù s’interponga fra il Padre e i discepoli per chiedere in loro favorire, non perché è finita la sua mediazione, ma essi avendo creduto nell’incarnazione del Verbo, ed essendo strettamente uniti a Cristo, saranno amati dal Padre come egli ama il Figlio (Gv 17,23.26). In Gesù i discepoli sperimentano il contatto diretto col Padre.

- Giovanni 16,26-27: La preghiera al Padre. Il pregare consiste, allora, nell’andare al Padre attraverso Gesù; rivolgersi al Padre nel nome di Gesù. Un’attenzione particolare merita l’espressione di Gesù al v.26-27: «e non vi dico che pregherà il Padre per voi: il Padre stesso, infatti, vi ama». L’amore del Padre per i discepoli si fonda sull’adesione dei «suoi» a Gesù sulla fede nella sua provenienza, vale a dire, il riconoscimento di Gesù come dono del Padre. Dopo aver assimilato a sé i discepoli Gesù sembra ritirarsi dalla sua condizione di mediatore ma in realtà permette che solo il Padre ci prenda e ci afferri: «Chiedete ed otterrete perché la vostra gioia sia piena» (v.24). Inseriti nel rapporto col Padre mediante l’unione in Lui, la nostra gioia è piena e la preghiera è perfetta. Dio offre sempre il suo amore al mondo intero, ma tale amore acquista il senso di reciprocità solo se l’uomo risponde. L’amore è incompleto se non diventa reciproco: finché l’uomo non lo accetta rimane in sospensione. Tuttavia i discepoli lo accettano nel momento in cui amano Gesù e così rendono operativo l’amore del Padre. La preghiera è questo rapporto d’amore. In fondo la storia di ciascuno di noi s’identifica con la storia della sua preghiera, anche quei momenti che non sembrano tali: l’ansia è già preghiera e così la ricerca, l’angoscia…



Per un confronto personale

- La mia preghiera personale e comunitaria avviene in uno stato di quiete, di pace e di grande tranquillità?

- Quale impegno dedico a crescere nell’amicizia con Gesù? Sei convinto di giungere a una reale identità attraverso la comunione con Lui e nell’amore del prossimo?

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:03 pm

Letture:

At 1,15-17.20-26 (La sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli)

Sal 112 (Il Signore mi ha scelto tra i poveri)

Gv 15,9-17 (Non vi chiamo più servi, ma amici)




Chi ci ama veramente?

È molto bello e significativo che il giorno della festa di un Apostolo, oggi S. Mattia, la liturgia ci faccia riascoltare le parole di Gesù: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». È l’ennesima dichiarazione esplicita da parte di Gesù per uno dei suoi prediletti. Quell’amore che non ha limiti ne confini, tocca gli accenti più elevati ed intensi quando il Maestro divino si rivolge a coloro che egli stesso ha prescelto e chiamato all’intimità della sua vita. È un amore della stessa natura e della stessa intensità di quello che unisce nella perfezione divina il Padre al Figlio; è un amore che è la terza persona della trinità, lo Spirito Santo. I destinatari privilegiati di oggi siamo noi Sacerdoti, noi, in cui Egli ha riposto la sua fiducia per essere i primi testimoni, che debbono doverosamente incarnare in tutta la persona, quella stessa di Cristo. Ha chiesto a Mattia, a tutti i suoi discepoli, a tutti noi, di rimanere nel suo amore; questa è la condizione indispensabile per essere come lui e poter agire fedelmente in sua vece. Ci ha scelti e consacrati per renderci capaci di consacrare, benedire, assolvere, educare e testimoniare la fede. Ci ha chiesto di diventare pane per tutti, di essere disposti a versare il nostro sangue, ad essere disponibili a fare di tutta la nostra vita una sacra celebrazione, una eucaristia continua. Il memoriale di Cristo infatti si perpetua e si attualizza nei suoi sacerdoti e per mezzo loro e con loro in tutti i fedeli. Sono essi perciò che debbono brillare come lampade poste sul lucerniere, sono essi che hanno, per divina disposizione, il compito di guidare, orientare, sostenere, amare tutti incondizionatamente. Per questo il Signore Gesù ha riversato amore particolare su ciascuno di essi, perché a loro volta siano capaci di spargere amore nel mondo, nel cuore di ogni uomo. La sublimità della missione la si comprende solo vivendola giorno dopo giorno, messa dopo messa. Sentirsi come Cristo non è quindi un privilegio di cui vantarsi, ma una missione da compiere in un atteggiamento di profonda umiltà, in una vera prostrazione, sempre pronti a lavare i piedi e a detergere ogni lacrima, ogni miseria, con l’acqua salutare e salvifica che incessantemente sgorga dal costato di Cristo. Rimanere nell’amore di Cristo allora significa comprendere la predilezione di cui indegnamente siamo stati fatto degni, significa sentire l’urgenza della testimonianza, significa soprattutto una intimità indissolubile di comunione con Lui, che ci consenta di somigliargli nel modo migliore possibile. Dobbiamo essere rigenerati dalla Madre di Dio, solo lei, piena di Spirito Santo, può plasmarci ad immagine del suo Figlio. Solo con lei possiamo a nostra volta generare Cristo sui nostri altari. È sempre lei la Madre, è suo per sempre il compito di dare alla luce il suo Figlio per noi. Solo lei può colmare il nostro cuore dai probabili vuoti, derivanti dalla nostra condizione. Sola la Vergine può essere la nostra Madre e la nostra Sposa. Con lei abbiamo la certezza di poter rimanere nell’amore di Cristo e saper spargere amore come Cristo.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.



Riflessione:

- Oggi è la festa dell’Apostolo Mattia. Il vangelo di Giovanni 15,9-17 è stato già meditato in aprile. Riprendiamo alcuni punti già visti quel giorno.

- Giovanni 15,9-11: Rimanete nel mio amore, fonte della perfetta gioia. Gesù rimane nell’amore del Padre osservando i comandamenti ricevuti da lui. Noi rimaniamo nell’amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato. E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui osservò i comandamenti del Padre: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. E in questa unione d’amore del Padre e di Gesù si trova la fonte della vera gioia: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.

- Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ha amati. Il comandamento di Gesù è uno solo: “amarci come lui ci amò!” (Gv 15,12). Gesù supera l’Antico Testamento. Il criterio antico era il seguente: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 18,19). Il nuovo criterio è: “Amatevi come io vi ho amato”. E la frase che fino ad oggi cantiamo dice: “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per il fratello!”

- Giovanni 15,14-15: Amici e non servi. “Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando”, cioè la pratica dell’amore fino al dono totale di sé! Subito Gesù presenta un ideale altissimo per la vita dei suoi discepoli. Dice: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi!” Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli. Ci racconta tutto ciò che ha udito dal Padre! Ecco l’ideale stupendo della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, al punto di non avere più segreti tra di noi e poter aver fiducia pienamente l’uno nell’altro, poter parlare dell’esperienza che abbiamo di Dio e della vita e, così, poterci arricchire a vicenda. I primi cristiani riusciranno a raggiungere questo ideale dopo molti anni. “Avevano un solo cuore ed un’anima sola” (At 4,32; 1,14; 2,42.46).

- Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo noi che abbiamo scelto Gesù. Lui ci incontrò, ci chiamò e ci affidò la missione di andare e dare frutto, frutto che duri. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui vuole aver bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare e fare oggi per la gente ciò che faceva per la gente di Galilea. L’ultima raccomandazione: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri!”



Per un confronto personale

- Amare il prossimo come Gesù ci ha amato. Ecco l’ideale di ogni cristiano. Come lo vivo?

- Tutto ciò che ho udito dal Padre ve l’ho raccontato. Ecco l’ideale della comunità: giungere ad una trasparenza totale. Come lo viviamo nella mia comunità?


Dagli scritti

Dalle «Omelie sugli Atti degli Apostoli» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

«In quei giorni, Pietro si alzò in mezzo ai fratelli e disse…» (At 1,15). Dato che era il più zelante e gli era stato affidato da Cristo il gregge, e dato che era il primo nell’assemblea, per primo prende la parola: Fratelli, occorre scegliere uno tra noi (cfr. At 1,21-22). Lascia ai presenti il giudizio, stimando degni d’ogni fiducia coloro che sarebbero stati scelti e infine garantendosi contro ogni odiosità che poteva sorgere. Infatti decisioni così importanti sono spesso origine di numerosi contrasti. E non poteva essere lo stesso Pietro a scegliere? Certo che poteva, ma se ne astiene per non sembrare di fare parzialità. D’altra parte non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo. «Ne furono proposti due, Giuseppe, detto Barsabba che era soprannominato Giusto e Mattia» (At 1,23). Non li presentò lui, ma tutti. Lui motivò la scelta, dimostrando che non era sua, ma già contemplata dalla profezia. Così egli fu solo l’interprete, non uno che impone il proprio giudizio. Per questo disse: «Bisogna che tra coloro che ci furono compagni» con quel che segue (At 1,21-22). Osserva quanta oculatezza richieda nei testimoni, anche se doveva venire lo Spirito; tratta con grande diligenza questa scelta. «Tra questi uomini», prosegue, «che sono stati con noi tutto il tempo che visse tra noi il Signore Gesù». Parla di coloro che erano vissuti con Gesù, non quindi semplici discepoli. All’inizio molti lo seguivano: ecco perché afferma: Era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù. «Per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni» (At 1,21). E si, perché gli avvenimenti accaduti prima, nessuno li ricordava con esattezza, ma li appresero dallo Spirito. «Fino al giorno in cui Gesù é stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione» (At 1,22). Non dice: testimone di ogni cosa, ma «testimone della sua risurrezione», semplicemente. Infatti era più credibile uno che affermasse: Colui che mangiava, beveva e fu crocifisso, é proprio lo stesso che é risuscitato. Perciò non era necessario che fosse testimone del passato né del tempo successivo e neppure dei miracoli, ma solo della risurrezione. Gli altri avvenimenti erano noti ed evidenti; la risurrezione invece era avvenuta di nascosto ed era nota solo a quei pochi. E pregavano insieme dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci…» (At 1,24). Tu, non noi. Molto giustamente lo invocano come colui che conosce i cuori: da lui, infatti, dev’essere fatta l’elezione, non da altri. Pregavano con tanta confidenza, perché era proprio necessario che uno fosse eletto. Non chiesero: Scegli, ma: «mostraci quale di questi due hai designato» (At 1,24), ben sapendo che tutto é già stabilito da Dio. «Gettarono quindi le sorti su di loro» (At 1,25). Non si ritenevano degni di fare essi stessi l’elezione, per questo desiderarono essere guidati da un segno.

