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VINCENZO

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MessaggioTitolo: DOMENICA 19 FEBBRAIO 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Feb 14, 2012 12:46 pm

DOMENICA 19 FEBBRAIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 43,18-19.21-22.24-25 (Per amore di me stesso non ricordo più i tuoi peccati)
Sal 40 (Rinnovaci, Signore, con il tuo perdono)
2Cor 1,18-22 (Gesù non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì»)
Mc 2,1-12 (Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra)

Cosa è più facile?
È la domanda che Gesù rivolge agli scribi. La domanda nasce dalla situazione nella quale è posto lo stesso Gesù e si riferisce alle Sue azioni. Gli è posto davanti un paralitico. Gesù, per prima cosa gli perdona i peccati e poi, sulla scia di questa precisa domanda, lo guarisce. Ecco allora la doppia azione di Gesù e sulla quale Egli formula il suo quesito: perdona e guarisce. Perdona per guarire e guarisce perché il perdono sia poi segno di una vera conversione. La guarigione indica la possibilità, per il paralitico, di alzarsi e camminare per una strada nuova e diversa. Gesù lo libera da quei vincoli che lo legavano alla barella. La stessa barella diventa simbolo di una libertà riacquistata. Allora cosa è più facile? Perdonare o guarire? Gli scribi intendo bene che il perdono, al quale si riferisce Gesù, proviene solo da Dio stesso; mentre la guarigione miracolosa può essere operata in nome di Dio. Gli scribi dovrebbero conoscere la risposta. Loro stessi hanno capito che Gesù si è voluto proclamare Dio con il perdonare i peccati a quel povero paralitico immobilizzato sul lettuccio. Gli scribi hanno rovesciato il significato che Gesù ha voluto dare alla sua azione. Infatti per loro la guarigione interiore, non visibile, diventa, in vista della guarigione fisica visibile. Per Gesù è esattamente l’opposto: la guarigione fisica, anch’essa importante, è in vista della guarigione interiore e spirituale. Quello che manca agli scribi è la fede: cioè proprio ciò che unisce il perdono di Gesù e il miracolo della guarigione. Lo sguardo di Gesù, che lo spinge al perdono e alla guarigione è proprio la fede. Gesù guarda prima di tutto alla fede di quei quattro che si industriano perché il paralitico gli si possa mettere davanti; poi guarda alla fede del paralitico stesso. Gesù si preoccupa del vero bene e per questo agisce. L’insegnamento per noi può provenire sia dalla figura di quei quattro che si preoccupano della salute del paralitico e sia dal miracolo stesso di Gesù. La fede non è una faccenda privata, un qualcosa che riguarda in maniera esclusiva il nostro rapporto con Dio. Anzi. La fede è un dono che deve essere condiviso, che ci apre gli occhi verso le necessità degli altri. Può darsi che dall’intensità della nostra fede dipenda la salvezza di altri. La fede è quindi responsabilità e condivisione. La nostra sollecitudine per chi ha bisogno del nostro aiuto, è segno di fede ed alimenta anche la nostra fede. La guarigione del paralitico, poi, ci spinga ad una domanda: cosa, nella vita, veramente ci tiene legati al nostro lettuccio? La malattia fisica? Talvolta, sì… ma quante volte, invece è il nostro spirito ad essere legato e ha necessità di essere liberato… Gesù è il medico vero per le nostre malattie. A Lui possiamo e dobbiamo rivolgerci con fiducia e con fede.
Attraverso la guarigione del paralitico di Cafarnao, preceduta dal perdono dei peccati, Gesù afferma che il peccato è il più grande male degli uomini, la radice e l’origine di tutti i mali. Egli annuncia apertamente che Dio solo può liberare l’uomo dal suo male radicale: egli si manifesta come Dio, come colui nel quale tutte le promesse divine hanno ricevuto un “sì” assoluto e definitivo. Il peccato è il male radicale perché rappresenta la rivolta della creatura contro Dio, contro colui a immagine e rassomiglianza del quale siamo stati creati e nel quale noi agiamo ed esistiamo. Lontano dal volto di Dio, l’uomo perde il suo centro, precipita nell’abisso e soffre per la lacerazione del suo essere. E la caduta dell’uomo è così grande, che Dio solo, volgendosi con misericordia verso di noi e riconciliandoci con sé, può guarire il male radicale e i vecchi dolori. La salvezza dell’uomo dipende quindi da un atto positivo di Dio. E questo atto è Gesù Cristo, il Figlio unico del Padre fatto uomo per noi, nel quale abbiamo ottenuto la riconciliazione e abbiamo visto scaturire un corpo sano dalle nostre membra malate.

Approfondimento del Vangelo (La guarigione di un paralitico)
Il testo: Gesù entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Una chiave di lettura: Il testo del vangelo di questa domenica tratta due argomenti mescolandoli: descrive la guarigione di un paralitico e parla della discussone che Gesù ebbe con i dottori della legge o scribi sul perdono dei peccati.

Divisione del testo per aiutare la lettura:
- Marco 2,1-2: Il popolo cerca Gesù e Gesù annuncia la Parola.
- Marco 2,3-5: La fede del paralitico e dei suoi amici ottiene il perdono dei peccati.
- Marco 2,6-7: Gesù è accusato di bestemmia per i capi del potere.
- Marco 2,8-11: Per provare chi ha il potere di perdonare, Gesù guarisce il paralitico.
- Marco 2,12: La reazione del popolo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto di questo testo vi è piaciuto di più e quale ha richiamato di più la vostra attenzione?
b) In che consiste il conflitto tra Gesù e gli scribi? Dove avviene e chi lo provoca? Qual’ è la causa?
c) Che cosa ci rivela questo testo su Gesù e su Dio Padre?
d) Esiste un legame fra malattia e peccato? Che ne pensate?
e) Qual è il messaggio di questo testo per le comunità del tempo di Marco e per noi oggi?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il testo
a) Il contesto nel quale si trova il testo del Vangelo di Marco:
- In Mc 1,1-15, Marco ha mostrato come la Buona Novella deve essere preparata e divulgata. E poi subito, in Mc 1, 16-45, è stato insegnato l’obiettivo della Buona Novella e quale è la missione della comunità. Ora, nel capitolo 2, si mostra come l’annuncio della Buona Novella, quando è fatta con fedeltà, è fonte di conflitto. In Mc 2,1-3,6, sono presentati cinque conflitti provocati a Gesù dall’annuncio della Buona Novella di Dio.
- Negli anni 70, tempo in cui Marco scrive, l’annuncio della Buona Novella aveva generato molti conflitti alle comunità. Esse non sempre sapevano come affrontarli e che rispondere alle accuse dei romani o dei giudei. Il racconto dei cinque conflitti serviva come una specie di manuale di orientamento.
b) Commento:
- Marco 2,1-2: Il popolo cerca Gesù e vuole ascoltare la Parola di Dio. Gesù sta tornando a casa. Il popolo lo cerca. Molta gente si riunisce davanti alla porta. Gesù accoglie tutti e Marco dice che egli annuncia la Parola al popolo. Molte volte, Marco informa che Gesù annuncia la Parola di Dio al popolo (Mc 1,21.22.27.39; 2,2.13; 4,1; 6,2.6.34; ecc.). Ma poche volte egli ci dice cosa Gesù diceva. Cosa mai insegnava Gesù al popolo? Egli parlava di Dio e usava per questo gli esempi della vita (parabole) e storie del popolo (Bibbia). Parlava a partire dall’esperienza che aveva lui stesso di Dio. Gesù viveva in Dio. Il popolo lo ascoltava con piacere (Mc 1,22.27). Le sue parole toccavano il cuore. A partire dalla predicazione di Gesù, Dio invece di essere un giudice severo che minacciava castigo e inferno, diventava una presenza amica, una buona Notizia per il popolo.
- Marco 2,3-5: La fede del paralitico e dei suoi amici ottiene il perdono dei peccati. Mentre Gesù sta parlando arriva un paralitico, portato da quattro persone. Gesù è la unica speranza per loro. Salgono sul tetto, lo scoperchiano e calano il paralitico davanti a Gesù. Segno di molta solidarietà. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati. In quel tempo la gente pensava che i difetti fisici, come la paralisi, fossero castigo di Dio per qualche peccato. I dottori insegnavano che la tale persona era impura, incapace di avvicinarsi a Dio. Per questo gli ammalati, i poveri, i paralitici, e tanti altri si sentivano rigettati da Dio. Ma Gesù non pensava così. Egli pensava il contrario. Quella fede tanto grande del paralitico e dei suoi compagni era un segno che quell’uomo stava in pace con Dio, accolto da Lui. Per questo Gesù dichiara: I tuoi peccati sono perdonati. Cioè: “Tu non sei lontano da Dio”. Con questa affermazione Gesù negava che la malattia fosse un castigo per il peccato di quell’uomo.
- Marco 2,6-7: Gesù viene accusato dai capi di bestemmiare. L’affermazione di Gesù non andava d’accordo con la idea che i dottori della legge avevano di Dio. Per questo reagiscono e accusano Gesù: Costui bestemmia! Secondo la loro dottrina, solo Dio poteva perdonare i peccati. E solamente il sacerdote poteva dichiarare una persona perdonata e purificata. Com’è che Gesù di Nazaret, uomo senza studio, semplice operaio, falegname, poteva dichiarare le persone perdonate e purificate dai peccati? Oltre a ciò devono aver pensato: “Se fosse vero quello che Gesù sta dicendo, rischiamo di perdere il nostro potere e la ragione di essere! Perdiamo anche la nostra fonte di guadagno”.
- Marco 2,8-11: Gesù guarisce per provare che ha il potere di perdonare i peccati. Gesù capiva che lo condannavano. Per questo domanda: Che cosa è più facile: dire al paralitico: ‘Ti sono perdonati i peccati’, o dire: ‘Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?’. Evidentemente è molto più facile dire: “I tuoi peccati sono perdonati”. Perché nessuno può verificare se di fatto il peccato è stato perdonato o no. Ma se io dico: “Alzati e cammina”, lì sì tutti potranno verificare se ho o no il potere di guarire. Così, per mostrare che aveva il potere di perdonare i peccati in nome di Dio, Gesù disse al paralitico: Alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua!. Guarì quella persona. Provò che la paralisi non è un castigo di Dio e che la fede dei poveri è segno che Dio lo aveva già accolto nel suo amore.
- Marco 2,12. La reazione del popolo: non abbiamo mai visto nulla di simile. Il paralitico si alza, prende il suo letto e se ne va: e tutti esclamano: Mai vista una cosa simile! È chiaro il senso del miracolo: 1) I malati non devono pensare che Dio li sta castigando per qualche peccato. 2) Gesù aprì un nuovo cammino verso Dio. Quello che la religione del tempo chiamava impurità non era più un impedimento alla persona per avvicinarsi a Dio. 3) Il volto di Dio che si rivela attraverso l’atteggiamento di Gesù era molto differente dal volto severo del Dio rivelato dagli atteggiamenti dei dottori.
c) Ampliando le informazioni:
1) I cinque conflitti raccontati da Marco (Mc 2,1-3,6):
- Gli argomenti del conflitto: I conflitti girano intorno ai temi fondamentali della religione dell’epoca: il perdono dei peccati, la comunione della tavola con i peccatori, la pratica del digiuno, la osservanza del sabato, la pratica della medicina o cura delle persone in giorno di sabato.
- Gli avversari di Gesù: Gli scribi rappresentavano la dottrina religiosa, la catechesi. I farisei rappresentavano le leggi e le pratiche religiose, soprattutto quelle che avevano relazione con l’osservanza del puro/impuro. I discepoli di Giovanni Battista rappresentavano le altre tendenze messianiche. Gli erodiani rappresentavano il governo della Galilea. Erode Antipa governava già da oltre trent’anni (4 aC - 39 dC). Era, per così dire, il padrone della Galilea.
- Cause del conflitto: Il primo conflitto ha a che fare con la relazione con Dio: perdono dei peccati. Il secondo: con le relazioni fra le persone: mangiare con i peccatori. Il terzo con gli usi religiosi: osservanza del digiuno. Il quarto con l’osservanza della legge di Dio: il sabato. Questi quattro conflitti sono provocati dagli altri contro Gesù. Il quinto: provocato da Gesù stesso, mostra la gravità del conflitto fra lui e la religione del suo tempo.
2) Malattia e peccato: In quel tempo si insegnava che ogni sofferenza era frutto di un peccato. Di fronte al cieco dalla nascita, Pietro domandò: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco?” (Gv 9,1-3). Gesù rispose: né lui né i suoi genitori. Gesù separa il peccato dalla persona malata. Non permette che si usi la religione per dire al paralitico: “Tu sei peccatore!”. Gesù afferma il contrario: “Tu non sei peccatore! Dio ti accoglie, anche se sei paralitico. La tua malattia non è frutto del tuo peccato!”. Aver il coraggio di affermare così davanti alle autorità presenti era una rivoluzione! Un cambiamento molto grande. Il popolo si entusiasmava con Gesù, perché lo faceva diventare più libero. Questo è un lato della medaglia. Ma c’è anche l’altro lato. Tanto ieri come oggi, molta sofferenza è di fatto frutto di qualche peccato. Per esempio, la sofferenza della madre che piange l’uccisione del figlio. Gesù pure ha qualcosa da dire su questo punto. Una volta in Gerusalemme una torre cadde e uccise 18 persone (Lc 13,4). In altra circostanza Pilato massacrò un gruppo di galilei e mescolò il loro sangue con il sangue dei sacrifici (Lc 13,1). Gesù domanda: “Credete che essi erano più peccatori di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13, 2.4). Gesù trasformò i mali in appello alla conversione e al cambiamento. Ma non ci fu pentimento né cambio e, quaranta anni dopo, nel 70, Gerusalemme fu distrutta: molte torri caddero e molto sangue fu sparso! Anche oggi, molti dei mali che soffriamo non sono una fatalità, ma una conseguenza di azioni peccaminose. Altri mali sono frutto della cultura. Altri ancora sono frutto del sistema neo-liberale che ci è stato imposto e che ci opprime. Per questo i mali che soffriamo sono una chiamata alla conversione. Un appello alla nostra responsabilità. Quello che entrò nel mondo come frutto di azioni libere per realizzare il male, può essere espulso attraverso azioni libere per il bene!

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
DETTA «DEL PERDONO»


Letture:
Is 54,5-10
Sal 129
Rm 14,9-13
Lc 18,9-14

O Dio, abbi pietà di me peccatore
Il Racconto del pellegrino russo - un bel libretto di spiritualità orientale - suggerisce la preghiera da ripetersi come un rosario al ritmo del respiro: “Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore”. Alla benevolenza del cuore di Dio, sempre pronto a perdonare, deve corrispondere un simmetrico atteggiamento dell’uomo a chiedere perdono. “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. La parabole del fariseo e del pubblicato ci richiama una diversa immagine di Dio che l’uomo si fa e, di conseguenza, due atteggiamenti diversi da avere con lui; assieme a rapporti diversi anche con i propri simili.
Dal Dio giusto al Dio buono: Il fariseo dice: io faccio il mio dovere, Dio che è giusto mi deve pagare! Il pubblicano: io valgo niente, anzi sono in grande debito davanti a Dio: mi affido solo alla sua misericordia. Non che Dio non sia giusto, ma la nostra giustizia davanti alla sua.. è miseria. Intendendo per giustizia il nostro corrispondere a quel che lui ci dona, a quel che si attende da noi, a quel che dovrebbe essere alla fine anche la verità di noi stessi, la nostra riuscita e la nostra felicità. Il senso del peccato lo si ha quando si commisura la propria condotta non sul progetto che uno può farsi di sé, né tanto meno sul progetto realizzato dagli altri (di fronte al quale ci sentiamo sempre in qualche modo più bravi..!), ma sull’unico progetto di Dio che ci vuole “santi” come lui, cioè figli fedeli per divenirne eredi. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Da qui il giusto atteggiamento del pubblicano, che confida non nelle sue opere di giustizia, ma nella larghezza di cuore di Dio che vede la nostra fragilità e ci dà credito coll’invitarci a riprendere da capo. Sant’Ambrogio diceva: Non è santo chi non pecca mai, ma chi, una volta caduto, sa rialzarsi. Questo è il perdono di Dio: uno stimolo per un nuovo inizio sempre. È questa ripresa - oltre ogni orgoglio e scoraggiamento - che chiamiamo umiltà, e che Dio apprezza. “Chi si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. In fondo si tratta di credere - di accettare - che non è da noi essere capaci di giustizia, ma solo suo dono. “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore” (Fil 2,13). Il contrario invece è il sentimento del fariseo: convinto di aver lui la capacità del bene, e quindi la pretesa di una ricompensa. Non che Dio sia indifferente allo sforzo umano, quindi alla fedeltà o meno. Il suo, con noi, è un rapporto d’amore sponsale, e nella sofferenza di vedersi tradito, scatta il richiamo della gelosia: “Per un breve istante ti ho abbandonata.., in un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto” (Lett.). Ma in questo Sposo prevale il perdono: “Con affetto perenne, ho avuto pietà di te. Mai si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace” (Lett.). Il fondamento è un amore fedele, tenace, appunto sempre pronto a ricominciare un rapporto anche se tante volte tradito. “Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? - dice il tuo Dio” (Lett.). Fino al giuramento: “Giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti” (Lett.). Che è il Dio presentatoci da Gesù
Perché giudichi il fratello?: Il fariseo qui è protagonista. “Io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”. Oltre ad avere la presunzione di essere giusto, disprezzava gli altri. Gesù veramente allude ai farisei di sempre, anche a noi: “Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Storia di sempre. Intransigenza e pattume: chi si arrocca nella propria alta setta di perfetti, tratta gli altri come pattume. La superbia dell’uomo religioso è la più pericolosa. E si irrita vedendo che Dio perdona e ha cura “dei pubblicani e delle prostitute”. Un giorno Gesù ebbe a dover rimproverare chi si credeva più meritevole degli altri: “Sei tu invidioso perché io sono buono?” (Mt 20,15). Oggi Paolo ce lo richiama esplicitamente: “Tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello?” (Epist.). Lasciamo a Dio il giudizio, che vede in fondo al cuore tutti .. i condizionamenti e le attenuanti anche di chi sembra il più sfacciato malvagio. Anche perché abbiamo già noi di che preoccuparci quando “ci presenteremo al tribunale di Dio, .. dove ciascuno renderà conto di se stesso”. L’esortazione è anzi di andare oltre: “D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello” (Epist.). Perché appunto qualche colpa l’abbiamo anche noi nel condizionare al male i fratelli che ci stanno vicino! E forse bisognerebbe completare il discorso col dovere del perdono. Non solo non giudicare, non solo non essere di inciampo, ma arrivare al perdono di chi ci fa del male. Questa è la conclusione logica di chi è perdonato: saper lui pure perdonare! Gesù ha la parabola del servo che, condonato il suo debito da parte del padrone, non ha saputo fare altrettanto per un debito ben più piccolo per il suo collega (cfr. Mt 18,23-35). Nel condannarlo, Gesù aggiunge: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi, se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (Mt 18,35). E ci ha insegnato a pregare: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 612), condizionando in un certo senso il suo perdono al nostro.
Naturalmente il perdono di Dio è sempre disponibile per un cuore pentito. Il luogo dove questo pentimento si invera e approfondisce (passa da “attrizione” a “contrizione”, dice il Concilio di Trento) è il Sacramento della Riconciliazione celebrato nella Chiesa che al tempo stesso sancisce oggettivamente e ufficialmente il perdono concesso da Dio. “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,22-23). Tutta l’opera di ritorno a Dio, o conversione o penitenza, è sotto l’azione dello Spirito che prepara e porta a compimento nella Chiesa la restaurata giustificazione già ricevuta una volta nel battesimo: “È la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta” (Tertulliano).
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MessaggioTitolo: mercoled' 22 febbraio 2012 (mercoledì delle ceneri)   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Feb 21, 2012 9:45 am

MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012

MERCOLEDÌ DELLE CENERI


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Gl 2,12-18 (Laceratevi il cuore e non le vesti)
Sal 50 (Perdonaci, Signore: abbiamo peccato)
2Cor 5,20 - 6,2 (Riconciliatevi con Dio. Ecco ora il momento favorevole)
Mt 6,1-6.16-18 (Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà)

Dio al centro della mia vita
Incomincia oggi il cammino di Quaresima. Un tempo favorevole, propizio che dura quaranta giorni. La sua mèta è la Pasqua: un memoriale che rinnova la grazia della passione e della morte del Signore. È un tempo di penitenza, che vuole dire conversione e combattimento contro lo spirito del male. È anche un tempo che invita a ritornare al Signore con tutto il cuore, con digiuni e preghiere. Ecco, il tempo della salvezza, ovvero della riconciliazione con Dio, è giunto. Il Vangelo odierno ci indica quale deve essere il nostro atteggiamento e insiste sulla rettitudine interiore, dandoci anche il mezzo per crescere in questa purificazione di intenzioni: l’intimità con il Padre. Il Vangelo è davvero bellissimo e dovremmo leggerlo spesso perché ci dice anche qual’era l’orientamento stesso del Signore Gesù, che non faceva niente per essere ammirato dagli uomini ma viveva nell’intimità del Padre suo. L’evangelista Matteo ci presenta tre esempi: dell’elemosina, della preghiera, del digiuno e mette in evidenzia in tutti e tre una tentazione comune, direi normale. Quando facciamo qualcosa di bene, subito nasce in noi il desiderio di essere stimati per questa buona azione, di essere ammirati: di avere cioè la ricompensa, una ricompensa falsa però perché è la gloria umana, la nostra soddisfazione, il nostro piacere. E questo ci rinchiude in noi stessi, mentre contemporaneamente ci porta fuori di noi, perché viviamo proiettati verso quello che gli altri pensano di noi, lodano ammirano in noi. Il Signore ci chiede di fare il bene perché è Bene e perché Dio è Dio e ci dà anche il modo per vivere così: vivere in rapporto col Padre. Per fare il bene noi abbiamo bisogno di vivere nell’amore di qualcuno. Se viviamo nell’amore del Padre, nel segreto, con il Padre, il bene lo faremo in modo perfetto. Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto, dove solo il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta. Certo, le cose esteriori sono importanti ma dobbiamo sempre sceglierle e vivere alla presenza di Dio. Se possiamo fare poco, facciamo nella preghiera, nella mortificazione, nella carità fraterna quel poco che possiamo fare, umilmente, sinceramente davanti a Dio; così saremo degni della ricompensa che il Signore Gesù ci ha promesso da parte del Padre suo e Padre nostro.
Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima. Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo. Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.