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:14 pm

Letture:

At 15,1-2.22-29 (È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie)

Sal 65 (Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti)

Ap 21,10-14.22-23 (L’angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo)

Gv 14,23-29 (Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto)



Prenderemo dimora presso di lui
«Qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?». Così leggiamo nel Deuteronomio e siamo ancora nel vecchio testamento, quando tutto scaturiva da una alleanza tra Dio e il suo popolo e come frutto della preghiera. Il Signore Gesù già con la sua incarnazione stabilisce una alleanza nuova, alleanza che diventerà comunione totale di vita con il dono del suo corpo e del suo sangue. È una comunione di amore infinito da parte di Cristo, intenso, speriamo il nostro. È una simbiosi, cioè Vita nella vita, quella divina che prende possesso della nostra persona. È quindi una elevazione ad una nuova dignità; siamo riassunti da Dio nell’ambito del suo amore di Padre come figli. Questa è la motivazione fondamentale che dovrebbe smuovere il nostro amore come espressione di infinita gratitudine per l’insperato recupero. L’effusione dello Spirito giunge a completamento dell’opera salvifica di Cristo. Diventiamo anche noi capaci di amare nella stessa dimensione di quello Spirito. È allora che la comunione diventa piena, stabile, intensa. È lo stesso Signore a darci questa esaltante certezza: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». San Paolo così interrogava i primi cristiani: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?». È un interrogativo che conserva tutta la sua urgenza anche per noi, cristiani di oggi. Forse abbiamo ridotto le nostre comunioni a rari momenti della nostra vita, ad episodi liturgici senza giungere alla consapevolezza degli effetti che dovrebbero coinvolgere tutta la nostra vita. Pare che abbiamo, più o meno consapevolmente, creato una frattura tra il Dio della chiesa e quello della vita. Forse le nostre comunioni iniziano e finiscono tra i banchi di chiesa lasciandoci poi vuoti quando ritorniamo nelle strade del mondo. Quel Cristo che scende per noi sui nostri altari per diventare cibo e bevanda di salvezza, viene poi rilegato di nuovo in cielo se la nostra comunione non lo coinvolge nella realtà del vivere quotidiano. Viene da chiedersi in quanti cuori abita realmente la divinità e quanti di noi sono realmente tempio dello Spirito.

Un’antica leggenda racconta che san Giovanni evangelista, vecchio e ormai sul suo letto di morte, continuava a mormorare: “Figli miei, amatevi gli uni gli altri, amatevi gli uni gli altri...”. Questo testamento di Gesù, che egli ci ha trasmesso, era per lui molto importante. E, certamente, questo amore non era facile nemmeno in quei tempi. Non è mai così necessario parlare d’amore come là dove non ce n’è. È la stessa cosa che succede per la pace: non si è mai parlato tanto di pace come oggi, e intanto si continua a fare la guerra in moltissimi luoghi. Ma, proprio su questo punto, il Vangelo di Giovanni pone un’importante distinzione: c’è una pace di Gesù e un’altra pace, data dal mondo. San Giovanni attira la nostra attenzione sul fatto che noi non dobbiamo lasciarci accecare dalle parole, dobbiamo tenere conto soprattutto dello spirito nel quale esse sono dette. Dio ci ha mandato lo Spirito Santo per insegnarci la sua volontà. Il suo Spirito ci insegna anche a penetrare il senso delle parole. Possiamo allora rivolgerci a lui quando siamo disorientati, quando ci sentiamo deboli, quando non sappiamo più cosa fare. È un aiuto al quale possiamo ricorrere quando ci aspettano decisioni difficili da prendere. Egli ci aiuta!



Approfondimento del Vangelo (Lo Spirito Santo ci aiuterà a comprendere le parole di Gesù)

Il testo: Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate».



Momento di silenzio: Lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.


Domande:

- “E noi verremo a lui e prenderemo dimora”: guardando nei nostri accampamenti interiori, troveremo la tenda della shekinah (presenza) di Dio?

- “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”: Sono parole svuotate dal nostro non amore le parole di Cristo per noi? Oppure potremo dire di osservarle come guida al nostro cammino?

- “Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”: Gesù torna al Padre, ma tutto quello che Lui ha detto e fatto resta fra noi. Quando saremo in grado di fare memoria dei prodigi che la grazia divina ha compiuto in noi? Accogliamo la voce dello Spirito che suggerisce nell’intimo il significato di tutto ciò che è avvenuto?

- “Vi do la mia pace: La pace di Cristo è la sua risurrezione”: quando l’inquietudine e la smania del fare che ci allontana dalle sorgenti dell’essere abbandonerà il domicilio della nostra vita? Dio della pace, quando vivremo unicamente di te, pace della nostra attesa?

- “Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate”: Prima che avvenga... Gesù ama spiegarci in anticipo cosa avverrà, perché gli eventi non ci trovino impreparati. Ma siamo in grado noi di leggere i segni delle nostre vicende con le parole già udite da Lui?



Chiave di lettura: Prendere dimora. Il cielo non ha luogo migliore che un cuore umano innamorato. Perché in un cuore dilatato i confini si ampliano e ogni barriera di tempo e di spazio si annulla. Vivere nell’amore equivale a vivere in cielo, a vivere in Colui che è amore, e amore eterno.

- v. 23. Gli rispose Gesù: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Alle sorgenti di ogni esperienza spirituale c’è sempre un movimento verso. Da un piccolo passo, si muove poi tutto in armonia. E il passo da compiere è uno solo: Se uno mi ama. Si può davvero amare Gesù? E come visto che il suo volto non è più tra la gente? Amare: cosa significa veramente? Amare in genere per noi equivale a volersi bene, stare insieme, fare delle scelte per costruire un futuro, donarsi... ma amare Gesù non è la stessa cosa. Amare Lui significa fare come ha fatto Lui, non tirarsi indietro di fronte al dolore, alla morte; amare come Lui significa chinarsi ai piedi dei fratelli per rispondere ai loro bisogni vitali; amare come Lui porta molto lontano... ed è in questo amore che la parola diventa pane quotidiano di cui cibarsi e la vita diventa cielo per la presenza del Padre.

- v. 24-25. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Se l’amore non c’è, le conseguenze sono disastrose. Le parole di Gesù si possono osservare solo se c’è amore in cuore, altrimenti restano proposte assurde. Quelle parole non sono di un uomo, nascono dal cuore del Padre che propone a tutti noi di essere come Lui. Non si tratta tanto nella vita di fare delle cose, pur buone che sia. È necessario essere uomini, essere figli, essere immagini simili a Chi non cessa mai di donare tutto Se stesso.

- vv. 25-26. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Fare memoria è azione dello Spirito: quando nelle nostre giornate il passato scivola via come qualcosa di perennemente perduto e il futuro sta lì quasi minaccioso a toglierti la gioia dell’oggi, solo il Soffio divino in te può condurti a far memoria. Memoria di ciò che è stato detto, di ogni parola uscita dalla bocca di Dio per te, e dimenticata per il fatto che è passato del tempo.

- v. 27. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. La pace di Cristo per noi non è assenza di conflitti, serenità di vita, salute... ma pienezza di ogni bene, assenza di turbamento di fronte a ciò che avviene. Il signore non ci assicura il benessere, ma la pienezza della figliolanza in una adesione amorevole ai suoi progetti di bene per noi. La pace la possederemo, quando avremo imparato a fidarci di quello che il Padre sceglie per noi.

- v. 28. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ritorna il discorso dell’amore. Se mi amaste, vi rallegrereste. Ma che senso ha questa espressione sulle labbra del Maestro? Potremmo completare la frase e dire: Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre... ma siccome pensate a voi, siete tristi perché io vado via. L’amore dei discepoli è amore di egoismo. Non amano a Gesù perché non pensano a Lui, pensano per sé. Allora l’amore che Gesù richiede, è quest’amore! Un amore capace di gioire perché l’altro sia felice. Un amore capace di non pensare a sé come centro di tutto l’universo, ma come luogo in cui il sentire si fa aperto a dare per poter ricevere: non in contraccambio, ma come “effetto” del dono consegnato.

- v. 29. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. Gesù istruisce i suoi perché sa che resteranno confusi e saranno lenti a capire. Le parole dette non si dileguano, restano presenza nel mondo, tesori di comprensione per la fede. Un incontro con l’Assoluto che è da sempre e per sempre a favore dell’uomo.



Riflessione: Amore. Parola magica e antica quanto il mondo, parola familiare che nasce all’orizzonte di ogni uomo nel momento in cui è chiamato all’esistenza. Parola scritta nelle sue fibre umane come origine e fine, come strumento e pace, come pane e dono, come sé, come altri, come Dio. Parola affidata alla storia attraverso la nostra storia di quotidianità. Amore, un patto che da sempre ha un solo nome: uomo. Sì perché l’amore coincide con l’uomo: amore è l’aria che respira, amore è il cibo che gli è dato, amore è il riposo cui si affida, amore è il vincolo che fa di lui una terra di incontro. Quell’amore con cui Dio ha guardato la sua creazione e ha detto: “È cosa molto buona”. E non si è rimangiato l’impegno preso quando l’uomo ha fatto di se stesso un rifiuto più che un dono, uno schiaffo più che una carezza, una pietra lanciata più che una lacrima raccolta. Ha amato ancora di più con gli occhi e il cuore del Figlio, fino alla fine. Quest’uomo che si è reso fiaccola ardente di peccato il Padre l’ha redento, ancora e unicamente per amore, nel Fuoco dello Spirito.



Contemplazione: Ti vedo, Signore, dimorare nei miei giorni attraverso la tua parola che accompagna i miei momenti più forti, quando il mio amore per te si fa ardito e non mi tiro indietro di fronte a ciò che sento non mi appartiene. Quello Spirito che è come il vento: spira dove vuole e non senti la sua voce, quello Spirito si è fatto spazio in me, e ora posso dirti che è come un caro amico con cui fare memoria. Riandare con il ricordo alle parole dette, agli eventi vissuti, alla presenza percepita strada facendo, fa bene al cuore. Mi sento abitato più in profondità ogni volta che nel silenzio balza alla mente una tua frase, un tuo invito, una tua parola di compassione, un tuo silenzio. Le notti della tua preghiera mi consentono di pregare il Padre e di trovare pace. Signore, tenerezza celata nelle pieghe dei miei gesti, concedimi di far tesoro di tutto ciò che sei: un rotolo spiegato in cui è facile carpire il senso del mio vivere. Che le mie parole siano dimora delle tue parole, che la mia fame sia dimora di te, pane di vita, che il mio dolore sia una tomba vuota e un sudario ripiegato perché tutto ciò che vuoi sia compiuto, fino all’ultimo respiro. Ti amo, Signore, mia roccia.

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:20 pm

Letture:

At 16,1-10 (Vieni in Macedonia e aiutaci!)

Sal 99 (Acclamate il Signore, voi tutti della terra)

Gv 15,18-21 (Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo)




La pace la gioia e la fiducia

Lo stesso Gesù si fa garante del futuro della sua chiesa nascente. Inviando i suoi ad andare in tutto il mondo per annunciare l’avvento del suo regno, ha predetto loro odi, rifiuti e persecuzioni, ma tutto ciò, quasi per assurdo, viene annoverato tra le beatitudini: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Egli vuole così dirci che insulti e persecuzioni non potranno inficiare la pace della sua chiesa, anzi proprio da quegli eventi, sgorgherà la migliore fecondità. Neanche la gioia potrà essere compromessa come testimonieranno, prima gli apostoli, e poi la schiera dei testimoni di Cristo nel corso della storia fino ai nostri giorni. Già San Paolo affermava: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa!». Non c’è quindi contraddizione tra la pace, la gioia e la fiducia cristiana e le inevitabili persecuzioni, anzi in Cristo, crocifisso e risorto, abbiamo scoperto che queste sono la via della vita, la certezza della risurrezione. Alla sofferenza che uccide Egli ha sostituito quella che salva. Per questo predice ai suoi seguaci: «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». Tra i grandi doni della fede cristiana dobbiamo annoverare sicuramente quello che ci consente di valorizzare agli occhi di Dio anche gli eventi più negativi della nostra esistenza. L’esempio dei martiri ci illumini.

Una fede da proteggere e diffondere con la spada è ben debole. La storia è del resto consapevole del paradosso che fa sì che la fede cristiana diventi più forte quando è perseguitata. Il sangue dei martiri, scriveva Tertulliano, è seme di cristiani. Ai giorni nostri, il termine “martire” è usato per definire chiunque soffra e muoia per una “causa”, che può essere l’idea di nazione, la rivoluzione sociale, persino la “guerra santa” caldeggiata dai fanatici. Ma simili martiri sono causa di sofferenze maggiori di quelle inflitte a loro stessi. Il vero martire (dal greco, che significa testimone) soffre semplicemente perché è cristiano: testimone di Cristo. Il nostro secolo è stato davvero il secolo del martirio, con innumerevoli martiri, come i cristiani armeni in Turchia, i cattolici in Messico, nella Germania nazista, nell’ex Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est, in Cina, in Corea, in Vietnam, in Sudan... L’elenco potrebbe continuare. E, per restare vicino a noi, molti sono coloro che affrontano un martirio “bianco”, cioè senza spargimento di sangue, tentando semplicemente di vivere la fede in un mondo sempre più ateo o predicando le esigenze integrali dell’insegnamento della Chiesa nel campo della morale, avendo per fondamento la rivelazione di Cristo. Non dobbiamo essere sorpresi, ma piuttosto rallegrarci ed essere felici: è questo che egli ci ha promesso.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”.



Riflessione:

- Giovanni 15,18-19: L’odio del mondo. “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”. Il cristiano che segue Gesù è chiamato a vivere in modo contrario alla società. In un mondo organizzato a partire dagli interessi egoistici di persone e gruppi, chi cerca di vivere ed irradiare l’amore sarà crocifisso. È stato questo il destino di Gesù. Per questo, quando un cristiano è molto elogiato dai poteri di questo mondo ed è esaltato quale modello per tutti dai mezzi di comunicazione, è bene non fidarsi troppo. “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. È stata la scelta di Gesù che ci ha separato. È basandoci su questa scelta o vocazione gratuita di Gesù che abbiamo la forza di sopportare la persecuzione e la calunnia e che possiamo avere gioia, malgrado le difficoltà.

- Giovanni 15,20: Il servo non è più grande del suo signore. “Un servo non è più grande del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra”. Gesù aveva già insistito su questo stesso punto nella lavanda dei piedi (Gv 13,16) e nel discorso della Missione (Mt 10,24-25). Ed è questa identificazione con Gesù che, lungo due secoli, dette tanta forza alle persone per continuare il cammino ed è stata fonte di esperienza mistica per molti santi e sante martiri.

- Giovanni 15,21: Persecuzione a causa di Gesù. “Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. L’insistenza ripetuta dei vangeli nel ricordare le parole di Gesù che possano aiutare le comunità a capire il perché delle crisi e delle persecuzioni è un segno evidente che i nostri fratelli e le nostre sorelle delle prime comunità non ebbero una vita facile. Dalla persecuzione di Nerone dopo Cristo fino alla fine del primo secolo, loro vivevano sapendo che potevano essere perseguitati, accusati, incarcerati ed uccisi in qualsiasi momento. La forza che li sosteneva era una certezza che Gesù comunicava che Dio era con loro.



Per un confronto personale

- Gesù si rivolge a me e mi dice: Se tu fossi del mondo, il mondo amerebbe ciò che è tuo. Come applico questo nella mia vita? In me ci sono due tendenze: il mondo e il vangelo. Quale dei due ha la precedenza?


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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:25 pm

Letture:

1Cor 15,1-8 (Il Signore apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli)

Sal 18 (Risuona in tutto il mondo la parola di salvezza)

Gv 14,6-14 (Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto?)




Io sono la via

Al di là dei dati storici, l’apostolo Filippo si è reso famoso per una audace richiesta rivolta a Gesù, mentre parlava della sua identità con il Padre: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Richiesta audace, l’abbiamo definita, ma anche emblematica perché l’apostolo esprimeva in quella sua domanda, l’ansia di Dio, racchiusa da sempre nel cuore dell’uomo. Il figlio senza padre, si sente orfano e stenta a comprendere la sua vera identità; l’uomo senza Dio si sente smarrito, disorientato e solo. Dobbiamo perciò gratitudine a questo apostolo perché ha offerto a Gesù l’occasione sia di ribadire la sua divinità, sia di indicarci la sua persona come icona perfetta del Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre». Non ci sfugge poi che dentro la sua curiosità si nasconde un bisogno autentico di spirituale ascensione verso le verità ultime: un bell’esempio per tutti noi, forse più superficiali nelle nostre ricerche e meno autentici nei nostri desideri. In quest’ansia di bene e nel comune desiderio di comprendere e testimoniare le «cose» di Dio, vediamo accomunato l’altro apostolo, Giacomo detto il minore, per distinguerlo dall’altro apostolo dallo stesso nome. Anch’egli è stato un seguace di Cristo, anch’egli nel volto del salvatore ha saputo rimirare il volto stesso di Dio, anch’egli è stato un eroico testimone del vangelo. Ha scritto una lettera, che ce lo fa riconoscere come profondo conoscitore della scrittura e dei detti del Signore. Egli mostra una predilezione per i poveri e per gli umili, che ritiene favoriti da Dio. Pare egli voglia commentare le beatitudini pronunciate dal Signore. Altro tema caro a Giacomo è la concretezza della fede, che non può esaurirsi in un credo sterile, ma esige espressioni da attuare nella vita. Davvero i santi si assomigliano e si integrano vicendevolmente: Filippo ci sollecita a rimirare nel volto di Cristo l’immagine stessa del Padre; Giacomo ci fa intendere che anche una vita semplice ed umile, se alimentata dalla fede operosa, è accetta a Dio. Abbiamo molti motivi per invocarli entrambi.

L’annuncio della partenza di Gesù dato durante l’ultima cena (Gv 13,33) provoca la domanda di Pietro: “Signore dove vai?” (Gv 13,36). Dopo aver annunciato il rinnegamento di Pietro, Gesù consola gli apostoli dicendo loro che va a preparare un posto per loro e aggiunge: “Per andare dove vado io, voi conoscete la strada” (Gv 14,4). Queste parole di Gesù hanno un duplice scopo nella mente dell’evangelista. Riportano in primo luogo all’insegnamento di Gesù, e in particolare al comandamento nuovo (Gv 13,34-35) indicando quale sia il cammino da seguire. Ma servono anche a motivare le domande di Tommaso, che provocherà una delle più belle dichiarazioni del Vangelo. In effetti Tommaso chiede: “Signore, noi non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Gesù gli risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,5-6). La risposta di Gesù ci rivela ancora una volta e con profondità il mistero della sua persona. Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è la via verso il Padre. Una via unica ed esclusiva (“Nessuno va verso il Padre se non per mezzo di me”). Una via personale. Una via che si identifica con lo scopo perché egli è la verità e la vita (san Tommaso d’Aquino). La dichiarazione di Gesù prosegue: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (Gv 14,7). Conoscere Gesù significa conoscere il Padre, Dio amore. Gli apostoli conoscono già il Padre e in qualche modo lo hanno visto nel Figlio, nel suo dono di amore. La domanda di Filippo e la riposta di Gesù (Gv 14,8-10) indicano unità tra il Padre e il Figlio, così stretta che sono parole e opere di salvezza, di amore, di dono di vita. L’opera di Gesù rappresenta la prova migliore di questa unità. Nei tre versetti seguenti, Gesù fa due magnifiche promesse. In primo luogo promette al credente che compirà opere più grandi ancora delle sue (Gv 14,12) e poi promette di ascoltare sempre la preghiera di colui che la rivolgerà al Padre nel suo nome (Gv 14,13-14).



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse a Tommaso: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”.



Riflessione

- Il vangelo di oggi, festa degli apostoli Filippo e Giacomo, è lo stesso che abbiamo meditato durante la quarta settimana di Pasqua, e narra la richiesta dell’apostolo Filippo a Gesù: “Mostraci il Padre, e questo ci basta”.