Approfondimento del Vangelo (Il significato della preghiera, dell’elemosina e del digiuno. Come trascorrere bene il tempo della Quaresima)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Chiave di lettura: Il vangelo di questo mercoledì delle Ceneri è tratto dal Discorso della Montagna e vuole offrirci un aiuto per farci capire come praticare le tre opere di pietà: preghiera, elemosina e digiuno e come passare bene il tempo della quaresima. Il modo di svolgere queste tre opere è cambiato lungo i secoli, secondo la cultura e i costumi dei popoli e la salute delle persone. Oggi le persone più anziane ricordano il digiuno severo ed obbligatorio di quaranta giorni durante tutta la quaresima. Malgrado i cambiamenti nel modo di praticare le opere di pietà, rimane l’obbligo umano e cristiano (i) di condividere i nostri beni con i poveri (elemosina), (ii) di vivere in contatto con il Creatore (preghiera) e (iii) di sapere controllare il nostro impeto ed i nostri desideri (digiuno). Le parole di Gesù che meditiamo possono far sorgere in noi la creatività necessaria per trovare nuove forme per vivere queste tre pratiche così importanti della vita cristiana.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 6,1: La chiave generale per capire l’insegnamento che segue
- Matteo 6,2: Come non fare elemosina
- Matteo 6,3-4: Come fare elemosina
- Matteo 6,5: Come non pregare
- Matteo 6,6: Come pregare
- Matteo 6,16: Come non fare digiuno
- Matteo 6,17-18: Come fare digiuno

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
a) Qual è il punto del testo che più ti ha colpito o che ti è più piaciuto?
b) Come capire l’avvertenza iniziale fatta da Gesù?
c) Cosa critica e cosa insegna Gesù sull’elemosina? Fai un riassunto per te.
d) Cosa critica e cosa insegna Gesù sulla preghiera? Fai un riassunto per te.
e) Cosa critica e cosa insegna Gesù sul digiuno? Fai un riassunto per te.

Per coloro che vorrebbero approfondire maggiormente il tema
a) Contesto: Gesù parla di tre cose: l’elemosina (Mt 6,1-6), la preghiera (Mt 6,5?15) ed il digiuno (Mt 6,16-18). Erano le tre opere di pietà dei giudei. Gesù critica il fatto che pratichino la pietà per essere visti dagli uomini (Mt 6,1). Non permette che la pratica della giustizia e della pietà venga usata come un mezzo per la promozione sociale nella comunità (Mt 6,2.5.16). Nelle parole di Gesù appare un nuovo tipo di relazione con Dio che si dischiude per noi. Lui dice: “Tuo Padre che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,4). “Vostro Padre conosce le vostre necessità prima ancora di chiedergli qualcosa” (Mt 6,8). “Se perdonate agli uomini i loro delitti, anche il vostro Padre celeste vi perdonerà” (Mt 6,14). Gesù ci offre un nuovo cammino di accesso al cuore di Dio. La meditazione delle sue parole riguardo alle opere di pietà potrà aiutarci a scoprire questo nuovo cammino.
b) Commento del testo:
- Matteo 6,1: La chiave generale per capire l’insegnamento che segue Gesù dice: Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere visti da loro; altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli. La giustizia di cui parla Gesù consiste nel raggiungere il luogo dove Dio ci vuole. Il cammino per giungere lì è espresso nella Legge di Dio. Gesù avvisa del fatto che non si deve osservare la legge per essere elogiati dagli uomini. Prima aveva detto: “Se la vostra giustizia non supera la giustizia dei dottori della legge e dei farisei, voi non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 5,26). Nel leggere questa frase non dobbiamo pensare solo ai farisei del tempo di Gesù, ma soprattutto al fariseo che dorme in ciascuno di noi. Se Giuseppe, sposo di Maria, avesse seguito la giustizia della legge dei farisei, avrebbe dovuto denunciare Maria. Ma lui era “giusto” (Mt 1,19), possedeva già la nuova giustizia annunciata da Gesù. Per questo, trasgredì l’antica legge e salvò la vita di Maria e di Gesù. La nuova giustizia annunciata da Gesù riposa su un’altra base, scaturisce da un’altra sorgente. Dobbiamo costruire la nostra sicurezza dal di dentro, non in ciò che noi facciamo per Dio, ma in quello che Dio fa per noi. È questa la chiave generale per capire l’insegnamento di Gesù sulle opere di pietà. In ciò che segue, Matteo applica questo principio generale alla pratica dell’elemosina, della preghiera e del digiuno. Dal punto di vista didattico, prima dice come non deve essere, e poi subito insegna come deve essere.
- Matteo 6,2: Come non fare l’elemosina. Il modo sbagliato, sia allora come oggi, di fare l’elemosina è quello di usare un modo vistoso, per essere riconosciuti ed acclamati dagli altri. Spesso sui banchi delle chiese si vedono scritte queste parole: “Dono della famiglia tale”. In televisione, ai politici piace mostrarsi come grandi benefattori dell’umanità nelle inaugurazioni di opere pubbliche al servizio della comunità. Gesù dice: Coloro che così agiscono, hanno già ricevuto la loro ricompensa.
- Matteo 6,3-4: Come fare l’elemosina. Il modo corretto di fare elemosina è questo: “Che la mano sinistra non sappia ciò che sta facendo la destra!” Ossia devo fare l’elemosina in modo tale che nemmeno io devo avere la sensazione di star facendo una cosa buona, che merita una ricompensa da parte di Dio ed elogio da parte degli altri. L’elemosina è un obbligo. È una forma di condividere qualcosa che tengo, con coloro che non hanno nulla. In una famiglia, ciò che è di uno è di tutti. Gesù elogia l’esempio della vedova che dava persino ciò che gli era necessario (Mc 12,44).
- Matteo 6,5: Come non pregare. Parlando del modo sbagliato di pregare, Gesù menziona alcuni usi e costumi strani di quell’epoca. Quando veniva suonata la trombetta per la preghiera del mattino, di mezzogiorno e del pomeriggio, c’era gente che cercava di trovarsi in mezzo alla strada per pregare solennemente con le braccia aperte facendosi così vedere da tutti ed essere considerata, così, gente pia. Altri nella sinagoga, assumevano atteggiamenti stravaganti, per attirare l’attenzione delle comunità.
- Matteo 6,6: Come pregare. Per non lasciarne dubbi, Gesù esagera su come pregare. Dice che bisogna pregare, in segreto, solo davanti a Dio Padre. Nessuno ti vedrà. Anzi, forse, per gli altri, tu sarai una persona che non prega. Non importa! Anche di Gesù lo dissero: “Non è di Dio!” E questo perché Gesù pregava molto di notte e non gli importava l’opinione degli altri. Ciò che importa è avere la coscienza in pace ed avere la certezza che Dio è il Padre che mi accoglie, e non a partire da ciò che io faccio per Dio o a partire dalla soddisfazione che cerco nel fatto che altri mi apprezzano come una persona pia e che prega.
- Matteo 6,16: Come non fare digiuno. Gesù critica le pratiche sbagliate del digiuno. C’era gente che si rattristava nel volto, non si lavava, usava vestiti stracciati, non si pettinava, in modo che tutti potessero vedere che stava digiunando, ed in modo perfetto.
- Matteo 6,17-18: Come fare il digiuno. Gesù raccomanda il contrario: Quando tu digiuni, spargi profumo sulla tua testa, lavati il viso, in modo che nessuno capisca che tu stai facendo digiuno, ma solo tuo Padre che è nei cieli.
- Come dicevamo prima, si tratta di un cammino nuovo di accesso al cuore di Dio che si apre davanti a noi. Gesù, per assicurarci interiormente, non chiede ciò che noi facciamo per Dio, bensì ciò che Dio fa per noi. L’elemosina, la preghiera ed il digiuno non sono soldi per comprare il favore di Dio, ma sono la risposta di gratitudine all’amore ricevuto e sperimentato.
c) Ampliando l’informazione:
1) Il contesto più ampio del Vangelo di Matteo: Il vangelo di Matteo è stato scritto per una comunità di giudei convertiti che stavano attraversando una crisi profonda di identità, con rapporto al loro passato. Dopo essersi convertiti a Gesù, avevano continuato a vivere secondo le loro antiche tradizioni e frequentavano le sinagoghe, insieme a parenti ed amici, come prima. Ma soffrivano a causa di una forte pressione da parte degli amici giudei che non accettavano Gesù come il Messia. Questa tensione aumentò dopo l’anno 70 dC. Quando, nel 66 dC, scoppiò la rivolta dei giudei contro Roma, due gruppi non vollero partecipare, il gruppo dei farisei ed il gruppo dei giudei cristiani. Ambedue i gruppi sostenevano che andare contro Roma non aveva nulla a che fare con la venuta del messia, come altri sostenevano. Dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani nel ‘70, gli altri gruppi giudei scomparvero tutti. E rimasero solo i farisei e i giudei cristiani. Ambedue i gruppi pretendevano di essere gli eredi delle promesse dei profeti e, per questo, aumentava la tensione tra i fratelli, a causa dell’eredità. I farisei riorganizzarono il resto del popolo e presero posizione sempre di più contro i cristiani, che finirono per essere scomunicati dalle sinagoghe. Questa scomunica riaccese tutto il problema dell’identità. Ora i cristiani erano in modo ufficiale e formale separati dal popolo delle promesse. Non potevano frequentare più le loro sinagoghe, i loro rabbini. E loro si chiedevano: Chi è il vero popolo di Dio: loro o noi? Con che sta Dio? Gesù è veramente il Messia? Matteo, quindi, scrive il suo vangelo (1) per questo gruppo di cristiani, come un vangelo di consolazione per coloro che erano stati scomunicati e perseguitati dai giudei; aiutandoli a superare il trauma della rottura; (2) come un vangelo di rivelazione, mostrando che Gesù è il vero Messia, il nuovo Mosè, che compie le promesse; (3) come vangelo della nuova pratica, mostrando come devono fare per arrivare alla vera giustizia, maggiore della giustizia dei farisei.
2) Una chiave per il Discorso della Montagna: Il Discorso della Montagna è il primo dei cinque discorsi del vangelo di Matteo. Descrive le condizione che permettono ad una persona di poter entrare nel Regno di Dio: la porta di entrata, la nuova lettura della legge, il modo nuovo di vedere e praticare le opere di pietà; il modo nuovo di vivere in comunità. In una parola, nel Discorso della Montagna, Gesù comunica il modo nuovo di guardare le cose della Vita e del Regno. Si tratta di una divisione che serve da chiave di lettura:
a) Mt 5,1-16: La Porta di entrata
- Mt 5,1-10: Le otto Beatitudini aiutano a percepire dove il regno è già presente (Mt tra i poveri ed i perseguitati) e dove starà tra breve (Mt tra gli altri sei gruppi).
- Mt 5,12-16: Gesù dirige parole di consolazione ai discepoli ed avvisa: colui che vive le beatitudini sarà perseguitato (Mt 5,11-12), ma la sua vita avrà un senso, un significato, perché sarà sale della terra (Mt 5,13) e luce del mondo (Mt 5,14-16).
b) Mt 5,17-6,18: La nuova relazione con Dio: Una nuova Giustizia.
- Mt 5,17-48: La nuova giustizia deve superare la giustizia dei farisei. Gesù radicalizza la legge, cioè, la conduce alla sua radice, al suo obiettivo principale ed ultimo che è servire la vita, la giustizia, l’amore e la verità. I comandamenti della legge indicano un nuovo cammino di vita, evitato dai farisei (Mt 5,17-20). Subito Gesù presenta vari esempi di come devono essere capiti i comandamenti della Legge di Dio data da Mosè: anticamente vi è stato detto, ma io vi dico (Mt 5,21-48)
- Mt 6,1-18: La nuova giustizia non deve cercare ricompensa o merito (È il vangelo di questo Mercoledì della Ceneri).
c) Mt 6,19-34: Il nuovo rapporto con i beni della terra: una nuova visione della creazione. Affronta i bisogni primari della vita: alimento, vestiti, casa, salute. È la parte della vita che produce più angoscia nelle persone. Gesù insegna come rapportarsi ai beni materiali ed alle ricchezze della terra: non accumulare beni (Mt 6,19-21), non guardare il mondo con sguardo afflitto (Mt 6,22-23), non servire Dio ed il denaro nello stesso tempo (Mt 6,24), non preoccuparsi di ciò che mangiamo e beviamo (Mt 6,23-34).
d) Mt 7,1-29: Il nuovo rapporto con le persone: una nuova vita in comunità. Non cercare la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello (Mt 7,1-5); non gettare le perle ai porci (Mt 7,6); non aver paura di chiedere le cose a Dio (Mt 7,7-11); la regola d’oro (Mt 7,12); scegliere il cammino stretto e difficile (Mt 7,13-14); fare attenzione ai falsi profeti (Mt 7,15-20); non solo parlare ma agire (Mt 7,21-23); la comunità costruita su questa base resterà in piedi malgrado la tempesta (Mt 7,24-27). Il risultato di queste parole è una nuova coscienza dinanzi agli scribi ed ai dottori (Mt 7,28-29).

Rito ambrosiano: Una delle peculiarità di questo rito, con profili non soltanto strettamente religiosi, è l’inizio della Quaresima, che non parte dal Mercoledì delle Ceneri, ma dalla domenica immediatamente successiva. Ciò dà luogo (ad esempio in Canton Ticino, a Tesserete e Biasca) alla distinzione tra carnevale “nuovo” (quello romano) che termina con il martedì grasso e carnevale “vecchio” (quello ambrosiano) che si conclude, invece, il sabato seguente. La differenza tra il carnevale ambrosiano e quello del resto del mondo è dovuto proprio al diverso modo di calcolare le date di inizio e fine della Quaresima: nel rito romano infatti le domeniche non sono calcolate come giorno di penitenza, e quindi la quaresima è più lunga e comincia prima. Vi sono differenze anche nella concezione dei venerdì di Quaresima: per il rito ambrosiano, infatti, il venerdì è feria aneucaristica, durante la quale non possono essere celebrate messe, per vivere in modo radicale la privazione da Cristo, come avviene nel Sabato Autentico, per accoglierlo pienamente con la Pasqua. Nelle altre feriae di Quaresima, quindi tutti i giorni tranne la domenica e il sabato (considerato semi-festivo in rispetto della prescrizione mosaica e come preparazione alla domenica), l’aspetto penitenziale è espresso dalla colorazione (facoltativa) nera dei paramenti anziché viola-morello. Nelle domeniche invece, come da tradizione ambrosiana, è sottolineato il percorso battesimale, che portava un tempo e può tuttora portare i catecumeni a prepararsi al battesimo nel giorno di Pasqua, e che guida i fedeli battezzati a riscoprire il significato di questo sacramento. La Settimana Santa è chiamata Hebdomada Authentica (Settimana Autentica), in quanto vi si celebrano gli eventi centrali della storia. Nel rito ambrosiano, in cui la Quaresima è posticipata di quattro giorni e inizia la domenica immediatamente successiva (e in cui pertanto il carnevale termina con il “sabato grasso”), l’imposizione delle ceneri avviene o in quella stessa prima domenica di Quaresima oppure, preferibilmente, il lunedì seguente. Il giorno di digiuno e astinenza viene invece posticipato al primo venerdì di Quaresima. Mentre la tradizione popolare meneghina fa risalire il proprio carnevale prolungato, o “carnevalone”, a un “ritardo” annunciato dal vescovo di Milano sant’Ambrogio, impegnato in un pellegrinaggio, nel tornare in città per celebrare i riti quaresimali, in realtà tale differenziazione cronologica dipende da un consolidato e più antico computo dei quaranta giorni della Quaresima, conservato peraltro anche nel rito bizantino.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
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MessaggioTitolo: sabato 25 febbraio 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Feb 21, 2012 9:47 am

SABATO 25 FEBBRAIO 2012

SABATO DOPO LE CENERI


Preghiera iniziale: Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente, la debolezza dei tuoi figli, e a nostra protezione e difesa stendi il tuo braccio invincibile.

Letture:
Is 58,9-14 (Se aprirai il tuo cuore all’affamato, brillerà fra le tenebre la tua luce)
Sal 85 (Mostrami, Signore, la tua via)
Lc 5,27-32 (Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano)

Il banchetto del peccatore
Non si può digiunare quando lo sposo è con noi, abbiamo sentito ieri. La sua presenza, il suo intervento nella vita di Levi, un pubblicano disprezzato da tutti, ha significato la sua conversione. Il banchetto organizzato per il Signore nella sua casa è un momento di festa e di doverosa gratitudine. Gesù è intervenuto come medico a sanare una vita e s’intravede già in tutto ciò un preannuncio della Pasqua, un annuncio del suo sacrificio sulla croce e contemporaneamente la gioia della risurrezione dal peccato per un povero pubblicano. Levi è un vero risorto, perché strappato dalla schiavitù del peccato e rinato a vita nuova. Vengono così infrante le barriere che i scribi e i farisei, chiusi nel loro falso puritanismo, avevano eretto verso il mondo degli impuri e dei peccatori. Gesù invece viene a convincerci che la sua missione privilegia proprio i malati e i peccatori, tutti noi che in questo periodo di confronto e di conversione veniamo a scoprire, con più evidenza, le nostre umane debolezze, che ci abbatterebbero se la speranza della redenzione e del perdono si spegnesse in noi. Ci convinciamo ulteriormente che, pur venendo dalla triste esperienza del peccato, stiamo per sperimentare ancora in noi i frutti della redenzione e vediamo ravvivata la fede, la certezza di una vita nuova in Cristo. Possiamo già approntare i primi preparativi per il banchetto e per le festa, ci separano solo quaranta giorni dalla Pasqua. Anche in padre misericordioso, al ritorno del figlio perduto, gli corse incontro, lo baciò e, dopo averlo rivestito degli abiti migliori, fece preparare per lui un grande banchetto.
Questo passo del Vangelo ci mostra la conversione che Gesù aspetta da ciascuno di noi, ed è molto dolce: si tratta di riconoscerci peccatori, e di andare a lui come al nostro Salvatore; si tratta di riconoscerci malati e di andare a lui come al nostro medico... La peggiore cosa che possa capitarci è di crederci “giusti”, cioè di essere contenti di noi stessi, di non avere nulla da rimproverarci: perché noi ci allontaneremmo irrimediabilmente, per questo semplice fatto, dal nostro Dio di misericordia. Ma quando ci consideriamo peccatori, possiamo entrare subito nel cuore di Gesù. Gesù non aspetta che siamo perfetti per invitarci a seguirlo. Ci chiama sapendo benissimo che siamo poveri peccatori, molto deboli. Egli potrà lasciarci per tutta la vita molti difetti esteriori; ciò che importa è che il fondo del nostro cuore resti unito a lui. I nostri peccati non saranno mai un ostacolo alla nostra unione con Dio, se noi saremo dei poveri peccatori, cioè dei peccatori penitenti, umili, che si affidano alla misericordia di Dio e non alle proprie forze. È a questa conversione d’amore e di umiltà, a questo incontro con il nostro Salvatore, che siamo tutti invitati durante la Quaresima. Tutti abbiamo bisogno di conversione e di guarigione, e Gesù ci prende così come siamo. Con lo stesso sguardo di misericordia dobbiamo guardare ogni nostro fratello, senza mai scandalizzarci, come il primogenito nella parabola del figliol prodigo, dei tesori di tenerezza che nostro Padre impiega per i suoi figli più perduti.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

Riflessione
- Il Vangelo di oggi presenta lo stesso tema su cui abbiamo riflettuto a Gennaio nel vangelo di Marco (Mc 2,13-17). Solo che questa volta ne parla il Vangelo di Luca ed il testo è ben più corto, concentrando l’attenzione sulla scena principale che è la chiamata e la conversione di Levi e la conversione che ciò implica per noi che stiamo entrando in quaresima.
- Gesù chiama un peccatore ad essere suo discepolo. Gesù chiama Levi, un pubblicano, e costui, immediatamente, lascia tutto, segue Gesù ed entra a far parte del gruppo dei discepoli. Subito Luca dice che Levi ha preparato un grande banchetto nella sua casa. Nel Vangelo di Marco, sembrava che il banchetto fosse in casa di Gesù. Ciò che importa è l’insistenza nella comunione di Gesù con i peccatori, attorno al tavolo, cosa proibita.
- Gesù non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Il gesto di Gesù produsse rabbia tra le autorità religiose. Era proibito sedersi a tavola con pubblicani e peccatori, poiché sedersi a tavola con qualcuno voleva dire trattarlo da fratello! Con il suo modo di fare, Gesù stava accogliendo gli esclusi e li stava trattando da fratelli della stessa famiglia di Dio. Invece di parlare direttamente con Gesù, gli scribi dei farisei parlano con i discepoli: Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? E Gesù risponde: Non sono i sani che hanno bisogno del medico; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi! La coscienza della sua missione aiuta Gesù a trovare la risposta e ad indicare il cammino per l’annuncio della Buona Novella di Dio. Lui è venuto per riunire la gente dispersa, per reintegrare coloro che erano stati esclusi, per rivelare che Dio non è un giudice severo che condanna e respinge, bensì un Padre/Madre che accoglie ed abbraccia.

Per un confronto personale
- Gesù accoglie ed include le persone. Qual è il mio atteggiamento?
- Il gesto di Gesù rivela l’esperienza che ha di Dio Padre. Qual è l’immagine di Dio di cui sono portatore/portatrice verso gli altri mediante il mio comportamento?

Preghiera finale: Signore, tendi l’orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice. Custodiscimi perché sono fedele; tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera (Sal 85).
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MessaggioTitolo: domenica 26 febbraio 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Feb 21, 2012 9:52 am

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
I DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Gn 9,8-15 (L’alleanza fra Dio e Noè liberato dalle acque del diluvio)
Sal 24 (Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà)
1Pt 3,18-22 (Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi)
Mc 1,12-15 (Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli)

In compagnia delle fiere
La Quaresima è l’itinerario verso il mistero pasquale (passione, morte e risurrezione di Cristo), proposta esemplare e fondamentale della nostra vita cristiana. Un tempo, che si protrae per quaranta giorni (e ce ne sono tanti nella Bibbia su questa tipologia), non però in modo numerico, ma simbolico, sotto lo sguardo di Dio, in un coinvolgimento umano, che segnerà importanti e decisivi cambiamenti per la storia individuale e comunitaria. Proprio per questo motivo Gesù, azzardando di voler leggere il mistero di Dio, lo ha posto proprio al principio del suo ministero messianico. A differenza di Matteo e di Luca, i quali descrivono dettagliatamente le tentazioni di Gesù e la sua triplice risposta a satana con “Sta scritto” così si deve fare secondo Dio… Marco si limita a dire che il Signore Gesù, “sospinto dallo Spirito nel deserto, vi rimane quaranta giorni, tentato da satana”. Non precisa il tipo della tentazione, ma lascia intendere solo che la prova forse si estese per tutti i quaranta giorni. Alcuni esegeti suppongono che l’evangelista, tacendo, abbia cercato di attenuare, come fa altrove, una situazione percepita come lesiva della dignità di Gesù. Quello che appare chiaro è che Gesù, il nuovo Adamo, ha superato la prova, e nella parola di Dio ha vinto le fraudolenti insinuazioni di satana. Per questo ha riacquistato il dominio su tutte le cose, patto infranto dall’Adamo peccatore e può inaugurare un tempo di pacificazione universale come viene narrato anche dal profeta Isaia. “Se ne stava con le fiere e gli angeli lo servivano”. Ora Gesù può proclamare la splendida notizia che il tempo della promessa, tanto attesa, “è giunta al compimento e che il regno di Dio è vicino”, è presente in mezzo a noi. Per accoglierlo, per entrarvi a pieno titolo è necessario convertirsi e credere vangelo. La conversione di cui parla Gesù è un cambiamento radicale di vita. È un lasciare il nostro mondo personale per aprirci alla novità dello Spirito, è credere in Cristo per ritrovarci in lui, opera già iniziata in noi nell’immersione battesimale.
Il Vangelo di Marco comincia con una semplice affermazione: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”. Giovanni Battista, che aveva annunciato la sua venuta come imminente, battezzò Gesù nel Giordano e in quell’occasione lo Spirito diede testimonianza di Gesù. Marco accenna soltanto al periodo nel deserto e alla tentazione. È il preludio all’inizio del ministero pubblico di nostro Signore. Il suo primo richiamo, che ci viene ripetuto questa domenica, è: “Convertitevi e credete al vangelo”. Egli comincia proprio da quello che era stato il punto centrale dell’insegnamento di Giovanni Battista. La Quaresima è soprattutto un periodo di riflessione sui misteri della nostra redenzione, al cui centro sono l’insegnamento e la persona di Gesù Cristo. Il Salvatore ha assunto forma umana, cioè quella che è la nostra condizione, e non è nemmeno stato risparmiato dall’esperienza della tentazione. Nella sua natura umana, Gesù ha vissuto in prima persona cosa significhi respingere Satana e porre al primo posto le cose divine. Il nostro Signore e il nostro Dio è in tutto nostra guida e modello. Cercare di conoscere Cristo significa anche prendere coscienza di quel nostro bisogno di cambiamento di vita che chiamiamo “pentimento”. In particolare è mediante la liturgia della Chiesa che ci avviciniamo a Cristo e facciamo esperienza della sua presenza in mezzo a noi. Nella liturgia, diventiamo “uno” con Cristo nel mistero grazie al quale egli ha riscattato il mondo.

Approfondimento del Vangelo (L’annuncio della Buona Novella)
Il testo: In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Una chiave di lettura: Il testo della liturgia di questa domenica ci presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù: i quaranta giorni nel deserto, le tentazioni di Satana, l’arresto di Giovanni Battista, l’inizio dell’annuncio della Buona Novella di Dio e un breve riassunto in quattro punti di quello che Gesù annunciava al popolo della sua terra. Durante la lettura facciamo attenzione a questi due punti: Che cosa Gesù annuncia al popolo? E che cosa chiede a tutti noi?

Divisione del testo per aiutare la lettura:
- Marco 1,12-13: La buona notizia è testata e provata nel deserto.
- Marco 1,14: Gesù inizia l’annuncio della buona novella di Dio.
- Marco 1,15: Il riassunto della buona novella di Dio.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto del testo avete gustato di più o che vi ha impressionato di più? Perché?
b) Quaranta giorni nel deserto e, alla fine, le tentazioni. Qual è il significato di questa informazione per le comunità del tempo di Marco? Quale è il significato per noi oggi?
c) Fu l’arresto di Giovanni Battista che motivò Gesù a tornare in Galilea e iniziare l’annuncio della buona Novella di Dio? Quale è il significato di questa informazione per le comunità del tempo di Marco? E quale significato per noi oggi?
d) La Buona Novella che Gesù annuncia ha quattro punti. Quali sono? Cosa significano i singoli punti?
e) Quale messaggio da tutto questo per noi oggi?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il testo
a) Il contesto nel quale appare il testo nel Vangelo di Marco
- La Buona Novella di Dio, preparata lungo la storia (Mc 1, 1-8), fu proclamata solennemente dal Padre nel momento del battesimo di Gesù (Mc 1, 9-11). Ora qui nel nostro testo viene provata nel deserto (Mc 1, 12-13) e, subito, appare il risultato della lunga preparazione. Gesù annuncia la Buona Novella pubblicamente al popolo (Mc 1,14-15).
- Negli anni 70, epoca in cui Marco scrive, i cristiani, leggendo questa descrizione dell’inizio della Buona Novella, guardavano nello specchio della propria vita. Deserto, tentazione, prigione non mancavano. Erano il pane quotidiano. E tuttavia, come Gesù, cercavano di annunziare la Buona Novella di Dio.
b) Commento:
- Marco 1,12-13: La Buona Novella è testata e provata nel deserto. Dopo il battesimo, lo Spirito di Dio prende possesso di Gesù e lo spinge verso il deserto, dove si prepara per la missione. (Mc 1, 12s). Marco dice che Gesù stette nel deserto per quaranta giorni, e che fu tentato da Satana. In Matteo 4, 1-11, si esplicita la tentazione: tentazione del pane, tentazione del prestigio, tentazione del potere. Furono le tre tentazioni che incontrò il popolo nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto (Dt 8,3; 6, 13.16). Tentazione è tutto quello che allontana qualcuno dal cammino di Dio. La lettera agli Ebrei dice: “Gesù fu tentato in tutto come noi, eccetto che nel peccato” (Ebr 4,15). Orientandosi con la Parola di Dio, Gesù affrontava le tentazioni (Mt 4,4.7.10). Inserito in mezzo ai poveri e unito al Padre con l’orazione, fedele ad entrambe, egli resistette, e continuò sul cammino del Messia-Servitore, il cammino del servizio a Dio e al popolo (Mt 20,28).
- Marco 1,14: Gesù inizia l’annuncio della Buona Novella. Mentre Gesù si preparava nel deserto, Giovanni Battista fu arrestato dal re Erode. Dice il testo: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il vangelo di Dio. L’arresto di Giovanni Battista non spaventò Gesù: anzi al contrario. L’esperienza del battesimo gli aveva aperto gli occhi. Egli vide nell’arresto di Giovanni un segnale dell’arrivo del Regno. L’arresto di Giovanni Battista era collegato con la politica del paese. Oggi pure i fatti della politica influiscono sull’annuncio che noi facciamo della Buona Novella al popolo.
Marco dice che Gesù proclamava il Vangelo di Dio. Gesù ci fa sapere che Dio è una Buona Notizia per la vita umana. Dice sant’Agostino: “Ci hai fatto per te, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposerà in te”. L’annuncio di Gesù rispondeva alla ricerca più profonda del cuore umano.
- Marco 1,15: Il riassunto della Buona Notizia di Dio. L’annuncio della Buona Notizia di Dio ha quattro punti: 1) L’attesa è terminata. 2) Il Regno di Dio è arrivato. 3) Cambiare vita. 4) Credere alla Buona Novella.
1) L’attesa è terminata! Per gli altri giudei il tempo non era ancora terminato per l’arrivo del Regno. Per i farisei, per esempio, il regno arriverebbe solo quando la osservanza della Legge fosse diventata perfetta. Per gli esseni, quando il paese sarà purificato. Per gli erodiani quando essi avrebbero preso il dominio del mondo. Gesù pensa diversamente. Egli ha altra maniera di leggere i fatti. Dice che l’attesa è terminata.
2) Il Regno di Dio è giunto! Per i farisei e gli esseni, l’arrivo del regno dipendeva dal loro sforzo. Solamente arriverebbe quando avessero realizzato la loro parte, cioè osservare tutta la legge, purificare tutto il paese. Gesù dice il contrario: “Il Regno è arrivato”. Già stava lì, fra loro. Indipendentemente dallo sforzo fatto. Quando Gesù dice “Il regno è giunto”, non vuole dire che sta per arrivare solamente in quel momento, ma che esso già sta lì. Quello che tutti speravano già stava presente in mezzo al popolo, ed essi non lo sapevano, e nemmeno lo percepivano (cfr. Lc 17,21). Gesù lo percepì, perché leggeva la realtà con altro sguardo. È questa presenza nascosta del Regno in mezzo al popolo, che Gesù rivela e annuncia ai poveri della sua terra. È questo seme del regno che riceverà la pioggia della sua parola e il calore del suo amore.
3) Cambiate vita! Alcuni traducono: fate penitenza; altri “convertitevi” o “pentitevi”. Il senso esatto è mutare il modo di pensare e di vivere. Per poter percepire questa presenza del Regno la persona deve cominciare a pensare, a vivere e ad agire in modo differente. Deve cambiare vita e incontrare un’altra forma di convivenza. Deve lasciare da parte il legalismo dell’insegnamento dei farisei e lasciare che la nuova esperienza di Dio invada la sua vita e gli dia occhi nuovi per leggere e intendere i fatti.
4) Credete alla Buona Novella! Non era facile accettare il messaggio. Non è facile cominciare a pensare in modo del tutto diverso da quello che si è imparato, fin da piccoli. Questo è possibile attraverso un atto di fede. Quando qualcuno porta una notizia inattesa, difficile da accettare, si accetta solo se la persona che la annuncia è degna di fiducia. E così si dirà agli altri: “Si può accettare! Io conosco la persona, essa non inganna. È di fiducia, parla con verità”. Gesù è degno di fiducia!
c) Ampliando le informazioni (L’inizio della predicazione della Buona Novella di Dio fatta da Gesù in Galilea): L’arresto di Giovanni fece tornare Gesù e iniziare l’annuncio della Buona Novella. Fu un inizio esplosivo e creativo! Gesù percorre la Galilea intera: villaggi, paesi, città (Mc 1, 39). Visita le comunità. Cambia persino di residenza, e va ad abitare a Cafarnao (Mc 1,21; 2,1), città che si trova all’incrocio delle strade, ciò che facilitava la divulgazione del messaggio. Quasi non si ferma, si muove sempre. I discepoli e le discepole vanno con lui, da ogni parte: lunga la spiaggia, sulla strada, in montagna, nel deserto, sulla barca, nelle sinagoghe, nelle case. Con molto entusiasmo. Gesù aiuta il popolo offrendo vari tipi di servizio: scaccia molti spiriti (Mc 1,39), cura i malati e gli afflitti (Mc 1, 34), purifica chi è emarginato a causa delle leggi di purità (Mc 1, 40-45), accoglie gli emarginati e li tratta con familiarità (Mc 2, 15). Annuncia, chiama, convoca, attrae, consola, aiuta. È una passione che si rivela. Passione per il Padre e per il popolo povero e abbandonato della sua terra. Dove incontra gente che lo ascolta parla e trasmette la Buona Novella di Dio. Dovunque. In Gesù tutto è rivelato di ciò che lo anima da dentro. Non solo annuncia la Buona Novella del Regno. Egli stesso è una figura, un testimone vivente del Regno. In lui appare ciò che avviene quando una persona umana lascia che Dio regni, che prenda possesso della sua vita. Col suo modo di vivere e di agire, Gesù rivela quello che Dio aveva in mente quando chiamò il popolo nel tempo di Abramo e di Mosè. Gesù disseppellì una nostalgia e la trasformò in speranza. All’improvviso apparve chiaro per il popolo: “Questo era ciò che Dio voleva quando ci chiamò ad essere suo popolo!”. Il popolo gustava di ascoltare Gesù. Questo fu l’inizio dell’annuncio della buona Novella del Regno che si divulgava rapidamente per i villaggi della Galilea. Cominciò piccola come un seme, ma andò crescendo fino a diventare un albero grande, dove il popolo poteva trovare un riparo (Mc 4, 31-32). Il popolo stesso diveniva divulgatore della notizia. Il popolo della Galilea restava impressionato per la maniera che Gesù aveva di insegnare. “Una dottrina nuova insegnata con autorità, non come gli scribi” (Mc 1, 22.27). Insegnare era ciò che Gesù per lo più faceva (Mc 2, 13; 4,1-2; 6,34). Era la sua abitudine (Mc 10,1). Per più di quindici volte il vangelo di Marco dice che Gesù insegnava. Ma Marco quasi mai dice che cosa insegnava. Forse non gli interessava il contenuto? Dipende da ciò che intendiamo per contenuto. Insegnare non è solo una questione di insegnare verità nuove al popolo. Il contenuto che Gesù dava traspare non solo nelle sue parole, ma anche nei gesti e nella maniera di relazionarsi con le persone. Il contenuto mai è slegato dalla persona che lo comunica. Gesù era una persona accogliente (Mc 56, 34). Voleva bene al popolo. La bontà e l’amore che traspaiono nelle sue parole fanno parte del contenuto. Contenuto buono senza bontà è come latte sparso. Marco definisce il contenuto dell’insegnamento di Gesù come “Buona Novella di Dio” (Mc 1, 14). La Buona Novella che Gesù proclama viene da Dio e rivela qualche cosa su Dio. In tutto quello che Gesù dice e fa’, traspaiono i tratti del volto di Dio. Traspare l’esperienza che Gesù stesso ha di Dio come Padre. Rivelare Dio come Padre è la fonte, il contenuto e il destino della Buona Novella di Gesù.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
DOMENICA ALL’INIZIO DI QUARESIMA