- Giovanni 14,6: Io sono la via, la verità e la vita. Tommaso aveva rivolto una domanda: “Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere il cammino?” (Gv 14,5). Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Tre parole importanti. Senza la via, non si va. Senza la verità non si fa una buona scelta. Senza vita, c’è solo morte! Gesù spiega il senso. Lui è la via, perché “nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E lui è la porta da dove entrano ed escono le pecore (Gv 10,9). Gesù è la verità, perché guardando lui, stiamo vedendo l’immagine del Padre. “Chi conosce me conosce il Padre!” Gesù è la vita, perché camminando come Gesù staremo uniti al Padre ed avremo vita in noi!

- Giovanni 14,7: Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Tommaso aveva chiesto:”Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?” Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita! Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.Ed aggiunse: “Se conoscete me, conoscete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Questa è la prima frase del vangelo di oggi. Gesù parla sempre del Padre, perché era la vita del Padre che appariva in tutto ciò che diceva e faceva. Questo riferimento costante al Padre provoca la domanda di Filippo.

- Giovanni 14,8-11: Filippo chiede: “Mostraci il Padre e ci basta!”. Era il desiderio dei discepoli, il desiderio di molte persone delle comunità del Discepolo Amato ed è il desiderio di molta gente oggi. Come fa la gente per vedere il Padre di cui tanto parla Gesù? La risposta di Gesù è molto bella ed è valida fino ad oggi: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto! Chi ha visto me ha visto il Padre!” La gente non deve pensare che Dio è lontano da noi, distante e sconosciuto. Chi vuole sapere come e chi è Dio Padre, basta che guardi Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! “Il Padre è in me ed io sono nel Padre!” Attraverso la sua obbedienza, Gesù si è identificato totalmente con il Padre. Lui faceva ogni momento ciò che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! Ed i segni o le opere sono le opere del Padre! Come dice la gente: “Il figlio è il volto del padre!” Per questo in Gesù e per Gesù, Dio sta in mezzo a noi.

- Giovanni 14,12-14: Promessa di Gesù. Gesù fa una promessa per dire che la sua intimità con il Padre non è un privilegio solo suo, ma è possibile per tutti coloro che credono in lui. Anche noi, mediante Gesù, possiamo giungere a fare cose belle per gli altri come faceva Gesù per la gente del suo tempo. Lui intercede per noi. Tutto ciò che la gente chiede a lui, lui lo chiede al Padre e lo ottiene, sempre che sia per servire. Gesù è il nostro difensore. Se ne va ma non ci lascia senza difesa. Promette che chiederà al Padre e il Padre manderà un altro difensore o consolatore, lo Spirito Santo. Gesù giunse a dire che era necessario che lui andasse via, perché altrimenti lo Spirito Santo non sarebbe potuto venire (Gv 16,7). E lo Spirito Santo compirà le cose di Gesù in noi, se agiamo nel nome di Gesù ed osserviamo il grande comandamento della pratica dell’amore.



Per un confronto personale

- Gesù è la via, la verità e la vita. Senza la via, senza la verità e senza la vita non si vive. Cerca di far entrare questo nella tua coscienza.

- Due domande importanti: Chi è Gesù per me? Chi sono io per Gesù?


Dagli scritti

Dalle “Omelie sui Vangeli” di San Gregorio Magno, papa

Vi vorrei esortare a lasciar tutto, ma non oso. Se dunque non potete lasciare tutte le cose del mondo, usate le cose di questo mondo in modo da non essere trattenuti nel mondo; in modo da possedere le cose terrene, non da esserne posseduti; in modo che quello che possedete rimanga sotto il dominio del vostro spirito e non diventi esso stesso schiavo delle sue cose, e non si faccia avvincere dall’amore delle realtà terrestri. Dunque i beni temporali siano in nostro uso, i beni eterni siano nel nostro desiderio; i beni temporali servano per il viaggio, quelli eterni siano bramati per il giorno dell’arrivo. Tutto quello che si fa in questo mondo sia considerato come marginale. Gli occhi dello spirito siano rivolti in avanti, mentre fissano con tutto interesse le cose che raggiungeremo. Siano estirpati fin dalle radici i vizi, non solo dalle nostre azioni, ma anche dai pensieri del cuore. Non ci trattengano dalla cena del Signore né i piaceri della carne, né le brame della cupidigia, né la fiamma dell’ambizione. Le stesse cose oneste che trattiamo nel mondo, tocchiamole appena, quasi di sfuggita, perché le cose terrene che ci attirano servano al nostro corpo in modo da non ostacolare assolutamente il cuore. Non osiamo perciò, fratelli, dirvi di lasciare tutto; tuttavia, se volete, anche ritenendole tutte, le lascerete se tratterete le cose temporali in modo da tendere con tutta l’anima alle eterne. Usa infatti del mondo, ma è come se non ne usasse, colui che indirizza al servizio della sua vita anche le cose necessarie e tuttavia non permette che esse dominino il suo spirito, in modo che siano sottomesse al suo servizio e mai infrangano l’ardore dell’anima rivolta al cielo. Tutti coloro che si comportano così, hanno a disposizione ogni cosa terrena non per la cupidigia, ma per l’uso. Non vi sia niente dunque che alteri il desiderio del vostro spirito, nessun diletto di nessuna cosa vi tenga avvinti a questo mondo. Se si ama il bene, la mente trovi gioia nei beni più alti, quelli celesti. Se si teme il male, si abbiano davanti allo spirito i mali eterni, perché mentre il cuore vede che là si trova ciò che più si deve amare e più si deve temere, non si attacchi assolutamente a quanto si trova di qui. Per far questo abbiamo come nostro aiuto il mediatore di Dio e degli uomini, per mezzo del quale otterremo prontamente ogni cosa, se ardiamo di vero amore per lui, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli. Amen. (Lib. 2, 36. 11-13; PL 76, 1272-1274).

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:30 pm

Letture:

At 14,21-27 (Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro)

Sal 144 (Benedirò il tuo nome per sempre, Signore)

Ap 21,1-5 (Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi)

Gv 13,31-35 (Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri)



Il comandamento nuovo

Poteva sgorgare soltanto dal cuore e dalle labbra di Cristo il comandamento nuovo. Egli soltanto ha potuto gridare al mondo: «Che vi amiate gli uni gli altri». Soltanto Cristo poteva determinare un chiaro ed inconfutabile termine di paragone: «Come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri». Egli stesso aveva stabilito come esprimere il massimo dell’amore: «Non esiste un amore più grande di questo, dare la vita…». Esattamente come Egli ha fatto con la sua volontaria immolazione sulla croce. Gesù aggiunge che sarà proprio il compimento del suo nuovo comandamento, praticato eroicamente da suoi fedeli, a convincere altri ad abbracciare la stessa fede. È vero che l’amore, quando è vissuto nel modo migliore, sull’esempio di Cristo, esercita un fascino irresistibile e diventa il migliore mezzo di attrazione alla fede. Dobbiamo riflettere anche sul contrario; viene da pensare che se il cristianesimo non ha ancora raggiunto la sua migliore espressione e diffusione in questo nostro mondo, lo dobbiamo sicuramente anche alla mancanza di amore da parte di noi credenti. Quando Gesù parla della sua glorificazione, include nel suo discorso tutta la sua storia, conformata perfettamente alla volontà del Padre, include anche la sua passione. Ciò vuol dire che l’amore del cristiano passa inevitabilmente nell’arduo percorso del calvario, non si arresta, anche se ne è tentato, nella gloria e nella beatitudine del Tàbor. Amore è anche sacrificio, conduce però sempre verso la pasqua, verso la glorificazione. Questa è la vera forza del cristianesimo, questa è l’energia che sgorgata dalla croce, diventa amore, diventa spesso anche passione che è però preludio di risurrezione.

Il Vangelo di oggi ci trasmette il testamento di Gesù. È diretto ai suoi discepoli, turbati dalla partenza di Giuda. Ma è anche diretto ai numerosi discepoli che succedono a loro e vivono il periodo di Pasqua alla ricerca di un orientamento. Sono soprattutto essi che trovano qui una risposta alle loro domande: Che cosa è successo di Gesù? Ritornerà? Come incontrarlo? Che cosa fare adesso? Sono alcune delle domande che capita anche a noi di fare. In fondo, il Vangelo ci dà una risposta molto semplice: è un nuovo comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. Ma se ci si dedica a seguire questo comandamento, ci si accorge molto presto che l’amore non si comanda. Eppure, se si è capaci di impegnarsi ad amare il proprio prossimo per amore di Gesù - come egli stesso ha fatto - si trova ben presto la risposta a parecchie altre domande. Ci si rende conto che il cammino di Gesù è un cammino di vita, per lui ma anche per molte altre persone intorno a lui.



Approfondimento del vangelo (Il nuovo comandamento: amare il prossimo come Gesù ci ha amati)

Il testo: Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi, dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri».



Momenti di silenzio orante: Il brano del vangelo che ci accingiamo a meditare riporta alcune parole di addio di Gesù rivolte ai suoi discepoli. Tale brano è da considerarsi una specie di sacramento dell’incontro con la Persona vive e vera di Gesù.