Letture:
Is 57,15-58,4a
Sal 50
2Cor 4,16b-5,9
Mt 4,1-11

Non di solo pane
“Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni” (Lett.). La Quaresima è anzitutto iniziativa di Dio per richiamarci alla retta conoscenza del vero Dio e alla sempre più piena fiducia in Lui, sull’esempio delle scelte compiute da Gesù all’inizio ella sua missione nel deserto. E tutto questo con uno slancio coraggioso, quasi radicale, che richiede qualche rinuncia. Noi vorremmo avere tutto e subito la salvezza, ma ora è il tempo del lungo rivestirci di Cristo attraverso l’azione dello Spirito: “In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita” (Epist.). È ancora tempo di conversione e purificazione. Ecco il digiuno della Quaresima.
Le scelte di Gesù: Chiaramente le scelte di Gesù sono tutte per la volontà - cioè la fiducia - nel disegno di Dio. Anche noi si vorrebbe fondare la propria sicurezza “sul pane”, sulle nostre capacità autonome di vita e sulle nostre risorse; ma non sono né rette né sufficienti. La nostra visione della vita - come le capacità di piena salvezza - hanno bisogno di essere poste sullo schermo più grande di Dio: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, perché di lui noi siamo stirpe” (At 17,28). Perciò necessariamente “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Quaresima, tempo di verità interiore, oltre le sirene incantatrici delle sufficienze (anzi delle straffotenze) umane nei confronti del nostro Creatore e Salvatore. Approfittare - o pretendere - da Dio una vita più facile, senza scelte e prove, quasi Egli sia un tappabuchi alle nostre difficili responsabilità, presumendo la Sua protezione, è troppo facile acquiescienza anche tra credenti. Purtroppo anche tra cristiani si diffonde una religiosità “miracolistico-guarigionista”. Gesù dice: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Gesù non usò mai del suo potere divino per proprio interesse, neanche sulla croce dove poteva sbaragliare tutti i nemici. Proprio lì disse: “È compiuto” (Gv 19,30). Ci insegnò a dire: “Sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10). La vera fede è credere che Dio vede e vuole il mio bene meglio di quello che veda io. Meglio fidarsi del suo disegno! Forse anche Gesù potè sentire il fascino del successo e del potere; satana gli mostrò tutti i regni della terra e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. - “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Non ci deve essere alcuna idolatria né del potere né del prestigio né del possesso. La missione di Gesù è in tutt’altra linea: “Il mio Regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Egli sapeva che l’immagine vera del Messia l’aveva data Isaia rievocando il Servo Sofferente che si sacrifica per la salvezza di tutti. Quanta idolatria del potere e del prestigio c’è in noi uomini: idoli ai quali sacrifichiamo tutto! Anche all’interno della nostra vita di Chiesa, quanto è facile privilegiare strumenti di potere, mire di espansione, privilegi e puntelli umani, invece della povertà in spirito che è il fidarsi di Dio e dei suoi metodi!
Le nostre scelte: La Quaresima, che è un grande itinerario Cristologico per cogliere l’opera di Gesù nel nostro battesimo, richiama anzitutto qualcosa dell’atteggiamento e del modo specifico di intervenire di Dio nella storia, un suo volto proprio e sorprendente, ben diverso dalle aspettative errate che noi abbiamo spontaneamente di Lui. È un Dio che non vuol imporsi con miracoli per manifestare la sua onnipotenza vincente. Al contrario, è un Dio che segue il cammino della croce per mostrare il dono di sé, per esprimere plasticamente che “non c’è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici” (Gv 15,13), che condivide fino in fondo l’esperienza degli uomini per portare su di sé il peccato di noi tutti! Gesù sceglie la strada del servo sofferente perché vuol mostrare che il nostro Dio vuol conquistare il cuore dell’uomo con l’amore, non con la forza e la potenza. È la prima conversione da fare: la Parola di Dio, non le nostre intuizioni, svela l’unico vero volto di Dio. E, non solo ascolto, ma lettura personale (Lectio divina) ora che di Bibbie ce ne sono a disposizione d’ogni esigenza. Seconda scelta: la fiducia piena in Dio nella nostra vita, accettare il suo disegno, anche difficile, su di noi, come ha fatto Gesù. Egli è “l’obbediente fino alla morte di croce” (Fil 2,8), dice Paolo. Non ci sono cose straordinarie da fare; c’è da vivere la quotidianità come “obbedienza” d’amore a Dio, anche nei momenti di prova, con la convinzione che “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Naturalmente qui si richiede molta preghiera. Luca dice che Gesù al Getsemani, “entrato nella lotta, pregava più intensamente” (Lc 22,44). Aver timore di avventurarsi nella prova senza l’aiuto divino. Ci si ribella, necessariamente. La vera santità è quella della “piccola via” di santa Teresa di Lisieux: i piccoli gesti come atti d’amore. Infine certamente la sobrietà come solidarietà. Gesù nel deserto s’è deciso per il tutto di sé per l’uomo. Il digiuno quaresimale è appunto per la carità: è raccomandato da ogni istanza ecclesiale soprattutto in questi tempi di crisi. Le iniziative, soprattutto missionarie, sono proposte in ogni parrocchia. “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18). I venerdì di Quaresima sono di “magro” e il primo e l’ultimo anche di digiuno; è un richiamo a che ognuno, secondo il proprio bisogno di distacco e di purificazione scelga il modo giusto e serio di adempiere l’invito ecclesiale.
Un Gesù tentato ce lo fa vedere uomo in tutto come noi, capace quindi di capire le nostre prove e di sostenerci. “Non abbiamo infatti un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). E ancora: “Proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18). La Quaresima è tempo di scelte - che magari costano - per imparare l’obbedienza a Dio e rifiutare ogni altro idolo.
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MessaggioTitolo: SABATO 3 MARZO 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Feb 29, 2012 10:54 am

SABATO 3 MARZO 2012

SABATO DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, Padre di eterna misericordia, fa’ che si convertano a te i nostri cuori, perché nella ricerca dell’unico bene necessario e nelle opere di carità fraterna siamo sempre consacrati alla tua lode.

Letture:
Dt 26,16-19 (Sarai un popolo consacrato al Signore tuo Dio)
Sal 118 (Beato chi cammina nella legge del Signore)
Mt 5,43-48 (Siate perfetti come il Padre vostro celeste)

Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste
Il brano del Vangelo ci propone un invito pressante ad essere perfetti sulla similitudine del Padre celeste, cosa che ci sembra alquanto assurda non certo per saggia prudenza, ma per mancanza di conoscenza. Questa scalata la portiamo dentro di noi fin dal principio. Adamo ed Eva si sono lasciati coinvolgere dalla proposta del tentatore: “Sarete come déi”. Hanno sbagliato solo la strada per diventarlo, nel progetto di Dio c’era. Ora a noi viene concessa tale similitudine all’interno di una alleanza e nel dono di una consacrazione battesimale, che ci uniforma a Cristo e ci rende partecipi del popolo sacerdotale. Siate perfetti (un altro evangelista, siate misericordiosi) - ci dice Gesù - come è perfetto il Padre vostro celeste. Quale è dunque la perfezione che noi dobbiamo imitare? Quella dell’amore, perché Egli è Amore! Chi per natura è amore, non può non amare. Dio continua il suo dono anche verso coloro che non lo amano. Ne abbiamo una prova inconfutabile: il Padre ha cambiato il furore omicida degli uomini su di Sé e sul proprio Figlio in dono di vita, vita divina, per tutti e per sempre. Ecco perché Gesù ci raccomanda – cosa che ha fatto sempre per noi - di amare i nemici, di pregare per i persecutori, di non far del bene soltanto a quelli da cui l’abbiamo ricevuto. In questo modo possiamo verificare se il nostro amore può assomigliare a quello del Padre che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Siamo coscienti di essere abbastanza lontani nei fatti da questo stile di vita. Tuttavia siamo nella Sua scuola. Siamo nella Sua grazia. Siamo suoi figli nel Figlio. Non abbiamo il suo Spirito in noi che chiama Dio, Padre? La Quaresima è il momento per ricuperare la nostra dignità cristiana e tendere a mete spirituali che paiono irraggiungibili, se non fossimo sostenuti dalla tenerezza di Dio. Per grazia siamo stati generati conformi all’immagine del Figlio.
Quando leggiamo il brano di Vangelo di oggi, dobbiamo soprattutto pregare, dobbiamo implorare Gesù per poterlo vivere pienamente. Dobbiamo supplicare lo Spirito Santo di cambiare i nostri cuori al punto di poter perdonare e amare come Gesù, che ci ha dato la più grande prova del suo amore per noi sulla croce. È umano, è naturale che noi non possiamo amare i nostri nemici. Possiamo a stento evitare di ripagarli con gli stessi torti, ed è già molto! Ma Gesù ci chiama a molto di più. Egli ci dice di “amarli e di pregare per loro”. Dio ha creato il nostro cuore in modo che esso non possa essere neutrale. Quando restiamo indifferenti nei confronti di qualcuno, siamo incapaci di scoprire ciò che vi è di migliore in lui, siamo incapaci di perdonarlo veramente. Si tratta ancora, quindi, di imitare il nostro Padre celeste, non nella sua potenza, nella sua saggezza, nella sua intelligenza, ma nella sua bontà e nella sua misericordia. Lui che non solo “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”, ma che ha sacrificato il suo Figlio, il suo Figlio prediletto, per Giuda come per il buon ladrone, per tutti gli uomini.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Riflessione:
- Nel vangelo di oggi vediamo come Gesù ha interpretato il comandamento: “Non uccidere” in modo che la sua osservanza porti alla pratica dell’amore. Oltre a dire “Non uccidere” (Mt 5,21), Gesù citò altri quattro comandamenti dell’antica legge: non commettere adulterio (Mt 5,27), non dare falsa testimonianza (Mt 5,33), occhio per occhio, dente per dente (Mt 5,38) e, nel vangelo di oggi: “Amerai il prossimo tuo ed odierai il tuo nemico” (Mt 5,43). Così, cinque volte in tutto, Gesù critica e completa il modo antico di osservare questi comandamenti ed indica un cammino nuovo per raggiungere l’obiettivo della legge che è la pratica dell’amore (Mt 5,22-26; 5, 28-32; 5,34-37; 5,39-42; 5,44-48).
- Amare i nemici. Nel vangelo di oggi, Gesù cita l’antica legge che dice: “Amerai il prossimo tuo ed odierai il tuo nemico”. Questo testo non si trova così nell’Antico Testamento. Si tratta piuttosto della mentalità regnante, secondo cui non c’era nessun problema nel fatto che una persona odiasse il suo nemico. Gesù discorda e dice: “Ma io vi dico: Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. E Gesù ce ne dà la prova. Nell’ora della sua crocifissione osservò ciò che predicò.
- Padre, perdonali! Non sanno ciò che fanno! Un soldato prende un polso di Gesù e lo mette sul braccio della croce, vi colloca un chiodo e comincia a battere. Varie volte. Scendeva sangue. Il corpo di Gesù si contorceva dal dolore. Il soldato, un mercenario, ignorante, lontano da ciò che faceva e che succedeva intorno a lui, continuava a battere come se fosse un pezzo della parete di casa sua e dovesse appendere un quadro. In quel momento Gesù prega per il soldato che lo torturava e rivolge la preghiera al Padre: “Padre, perdonalo! Non sa cosa sta facendo!”. Amò il soldato che lo uccideva. Pur volendolo con tutte le forze, la mancanza di umanità non riesce a spegnere in Gesù l’umanità e l’amore! Sarà fatto prigioniero, sputeranno su di lui, gli rideranno in faccia, faranno di lui un re pagliaccio con una corona di spine in testa, lo tortureranno, l’obbligheranno ad andare per le strade come un criminale, dovette udire gli insulti delle autorità religiose, sul calvario lo lasceranno totalmente nudo alla vista di tutti e di tutte. Ma il veleno della mancanza di umanità non riesce a raggiungere la fonte d’amore e di umanità che scaturiva dal di dentro di Gesù. L’acqua dell’amore che scaturiva dal di dentro era più forte del veleno dell’odio che veniva dal di fuori. Guardando quel soldato, Gesù sentì dolore e pregò per lui e per tutti: “Padre perdona!”. E presenta quasi una scusa: “Non sanno cosa stanno facendo”. Gesù si solidarizza nei riguardi di coloro che lo maltrattavano e torturavano. Era come un fratello che va con i suoi fratelli assassini davanti al giudice e lui, vittima dei propri fratelli, dice al giudice: “Sono miei fratelli, sai, sono ignoranti. Perdonali! Miglioreranno!”. Amò il nemico!
- Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Gesù non vuole semplicemente spaventare, perché a nulla servirebbe. Lui vuole cambiare il sistema della convivenza umana. La Novità che vuole costruire viene dalla nuova esperienza che ha di Dio Padre, pieno di tenerezza che accoglie tutti! Le parole di minaccia contro i ricchi non possono essere occasione di vendetta da parte dei poveri. Gesù ordina di avere l’atteggiamento contrario: “Amate i vostri nemici!”. Il vero amore non può dipendere da ciò che ricevo dall’altro. L’amore deve volere il bene dell’altro indipendentemente da ciò che lui fa per me. Perché così è l’amore di Dio per noi.

Per un confronto personale
- Amare i nemici. Sono capace di amare i miei nemici?
- Contemplare in silenzio Gesù che, nell’ora della sua morte, amava il nemico che lo uccideva.

Preghiera finale: Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore (Sal 118).
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MessaggioTitolo: DOMENICA 4 MARZO 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Feb 29, 2012 11:01 am

DOMENICA 4 MARZO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
II DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Gn 22,1-2.9.10-13.15-18 (Il sacrificio del nostro padre Abramo)
Sal 115 (Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi)
Rm 8,31-34 (Dio non ha risparmiato il proprio Figlio)
Mc 9,1-9 (Questi è il Figlio mio, l’amato)

Gesù trasfigurato e sfigurato
Racconta l’evangelista Marco che Gesù cominciò a parlare apertamente delle sue sofferenze, della sua passione ai suoi discepoli per chiarire la sua vera identità: è il Messia, sì, come ha confessato Pietro per ispirazione del Padre, ma un Messia che va verso la morte, conforme all’immagine del servo sofferente. Queste due immagini: trasfigurato e sfigurato, Gesù le mostra sul monte in una luce irradiante alla presenza di tre suoi discepoli. Il candore e la luce sfolgorante della sua persona rievocano le visioni del profeta Daniele, mentre la presenza di Elìa e di Mosè, che parlavano con lui del suo esodo, indicano in Gesù il compimento della Legge e dei Profeti. Essi avevano avuto al tempo loro il privilegio di vedere la gloria di Dio in vista di una missione difficile da compiere per il popolo. Ora tutto questo si assomma, s’incarna nella persona di Gesù, elevato in autorità dalla voce del Padre: “Questi è il mio Figlio prediletto; ascoltatelo”. I tre discepoli raccolgono tale testimonianza per comunicarla ai credenti, come dirà Pietro: “Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo, mentre eravamo con lui sul santo monte”. Perché Gesù fece questo? Per imprimere nella mente dei discepoli un’immagine gloriosa, potente che potesse galvanizzare la tragicità degli eventi successivi e nello stesso tempo mostrare che nella povertà, nella sofferenza, nella passione Dio resta onnipotente e potevano credere alla promessa, anche se appariva umanamente impossibile. Come reagiscono gli apostoli? Pietro, ancora una volta esce fuori con una risposta tanto umana: “Facciamo tre tende e restiamo qui”. Pietro cede alla tentazione di chi vorrebbe fermare la vita ai momenti belli e straordinari, rifiutando di vivere tutto il cammino della vita umana che include un po’ per tutti anche la croce. Cessata la visione, Gesù torna ad essere quello di prima. Qualcosa di confuso e di mesto però rimane nel cuore dei discepoli. In seguito Pietro e i suoi compagni capiranno e crederanno. Gesù è il Figlio di Dio che il Padre ha dato per noi. Egli ci coinvolge come fratelli nel mistero del suo dono, affinché giunga anche per noi la vita nella luce.
La trasfigurazione occupava un posto importante nella vita e nell’insegnamento della Chiesa primitiva. Ne sono testimonianze le narrazioni dettagliate dei Vangeli e il riferimento presente nella seconda lettera di Pietro (2Pt 1,16-18). Per i tre apostoli il velo era caduto: essi stessi avevano visto ed udito. Proprio questi tre apostoli sarebbero stati, più tardi, al Getsemani, testimoni della sofferenza di nostro Signore. L’Incarnazione è al centro della dottrina cristiana. Possono esserci molti modi di rispondere a Gesù, ma per la Chiesa uno solo è accettabile. Gesù è il Figlio Unigenito del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. La vita cristiana è una contemplazione continua di Gesù Cristo. Nessuna saggezza umana, nessun sapere possono penetrare il mistero della rivelazione. Solo nella preghiera possiamo tendere a Cristo e cominciare a conoscerlo. “È bello per noi stare qui”, esclama Pietro, il quale “non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”. La fede pone a tacere la paura, soprattutto la paura di aprire la nostra vita a Cristo, senza condizioni. Tale paura, che nasce spesso dall’eccessivo attaccamento ai beni temporali e dall’ambizione, può impedirci di sentire la voce di Cristo che ci è trasmessa nella Chiesa.

Approfondimento del Vangelo (La trasfigurazione di Gesù: la croce nell’orizzonte. La passione che conduce alla gloria)
Il testo: In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Chiave di lettura: In questa seconda domenica di quaresima, la Chiesa medita sulla Trasfigurazione di Gesù dinanzi ai tre discepoli che con lui giunsero sulla montagna. La Trasfigurazione avviene dopo il primo annuncio della Morte di Gesù (Lc 9,21-22). Questo annuncio aveva confuso i due discepoli, e soprattutto Pietro. Osserviamo da vicino, nei suoi minimi particolari, il testo che ci descrive la trasfigurazione in modo da renderci conto come questa esperienza diversa di Gesù ha potuto aiutare i discepoli a vincere e superare la crisi in cui si trovavano. Nel corso della lettura, cerchiamo di essere attenti a quanto segue: “Come avviene la trasfigurazione e quale è la reazione dei discepoli davanti a questa esperienza?”

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Marco 9,2-4: La Trasfigurazione di Gesù davanti ai suoi discepoli
- Marco 9,5-6: Reazione di Pietro davanti alla trasfigurazione
- Marco 9,7-8: La parola del cielo che spiega il senso della Trasfigurazione
- Marco 9,9-10: Mantenere il segreto di ciò che videro

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che più ti è piaciuto o che ti ha maggiormente colpito? Perché?
b) Come avviene la trasfigurazione e qual è la reazione dei discepoli dinanzi a questa esperienza?
c) Perché il testo presenta Gesù con vesti risplendenti mentre parla con Mosè e con Elia? Cosa significano per Gesù Mosè ed Elia? E cosa significano per i discepoli?
d) Qual è il messaggio della voce del cielo per Gesù? E qual è il messaggio per i discepoli?
e) Come trasfigurare, oggi, la vita personale e familiare, e la vita comunitaria nel nostro quartiere?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il tema
a) Contesto di allora e di oggi: L’annuncio della passione sommerse i discepoli in una profonda crisi. Loro si trovavano in mezzo ai poveri, ma nella loro testa c’era confusione, persi com’erano nella propaganda del governo e nella religione ufficiale dell’epoca (Mc 8,15). La religione ufficiale insegnava che il Messia sarebbe stato glorioso e vittorioso! Ed è per questo che Pietro reagisce con molta forza contro la croce (Mc 8,32). Un condannato alla morte di croce non poteva essere il messia, anzi, secondo la Legge di Dio, doveva essere considerato come un “maledetto da Dio” (Dt 21,22-23). Dinanzi a ciò, l’esperienza della Trasfigurazione di Gesù poteva aiutare i discepoli a superare il trauma della Croce. Infatti, nella trasfigurazione, Gesù appare nella gloria, e parla con Mosè e con Elia della sua Passione e Morte (Lc 9,31). Il cammino della gloria passa quindi per la croce. Negli anni ’70, quando Marco scrive il suo vangelo, la Croce costituiva un grande impedimento per l’accettazione di Gesù come Messia da parte dei giudei. Come poteva essere che un crocifisso, morto come un emarginato, potesse essere il grande messia atteso da secoli dal popolo? La croce era un impedimento per credere in Gesù. “La croce è uno scandalo” dicevano (1Cor 1,23). Le comunità non sapevano come rispondere alle domande critiche dei giudei. Uno degli sforzi maggiori dei primi cristiani consisteva in aiutare le persone a percepire che la croce non era né scandalo, né follia, bensì era l’espressione del potere e della sapienza di Dio (1Cor 1,22-31). Il vangelo di Marco contribuisce in questo sforzo. Si serve di testi del Vecchio Testamento per descrivere la scena della Trasfigurazione. Illumina i fatti della vita di Gesù e mostra che Gesù vede realizzarsi le profezie e che la Croce è il cammino che conduce alla Gloria. E non solo la croce di Gesù era un problema! Negli anni ‘70, la croce della persecuzione faceva parte della vita dei cristiani. Infatti, poco tempo prima Nerone aveva scatenato la persecuzione e ci furono molti morti. Fino ad oggi, molte persone soffrono perché sono cristiani e perché vivono il vangelo. Come affrontare la croce? Che significato ha? Con queste domande nella mente meditiamo e commentiamo il testo sulla trasfigurazione.
b) Commento del testo:
- Marco 9,2-4: Gesù cambia aspetto. Gesù va su un molte alto. Luca aggiunge che vi si reca per pregare (Lc 9,28). Lì, sulla cima della montagna, Gesù appare nella gloria davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Insieme a lui appaiono anche Mosè ed Elia. Il monte alto evoca il Monte Sinai, dove nel passato, Dio aveva manifestato al popolo la sua volontà, consegnando la legge a Mosè. Le vesti bianche di Gesù evocano Mosè avvolto nella luce quando parla con Dio sulla Montagna e riceve da Dio la legge (cfr. Es 34,29-35). Elia e Mosè, le due più grandi autorità del Vecchio Testamento, parlano con Gesù. Mosè rappresenta la Legge, Elia la profezia. Luca dice che la conversazione avviene sulla Morte di Gesù a Gerusalemme (Lc 9,31). Così era chiaro che il Vecchio Testamento, sia la Legge come i Profeti, insegnava già che il cammino della gloria passa per la croce (cfr. Is 53).
- Marco 9,5-6: A Pietro l’accaduto piace, ma non capisce. A Pietro piace quanto è avvenuto e vuole assicurare il momento piacevole sulla Montagna. Propone costruire tre tende. Marco dice che Pietro aveva paura, senza sapere ciò che stava dicendo, e Luca aggiunge che i discepoli avevano sonno (Lc 9,32). Loro sono come noi, per loro è difficile capire la Croce! La descrizione dell’episodio della trasfigurazione inizia con una affermazione: “Sei giorni dopo”. A cosa si riferiscono questi sei giorni? Alcuni studiosi spiegano così la frase: Pietro vuole costruire tende, perché era il sesto giorno della festa delle tende. Era una festa molto popolare di sei giorni che celebrava il dono della Legge di Dio ed i quaranta anni passati nel deserto. Per evocare questi quaranta anni, il popolo doveva trascorrere una settimana della festa in tende improvvisate. Per questo si chiamava la Festa delle Tende. Se non fosse possibile la celebrazione tutti e sei i giorni, per lo meno che si facesse il sesto giorno. L’affermazione “dopo i sei giorni” sarebbe un’allusione alla festa delle tende. Per questo Pietro ricorda l’obbligo di costruire tende. E si offre spontaneamente per fare le tende. Così Gesù, Mosè ed Elia avrebbe potuto continuare a conversare.
- Marco 9,7: La voce del cielo chiarisce i fatti. Appena Gesù è avvolto nella gloria, una voce dal cielo dice: “Questo è il mio Figlio prediletto! Ascoltatelo!”. L’espressione “Figlio prediletto” evoca la figura del Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cfr. Is 42,1). L’espressione “Ascoltatelo” evoca la profezia che prometteva l’arrivo di un nuovo Mosè (cfr. Dt 18,15). In Gesù, si stanno realizzando le profezie del Vecchio Testamento. I discepoli non potevano dubitarlo. I cristiani degli anni ‘70 non potevano dubitarlo. Gesù è veramente il Messia glorioso, ma il cammino della gloria passa per la croce, secondo l’annuncio dato nella profezia del Servo (Is 53,3-9). La gloria della Trasfigurazione ne è la prova. Mosè ed Elia lo confermano. Il Padre ne è il garante. Gesù l’accetta.
- Marco 9,8: Solo Gesù e nessun altro! Marco dice che, dopo la visione, i discepoli vedono solo Gesù e nessun altro. L’insistenza nell’affermare che solo vedono Gesù suggerisce che d’ora in poi Gesù è l’unica rivelazione di Dio per noi! Per noi cristiani, Gesù, e solamente lui, è la chiave per capire tutto il senso del Vecchio Testamento.
- Marco 9, 9-10: Sapere rimanere in silenzio. Gesù chiede ai suoi discepoli di non dire niente a nessuno fino a che fosse risuscitato dai morti, ma i discepoli non lo capiscono. Infatti, non capisce il significato della Croce chi non unisce la sofferenza alla risurrezione. La Risurrezione di Gesù è la prova che la vita è più forte della morte.
- Marco 9,11-13: Il ritorno del profeta Elia. Il profeta Malachia aveva annunciato che Elia doveva ritornare per preparare il cammino del Messia (Ml 3,23-24). Questo stesso annuncio si trova nel libro dell’Ecclesiastico (Ec 48,10). Allora, come poteva essere Gesù il Messia, se Elia ancora non era tornato? Per questo, i discepoli chiedevano: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” (9,11). La risposta di Gesù è chiara: “Io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui” (9, 13). Gesù stava parlando di Giovanni Battista, assassinato da Erode (Mt 17,13).
c) Ampliando le informazioni:
- La Trasfigurazione: il cambiamento che avviene nella pratica di Gesù: Nel mezzo dei conflitti con i farisei e gli erodiani (Mc 8,11-21), Gesù lascia la Galilea e si reca nella regione di Cesarea di Filippo (Mc 8,27), dove inizia a preparare i discepoli. Lungo il cammino, lancia una domanda: “Chi dice la gente che io sia?” (Mc 8,27). Dopo aver ascoltato la risposta che lo consideravano il Messia, Gesù comincia a parlare della sua passione e morte (Mc 8,31). Pietro reagisce: “Dio te ne scampi, Signore!” (Mt 16,22). Gesù ribadisce: “lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mc 8,33). Fu un momento di crisi. I discepoli, presi dall’idea di un messia glorioso (Mc 8,32-33; 9,32), non comprendono la proposta di Gesù e cercano di condurla per un altro cammino. Era vicina la festa delle Tende, (cfr. Lc 9,33), in cui l’aspettativa messianica-popolare era solita aumentare e di molto. Gesù sale sul monte a pregare (Lc 9,28). Vince la tentazione per mezzo della preghiera. Gesù assume la volontà del Padre che si rivela nella nuova situazione, e decide di andare a Gerusalemme (Lc 9,51). Assume questa decisione con una decisione tale da spaventare i discepoli, che non riescono a capire queste cose (Mc 10,32; Lc 18,31-34). In quella società, l’annuncio del Regno così come lo faceva Gesù, non era tollerato. E quindi o cambiava o sarebbe morto! Gesù non cambiò l’annuncio. Continuò ad essere fedele al Padre ed ai poveri. Per questo fu condannato a morte! La manifestazione del Regno sarebbe stata diversa da quella che la gente si immaginava. La vittoria del Servo sarebbe giunta attraverso la condanna a morte (Is 50,4-9; 53,1-12). La croce appare nell’orizzonte, non già come una possibilità, bensì come una certezza. A partire da questo momento, inizia una mutazione nella pratica di Gesù. Ecco alcuni punti significativi di questa mutazione:
1) Pochi miracoli. Assistiamo prima a molti miracoli. Ora, a partire da Mc 8,27; Mt 16,13 e Lc 9,18, i miracoli costituiscono quasi un’eccezione nell’attività di Gesù.
2) Annuncio della Passione. Prima si parlava della passione, come di una possibilità remota (Mc 3,6). Ora se ne parla costantemente (Mc 8,31; 9,9.31; 10,33.38).
3) Prendere la Croce. Prima, Gesù annunciava l’arrivo imminente del Regno. Ora insiste nella vigilanza, nelle esigenze della sequela e nella necessità di prendere la croce (Mt 16,24-26; 19,27-30; 24,42-51; 25,1-13; Mc 8,34; 10,28-31; Lc 9,23-26.57-62; 12,8-9.35-48; 14,25-33; 17,33; 18,28-30).
4) Insegna ai discepoli. Prima insegna alla gente. Ora si preoccupa maggiormente della formazione dei discepoli. Chiede loro di scegliere di nuovo (Gv 6,67) ed inizia a prepararli per la missione che verrà in seguito. Esce dalla città per poter stare con loro ed occuparsi della loro formazione (Mc 8,27; 9,28. 30-35; 10,10.23.28-32; 11,11).
5) Parabole diverse. Prima, le parabole rivelavano il mistero del Regno presente nell’attività di Gesù. Ora le parabole orientano verso il giudizio futuro, verso la fine dei tempi: i vignaioli omicidi (Mt 21,33-46; il servo spietato (Mt 18,23-35), gli operai dell’undicesima ora (Mt 20,1-16), i due figli (Mt 21,28-32), il banchetto nuziale (Mt 22,1-14), i dieci talenti (Mt 25,14-30).
- La trasfigurazione ed il ritorno del profeta Elia: Nel vangelo di Marco, l’episodio della Trasfigurazione (Mc 9,2-8) è unito alla questione del ritorno del profeta Elia (Mc 9,9-13). In quel tempo, la gente aspettava il ritorno del profeta Elia e non si rendeva conto che Elia era già tornato nella persona di Giovanni Battista (Mc 9,13). Oggi succede la stessa cosa. Molte persone vivono aspettando il ritorno di Gesù e scrivono perfino sui muri delle città: Gesù ritornerà! Loro non si rendono conto che Gesù è già presente nella nostra vita. Ogni tanto, come un lampo improvviso, questa presenza di Gesù irrompe e si illumina, trasformando la nostra vita. Una domanda che ognuno di noi deve porsi: La mia fede in Gesù mi ha già regalato qualche momento di trasfigurazione e di intensa allegria? Come questi momenti di allegria mi hanno dato forza nei momenti di difficoltà?

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
II DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA DELLA SAMARITANA


Letture:
Dt 5,1-2.6-21
Sal 18
Ef 4,1-7
Gv 4,5-42

Se tu conoscessi il dono di Dio
L’itinerario quaresimale ambrosiano è tipicamente una catechesi battesimale, un cammino per la scelta di Cristo. Al centro dei vangeli di queste domeniche sta sempre la parola forte di Gesù che esprime la sua identità: “IO SONO”, a partire da situazioni e domande esistenziali: la sete, la libertà, la luce, la vita... Oggi Gesù si presenta come l’acqua viva che disseta pienamente l’uomo, oltre ogni suo sogno: “fino alla vita eterna”. Emblematica è la figura di una donna che va in cerca di soddisfazioni (tipo di ogni amore...!) e ne rimane delusa. Ben più grande è la sete dell’uomo: “noi abbiamo cisterne screpolate!”, dice Geremia (cfr. 2,13). Gesù è il solo e unico Salvatore: “Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. Questa è la scelta del battesimo.
L’itinerario: Interessante è il cammino che Gesù fa compiere alla donna perché giunga alla fede. Si presenta stanco (..di ricercare noi!) ed è già là ad attenderci! “Dammi da bere”. Sua è sempre l’iniziativa. Sua è la delicatezza di coinvolgerci, anzi di sembrare d’aver bisogno di noi. Anche la Madonna a Lourdes disse a Bernadette: “Volete farmi il piacere di venire qui..!”, quasi sia Dio a chiedere all’uomo il piacere di essere amato e salvato! Trova l’uomo supponente: “Non hai il secchio”. Io ho la scienza, la tecnologia e il progresso.., io so quel che mi disseta! È l’orgoglio (o l’illusione) dell’autosufficienza del mondo pagano, il vero e profondo peccato dell’uomo di sempre. “Se tu conoscessi.., e chi è che ti chiede da bere”. La nostra tragedia è che non conosciamo il Dono di Dio, non abbiamo mai preso lui sul serio, quasi sia un optional per anime pie, o .. per bambini della prima Comunione! Invece è qualcosa di decisivo per la vita. “Ho un’acqua che disseta pienamente”. Tutte le esperienze umane anche le più fortunate non riempiono il cuore. “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Anzi il Dono di Dio supera ogni aspettativa: “Disseta per la vita eterna”, perché - senza averne spesso chiara coscienza - siamo fatti per l’infinità, per la totalità, per l’eternità. Se conoscessimo quest’acqua, saremmo noi a cercarla. Si lamentava Agostino: “Tardi ti ho conosciuto...”, dopo aver girato molte botteghe in cerca di ciò che lo poteva saziare. Quest’acqua viva è un tesoro e una perla così preziosa che merita ogni sacrificio pur di possederla (cfr. Mt 13,44ss). Noi invece andiamo a mendicare altre acque, magari i maghi.., o le sette! “Dammela quest’acqua..!”. Dove si trova questa salvezza? Certamente nella storia, perché “la salvezza viene dai Giudei” e nell’evento di Gesù di Nazaret, con i fatti da lui compiuti nella terra di Israele. Ormai però è superato ogni dove, perché IO SONO (cioè Jahvè) è qui: “Sono io, che ti parlo”! Il Messia sono io. Gesù è il pozzo che dà acqua per la vita eterna. La Chiesa, con i suoi sacramenti, è la contemporaneità di Cristo per ogni generazione di uomini che lo cercano con cuore sincero.
Il dono: Il Dono per gli ebrei era la Torah. Lo richiama la prima lettura. I dieci comandamenti sono riassunti nella legge della carità: “Pieno compimento della legge è l’amore” (II lett.). È premessa necessaria. Ma la vera novità della religione portata da Cristo è lo Spirito, perché Dio è Spirito. Lo Spirito santo ricevuto nel battesimo ci fa e ci fa vivere da figli di Dio. L’acqua è segno dello Spirito. Dichiarò solennemente un giorno Gesù: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,37-39). Paolo dice: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!” (Rm 8,15). È tutta qui la specifica novità della nostra fede: ci pone davanti a Dio come figli in un atteggiamento di serena fiducia e confidenza. “Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). Si tratta non di nostre ipotesi mitizzate, ma vero coinvolgimento nelle relazioni divine per l’opera dello stesso Spirito. Ormai questa è la nuova legge e la nuova forza dell’agire: “poiché la legge dello Spirito che dà la vita in Cristo Gesù ti ha liberato..” (Rm 8,2). È la vera e autentica religione: “È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. “In spirito e... verità”, significa con cuore di figli e con la forza dello Spirito. Questo stesso stile deve avere la preghiera del cristiano. “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo stesso Spirito intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili: egli intercede per i credenti secondo i desideri di Dio” (Rm 8,26-27). Con tutto il rispetto per ogni forma personale di preghiera sincera - e di ogni forma sincera di culto a Dio - qui ci troviamo però oggettivamente avvantaggiati, perché è Dio stesso a pregare nel nostro cuore per noi e con noi!
I campi già biondeggiano, pronti per la mietitura. É uno sguardo d’ottimismo quello suggerito da Gesù. Sembra non sia poca e non proprio così indisposta la gente che aspetta di conoscere il vangelo. Ripeteva Gesù che “la messe è molta”: il bisogno profondo di Dio c’è ancora e abbondante. Sono gli operai che sono pochi. Gesù ha seminato e semina sempre; tocca agli apostoli, a noi, continuarne la sua opera e fare il raccolto. La samaritana finisce per divenire apostola, con successo, perché ha saputo portare a Gesù tutto il suo intero paese!
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: sabato 10 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 06, 2012 10:19 am

SABATO 10 MARZO 2012

SABATO DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora.

Letture:
Mic 7,14-15.18-20 (Il nostro Dio viene a salvarci)
Sal 102 (Misericordioso e pietoso è il Signore)
Lc 15,1-3.11-32 (Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita)