Preambolo al discorso di Gesù: Il nostro brano conclude il cap. 13 dove due temi s’intrecciano per essere poi ripresi e sviluppati nel cap. 14: dove il Signore va e dunque il luogo; e il tema del comandamento dell’amore. Alcune osservazioni sul come è articolato il contesto in cui sono inserite le parole di Gesù sul comandamento nuovo possono essere di aiuto per giungere ad alcune riflessioni preziose sui contenuti. Innanzitutto al v.31 si dice «quando fu uscito», di chi si tratta? Per capirlo bisogna ricorre al v.30 dove si dice che «egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte». Quindi il personaggio che esce è Giuda. L’espressione, poi, «ed era notte», è caratteristica di tutti i «discorsi d’addio» che appunto avvengono nella notte. Le parole di Gesù in Gv 13,31-35 sono precedute da questa immersione nel buio della notte. Qual è il significato simbolico? In Giovanni la notte rappresenta il momento più alto dell’intimità sponsale (per esempio la notte nuziale), ma anche quella dell’estrema angoscia. Altri significati del buio notturno: rappresenta il pericolo per antonomasia, è il momento in cui il nemico tesse le trame della vendetta verso di noi, esprime il momento della disperazione, della confusione, del disordine morale ed intellettuale. Il buio della notte è come una via senza uscita. In Gv 6, durante la tempesta notturna, il buio della notte esprime l’esperienza della disperazione e della solitudine mentre essi sono in balia delle forze oscure che agitano il mare. Ancora, l’annotazione temporale “mentre era ancora buio” in Gv 20,1 sta a indicare le tenebre provocate dall’assenza di Gesù. Infatti nel vangelo di Giovanni il Cristo luce non si trova nel sepolcro, perciò regna il buio (20,1). A ragione, dunque, i «discorsi d’addio» vanno considerati all’interno di questa cornice temporale. Quasi indicare che il colore di fondo di questi discorsi è la separazione, la morte o la partenza di Gesù darà luogo a un senso di vuoto o di amara solitudine. Nell’oggi della chiesa e dell’umanità potrebbe significare che quando Gesù, lo rendiamo assente nella nostra vita, si affaccia l’esperienza dell’angoscia e della sofferenza. Riportando le parole di Gesù in 3,31-34, eco della sua partenza e della sua morte immediata, l’evangelista Giovanni ha rievocato il suo passato vissuto con Gesù, intessuto di ricordi che hanno aperto gli occhi alla ricchezza misteriosa del Maestro. Tale rievocazione del passato fa’, anche, parte del cammino della fede. È caratteristico dei «discorsi d’addio» che tutto ciò che si trasmette, in particolar modo nel momento così tragico e solenne della morte, diventi patrimonio inalienabile, testamento da custodire con fedeltà. Anche quelli di Gesù sintetizzano tutto ciò che ha insegnato e compiuto, con l’intento di sollecitare i discepoli a proseguire nella stessa direzione da lui indicata.



Per l’approfondimento: La nostra attenzione si ferma, innanzitutto, sulla prima parola utilizzata da Gesù in questo discorso d’addio che leggiamo in questa domenica di Pasqua: «Ora». «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato». Di quale «ora» si tratta? È il momento della croce che coincide con la glorificazione. Quest’ultimo termine nel vangelo di Giovanni coincide con la manifestazione, o rivelazione. Quindi la croce di Gesù è l’«ora» della massima epifania o manifestazione della verità. Và escluso ogni significato circa l’essere glorificato che possa far pensare a qualcosa di relativo all’«onore», al «trionfalismo», ecc. Da un lato Giuda entra nella notte, Gesù si prepara alla gloria: «Quando fu uscito, Gesù disse: “Ora è stato glorificato il Figlio dell’uomo, e Dio si è glorificato in lui; poiché Dio si è glorificato in lui, Dio lo glorificherà in se stesso, e lo glorificherà subito” (v.31-32). Il tradimento di Giuda matura in Gesù la convinzione che la sua morte è «gloria». L’ora della morte in croce è compresa nel piano di Dio; è l’«ora» nella quale sul mondo, mediante la gloria del «Figlio dell’uomo», risplenderà la gloria del Padre. In Gesù, che offre la vita al Padre nell’«ora» della croce, Dio si glorifica rivelando il suo essere divino e accogliendo nella sua comunione tutti gli uomini. La gloria di Gesù (del Figlio) consiste nel suo «estremo amore» per tutti gli uomini, tanto da offrirsi anche a coloro che lo tradiscono. Un amore, quello del Figlio, che si fa carico di tutte quelle situazioni distruttive e drammatiche che gravitano sulla vita e la storia degli uomini. Il tradimento di Giuda simboleggia, non tanto l’atto di un singolo, ma quello di tutta l’umanità malvagia e infedele alla volontà di Dio. Tuttavia, il tradimento di Giuda resta un evento gravido di mistero. Scrive un esegeta: con il suo tradire Gesù, «la colpa è inserita nella rivelazione; è persino a servizio della rivelazione» (Simoens, Secondo Giovanni, 561). In certo qual modo il tradimento di Giuda offre la possibilità di conoscere meglio l’identità di Gesù: il suo tradire ha permesso di comprendere fino a che punto è giunta la predilezione di Gesù per i suoi. Scrive Don Primo Mazzolari: «Gli apostoli sono diventati degli amici del Signore, buoni o no, generosi o no; fedeli o no rimangono sempre degli amici. Non possiamo tradire l’amicizia del Cristo: Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici, anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di lui, anche quando lo neghiamo. Davanti ai suoi occhi e al suo cuore noi siamo sempre gli “amici” del Signore. Giuda è un amico del Signore anche nel momento in cui, baciandolo, consuma il tradimento del Maestro» (Discorsi 147).



Il comandamento nuovo: Fermiamo la nostra attenzione sul memoriale del comandamento nuovo. Al v.33 notiamo un cambiamento del discorso d’addio di Gesù, non usa più la terza persona ma c’è un «tu» al quale il Maestro rivolge la sua parola. Questo «tu» è espresso al plurale e con un termine greco che esprime profonda tenerezza: «figliuoli» (teknía). Più concretamente: Gesù utilizzando questo termine intende comunicare ai suoi discepoli, col tono della sua voce e con l’apertura del suo cuore, l’immensa tenerezza che nutre per loro. Interessante è anche un’altra indicazione che troviamo al v.34: «che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato». Il termine greco Kathòs «come», non indica di per sé un paragone: come io vi ho amati, cosi voi amatevi. Il senso potrebbe essere consecutivo o causale: «Siccome vi ho amati, così amatevi anche voi». C’è chi come P.Lagrange vede in questo comandamento di Gesù un senso escatologico: durante la sua relativa assenza, Gesù, in attesa del suo definitivo ritorno, vuole essere amato e servito nella persona dei suoi fratelli. Il comandamento nuovo è l’unico comandamento. Se manca, manca tutto. Scrive Magrassi: «Via le etichette e le classificazioni: ogni fratello è sacramento di Cristo. Interroghiamoci sulla nostra vita quotidiana: si può vivere accanto al fratello dalla mattina alla sera senza accettarlo e senza amarlo? La grande operazione in questo caso è l’estasi nel senso etimologico della parola: uscire da me per farmi prossimo a chiunque ha bisogni di me, cominciando dai più vicini e cominciando dalle cose umili di ogni giorno» (Vivere la chiesa, 113).



Per la riflessione:

- Il nostro amore per i fratelli è proporzionato direttamente all’amore per Cristo?

- So riconoscere il Signore presente nella persona del fratello, della sorella?

- So cogliere le piccole occasioni quotidiane per fare del bene agli altri?

- Interroghiamoci sulla nostra vita quotidiana: si può vivere accanto ai fratelli dalla mattina alla sera senza accettarli e senza amarli?

- La carità dà significato a tutto nella mia vita?

- Cosa posso fare io per mostrare la mia riconoscenza al Signore che per me è venuto a farsi servo e ha consacrato per il mio bene tutta la sua vita? Gesù risponde: Servimi nei miei fratelli: è questo il modo più autentico per dimostrare il realismo del tuo amore per me.



Pregare con i Padri della Chiesa: T’amo per te stesso, t’amo per i tuoi doni, t’amo per amor tuo e t’amo in modo che, se giammai un giorno Agostino fosse Dio e Dio fosse Agostino, io vorrei tornare a essere quello che sono, Agostino, per fare di te quello che sei, perché tu solo sei degno di essere chi sei. Signore, tu lo vedi, la mia lingua vaneggia, non so esprimermi, ma non vaneggia il cuore. Tu vedi quello che io provo e quello che non so dirti. Io ti amo, mio Dio, e il mio cuore è angusto a tanto amore, e le mie forze cedono a tanto amore, e il mio essere è troppo piccolo per tanto amore. Io esco dalla mia piccolezza e tutto in te mi immergo, mi trasformo e mi perdo. Fonte dell’essere mio, fonte di ogni mio bene: mio amore e mio Dio (S. Agostino: Le confessioni).

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:36 pm

Letture:

Gn 1,26 - 2,3 (Riempite la terra e soggiogatela)

Sal 89 (Benedici, Signore, l’opera delle nostre mani)

Mt 13,54-58 ((Non è egli forse il figlio del carpentiere?)




Il Figlio del carpentiere
Celebriamo la memoria di san Giuseppe, un santo di cui non sappiamo molto. Giuseppe, anche lui, come la Madonna Santissima, l’uomo di fede, di fede e di speranza. Anche lui ha creduto, ha creduto alla Parola, senza pretendere di capire tutto, come Maria. Il vangelo ci presenta la sua famiglia, una famiglia semplice… eppure Gesù, anche se non ha studiato nelle scuole di Gerusalemme stupisce per la sua saggezza. Oggi la nostra attenzione però viene spostata al lavoro. San Giuseppe lavoratore… La reazione della gente di Nàzaret, nel vangelo di oggi, a proposito della sapienza di Gesù fa pensare al capitolo del Siràcide, che contrappone il lavoro manuale e la legge. La gente del popolo (operai, contadini) dice il Siràcide, mette tutta la sua attenzione nelle cose materiali; lo scriba invece ha pensieri profondi, cerca le cose importanti e può essere consultato per il buon andamento della città. La gente di Nàzaret si domanda: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere?, che non ha studiato e non può avere cultura? È chiaro: la sapienza di Gesù è sapienza divina ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti ed ha criticato gli scribi che dicono e non fanno. D’altra parte il Vangelo insiste anche sulla parola: è necessario, dobbiamo, accogliere la parola di Dio! E soltanto se ci ispiriamo alla parola di Dio il nostro lavoro vale, il nostro lavoro ha un valore costruttivo, costruiamo, creiamo il mondo con Dio. «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre». Tutto quello che facciamo, tutti i lavori, lavori materiali, intellettuali, sia lo studio, sia la carità fraterna, lo facciamo per il Signore… Il Vangelo ci dice, che il nostro servizio deve essere sincero, umile, dobbiamo avere la disponibilità nella carità, tutto questo per essere uniti a Gesù, figlio del carpentiere, quel Figlio, che ha dichiarato di essere venuto a servire e non per essere servito. La vera dignità consiste proprio in questo, nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio. Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente ai pensieri di Dio.

La reazione della gente di Nazaret a proposito della sapienza di Gesù fa pensare al capitolo del Siracide, che contrappone il lavoro manuale e la legge. La gente del popolo (operai, contadini) dice il Siracide, mette tutta la sua attenzione nelle cose materiali; lo scriba invece ha pensieri profondi, cerca le cose importanti e può essere consultato per il buon andamento della città. La gente di Nazaret si domanda: “Da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere?”, che non ha studiato e non può avere cultura? È chiaro: la sapienza di Gesù è sapienza divina ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti ed ha criticato gli scribi “che dicono e non fanno”. D’altra parte il Vangelo insiste anche sulla parola: è necessario accogliere la parola di Dio E soltanto se ispirato alla parola di Dio il lavoro vale. “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”. “Tutto quello che fate”, siano lavori materiali, siano discorsi. Il Vangelo inculca il servizio sincero, umile, la disponibilità nella carità, per essere uniti a Gesù, figlio del carpentiere, che ha dichiarato di essere venuto a servire. La vera dignità consiste nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio. Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente ai pensieri di Dio.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua”. E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.



Riflessione:

- Oggi festa di San Giuseppe operaio, il vangelo descrive la visita di Gesù a Nazaret, sua città natale, dove lui visse 30 anni e dove imparò da Giuseppe, suo padre, il mestiere di falegname. Il passaggio da Nazaret fu doloroso per Gesù. La sua comunità non era più come quella di prima. Qualcosa era cambiata. Nel Vangelo di Marco, questa esperienza di rifiuto da parte della gente di Nazaret (Mc 6,1-6ª) condusse Gesù a cambiare la sua prassi pastorale. Manda i suoi discepoli in missione e li istruisce su come relazionarsi con le persone (Mc 6,6b-13).

- Matteo 13,54-57a: Reazione della gente di Nazaret dinanzi a Gesù. Gesù crebbe a Nazaret. Quando iniziò la sua predicazione errante, uscì da lì e fissò la sua dimora a Cafarnao (Mt 4,12-14). Dopo questa lunga assenza, ritornò verso la sua terra e, come era sua abitudine, nel giorno di sabato si recò alla riunione della comunità. Gesù non era coordinatore, ma prese la parola e cominciò ad insegnare alla gente che si trovava nella sinagoga. Segno questo, che le persone potevano partecipare ed esprimere la loro opinione. Ma alla gente le sue parole non piacquero. Il Gesù che loro avevano conosciuto fin dalla sua infanzia, non sembrava ora essere lo stesso. Perché era diventato così diverso? A Cafarnao la gente accettava l’insegnamento di Gesù (Mc 1,22), ma qui a Nazaret la gente si scandalizzava. Loro dicevano: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?” Loro non accettavano il mistero di Dio presente in un uomo comune come loro! Per poter parlare di Dio, Gesù doveva essere diverso da loro! Non daranno testimonianza di credere in lui. Non tutto andò bene per Gesù. Le persone che dovevano essere le prime ad accettare la Buona Novella di Dio, queste erano le persone meno disposte ad accettarla. Il conflitto non era solo con quelli di fuori di casa, ma anche e sopratutto con i propri parenti e con tutta la gente di Nazaret.

- Matteo 13,57b-58: Reazione di Gesù dinanzi all’atteggiamento della gente di Nazaret. Gesù sa molto bene che “nessuno è profeta nella sua patria”. Ed infatti lui dice: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria ed a casa sua”. Infatti, lì dove non c’è apertura né fede, nessuno può fare nulla. Il preconcetto lo impedisce. E Gesù stesso, pur volendo, non poteva fare nulla. Il vangelo di Marco lo dice chiaramente: “E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,5-6).

- I fratelli e le sorelle di Gesù. L’espressione “fratelli e sorelle di Gesù” causa molta polemica tra cattolici e protestanti. Basandosi su questo e su altri testi, i protestanti dicono che Gesù ebbe molti fratelli e sorelle e che Maria ebbe altri figli! I cattolici dicono che Maria non ebbe altri figli. Cosa pensare di tutto ciò? In primo luogo, le due posizioni, sia quella dei cattolici che dei protestanti, traggono i loro argomenti dalla Bibbia e dalla Tradizione delle loro rispettive Chiese. Per questo, non conviene trattare né discutere questa questione con argomenti puramente intellettuali. Si tratta infatti di convinzioni profonde, che hanno a che fare con la fede e con i sentimenti di ambedue i gruppi. Le argomentazioni puramente intellettuali non riescono a disfare una convinzione del cuore! Anzi irritano solo e allontanano! Ma quando non sono d’accordo con l’opinione di un’altra persona, devo rispettarla. In secondo luogo, invece di battagliare attorno ai testi, noi tutti, cattolici e protestanti, dovremmo unirci molto di più per lottare in difesa della vita, creata da Dio, vita così sfigurata dalla povertà, dall’ingiustizia, dalla mancanza di fede, dalla mancanza di rispetto verso la natura. Dovremmo ricordare altre frasi di Gesù: “Sono venuto affinché tutti abbiano vita, e vita in abbondanza” (Gv 10,10). “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda che Tu, Padre, mi hai inviato” (Gv 17,21).



Per un confronto personale

- Gesù ebbe problemi con la sua gente. Da quando tu hai cominciato a partecipare alla comunità, è cambiata qualcosa nei rapporti con la tua gente?

- Gesù non poté fare molti miracoli a Nazaret. Perché la fede è così importante? Forse Gesù non poteva fare miracoli senza la fede delle persone? Cosa significa questo oggi per me?



Dagli scritti

Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo

L’attività umana nell’universo

Con il suo lavoro e con l’ingegno l’uomo ha sempre cercato di sviluppare maggiormente la sua vita. Oggi poi specialmente con l’aiuto della scienza e della tecnica ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e principalmente in forza dei maggiori mezzi dovuti all’intenso scambio tra le nazioni, la famiglia umana poco alla volta si riconosce e si costituisce come una comunità unitaria nel mondo intero. Da qui viene che molti beni che l’uomo si aspettava soprattutto dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la propria iniziativa. Di fronte a questo immenso sforzo che investe ormai tutto il genere umano, sorgono tra gli uomini parecchi interrogativi. Qual è il senso e il valore dell’attività umana? Come si deve usare dei suoi frutti e delle sue risorse? Al raggiungimento di quale fine tendono gli sforzi sia dei singoli che delle collettività? La Chiesa, che custodisce il deposito della parola di Dio, fonte dei principi religiosi e morali, anche se non ha sempre pronta la risposta alle singole questioni, desidera unire la luce della rivelazione alla competenza di tutti, perché sia illuminata la strada che l’umanità ha da poco imboccato. Per i credenti è certo che l’attività umana individuale e collettiva, con quello sforzo immenso con cui gli uomini lungo i secoli cercano di cambiare in meglio le condizioni di vita, risponde al disegno divino. L’uomo, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di sottomettere a sé la terra con tutto ciò che è contenuto in essa, di governare il mondo nella giustizia e nella santità, di riconoscere Dio come creatore di tutto e, conseguentemente, di riferire a lui stesso e tutti l’universo, di modo che, assoggettate all’uomo tutte le cose, il nome di Dio sai glorificato su tutta le terra. Questo vale pienamente anche per il lavoro di ogni giorno. Quando uomini e donne per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l’opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia. I cristiani pensano che quanto gli uomini hanno prodotto con il loro ingegno e forza non si oppone alla potenza di Dio, né creatura razionale sia quasi rivale del Creatore. Sono persuasi che le vittorie del genere umano sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si amplia la responsabilità, sia individuale che collettiva. Gli uomini non sono distolti dalla edificazione del mondo dal messaggio cristiano, né sono spinti a disinteressarsi del bene dei loro simili, ma anzi ad operare più intensamente per questo scopo (Nn. 33-34).



Preghiera finale: O San Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo purissimo di Maria, che a Nazareth hai conosciuto la dignità e il peso del lavoro, accettandolo in ossequio alla volontà del Padre e per contribuire alla nostra salvezza, aiutaci a fare del lavoro quotidiano un mezzo di elevazione; insegnaci a fare del luogo di lavoro una ‘Comunità di persone’, unita dalla solidarietà e dall’amore; dona a tutti i lavoratori e alle loro famiglie, la salute, la serenità e la fede; fà che i disoccupati trovino presto una dignitosa occupazione e che coloro che hanno onorato il lavoro per una vita intera, possano godere di un lungo e meritato riposo. Te lo chiediamo per Gesù, nostro Redentore, e per Maria, Tua castissima Sposa e nostra carissima Madre. Amen.

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MessaggioTitolo: da Enzo, maggio 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:41 pm

Letture:

1Gv 1,5 - 2,2 (Il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato)

Sal 44 (In te, Signore, ho posto la mia gioia)

Mt 25,1-13 (Ecco lo sposo, andategli incontro!)




La vergine saggia e sapiente

Il vangelo ci presenta la grande santa senese come la vergine saggia e prudente, che, in attesa dell’incontro con lo Sposo divino, ha preso con se la lampada e si è munita di olio. Possiamo intravedere nella parabola evangelica tutte le preclari virtù che hanno adornata la patrona della nostra patria, del nostro continente. Lei è la donna sapiente, che ha compreso appieno l’essenza della religiosità autentica: ha dedicato tutta la sua vita ad un incontro personale con Cristo, si è lasciata umilmente illuminare dalla luce radiosa dello Spirito Santo e ha trovato nell’amore al Signore la realizzazione piena della sua vita. Abbondando così di olio, ha tenuto costantemente accesa la sua lampada, anche nel cuore della notte, e ha saputo irradiare la sua luce a tutto il mondo ecclesiastico e civile del suo tempo. Aveva appreso la vera sapienza e la vera prudenza, non dai libri, ma dal cuore stesso del suo Sposo divino, dalla fonte stessa della verità e della vita. Si è trovata pronta all’incontro con lui e la lampada luminosissima della sua vita, ha riflesso luce ovunque e a tutti. Ha squarciato le tenebre della notte del suo tempo e ancora ai nostri giorni, con i suoi scritti, con i suoi esempi, con la sua intercessione irradia luce di sapienza, ci si mostra come modello sublime di vita e come celeste patrona. Lei ci ricorda che è da stolti restare senza olio, affondare nel buio e mancare all’appuntamento con il Signore. Ci indica ancora la fonte inesauribile della vera sapienza e soprattutto alle donne di ogni epoca, addìta i motivi profondi per affermare e difendere la propria dignità. Indica a tutti di non cedere alla facile tentazione di confidare nelle proprie forze per non cadere nell’illusione di un superficiale perbenismo. Restare al buio e privi di olio, vedersi esclusi dal convito dello sposo per un colpevole ritardo è un grave peccato che guasta la vita di molti. Essere sempre pronti, con le lampade accese è la virtù del viandante sapiente e saggio, è la virtù del cristiano vero.