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita
La parabola del figliol prodigo è certo la storia di tutti. È molto facile ritrovarci nei pensieri, nelle scelte, nell’esperienza di questo giovane. Ci sono i passi che lo allontanano dalla casa paterna, metaforicamente da Dio, senza rimpianti, perché ha un forte desiderio di libertà, di essere veramente se stesso, libero da ogni legame. Quando un uomo vuole gestirsi la vita a modo suo, secondo le proprie sensibilità, pensa sempre che la vicinanza di Dio gli impedisca di vivere tutta la sua libertà; vede Dio come qualcuno che gli toglie ingiustamente qualcosa. L’attuale Papa ci ha detto: “Dio non ci toglie nulla”. Il predecessore: “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo”. Ma il peccatore ha un’altra logica. “Radunò ogni cosa e partì per un paese lontano”. I suoi passi sono passi di fuga incosciente. Porta via tutto, ma non l’amore del padre, che gli appariva in quel momento ingombrante. Può vivere di quanto ha, ma non per tanto tempo. Si fa estraneo perfino a se stesso. Poi accadono molte cose, che lo frastornano alquanto e lo maturano. Nasce la nostalgia per la casa paterna. “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza”. Sa che ancora conta nel cuore del padre, nutre la speranza che il padre lo accolga almeno come servo alla stregua degli altri. Dio non è offeso perché il figlio ha sciupato il patrimonio, ma soffre unicamente perché il figlio esce di casa e si sottrae al suo amore. Per perdonarlo non ha bisogno di nulla: basta che il figlio capisca e torni a casa. Beati i passi del ritorno! “Mentre egli stava ancora lontano, il padre lo vide e si commosse e, messosi a correre, gli si gettò al collo e lo baciò” e lo rivestì della dignità perduta e invita tutti a far festa. “Si fa più festa in cielo per un peccatore che si pente che per novantanove giusti”. Il fratello maggiore a tanta festa rimane grandemente indignato e rinfaccia al padre le presunte ingiustizie subìte, non ultima, l’accoglienza di questo figlio, ormai non più suo fratello. Il padre anche per lui esce di casa, manifestando che lo portava nel suo cuore, “Tu sei sempre con me”. Siamo sui passi del fratello maggiore, che per non sentirci fratelli, perdiamo la paternità? A Pasqua saremo capaci di gioire, anche con quelli che noi riteniamo immeritevoli di premio e incapaci di bene? Che cosa abbiamo fatto per meritare il perdono del Signore?
Oggi Gesù dice una parabola per ciascuno di noi: noi tutti siamo quel figlio che il peccato ha allontanato dal Padre, e che deve ritrovare, ogni giorno più direttamente, il cammino della sua casa, il cammino del suo cuore. La conversione è esattamente questo: questo viaggio, questo percorso che consiste nell’abbandonare il nostro peccato e la miseria nella quale esso ci ha gettati per andare verso il Padre. Ciò che ci sconvolge in questa parabola, e la realtà la sorpassa di molto, è il vedere che di fatto il nostro Padre ci attende da sempre. Siamo noi ad averlo lasciato, ma lui, lui non ci lascia mai. Egli è “commosso” non appena ci vede tornare a lui. Talvolta saremmo tentati di dubitare del suo perdono, pensando che la nostra colpa sia troppo grande. Ma il padre continua sempre ad amarci. Egli è infinitamente fedele. Non sono i nostri peccati ad impedirgli di darci il suo amore, ma il nostro orgoglio. Non appena ci riconosciamo peccatori, subito egli si dona di nuovo a noi, con un amore ancora più grande, un amore che può riparare a tutto, un amore in grado in ogni momento di trarre dal male un bene più grande. Il suo perdono non è una semplice amnistia, è un’effusione di misericordia, nella quale la tenerezza è più forte del peccato. Gesù vuole che noi abbiamo la stessa fiducia anche nei confronti degli altri. Nel cuore di ogni uomo vi è sempre una possibilità di ritorno al Padre, e noi dobbiamo sperarlo senza sosta. Quando vediamo fratelli e sorelle convertiti di recente che ricevono grazie di intimità con Dio, spesso davvero straordinarie, esultiamo senza ripensamenti, e partecipiamo alla gioia del Padre.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Riflessione:
- Il capitolo 15 del vangelo di Luca è racchiuso nella seguente informazione: “Si avvicinarono a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. (Lc 15,1-3). Subito Luca presenta queste tre parabole legate tra di esse dallo stesso tema: la pecora smarrita (Lc 15,4-7), la moneta persa (Lc 15,8-10), il figlio perso (Lc 15,11-32). Quest’ultima parabola costituisce il tema del vangelo di oggi.
- Luca 15,11-13: La decisione del figlio più giovane. Un uomo aveva due figli. Il più giovane chiede una parte dell’eredità che gli spetta. Il padre divide tutto tra i due e tutti e due ricevono la loro parte. Ricevere l’eredità non è un merito. É un dono gratuito. L’eredità dei doni di Dio è distribuita tra tutti gli esseri umani, sia giudei che pagani, sia cristiani che non cristiani. Tutti ricevono qualcosa dall’eredità del Padre. Ma non tutti la curano allo stesso modo. Così, il figlio più giovane parte e va lontano e sperpera la sua eredità in una vita dissipata, allontanandosi dal Padre. Al tempo di Luca, il più anziano rappresentava le comunità venute dal giudaismo, e il più giovane, le comunità venute dal paganesimo. Ed oggi chi è il più giovane ed il meno giovane?
- Luca 15,14-19: La delusione e la volontà di tornare a casa del Padre. La necessità di procurarsi il cibo fa sì che il giovane perda la sua libertà e diventi schiavo per occuparsi di porci. Riceve un trattamento peggiore dei porci. Questa era la condizione di vita di milioni di schiavi nell’impero romano al tempo di Luca. La situazione in cui si trova fa sì che il giovane ricordi come si trovava nella casa di suo padre. Fa una revisione di vita e decide di tornare a casa. Prepara perfino le parole che dirà al Padre: “Non merito di essere tuo figlio! Trattami come uno dei tuoi impiegati!”. L’impiegato esegue ordini, adempie la legge della servitù. Il figlio più giovane vuole adempiere la legge, come lo volevano i farisei e gli scribi nel tempo di Gesù (Lc 15,1). Di questo i missionari dei farisei accusavano i pagani che si convertivano al Dio di Abramo (Mt 23,15). Al tempo di Luca, alcuni cristiani venuti dal giudaismo, si sottomisero al giogo della legge (Gal 1,6-10).
- Luca 15,20-24: La gioia del Padre quando incontra il figlio più giovane. La parabola dice che il figlio più giovane era ancora lontano di casa, ma il Padre lo vede, gli corre incontro e lo riempie di baci. L’impressione che ci è data da Gesù è che il Padre rimase tutto il tempo alla finestra per vedere spuntare il figlio dietro l’angolo! Secondo la nostra maniera umana di sentire e di pensare, l’allegria del Padre sembra esagerata. Non lascia nemmeno finire al figlio di dire le parole che ha in bocca. Nessuno ascolta! Il Padre non vuole che il figlio sia suo schiavo. Vuole che sia figlio! Questa è la grande Buona Novella che Gesù ci porta! Tunica nuova, sandali nuovi, anello al dito, vitello, festa! Nell’immensa gioia dell’incontro, Gesù lascia trasparire com’era grande la tristezza del Padre per la perdita del figlio. Dio era molto triste e di questo la gente si rende conto ora, vedendo l’immensa gioia del Padre per l’incontro con il figlio! È una gioia condivisa con tutti nella festa che fa preparare.
- Luca 15,25-28b: La reazione del figlio maggiore. Il figlio maggiore ritorna dal lavoro nel campo e trova la casa in festa. Non entra. Vuole sapere cosa succede. Quando gli viene detto il motivo della festa, si arrabbia e non vuole entrare. Rinchiuso in se stesso, pensa avere il suo diritto. Non gli piace la festa e non capisce il perché della gioia del Padre. Segno questo che non aveva molta intimità con il Padre, malgrado vivesse nella stessa casa. Infatti, se l’avesse avuta, avrebbe notato l’immensa tristezza del Padre per la perdita del figlio minore ed avrebbe capito la sua gioia per il ritorno del figlio. Chi vive molto preoccupato nell’osservanza della legge di Dio, corre il pericolo di dimenticare Dio stesso! Il figlio più giovane, pur essendo lontano da casa, sembrava conoscere il Padre meglio del figlio maggiore che viveva con lui! Perché il più giovane ebbe il coraggio di tornare a casa dal Padre, mentre il maggiore non vuole entrare più in casa del Padre! Non si rende conto che il Padre, senza di lui, perderà la gioia. Poiché anche lui, il figlio maggiore, è figlio così come il minore!
- Luca 15,28-30: L’atteggiamento del Padre e la risposta del figlio maggiore. Il padre esce dalla casa e supplica il figlio maggiore di entrare in casa. Ma costui risponde: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Anche il figlio maggiore vuole festa ed allegria, ma solo con i suoi amici. Non con il fratello e nemmeno con il padre, e non chiama nemmeno fratello, suo fratello minore, bensì “questo tuo figlio”, come se non fosse più suo fratello. E lui, il figlio maggiore, parla di prostitute. È la sua malizia che gli fa interpretare così la vita del fratello più giovane. Quante volte il fratello maggiore interpreta male la vita del fratello più giovane! Quante volte noi cattolici interpretiamo male la vita e la religione degli altri! L’atteggiamento del Padre è aperto. Lui accoglie il figlio più giovane, ma non vuole nemmeno perdere il figlio maggiore. I due fanno parte della famiglia. L’uno non può escludere l’altro!
- Luca 15,31-32: La risposta finale del Padre. Nello stesso modo, come il Padre non fece attenzione agli argomenti del figlio minore, così neanche fa attenzione a quelli del figlio maggiore e dice: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!”. Il maggiore era veramente consapevole di stare sempre con il Padre e di trovare in questa presenza la ragione della sua gioia? L’espressione del Padre “Tutto ciò che è mio, è tuo!” include anche il figlio minore che è ritornato! Il maggiore non ha diritto a fare distinzioni, e se vuole essere figlio del Padre, deve accettarlo com’è e non come gli piacerebbe che il Padre fosse! La parabola non dice quale fu la risposta finale del fratello maggiore. Resta a carico del figlio maggiore, che siamo noi!
- Chi sperimenta l’irruzione gratuita e sorprendente dell’amore di Dio nella sua vita diventa gioioso e vuole comunicare questa gioia agli altri. L’azione salvatrice di Dio è fonte di gioia: “Rallegratevi con me!” (Lc 15,6.9). E da questa esperienza della gratuità di Dio nasce il senso di festa e di gioia (Lc 15,32). Al termine della parabola, il Padre chiede di essere contenti e di fare festa. La gioia è minacciata dal figlio maggiore, che non vuole entrare. Pensa di aver diritto ad una gioia solo con i suoi amici e non vuole condividere la gioia con tutti i membri della stessa famiglia umana. Rappresenta coloro che si considerano giusti ed osservanti, e pensano di non avere bisogno di conversione.

Per un confronto personale
- Qual è l’immagine di Dio che conservo in me fin dalla mia infanzia? È cambiata nel corso di questi anni? Se è cambiata, perché?
- Con quale dei due figli mi identifico: con il più giovane o con il maggiore? Perché?

Preghiera finale: Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici (Sal 102).
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MessaggioTitolo: domenica 11 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 06, 2012 10:22 am

DOMENICA 11 MARZO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
III DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Spirito di verità, inviatoci da Gesù per guidarci alla verità tutta intera, apri la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Tu che, scendendo su Maria di Nazaret, l’hai resa terra buona dove il Verbo di Dio ha potuto germinare, purifica i nostri cuori da tutto ciò che pone resistenza alla Parola. Fa’ che impariamo come lei ad ascoltare con cuore buono e perfetto la Parola che Dio ci rivolge nella vita e nella Scrittura, per custodirla e produrre frutto con la nostra perseveranza.

Letture:
Es 20,1-17 (La legge fu data per mezzo di Mosè)
Sal 18 (Signore, tu hai parole di vita eterna)
1Cor 1,22-25 (Annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per gli uomini, ma, per coloro che sono chiamati, sapienza di Dio)
Gv 2,13-25 (Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere)

Il vero culto è l’offerta di sé a Dio
Nel racconto di Giovanni, Gesù, entrato nel tempio, scaccia non solo i commercianti, come viene narrato dagli altri evangelisti, ma anche buoi e agnelli. Il tempio esige dignità, è la casa di Dio, e dall’altro lato ormai sarà lui l’unica e vera vittima. A chi gli chiedeva: “Quale segno mostrasse per fare queste cose?” Gesù rispose: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, e l’evangelista Giovanni aggiunge: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. La profezia era però talmente misteriosa che neppure i discepoli la capirono. Gesù parla del tempio del suo corpo glorioso dopo la risurrezione. Gli apostoli lo capiranno solo a evento compiuto. Ora si comprende perché la cacciata dei mercanti, pur così estranea al comportamento mansueto di Gesù, fosse così violenta. Il rapporto infatti tra il tempio di Gerusalemme profanato dai mercanti e il tempio, cioè il corpo di Gesù, straziato sulla croce e risuscitato, è il rapporto che passa tra il segno e la cosa significata. Il Dio vivente non può essere presente come luogo esclusivo d’incontro in un tempio materiale, per di più anche profanato. Dio è presente in maniera nuova nella tenda di carne dell’umanità del Figlio. Siamo di fronte alla grande sostituzione. Gesù dice alla donna samaritana che è giunto il momento in cui: “Né su questo monte, né in Gerusalemme, i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità”. Tutto il complesso tema rituale, sacrificale, costitutivo dell’alleanza antica, che era legato al tempio di Gerusalemme, ha ora un altro centro d’interesse e si sposta su Gesù. Egli sarà il vero tempio di Dio, nel quale può avvenire l’incontro fra Dio e l’uomo in qualsiasi circostanza vitale possibile. Il tempio cristiano è quindi Gesù. Si legge nell’apocalisse che, quando tutto sarà distrutto alla fine dei tempi e la storia umana sarà riepilogata in Dio, l’unico Tempio che sussisterà sarà quello di Dio e dell’Agnello. Incorporati a Cristo, partecipiamo di questa comunione santa. Dice Paolo: “noi siamo il tempio del Dio vivente”. La pulizia pasquale è quella revisione di vita alla quale la Chiesa ci sollecita durante il tempo quaresimale. Il gesto di Gesù parla da sé. Non mancano mai buoi e cambiavalute nel nostro spirito. Cacciarli dalla nostra coscienza, significa liberarci da tutta quella zavorra che sfigura la santità del tempio in cui Dio sarà tutto in tutti.
Una visita sul sito del Tempio nella Gerusalemme attuale dà un’idea della sacralità del luogo agli occhi del popolo ebreo. Ciò doveva essere ancora più sensibile quando il tempio era ancora intatto e vi si recavano, per le grandi feste, gli Ebrei della Palestina e del mondo intero. L’uso delle offerte al tempio dava la garanzia che la gente acquistasse solo quanto era permesso dalla legge. L’incidente riferito nel Vangelo di oggi dà l’impressione che all’interno del tempio stesso si potevano acquistare le offerte e anche altre cose. Come il salmista, Cristo è divorato dallo “zelo per la casa di Dio” (Sal 068,10). Quando gli Ebrei chiedono a Gesù in nome di quale autorità abbia agito, egli fa allusione alla risurrezione. All’epoca ciò dovette sembrare quasi blasfemo. Si trova in seguito questo commento: “Molti credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti”. Noi dobbiamo sempre provare il bisogno di fare penitenza, di conoscerci come Dio ci conosce. Il messaggio che la Chiesa ha predicato fin dall’inizio è quello di Gesù Cristo crocifisso e risorto. Tutte le funzioni della Quaresima tendono alla celebrazione del mistero pasquale. Che visione straordinaria dell’umanità vi si trova! Dio ha mandato suo Figlio perché il mondo fosse riconciliato con lui, per farci rinascere ad una nuova vita in lui. Eppure, a volte, noi accogliamo tutto ciò con eccessiva disinvoltura. Proprio come per i mercati del tempio, a volte la religione ha per noi un valore che ha poco a vedere con la gloria di Dio o la santità alla quale siamo chiamati.

Approfondimento del Vangelo (La purificazione del tempio)
Il testo: Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Contesto e struttura: Il nostro brano segue immediatamente il primo segno di Gesù a Cana di Galilea (2,1-12). Ci sono alcune espressioni e frasi che si ripetono nelle due scene e fanno pensare che l’autore abbia voluto creare un contrasto tra le due scene. A Cana, un villaggio della Galilea, durante una festa di nozze, una donna ebrea, la madre di Gesù, dimostra una fiducia incondizionata in Gesù e invita all’accoglienza della sua parola (2,3-5). Dall’altra parte, “i Giudei” durante la celebrazione della Pasqua a Gerusalemme rifiutano di credere in Gesù e non accolgono la sua parola. A Cana Gesù fece il suo primo segno (2,11), qui i Giudei chiedono un segno (v. 18), ma poi non accettano il segno dato loro da Gesù (2,20). Lo svolgimento della nostra piccola storia è molto semplice. Il v. 13 la inquadra in un contesto spaziale e temporale ben preciso e significativo: Gesù sale a Gerusalemme per la Pasqua. Il v. 14 introduce la scena che fa scattare una forte reazione da parte di Gesù. L’azione di Gesù viene descritta nel v. 15 e motivata dallo stesso Gesù nel v. 16. L’azione e la parola di Gesù suscitano due reazioni. La prima, quella dei discepoli, è di ammirazione (v. 17); la seconda, quella dei “Giudei,” è di dissenso e affronto (v. 18). Essi richiedono una spiegazione da parte di Gesù (v. 19) ma non sono aperti ad accoglierla (v. 20). A questo punto interviene il narratore per interpretare autenticamente la parola di Gesù (v. 21). “I Giudei” non possono capire il significato vero della parola di Gesù. Però anche i discepoli che lo ammirano come un profeta pieno di zelo per Dio non la possono intendere ora; solo dopo il suo compimento crederanno alla parola di Gesù (v. 22). Infine il narratore ci offre un sommario sull’accoglienza entusiasta di Gesù da parte delle folle a Gerusalemme (vv. 23-25). Eppure questa fede basata solo sui segni non entusiasma Gesù.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Sono capace di affidarmi a Dio completamente in un atto di fede o chiedo sempre dei segni?
- Dio mi da molti segni della sua presenza nella mia vita. Sono capace di coglierli?
- Mi accontento del culto esteriore o cerco di offrire a Dio il culto della mia obbedienza nella quotidianità della vita?
- Chi è Gesù per me? Sono conscio che solo in lui e per mezzo di lui è possibile incontrare Dio?

Una chiave di lettura per coloro che volessero approfondire di più il testo
- “I Giudei”: Il vangelo di Giovanni ha il carattere di un lungo dibattito sull’identità di Gesù. In questo dibattito Cristologico c’è da una parte Gesù e dall’altra “i Giudei”. Ma questo dibattito, più che la situazione storica al tempo di Gesù, esprime più la situazione sviluppatasi verso gli anni ottanta del primo secolo tra i seguaci di Gesù e gli ebrei che non lo avevano accettato come Figlio di Dio e Messia. Certamente, lo scontro era già iniziato durante il ministero di Gesù. Ma il divario tra i due gruppi, che etnicamente erano tutti e due costituiti da ebrei, si è fatto definitivo allorché coloro che non accettavano Gesù come Figlio di Dio e Messia, ma lo ritenevano un bestemmiatore, espulsero i seguaci di Gesù dalle sinagoghe, cioè dalla comunità di fede ebraica (vedi Gv 9,22; 12,42; 16,2). Quindi “i Giudei” che incontriamo spesso nel quarto vangelo non rappresentano il popolo ebraico. Sono dei caratteri letterari nel dibattito Cristologico che si snoda in questo vangelo. Essi rappresentano non una razza, ma coloro che hanno preso una posizione chiara di rigetto assoluto di Gesù. In una lettura attualizzata del vangelo, “i Giudei” sono tutti coloro che rifiutano Gesù, sia quale sia la nazione e l’epoca a cui appartengono.
- I segni: Le guarigioni e le altre azione taumaturghe di Gesù che i vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) chiamano miracoli o prodigi, Giovanni li chiama segni. In quanto segni essi indicano qualcosa che va al di là dell’azione che si vede. Essi rivelano il mistero di Gesù. Così ad esempio la guarigione del cieco nato rivela Gesù quale luce del mondo (Gv 8,12; 9,1-41), la risurrezione di Lazzaro rivela che Gesù è la risurrezione e la vita (vedi Gv 11,1-45). Nel nostro racconto “i Giudei” chiedono un segno nel senso di una prova che autenticherebbe le parole e le azioni di Gesù. Ma nel quarto vangelo Gesù non opera segni come prove che garantiscono la fede. Una fede basata sui segni non è sufficiente. È solo una fede incipiente che può condurre alla fede vera (vedi Gv 20,30-31), ma può anche non avere esito (vedi Gv 6,26). Il vangelo di Giovanni ci chiede di andare oltre i segni, di non fermarci al meraviglioso, ma di cogliere il significato più profondo di rivelazione che i segni vogliono indicare.
- Gesù nuovo tempio: Il tempio di Gerusalemme era il luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Eppure i profeti hanno insistito incessantemente che non basta accedere al tempio e offrirvi sacrifici per essere graditi a Dio (vedi Is 1,10-17; Ger 7,1-28; Am 4,5; 5,21-27). Dio richiede l’obbedienza e una vita moralmente retta e giusta. Se il culto esteriore non esprime tale atteggiamento vitale è vuoto (vedi 1 Sam 15,22). Gesù si innesta in questa tradizione profetica di purificazione del culto (vedi Zc 14,21 e Ml 3,1 per l’azione del futuro “Messia” in questo riguardo). I discepoli lo ammirano per questo e subito pensano che per questo suo atteggiamento dovrà pagare di persona come Geremia (vedi Ger 26,1-15) e altri profeti. Ma per il vangelo di Giovanni l’azione di Gesù è più di un gesto profetico di zelo per Dio. È un segno che prefigura e annuncia il grande segno della morte e risurrezione di Gesù. Più che purificazione quello che fa Gesù annuncia l’abolizione del tempio e del culto ivi celebrato perché ormai il luogo della presenza di Dio è il corpo glorificato di Gesù (vedi Gv 1,51; 4,23).