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MessaggioTitolo: da Enzo, aprile 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:51 pm



Letture:

At 13,14.43-52 (Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani)

Sal 99 (Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida)

Ap 7,9.14-17 (L’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita)

Gv 10,27-30 (Alle mie pecore io do la vita eterna)



Le mie pecore non andranno mai perdute

L’immagine del pastore e delle pecore è frequente nella bibbia sin dall’antico testamento. Nei Primo libro dei re, per descrivere uno stato di desolazione e di sbandamento del popolo eletto leggiamo: «Vedo tutti gli Israeliti vagare sui monti come pecore senza pastore» e il profeta Zaccaria in una situazione analoga dice: «Vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore». Un salmista invece, volendo predire la sorte di coloro che confidano in se stessi e non nel Signore, che si affidano al proprio orgoglio, così si esprime: «Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte». Nel libro di Giuditta, nel suo primo incontro con Oloferne, leggiamo: «Tu li potrai condurre via come pecore senza pastore e nemmeno un cane abbaierà davanti a te». Gesù ricorre spesso a queste stesse immagini, molto familiari ai suoi ascoltatori. Egli si commuove dinanzi alla folla: «Perché erano come pecore senza pastore». Anche nel giudizio finale riappare la figura del pastore e delle pecore: «E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri». Gesù oggi si proclama pastore, che conosce le sue pecore. Queste a loro volta conoscono la voce del pastore buono, è per loro una voce amica, è la loro guida ai pascoli migliori, si sentono da lui protette. Si instaura una relazione di amicizia, un autentico rapporto di amore. I presupposti sono la docilità nell’ascolto della voce divina da parte delle pecore e la cura amorosa da parte del pastore; una cura che significa per Cristo il dono della vita. Siamo così nella mani di Dio e nessuno può rapirci dalle sue mani perché dice Gesù: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Il dono finale è per noi la vita eterna, l’approdo alla mèta ultima della nostra vita. È il frutto della redenzione, è la nostra Pasqua da vivere nel tempo e attendere nell’eternità.

Donandoci, per mezzo del battesimo, di far parte della Chiesa, Gesù ci assicura di conoscerci uno per uno. La vocazione battesimale è sempre personale, e richiede una risposta di responsabilità in prima persona. Ci sentiamo sicuri, nella Chiesa, perché Gesù è sempre con noi, e ci chiama e ci guida con la voce esplicita del Papa e con i suggerimenti interiori che ci aiutano a riconoscerla e a corrispondervi. Se restiamo nella Chiesa, con il Papa, non andremo mai dispersi, perché Gesù ci conosce per nome e ha dato la sua vita per salvarci. Quella vita che si comunica a noi, pegno di eternità, nell’Eucaristia degnamente ricevuta. Non dobbiamo aver paura di nulla. Attraverso Gesù entriamo in comunione con il Padre, partecipiamo alla vita trinitaria. I pericoli esterni non ci turbano: dobbiamo temere soltanto il peccato che ci seduce a trovare altre vie, lontane dal percorso del gregge guidato da Gesù. La nostra personale fedeltà alla voce del Pastore contribuisce all’itinerario di salvezza che la Chiesa guida nel mondo, e da essa dipende la nostra felicità.



Lettura del Vangelo Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola.



Momenti di silenzio orante: Il silenzio protegge il fuoco della parola che è entrato in noi con l’ascolto della Parola. Aiuta a conservare il fuoco interiore di Dio.





Chiave di lettura: Il brano della liturgia di questa domenica è tratto dal c.10 di Giovanni, un discorso di Gesù ambientato durante la festa giudaica della dedicazione del Tempio di Gerusalemme che cadeva verso la fine di dicembre (durante la quale si commemorava la riconsacrazione del Tempio violato dai siro-ellenisti, ad opera di Giuda Maccabeo nel 164 a.C). Le parole di Gesù sul rapporto tra il Pastore (Cristo) e le pecore (la Chiesa) appartengono ad un vero e proprio dibattito fra Gesù e i giudei. Questi rivolgono a Gesù una domanda chiara e reclamano una risposta altrettanto precisa e pubblica: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (10,24). Giovanni altre volte nel vangelo presenta i giudei che pretendono da Gesù un’affermazione chiara sulla sua identità (2,18; 5,16; 8,25). Per i sinottici una simile richiesta è situata durante il processo davanti al Sinedrio (Mt 26,63; Mc 14,61; Lc 22,67). La risposta di Gesù viene presentata in due tappe (vv. 25-31 e 32-39). Consideriamo brevemente il contesto della prima ove è inserito il nostro testo liturgico. I giudei non hanno compreso la parabola del pastore (Gv 10, 1-21) e ora domandano a Gesù una rivelazione più chiara della sua identità. Di per sé il motivo della loro incredulità non è da ricercarsi nella sua poca chiarezza ma perché si rifiutano di appartenere alle sue pecore. Può essere illuminante un’analoga espressione di Gesù in Mc 4,11: «A voi è dato conoscere il mistero del Regno di Dio, ma a quelli di fuori tutto è proposto in parabole». Le parole di Gesù sono luce solo per chi vive all’interno della comunità, per chi decide di restare fuori sono un enigma che sconcerta. All’incredulità dei Giudei Gesù contrappone il comportamento di coloro che gli appartengono e che il Padre gli ha dato; ma anche della relazione con essi. Il linguaggio di Gesù non è per noi di immediata evidenza; anzi il paragonare i credenti ad un gregge ci lascia perplessi. Noi siamo, per lo più, estranei alla vita agricola e pastorale, e non è facile capire che cosa rappresentasse il gregge per un popolo di pastori. Gli ascoltatori ai quali Gesù rivolge la parabola, invece, era appunti un popolo di pastori. È evidente che la parabola và intesa dal punto di vista dell’uomo che condivide quasi tutto con il suo gregge. Egli le conosce: vede ogni loro qualità e ogni lacuna; anch’esse sperimentano la sua guida: rispondono alla sua voce e alle sue indicazioni.

1) Le pecore di Gesù ascoltano la sua voce: si tratta non solo di un ascolto esterno (3,5; 5,37) ma anche un attento ascolto (5,28; 10,3) fino all’ascolto obbediente (10,16.27; 18,37; 5,25). Nel discorso del pastore questo ascolto esprime la confidenza e l’unione delle pecore al pastore (10,4). L’aggettivo «mie» non indica soltanto il semplice possesso delle pecore, ma mette in evidenza che le pecore gli appartengono, e gli appartengono in quanto ne è il proprietario (10,12).

2) Ecco, allora, stabilirsi una comunicazione intima tra Gesù e le pecore: «ed io le conosco» (10,27). Non si tratta di una conoscenza intellettuale; nel senso biblico «conoscere qualcuno» significa soprattutto avere un rapporto personale con lui, vivere in un certo qualmodo in comunione con lui. Una conoscenza che non esclude i tratti umani della simpatia, amore, comunione di natura.

3) In virtù di questa conoscenza d’amore il Pastore invita i suoi a seguirlo. L’ascolto del Pastore comporta anche un discernimento, perché tra le tante voci possibili sceglie quella che corrisponde a una precisa persona (Gesù). In seguito a questo discernimento, la risposta si fa attiva, personale e diventa obbedienza. Questa proviene dall’ascolto. Quindi tra l’ascolto e la sequela del Pastore sta il conoscere Gesù. La conoscenza di Gesù delle sue pecore apre un itinerario che conduce all’amore: «Io do loro la vita eterna». Per l’evangelista la vita è il dono della comunione con Dio. Mentre nei sinottici ‘vità o ‘vita eterna’ è connessa con il futuro; nel vangelo di Giovanni designa un possesso attuale. Tale aspetto viene spesso ripetuto nel racconto giovanneo: «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna» (3,36); «In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna» (5,24; 6,47). La relazione d’amore di Gesù si concretizza anche per l’esperienza di protezione che l’uomo sperimenta: si dice che le pecore «non andranno mai perdute». Forse un allusione alla perdizione eterna. E si aggiunge che «nessuno le rapirà». Tale espressione suggerisce il ruolo della mano di Dio e di Cristo che impediscono ai cuori delle persone di essere rapiti da altre forze negative. Nella Bibbia la mano, in alcuni contesti, è una metafora che indica la forza di Dio che protegge (Dt 33,3; Sal 31,6). Inoltre il verbo «rapire» (harpàzō) suggerisce l’idea che la comunità dei discepoli non sarà esente dagli attacchi del male e delle tentazioni. Ma l’espressione «nessuno le rapirà» sta a indicare che la presenza di Cristo assicura alla comunità la certezza di una granitica stabilità che le permette di superare ogni tentazione di paura.



Alcune domande per orientare la riflessione meditativa e l’attualizzazione.

- Il primo atteggiamento che la parola di Gesù ha evidenziato è che l’uomo deve «ascoltare». Tale verbo nel linguaggio biblico è ricco di risonanze: implica l’adesione gioiosa al contenuto di ciò che si ascolta, l’obbedienza alla persona che parla, la scelta di vita di colui che si rivolge a noi. Sei un uomo immerso nell’ascolto di Dio? Ci sono spazi e momenti nella tua vita quotidiana che dedichi in modo particolare all’ascolto della Parola di Dio?

- Il dialogo o comunicazione intima e profonda tra Cristo e te è stata definita dal vangelo della liturgia di oggi con un grande verbo biblico, il «conoscere». Esso coinvolge l’essere intero dell’uomo: la mente, il cuore, la volontà. La tua conoscenza del Cristo è ferma ad un livello teorico-astratto o ti lasci trasformare e guidare dalla sua voce nel cammino della tua vita?

- L’uomo che ha ascoltato e conosciuto Dio «segue» il Cristo come unica guida della sua vita. La tua sequela è quotidiana, continua? Anche quando all’orizzonte si intravede l’incubo di altre voci o ideologie che tentano di strapparci dalla comunione con Dio?

- Nella meditazione del vangelo di oggi sono emersi altri due verbi: noi non saremo mai «perduti» e nessuno ci potrà «rapire» dalla presenza di Cristo che protegge la nostra vita. È ciò che fonda e motiva la nostra sicurezza quotidiana. Tale idea è espressa in modo luminoso da Paolo: «Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore» (8,38-39). Quando tra i credenti e la persona di Gesù s’instaura un rapporto di relazione fatta di chiamata e di ascolto, allora la vita procede nella sicurezza di arrivare alla maturità spirituale e al successo. Il vero fondamento di questa sicurezza sta nello scoprire ogni giorno l’identità divina di questo pastore che è la sicurezza della nostra vita. Sperimenti questa sicurezza e questa serenità quando ti senti minacciato dal male?

- Le parole di Gesù «Io do loro la vita eterna» ti assicurano che la meta del tuo cammino come credente non è oscura e incerta. Per te la vita eterna allude alla quantità degli anni che puoi vivere o invece ti richiama la comunione di vita con Dio stesso? È motivo di gioia per te sperimentare la compagnia di Dio nella tua vita?



Contemplazione: Contempla la Parola del Buon Patore nella tua vita. Le tappe precedenti della lectio divina, importanti in se stesse, assumono funzionalità, se orientate al vissuto. Il cammino della “lectio” non si può dire concluso se non arriva a fare della Parola una scuola di vita per te. Tale meta si raggiunge quando sperimenti in te i frutti dello Spirito. Essi sono: la pace interiore che fiorisce nella gioia e nel gusto per la Parola; la capacità di discernimento tra ciò che è essenziale ed opera di Dio e ciò che è futile ed opera del male; il coraggio della scelta e dell’azione concreta, secono i valori della pagina biblica che hai letto e meditato.


Dagli scritti

Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo

La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell’unico Dio, Padre onnipotente, che fece il cielo la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (cfr. At 4,24). La Chiesa accolse la fede nell’unico Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza. Credette nello Spirito Santo che per mezzo dei profeti manifestò il disegno divino di salvezza: e cioè la venuta di Cristo, nostro Signore, la sua nascita dalla Vergine, la sua passione e la risurrezione dai morti, la sua ascensione corporea al cielo e la sua venuta finale con la gloria del Padre. Allora verrà per «ricapitolare tutte le cose» (Ef 1,10) e risuscitare ogni uomo, perché dinanzi a Gesù Cristo, nostro Signore e Dio e Salvatore e Re secondo il beneplacito del Padre invisibile «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua lo proclami» (Fil 2,10) ed egli pronunzi su tutti il suo giudizio insindacabile. Avendo ricevuto, come dissi, tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un’unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all’unisono, come possedesse un’unica bocca. Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo. Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l’universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro. Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò nè il fecondo può arricchirla, nè il balbuziente impoverirla.

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MessaggioTitolo: da Enzo, aprile 2010   LECTIO EmptyDom Giu 27, 2010 4:58 pm

Letture:

At9, 31-42 (La Chiesa si consolidava, e con il conforto dello Spirito Santo cresceva di numero)

Sal 115 (Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto?)

Gv 6,60-69 (Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna)




Un linguaggio duro

Che dinanzi al discorso del Pane di vita entrassero in crisi i giudei, dichiarati nemici di Cristo, potrebbe anche risultare comprensibile, anche se sempre colma di amarezza il rifiuto di un dono dato con immenso amore. Oggi Gesù sperimenta il mormorio esteriore ed interiore dei suoi discepoli: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Egli interviene ancora per cercare di illuminare le loro menti: «È lo Spirito che dá la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita». Non si tratta quindi di cannibalismi, ma di assumere, nel pane e nel vino, lo Spirito che dà vita, la divinità, l’amore, la santa energia che ci rigenera. Se si rimane ancorati alla fisicità della carne e del sangue e non si è capaci di trascendere con la luce della fede per vederne i valori eterni, l’eucaristia non può essere compresa. Nei segni sacramentali noi scorgiamo la pienezza dell’amore di Dio, che non è più solo dichiarato ed offerto con la verità delle sue parole, ma nella carne e nel sangue del figlio suo, immolato per noi e per tutti, per la remissione dei peccati. Soltanto l’esperienza ci può convincere della sublimità del dono e solo quando sentiamo realmente Cristo in noi diventiamo capaci di squarciare i veli del mistero eucaristico. Molti dei suoi discepoli però abbandonano Gesù: la sua dottrina non è più accessibile alle loro menti, la sua stessa credibilità viene messa in gioco. Rimangono i dodici, ma anche a loro il Signore, chi sa con quanta sofferenza, deve rivolgere un interrogativo: «Forse anche voi volete andarvene?». Queste parole, che risuonano come il flebile lamento dell’amore incompreso, denunciano tutti gli abbandoni e tutte le assenze che, nel corso dei secoli, i «suoi» avrebbero fatto nei confronti della sua mensa divina. È l’amara delusione dello sposo che non vede arrivare gli invitati al banchetto delle sue nozze, che non vede entrare nella sua chiesa coloro che si professano cristiani; rimangono fuori, digiuni e affamati. È sicuramente consolante per Cristo la confessione di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»; in questo contesto però, e non a caso, Gesù ricorda agli apostoli il privilegio per essere stati scelti da lui, ma denuncia anche il tradimento di uno di loro. Può capitare che il primo assente dalla mensa sia proprio il celebrante!

“Nessuno si deve aspettare da me qualcosa di cui io non sono capace”. Non si può non approvare chi parla così. Anche Dio non chiede a nessuno l’impossibile. Ma chi decide concretamente che cosa è troppo per lui? Ci conosciamo troppo bene: ognuno ha la tendenza a sentire come inaccettabile qualcosa che non gli piace piuttosto che qualcosa che gli fa piacere. Che cosa può esserci di inaccettabile, se si può perfino esigere la vita di un uomo? I discepoli sentono il discorso di Gesù come inaccettabile. Perché, quando qualcuno afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”, ciò oltrepassa di molto il concepibile. E tuttavia: in nome dei Dodici, Pietro esprime la sua professione di fede in colui che parla in termini così poco comprensibili. Egli la giustifica in un modo sorprendente: “Soltanto le tue parole (incomprensibili) sono parole di vita eterna”. Nessun mortale è capace di pronunciare queste parole, che vanno ben oltre quello che chiunque potrebbe dire. Solo chi resta incomprensibile pur rivelandosi - con parole di vita eterna - è capace di offrire agli uomini l’ultimo rifugio.



Lettura del Vangelo: In quel tempo, molti tra i discepoli di Gesù, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono”. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.



Riflessione

- Il vangelo di oggi presenta la parte finale del Discorso del Pane di Vita. Si tratta Della discussione dei discepoli tra di loro e con Gesù (Gv 6,60-66) e della conversazione di Gesù con Simon Pietro (Gv 6,67-69). L’obiettivo è quello di mostrare le esigenze della fede e la necessità di un impegno serio con Gesù e con la sua proposta. Fino a qui tutto succedeva nella sinagoga di Cafarnao. Non si indica il luogo di questa parte finale.

- Giovanni 6,60-63: Senza la luce dello Spirito queste parole non si capiscono. Molti discepoli pensavano che Gesù stesse andando troppo oltre! Stava terminando la celebrazione della Pasqua e si stava lui stesso ponendo nel posto più centrale della Pasqua. Per questo, molta gente si separò dalla comunità e non andava più con Gesù. Gesù reagisce dicendo: “È lo spirito che dà vita, la carne non giova a nulla”. Non devono prendersi letteralmente queste cose che lui dice. Solo con la luce dello Spirito Santo è possibile cogliere il senso pieno di tutto ciò che Gesù disse (Gv 14,25-26; 16,12-13). Paolo nella lettera ai Corinzi dirà: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita!” (2Cor 3,6).

- Giovanni 6,64-66: Alcuni di voi non credono. Nel suo discorso Gesù si era presentato come il cibo che sazia la fame e la sete di tutti coloro che cercano Dio. Nel primo Esodo, avvenne la prova di Meriba. Dinanzi alla fame ed alla sete nel deserto, molti dubitarono della presenza di Dio in mezzo a loro: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (Es 17,7) e mormoravano contro Mosè (cfr. Es 17,2-3; 16,7-8). Volevano rompere con lui e ritornare in Egitto. In questa stessa tentazione cadono i discepoli, dubitando della presenza di Gesù nello spezzare il pane. Dinanzi alle parole di Gesù su “mangiare la mia carne e bere il mio sangue”, molti mormoravano come la moltitudine nel deserto (Gv 6,60) e prendono la decisione di rompere con Gesù e con la comunità: “si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66).

- Giovanni 6,67-71: Confessione di Pietro. Alla fine rimangono solo i dodici. Dinanzi alla crisi prodotta dalle sue parole e dai suoi gesti, Gesù si gira verso i suoi amici più intimi, qui rappresentati dai Dodici e dice: “Forse anche voi volete andarvene?” Per Gesù non è questione di avere tanta gente dietro a lui. Né cambia il discorso quando il messaggio non piace. Parla per rivelare il Padre e non per far piacere a chi che sia. Preferisce rimanere da solo, e non essere accompagnato da persone che non si impegnano con il progetto del Padre. La risposta di Pietro è bella: “Da chi andremo! Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio!” Pur senza capire tutto, Pietro accetta Gesù Messia e crede in lui. Nel nome del gruppo professa la sua fede nel pane spezzato e nella parola. Gesù è la parola ed il pane che saziano il nuovo popolo di Dio (Dt 8,3). Malgrado tutti i suoi limiti, Pietro non è come Nicodemo che voleva vedere tutto ben chiaro secondo le proprie idee. Ma tra i dodici c’era qualcuno che non accettava la proposta di Gesù. In questo circolo più intimo c’era un avversario (Gv 6,70-71) “colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno” (Sal 41,10; Gv 13,18).



Per un confronto personale

- Mi pongo al posto di Pietro dinanzi a Gesù. Che risposta do a Gesù che mi chiede: “Forse anche tu vuoi andartene?”

- Mi metto al posto di Gesù. Oggi, molte persone non seguono più Gesù. Colpa di chi?

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