Orazione finale: O Padre, tu hai costituito tuo Figlio Gesù tempio nuovo della nuova e definitiva alleanza, costruito non da mani d’uomo ma dallo Spirito Santo. Fa’ che accogliendo con fede la sua parola, abitiamo in lui e possiamo così adorarti in spirito e verità. Apri i nostri occhi alle necessità dei nostri fratelli e sorelle che sono le membra del corpo di Cristo perché servendo loro diamo a te il vero culto che tu desideri. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
III DI QUARESIMA
DOMENICA DI ABRAMO


Letture:
Es 32,78-13b
Sal 105
1Ts 2,20-3,8
Gv 8,31-59

Chi pretendi di essere?
Di fronte alle sicurezze, alle tradizioni dei Giudei, Gesù si presenta come unica verità e liberazione, come salvezza: l’unico vero inviato di Dio - il messia - che salva, perché solo lui viene da Dio. Di fronte alle nostre sicurezze, salvezze umane, Gesù si presenta contestandole e indicando se stesso come unico ed esclusivo salvatore. Ci accusa anche di schiavitù e di peccato, condannando il nostro “perbenismo”, la nostra “morale laica”, e la convinzione di essere nel giusto e capaci di una propria salvezza mondana.
Io sono: Mai come qui Gesù dichiara esplicitamente la sua origine divina: sono uscito da Dio, Lui mi ha mandato, dico quello che ho visto da Lui, onoro il Padre, Lui mi garantisce e mi glorifica, lo conosco e osservo la sua parola, e alla fine afferma: IO SONO, il nome proprio del Dio dell’Antico Testamento, Jahvè. “Prima che Abramo fosse, io sono”. “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Egli si dichiara come l’unico e autentico inviato da Dio come l’unico salvatore. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). I giudei lo vogliono uccidere perché hanno ben inteso la sua “bestemmia” di autodefinirsi Dio. Lui è la VERITA’, cioè la rivelazione piena di Dio. “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14,9). “Nessuno mai ha visto Dio; il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). È il vertice di quella Rivelazione iniziata con Abramo, gradualmente cresciuta nella storia di Israele ed giunta ora nella persona di Gesù al suo punto supremo e definitivo: “Abramo ha visto il mio giorno..”. Da qui la sua pretesa di esclusività. Non è più ipotizzabile un altro volto di Dio. Questa verità è particolarmente urgente richiamare oggi in tempi di tanto revival religioso soggettivo. Gesù è la verità unica su Dio, sul progetto di uomo e di storia e sul suo piano di salvezza. Aderire a lui è il solo modo per essere “figli della donna libera non della schiava” (Gal 4,22), di appartenere con la fede alla vera discendenza di Abramo, e di “rimanere per sempre nella casa”, - quali autentici figli di Dio ed eredi così “da non vedere più la morte”. Con Cristo si è liberi dalla schiavitù del peccato (cioè dall’irreligiosità, o da una religione sbagliata, o insufficiente quale è l’antica Legge giudaica), perché “chi commette il peccato è schiavo del peccato”. Questo richiamo forte alle nostre schiavitù spesso non lo vogliamo riconoscere – “noi non siamo schiavi di nessuno”; succubi come siamo delle suggestioni e delle soggezioni a Satana, padre della menzogna e omicida, che ci procura la morte e tanto egoismo.
Suoi discepoli: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli ..”. Si è suoi discepoli nella fede e con l’adesione alla sua parola. Gesù è categorico: o si è con lui o si è di satana. “Chi pretendi di essere?”. È una pretesa che se non venisse da Dio, sarebbe di un pazzo. Di Dio Gesù è l’incarnazione storica. Il contenuto preciso della nostra fede è credere a Gesù come l’unico ed esclusivo salvatore del mondo. Non solo perché è “la verità”, ossia la rivelazione piena e definitiva di Dio, ma anche perché - come oggi dice Paolo - “noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Sec. lett.), quella forza che ci risana e ci fa vivere da figli di Dio. Da qui la contestazione di ogni religione e di ogni religiosità. Ogni religione perché oggettivamente solo Cristo è il mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm 2,5). Anche l’Ebraismo è stato solo premessa a Cristo (“pedagogo”, dice Paolo). L’aveva già intuito anche Abramo, “che ha visto il mio giorno”; e per la fede in Lui fu giustificato. Contestata anche ogni religiosità soggettiva o ogni pratica che non siano una fede e una adesione del cuore all’opera di Cristo. Almeno oggettivamente parlando. Da qui naturalmente anche la contestazione ad ogni forma di idolatria, all’arroganza autosufficiente di chi cerca salvezza negli idoli moderni: libertà, soldi, prestigio, potere...., o di chi crede di salvarsi da sé. Vi fa riferimento Gesù usando le forti parole della schiavitù sotto satana, omicida a padre della menzogna. Forse proprio questa è la “religione” laica che impera nel nostro mondo secolarizzato. Questo è semplicemente ritorno al paganesimo! Per moltissimi – forse non sempre colpevoli – è l’indifferenza e il non porsi più seriamente il problema di Dio e del senso della vita. Siamo al gravissimo danno dell’ottundimento del più naturale “senso religioso”!
Dice oggi il Prefazio: “La moltitudine dei popoli, preannunciati ad Abramo come sua discendenza, è veramente la tua unica Chiesa, che si raccoglie da ogni tribù, lingua e nazione”.
Aderire a Gesù nella sua Chiesa è la strada maestra da percorrere, perché solo lì – oggettivamente – vi è la pienezza degli strumenti di salvezza lasciati da Cristo. Cui va ratificare la nostra adesione con più maturità anche quest’anno nella veglia pasquale nella quale siamo chiamati a rinnovare le nostre promesse battesimali.
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MessaggioTitolo: sabato 17 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 13, 2012 10:14 am

SABATO 17 MARZO 2012

SABATO DELLA III SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti.

Letture:
Os 6,1-6 ((Voglio l’amore e non il sacrificio))
Sal 50 (Voglio l’amore e non il sacrificio)
Lc 18,9-14 (Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo)

Si batteva il petto e diceva: O Dio, abbi pietà di me peccatore
Ancora oggi ascoltiamo il profeta Osea. E lui, nella prima lettura, sembra definire una liturgia penitenziale comunitaria. Il popolo riconosce di essere punito dal Signore. “Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà”. Ma la mancanza di perseveranza provocherà altre disgrazie. “Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti”. Il profeta procede ad una rilettura della storia sacra, durante la quale numerosi profeti si sono sforzati di richiamare alla fedeltà all’Alleanza. Si sono preferiti i sacrifici e gli olocausti, mentre Dio voleva misericordia e conoscenza di Dio. Questa annotazione indica il graduale superamento delle antiche pratiche cultuali, a vantaggio di un culto consistente in valori spirituali, personali, morali. Nel vangelo si proclama il valore del segno del pubblicano. Da una parte, un fariseo evidenzia la sua condotta positiva, che vorrebbe metterlo da giudice in contatto con Dio e con gli altri. Dall’altra parte, l’amore umile e penitente del pubblicano raggiunge Dio, perché mette quell’uomo nella verità; egli riconosce di aver bisogno di Dio ed è fiducioso nella tenerezza divina; il suo sguardo è orientato verso il Dio eterno, anche se fisicamente “non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo”. Con questa celebrazione liturgica si conclude la terza settimana di Quaresima, con un insegnamento sulla conversione e sulla penitenza; per giungere santamente a Pasqua occorre un cuore rinnovato. Rinnovato dalla grazia, rinnovato, in risposta alla grazia dall’impegno del digiuno, preghiera e delle opere di carità fraterna.
Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che noi tutti abbiamo la tendenza a compiacerci di noi stessi. Forse perché pratichiamo molto fedelmente la nostra religione, come quel zelante fariseo, pensiamo di dover essere considerati “per bene”. Non abbiamo ancora capito queste parole di Dio in Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6). Invece di glorificare il Padre per quello che è, il nostro ringraziamento troppo spesso riguarda ciò che noi siamo o, peggio, consiste nel confrontarci, in modo a noi favorevole, con gli altri. È proprio questo giudizio sprezzante nei confronti dei fratelli che Gesù rimprovera al fariseo, così come gli rimprovera il suo atteggiamento nei confronti di Dio. Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, e di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera “giusti” di fronte a Dio. Non comprenderemo mai abbastanza che il nostro amore è in stretta relazione con la nostra umiltà. La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è di umiliarci di fronte a Dio. Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a rendere grazie in modo sincero; allora possiamo fare la preghiera del pubblicano, possiamo cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Gesù esaudisce sempre questa preghiera. L’umiltà non ha niente a che vedere con un qualsiasi complesso di colpa o con un qualsiasi senso di inferiorità. È una disposizione d’amore; essa suppone che sappiamo già per esperienza che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. Essa suppone cioè che siamo entrati nello spirito del Magnificat.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Riflessione
- Nel Vangelo di oggi, Gesù racconta la parabola del fariseo e del pubblicano per insegnarci a pregare. Gesù ha un modo diverso di vedere le cose. Lui vedeva qualcosa di positivo nel pubblicano, di cui tutti dicevano: “Non sa pregare!”. Gesù viveva così unito al Padre per mezzo della preghiera, che tutto diventava per lui espressione di preghiera.
- Il modo di presentare la parabola è molto didattico. Luca dà una breve introduzione che serve da chiave di lettura. Poi Gesù racconta la parabola ed alla fine Gesù stesso applica la parabola alla vita.
- Luca 18,9: L’introduzione. La parabola viene presentata dalla frase seguente: “Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri!”. La frase è di Luca. Si riferisce al tempo di Gesù. Ma si riferisce anche al nostro tempo. Ci sono sempre persone e gruppi di persone che si considerano giusti e fedeli e che disprezzano gli altri, considerandoli ignoranti ed infedeli.
- Luca 18,10-13: La parabola. Due uomini vanno al tempio a pregare: un fariseo ed un pubblicano. Secondo l’opinione della gente d’allora, i pubblicani non erano assolutamente considerati e non potevano rivolgersi a Dio, perché erano persone impure. Nella parabola, il fariseo ringrazia Dio perché è migliore degli altri. La sua preghiera non è altro che un elogio di se stesso, un’ esaltazione delle sue buone qualità ed un disprezzo per gli altri e per il pubblicano. Il pubblicano non alza neanche gli occhi, ma si batte il petto dicendo: “Dio mio, abbi pietà di me che sono un peccatore!”. Si mette a posto suo davanti a Dio.
- Luca 18,14: L’applicazione. Se Gesù avesse lasciato esprimere la sua opinione per dire chi dei due ritornò giustificato verso casa, tutti avrebbero risposto: “Il fariseo!”. Poiché era questa l’opinione comune a quel tempo. Gesù pensa in modo diverso. Per lui, chi ritorna giustificato a casa, in buoni rapporti con Dio, non è il fariseo, bensì il pubblicano. Gesù gira tutto al rovescio. Alle autorità religiose dell’epoca certamente non è piaciuta l’applicazione che lui fa di questa parabola.
- Gesù prega. Soprattutto Luca ci informa sulla vita della preghiera di Gesù. Presenta Gesù in preghiera costante. Ecco un elenco di testi del vangelo di Luca, in cui Gesù appare in preghiera: Lc 2,46-50; 3,21: 4,1-12; 4,16; 5,16; 6,12; 9,16.18.28; 10,21; 11,1; 22,32; 22,7-14; 22,40-46; 23,34; 23,46; 24,30. Leggendo il vangelo di Luca, tu potrai trovare altri testi che parlano della preghiera di Gesù. Gesù viveva in contatto con il Padre. La respirazione della sua vita era fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Gesù pregava molto ed insisteva, affinché la gente ed i suoi discepoli facessero lo stesso, poiché nel contatto con Dio nasce la verità e la persona si incontra con se stessa, in tutta la sua realtà ed umiltà. In Gesù, la preghiera era intimamente legata ai fatti concreti della vita ed alle decisioni che doveva prendere. Per poter essere fedele al progetto del Padre, cercava di rimanere da solo con Lui per ascoltarlo. Gesù pregava i Salmi. Come qualsiasi altro giudeo pio, li conosceva a memoria. Gesù giunse a comporre il suo proprio salmo. È il Padre Nostro. La sua vita era una preghiera permanente: “Non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre!” (Gv 5,19.30). A lui si applica ciò che dice il Salmo: “Io sono in preghiera!” (Sal 109,4).

Per un confronto personale
- Guardandomi allo specchio di questa parabola, io sono come il fariseo o come il pubblicano?
- Ci sono persone che dicono che non sanno pregare, ma parlano tutto il tempo con Dio. Tu conosci persone così?

Preghiera finale: Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato (Sal 50).
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MessaggioTitolo: domenica 18 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 13, 2012 10:19 am

DOMENICA 18 MARZO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
IV DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA LAETARE


Orazione iniziale: Shaddai, Dio della montagna, che fai della nostra fragile vita la rupe della tua dimora, conduci la nostra mente a percuotere la roccia del deserto, perché scaturisca acqua alla nostra sete. La povertà del nostro sentire ci copra come manto nel buio della notte e apra il cuore ad attendere l’eco del Silenzio finché l’alba, avvolgendoci della luce del nuovo mattino, ci porti, con le ceneri consumate del fuoco dei pastori dell’Assoluto che hanno per noi vegliato accanto al divino Maestro, il sapore della santa memoria.

Letture:
2Cr 36,14-16.19-23 (Con l’esilio e la liberazione del popolo si manifesta l’ira e la misericordia del Signore)
Sal 136 (Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia)
Ef 2,4-10 (Morti per le colpe, siamo stati salvati per grazia)
Gv 3,14-21 (Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui)

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo
La quarta domenica di Quaresima si intitola domenica in Laetare dall’antifona con cui inizia la celebrazione eucaristica: “Rallègrati (laetàre), Gerusalemme, sii nella gioia per la consolazione che ti viene dal Signore”. Certamente il motivo dell’essere gioiosi non è dato perché siamo giunti alla metà del percorso quaresimale, ma dalla grande rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità, che ci viene proposto in modo solenne nel dialogo di Gesù con Nicodèmo, un capo ragguardevole dei Giudei. Questi per non compromettersi dinanzi ai suoi colleghi, era venuto di notte per avere un incontro con Gesù. “Rabbì, - disse - sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai”. Gesù gli rivela la propria identità e la sorte che lo attende, ma Nicodemo non potrà vedere il regno di Dio, se non rinascerà dall’alto, dallo Spirito. “Come può accadere questo?”, gli disse. L’uomo può nascere dall’alto perché Dio ha mandato il Figlio affinché l’uomo, per mezzo di lui, possa accogliere il dono della rinascita dall’alto e agire di conseguenza. L’immagine-profezia, a cui il testo si richiama è quella dell’esodo, quando gli Ebrei dopo una ennesima mormorazione, Dio li mise alla prova con una invasione di serpenti. Al loro grido di supplica, Dio ordinò a Mosè di collocare su un’asta un serpente di bronzo e chi l’avesse guardato era salvo. Ebbene, Gesù salva il mondo inchiodato e innalzato in croce sul monte Calvàrio. E da lì fino alla fine del mondo egli resterà a braccia aperte, “perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. Cristo innalzato sulla croce come un condannato, agli occhi dell’evangelista Giovanni è la glorificazione, “quando sarò innalzato attirerò tutti a me”. La salvezza piena di amore che Dio intende porgere all’umanità, si identifica con la persona del Figlio che dona all’uomo la vita del mondo divino (dall’alto). Credere significa accogliere già questa vita che associa l’uomo alla stessa vita di Dio. Non credere equivale a rifiutare il dono della vita divina. La fede, elemento discriminante tra la vita e la morte, ha una caratteristica: è una scelta interiore. Credere nel Figlio significa affidarsi a lui, mettere la propria vita nelle sue mani e ricevere, in cambio, la vita eterna. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.
Tutto il Nuovo Testamento si interessa alla dottrina centrale della redenzione. Il ritorno di ogni uomo e di ogni cosa alla santità, presso il Padre, si compie attraverso la vita, la morte e la risurrezione di Cristo. Il Vangelo di Giovanni pone l’accento in particolare sull’incarnazione. Gesù è stato mandato dal Padre. È venuto in un mondo decaduto e ha portato luce e vita nuova. Attraverso la sua passione e la sua risurrezione, egli restituisce ogni cosa al Padre e rivela la piena realtà della sua identità di Verbo fatto carne. Per mezzo di lui tutto è riportato alla luce. Tutta la nostra vita nella Chiesa è il compimento della nostra risposta a Cristo. L’insegnamento del Nuovo Testamento - e ne vediamo un esempio nella lettura di oggi - è assai preciso. La redenzione è stata realizzata tramite Gesù Cristo, ma per noi deve essere ancora realizzata. Noi possiamo infatti rifiutare la luce e scegliere le tenebre. Nel battesimo Cristo ci avvolge: noi siamo, per così dire, “incorporati” in lui ed entriamo così in unione con tutti i battezzati nel Corpo di Cristo. Eppure la nostra risposta di uomini, resa possibile dalla grazia di Dio, necessita del nostro consenso personale. Quando c’è anche tale accordo, ciò che facciamo è fatto in Cristo e ne porta chiaramente il segno. Diventiamo allora suoi testimoni nel mondo.

Approfondimento del Vangelo (Gesù, luce del mondo)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Momento di silenzio: lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.

Domande:
- Dio ha tanto amato il mondo...: quanti giudizi e pregiudizi su un Dio insensibile e lontano. Non sarà forse che attribuiamo a lui quelle che sono invece le nostre responsabilità?
- La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre: chi si illude di non essere uomo e vive da Dio, non può scegliere la luce perché l’illusione svanirebbe. Quante tenebre circondano le mie giornate?
- Chi opera la verità viene alla luce. Non ha timore di mostrarsi chi agisce per quello che è. Non è chiesto all’uomo di essere infallibile, semplicemente di essere uomo. Siamo capaci di vivere la nostra debolezza come luogo di incontro e di apertura a Dio e all’altro, bisognoso come me di lavorare fedelmente nel suo spazio e nel suo tempo?

Chiave di lettura:
- vv. 14-15. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Per i figli di Israele, morsi dai serpenti velenosi del deserto, Mosè offrì la possibilità di salvezza tramite la vista di un serpente di rame. Se l’uomo riesce a sollevare il capo e a guardare in alto, Dio prepara per lui un’alternativa. Non obbliga, è lì, a disposizione. Il mistero della libertà umana è quanto di più amorevole un Dio potesse inventare! La scelta di uno sguardo, di un incontrarsi, di una nuova opportunità... il Figlio dell’uomo nel deserto del mondo sarà innalzato sulla croce come segno di salvezza per tutti coloro che sentiranno il bisogno di continuare a vivere e non si lasceranno andare ai morsi velenosi di scelte sbagliate. Il Cristo è lì: maledetto per chi non ha fede, benedetto per chi crede. Un frutto da cogliere, appeso al legno della vita. Anche noi come gli israeliti nel deserto siamo stati “morsi” dal serpente nell’Eden, e abbiamo bisogno di guardare al serpente di rame innalzato sul legno per non morire: “Chiunque crede in lui ha la vita eterna”.
- v. 16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. L’amore di Dio ci ama di amore di predilezione, un amore tangibile, un amore che parla... Poteva venire direttamente il Padre? Sì, ma non è più grande l’amore di un padre che dona il figlio? Ogni madre, potendo scegliere, preferisce morire lei piuttosto che veder morire un figlio. Dio ci ha amato al punto tale da veder morire il Figlio!
- v. 17. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Un Dio capace di giudizio perfetto manda il Figlio non per giudicare ma per essere luogo di salvezza. Davvero è necessario azzerare ogni pensiero e sentire di fronte a tanto amore. Solo chi ama può “giudicare” cioè “salvare”. Lui conosce la fragilità del cuore umano e sa che la sua immagine offuscata ha possibilità di tornare ad essere nitida, non c’è bisogno di rifarla. La logica della vita non conosce la morte: Dio che è vita non può distruggere ciò che lui stesso ha voluto creare, distruggerebbe in qualche modo se stesso.
- v. 18. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. La fede è la discriminante di ogni esistenza. Non credere nel nome dell’unigenito: questa è già una condanna, perché si esclude dall’amore chi non accoglie l’amore!
- vv. 19-20. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. L’unico giudizio che investe l’umanità è la chiamata a vivere nella luce. Quando il sole sorge, nulla si sottrae ai suoi raggi... e così gli uomini. Quando Cristo nasce, nessuno può sottrarsi a questa luce che tutto inonda. Ma gli uomini si sono costruite le case per poter sfuggire alla luce dell’Amore che ovunque si espande, case di egoismo e case di opportunità. Hanno intrecciato tunnel e nascondigli per continuare liberamente a compiere le loro opere. E può un’opera priva di luce dare la vita? La luce dell’esistenza ha una sola fonte: Dio. Chi si sottrae alla luce, muore.
- v. 21. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Tutto ciò che cade sotto i raggi dell’amore eterno, si veste di luce, come accade in natura. Sembra che tutto sorrida quando sorge il sole. E le cose che durante il giorno sono familiari e belle, di notte assumono forme che incutono timore per il solo fatto di non essere visibili. Il sole non cambia la forma, ma la esalta nella sua bellezza. Chi vive la verità di se stesso e accoglie le sue fragilità come parametri del suo essere uomo, non ha timore della luce perché non ha nulla da nascondere. Sa che come creatura opera nella logica del limite, ma questo non sminuisce la grandezza del suo operare perché la sua vita è un tutt’uno con la verità eterna.

Riflessione: Il giardino diventa un deserto per l’uomo che si allontana da Dio. E nel deserto della sua libertà senza limiti l’uomo incontra ancora una volta i morsi velenosi del serpente. Dio però non abbandona i suoi figli, e quando si allontanano da lui li segue, pronto a intervenire al bisogno. Un serpente simbolo di guarigione viene innalzato ogni volta che il veleno affievolisce la vita nell’uomo, Cristo Signore. Se l’uomo preferisce guardare a terra e stare nel deserto del suo “faccio da me”, Dio si offre al suo sguardo comunque nel solo modo in cui l’uomo lo riconosce: come un serpente. Cristo si è fatto peccato, maledetto, pur di salvare la sua immagine, pur di non lasciar spegnere la vita umana. La condanna non appartiene a Dio, è scelta dell’uomo. Posso non vivere accanto al calore, liberissimo di farlo. Ma ciò comporta il dovermi procurare altro genere di calore, se mi voglio scaldare. Con il rischio di provare il freddo, la fatica, la malattia... la libertà da Dio ha un prezzo di condanna. È da persone poco intelligenti non usufruire di un bene donato, è semplicemente stolto non accogliere quanto di meglio ci sia per non sentirsi debitori. Nell’ambito dell’amore la parola “debito” non esiste, perché la gratuità è l’unico vocabolario consultabile. E con la parola gratuità esplode la luce: tutto diventa possibilità e occasione. Opere fatte nelle tenebre oppure opere fatte in Dio: i simulacri di fango dal flebile luccichio di pietre false sono giocattoli pericolosi per chiunque; meglio frequentare le aule piene di sole di un discepolato mai finito! Almeno la vita si accresce e la gioia ricolma di bellezza ogni cosa.

Contemplazione: Quando il santo timore mi abbandona, Signore, sento nel mio cuore il peccato che parla: sono i momenti dell’illusione, momenti in cui vado a cercare le mie colpe, provo sensi di colpa a non finire, e tutto questo inutilmente perché non ho compreso che solo compiendo il bene le inique e fallaci parole del male si estinguono. È un’attrazione l’ostinazione nel male, quasi mi desse più tono e onore, più valore. Quando mi accorgo che è immenso ciò che mi dai tu da vivere, allora percepisco gli abissi della tua fedeltà e vedo come la tua salvezza non conosce confini; tutto inonda e porta con sé, me creatura a tua immagine e tutto ciò che per me hai creato e a cui ho dato nome. La tua grazia è preziosa davvero. Nella tua casa vige l’abbondanza della protezione e scorre come acqua la delizia. Se indosso i tuoi occhi, Signore, allora tutto è luce. E nulla più è difficile, perché il mio cuore, purificato dalla tentazione di essere Dio al posto tuo, mi dice che lo sarò con te. Rivalità, competizione, ostilità... svaniscono di fronte alla tua proposta di partecipare alla tua vita divina. Dio con te. Tu immagine sorgente e io immagine riflessa! Il tuo amore come linfa scorre nelle viscere della mia umanità fino a ritrovare le mie origini: nel tuo Nome.

Rito ambrosiano
Anno b
IV di quaresima
Domenica del cieco


Letture:
Es 33,7-11a
Sal 35
1Tes 4,1b-12
Gv 9,1-38b

Sono andato, mi sono lavato e ora ci vedo
Ancora un fatto compiuto da Gesù che suscita una discussione e prese di posizione nei suoi confronti. Da una parte il cieco guarito che crede, dall’altra i giudei che si chiudono sempre più nella loro incredulità. Un fatto che è un segno dell’opera di Gesù, “luce del mondo”, e riguarda ognuno di noi per quell’illuminazione che riceviamo nel battesimo. Aprirsi alla luce di Cristo con la fede è l’impegno che ci viene richiesto nel rinnovare ogni anno il nostro itinerario battesimale di quaresima verso la Pasqua.
Il fatto: Il fatto è un gesto ben concreto: un cieco dalla nascita è guarito. Costui viene inviato a lavarsi alla piscina di Siloe. “Siloe significa: Inviato”, cioè Messia. Il fatto allora è un segno: di Gesù che è luce del mondo: il Verbo “che è la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,4). Luce come rivelazione piena di Dio; luce che è la vita divina: “a quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Accogliere Gesù - via per la quale Dio giunge a noi - è arrivare alla verità e alla vita: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Il cieco nato, uomo sincero e realista s’arrende all’evidenza del fatto e cammina verso il riconoscimento del segno, passando dalla luce degli occhi alla luce della fede. Il suo ragionamento è semplice: “Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Passa gradualmente da saperlo “un uomo che si chiama Gesù”, a riconoscerlo “un profeta”, cioè “uno che viene da Dio”. Alla fine lo proclama “Signore”, il Figlio dell’uomo che è il Dio venuto tra noi e che è risorto. A tale riconoscimento della divinità di Gesù approda appunto la fede battesimale. All’opposto sta l’indurimento del cuore dei farisei di fronte a Gesù che non vogliono accettare il fatto per pregiudizio contro il segno, perché non vogliono riconoscere il divino che c’è in Gesù, riconoscerlo cioè Messia. Per questo meritano il giudizio tremendo finale: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Accanto ai farisei ci sta la folla che si perde in chiacchiere, si ferma alla pura curiosità: è lui il mendicante cieco, .. non è lui? Non prende posizione, non gli interessa più di tanto quel che è capitato...: come avviene per chi del fatto religioso si informa solo alla tv. Per i genitori del cieco poi è questione di paura: è troppo compromettente e rischioso credere in Cristo! E noi? Quale posizione prendiamo di fronte a Gesù? Quella aperta e leale del cieco? O quella supponente dei farisei “che sanno”? O quella indifferente della folla? O quella minimalista dei genitori che non vogliono compromettersi con Cristo?
Il segno: Il prefazio ci fa pregare così: “Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che nel fonte battesimale gli viene donata”. È il segno che si attualizza per noi nel battesimo. L’umanità, nata cieca per l’eredità di peccato ricevuta da Adamo, è resa priva della vita divina, ferita nelle più autentiche capacità umane e destinata alla morte, sull’immagine del malcapitato della parabola del Buon Samaritano, bisognoso che Dio si chini su di lui per salvarlo. Ora Gesù ripete a noi ormai destinati alla morte: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe, che significa Inviato”. Va’ a lavarti nella piscina del tuo battesimo e ne uscirai illuminato dalla mia grazia, riconciliato con Dio, partecipe ancora della vita divina, rafforzato dallo Spirito santo che ti rende capace di “resistere al male che non vuoi e fare il bene che vuoi” (Rm 7,18-19). Il battesimo è il dono e la segnalazione d’una nuova identità e di un nuovo destino che trova in Cristo la sorgente, l’immagine riuscita e la forza cui far riferimento nel cammino della nostra realizzazione come uomini. La vita cristiana è una graduale trasfigurazione - ci dice san Paolo nella seconda lettura – per la quale “riflettendo a viso scoperto come in uno specchio la gloria (cioè la vita divina di cui anche noi siamo partecipi) del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito”. Questa progressiva conformazione a Cristo, primogenito e modello dell’uomo nuovo, parte dal battesimo per renderci alla fine “simili a Dio”, come avveniva per Mosè che ad ogni incontro con Dio usciva sempre più raggiante in volto (cfr. prima lettura).
Grande è la dignità dei figli di Dio nati dal battesimo, “molto più gloriosa” rispetto all’antica Alleanza. Grande è la libertà che ci deriva dal riconoscimento del solo Signore Gesù Cristo. “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”. Allora “forti di tale speranza - cioè orgogliosi di tale fortuna -, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto” (Sec. lettura). Noi siamo chiamati a testimoniare agli altri questa nuova identità che il battesimo ci assicura, e divenire così, come ci dice Gesù, sale, luce, lievito per tutti i nostri fratelli.
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MessaggioTitolo: sabato 24 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 20, 2012 1:15 pm

SABATO 24 MARZO 2012

SABATO DELLA IV SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: Signore onnipotente e misericordioso, attira verso di te i nostri cuori, poiché senza di te non possiamo piacere a te, sommo bene.

Letture:
Ger 11,18-20 (Come agnello mansueto che viene portato al macello)
Sal 7 (Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio)
Gv 7,40-53 (Il Cristo viene forse dalla Galilea?)

“Signore, mio Dio, in te mi rifugio”
Per mezzo del profeta Geremìa perseguitato, il Salvatore “agnello mansueto che viene portato al macello”, cioè il Redentore, invoca l’intervento divino. Vivendo la sua passione con le caratteristiche dell’Antico Testamento, il profeta chiede la vendetta di Dio. Gesù invece, morendo da innocente, con piena fiducia in Dio, invocherà il perdono. Affidandosi totalmente al Padre, egli offre un esempio valido per tutti. Il riferimento a Cristo è la chiave di lettura di ogni evento, specialmente nelle difficoltà e contrarietà inflitte da eventuali oppositori. L’evangelista Giovanni dimostra che Gesù era un segno di contraddizione e di dissenso; non c’era accordo sulle origini geografiche del Messia (Galilea? Giudea?), e i dignitari stessi erano divisi a suo proposito. Un fariseo onesto, Nicodemo, si oppone a giudizi affrettati su Gesù. In realtà, il grande interrogativo che ha tormentato tanta gente nel corso dei secoli, è: Chi è davvero Gesù? La preghiera contemplativa e la mistica aprono orizzonti certi. Inoltre, la lectio divina della Parola rivelata dovrebbe aiutarci a capire nella fede la personalità del Signore; dove possiamo incontrarlo? Quale è la funzione attuale del Signore nello sviluppo della Storia sacra? La celebrazione della Veglia pasquale completerà le indicazioni suggerite dai testi biblici della Quaresima.
Gesù prese su di sé le sorti del profeta rifiutato e quelle di tutti gli esclusi e gli abbandonati. Egli ha preso su di sé le sorti delle nazioni perseguitate per aver combattuto per la libertà, le sorti dei militanti condannati per la loro fede, sia che essi siano perseguitati da un potere laico ateo, sia dai seguaci di un’altra confessione. Il Vangelo di oggi ci mostra le poche persone che hanno tentato di difendere Gesù. Le guardie del tempio non hanno voluto arrestarlo, e Nicodemo l’ha timidamente sostenuto, argomentando che non si può condannare qualcuno senza aver prima ascoltato il suo difensore. Nel mondo di oggi, anche noi cerchiamo timidamente di prendere le difese di quelli che sono ingiustamente perseguitati. A volte è l’esercito che rifiuta di sparare sui civili, come è successo di recente nei paesi baltici. A volte è nell’arena internazionale che viene negato - assai timidamente - ad una grande potenza il diritto di opprimere un popolo. Il dramma del giudizio subito da Cristo, seguito dal suo arresto e dalla sua crocifissione, come riporta il Vangelo di oggi, perdura ancora nella storia umana. Ogni uomo ha, in questo dramma, un certo ruolo, analogo ai ruoli evocati nel Vangelo. Gesù è venuto da Dio per vincere il male per mezzo dell’amore. La sua vittoria si è compiuta sulla croce. La sua vittoria non cessa di compiersi in noi, passando per la croce. Dobbiamo osservare la scena del mondo attuale alla luce del processo a Gesù e del dibattito suscitato dalla sua persona, quando viveva e compiva la sua missione in Palestina. Siamo capaci di percepire Gesù e il suo insegnamento nella Chiesa? Non rifiutiamo davvero nessuno, e non giudichiamo nessuno ingiustamente? Siamo capaci di vedere Gesù nei poveri e nelle vittime della terra? Chi è ognuno di noi oggi nel dramma dei profeti contemporanei rifiutati, e nel dramma odierno di Gesù Cristo e del suo Vangelo? Gesù? Nicodemo? Le guardie del tempio?

Lettura del Vangelo: In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

Riflessione
- Nel capitolo 7, Giovanni constata che c’erano diverse opinioni e molta confusione riguardo a Gesù in mezzo alla gente. I parenti pensavano una cosa (Gv 7,2-5), la gente pensava in altro modo (Gv 7,12). Alcuni dicevano: “È un profeta!” (Gv 7,40). Altri dicevano: “Inganna la gente!” (Gv 7,12) Alcuni lo elogiavano: “È un uomo buono!” (Gv 7,12). Altri lo criticavano: “Non ha studiato!” (Gv 7,15) Molte opinioni! Ciascuno aveva i suoi argomenti, tratti dalla Bibbia o dalla Tradizione. Però nessuno ricordava il messia Servo, annunciato da Isaia (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12; 61,1-2). Anche oggi si discute molto sulla religione, e tutti estraggono i loro argomenti dalla Bibbia. Come nel passato, così anche oggi, succede molte volte che i piccoli sono ingannati dal discorso dei grandi e, a volte, perfino dai discorsi di coloro che appartengono alla Chiesa.
- Giovanni 7,40-44: La confusione in mezzo alla gente. La reazione della gente è assai diversa. Alcuni dicono: è il profeta. Altri: è il Messia, il Cristo. Altri ribadiscono: non può essere, perché il messia verrà da Betlemme e lui viene dalla Galilea! Queste diverse idee sul Messia producono divisione e confronto. C’era gente che voleva prenderlo, ma non lo fecero. Probabilmente perché avevano paura della gente (cfr. Mc 14,2).
- Giovanni 7,45-49: Gli argomenti delle autorità. Anteriormente, davanti alle reazioni della gente favorevole a Gesù, i farisei avevano mandato guardie a prenderlo (Gv 7,32). Ma le guardie ritornarono in caserma senza Gesù. Erano rimasti impressionati nel sentirlo parlare così bene: “Mai nessuno ha parlato come quest’uomo!”. I farisei reagiscono: “Forse vi siete lasciati ingannare anche voi?”. Secondo i farisei, “questa gente che non conosce la legge” si lascia ingannare da Gesù. È come se dicessero: “Noi capi conosciamo meglio le cose e non ci lasciamo ingannare!” e dicono che la gente è “maledetta”! Le autorità religiose dell’epoca trattavano la gente con molto disprezzo.
- Giovanni 7,50-52: La difesa di Gesù da parte di Nicodemo. Dinanzi a questo argomento stupido, l’onestà di Nicodemo si rivolta ed alza la voce per difendere Gesù: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. La reazione degli altri è di presa in giro: “Sei forse anche tu, Nicodemo, della Galilea!? Dà uno sguardo alla Bibbia e vedrai che dalla Galilea non potrà venire nessun profeta!”. Loro sono sicuri! Con il libro del passato in mano si difendono contro il futuro che arriva scomodando. Molta gente continua a fare oggi la stessa cosa. Si accetta la novità solo se va d’accordo con le proprie idee che appartengono al passato.

Per un confronto personale
- Quali sono oggi le diverse opinioni su Gesù che ci sono tra la gente? E nella tua comunità, ci sono diverse opinioni che generano confusione? Quali? Raccontale.
- Le persone accettano la novità solo se va d’accordo con le proprie idee e che appartengono al passato. E tu?

Preghiera finale: La mia difesa è nel Signore, egli salva i retti di cuore. Loderò il Signore per la sua giustizia e canterò il nome di Dio, l’Altissimo (Sal 7).
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MessaggioTitolo: domenica 25 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMar Mar 20, 2012 1:18 pm

DOMENICA 25 MARZO 2012


RITO ROMANO
ANNO B
V DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Ascolta, o Padre, la nostra supplica: ti imploriamo di inviare il tuo Spirito con abbondanza, perché sappiamo ascoltare la tua voce che proclama la gloria del tuo Figlio che si offre per la nostra salvezza. Fa’ che da questo ascolto attento e impegnato sappiamo far germogliare in noi una nuova speranza per seguire il nostro Maestro e Redentore con totale disponibilità, anche nei momenti difficili ed oscuri. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Letture:
Ger 31,31-34 (Concluderò un’alleanza nuova e non ricorderò più il peccato)
Sal 50 (Crea in me, o Dio, un cuore puro)
Eb 5,7-9 (Imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza eterna)
Gv 12,20-23 (Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto)

Vogliamo vedere Gesù
L’evangelista nota che tra l’immensa folla che era convenuta per la festa, vi erano alcuni greci che volevano vedere Gesù. La loro comparsa non è un dato di cronaca. Sta a indicare che l’opera di Gesù ormai si aprirà a tutti gli uomini. Ecco la prova. Gesù rispose: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Gesù non risponde ai greci, eppure glieli avevano presentati, ma ai discepoli, che dovranno continuare la sua missione. Nella sua risposta mostra “dove” - sia loro che gli altri - possono vedere il Signore: sulla croce. “Voi che un tempo eravate lontani, ora siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli è la nostra pace, avendo distrutto l’inimicizia che era fra noi”. La necessità di questa sua morte la raffigura nella seguente immagine. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore porta molto frutto”. Se il Figlio unico non comunicasse la propria vita ai fratelli, rimarrebbe solo. In questo caso non sarebbe più Figlio di Dio, perché non vivrebbe nell’amore che il Padre ha verso tutti i suoi figli. L’egoismo è sterile, è morte. Il seme che non muore, non si riproduce. Una vita che non si dona è morta. La glorificazione del Figlio sulla croce è la stessa immagine del seme che muore. Gesù dando la vita, si rivela uguale al Padre, principio di vita per tutti. I greci che vogliono vedere Gesù, sono la primizia di questa fecondità. Siamo stati generati, per generare nello Spirito. Siamo coinvolti in un medesimo destino di morte e di gloria: “Chi ama la sua vita, la perde. Chi odia la sua vita, la dona. Chi mi serve, mi segue. Dove sono io, là sarà anche il mio servo”. La conferma è la risposta per essere solidali con Cristo. E Gesù, giunto ormai alla sua “ora”, esclama: “l’anima mia è turbata… ma per questo sono giunto a quest’ora”. Si sente, rassicurante, la voce del Padre, non per lui, ma per noi, affinché lo riconosciamo Figlio. Come sempre, il Vangelo, anche quando ci racconta la storia di un chicco, ci parla della nostra vita, raggiunta dall’amore. A loro volta quei chicchi cadranno in terra, ma non morranno inutilmente. Daranno molto frutto.
Il brano del Vangelo odierno segue immediatamente la narrazione dell’ingresso trionfale del Signore a Gerusalemme. Tutti sembrano averlo accolto: persino alcuni Greci, di passaggio, andarono a rendergli omaggio. Questo è il contesto in cui Giovanni comincia il racconto della Passione. Come in natura, il chicco di grano muore per generare una nuova vita, così Gesù, con la sua morte, riconduce tutto quanto al Padre. Non è l’acclamazione del popolo che farà venire il Regno, ma il consenso del Padre. Il ministero e l’insegnamento di Gesù testimoniano che egli è venuto da parte del Padre. Aprirci a lui, significa passare dalla conoscenza di quanto egli ha detto o fatto all’accettazione della fede. La voce venuta dal cielo ci riporta alla Trasfigurazione (cfr. la seconda domenica di Quaresima). Ma qui, chi sente questa voce, o non la riconosce per nulla, o la percepisce come una vaga forma di approvazione. Eppure tale conferma era proprio destinata a loro. Questo è anche un richiamo per noi: se non siamo pronti ad ascoltare la parola di Dio, anche noi resteremo insensibili. Tutti coloro che vogliono seguire Cristo, che accettano questa nuova via, scelgono di porsi al servizio di Cristo e di camminare al suo fianco. Il significato pregnante di queste parole - essere sempre con lui dovunque egli sia - ci è stato presentato nell’insegnamento e nel nutrimento spirituale della Quaresima. All’avvicinarsi della celebrazione dei misteri pasquali, portiamo in noi la certezza che servire Cristo significa essere onorati dal Padre.

Approfondimento del Vangelo (Vogliamo vedere Gesù)
Il testo: In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Il contesto: Siamo alla fine del “libro dei segni”, che è la chiave interpretativa che usa Giovanni nel suo Vangelo e ormai si sta profilando lo scontro mortale fra la classe dirigente e Gesù. Questo brano è come una cerniera fra quello che finora Giovanni ha raccontato, e si conclude con questa apparizione delle “genti” (segnalate da questi “greci”) e quello che sta per succedere. I prossimi eventi Giovanni li suddivide in due ambiti. Il primo ambito è il dialogo con i soli discepoli, nel contesto della cena pasquale (cc. 13-17); l’altro ambito sarà la scena pubblica della passione e poi le apparizioni da risorto (cc. 18-21). Questo episodio, forse non è del tutto reale: esso vuole segnalare che l’apertura alle genti è cominciata già con Gesù stesso. Non si tratta tanto di andare a convincere gli altri di qualche cosa, ma di accogliere anzitutto la loro ricerca e portarla a maturità. E questa maturità non avviene se non con la collaborazione di altri, e con un dialogo con Gesù. Non è detto se Gesù ha parlato a questi greci: il testo sembra abbreviare il racconto, facendo venire subito in evidenza a quale “tipo di Gesù” si devono condurre quelli che lo cercano. Si tratta del Gesù che offre la vita, che dà frutto attraverso la morte. Non quindi un Gesù “filosofo”, “sapiente”: ma anzitutto colui che non si è attaccato alla propria vita, ma l’ha donata, si è messo al servizio della vita di tutti. I versetti 27-33, che manifestano l’angoscia e il turbamento di Gesù di fronte alla morte imminente, sono chiamati anche “il Getsemani del IV Vangelo”, in parallelo con il racconto dei Sinottici sulla veglia dolorosa di Gesù al Getsemani. Come avviene per un chicco: solo spaccandosi e morendo può liberare tutta la sua vitalità; così morendo Gesù mostrerà tutto il suo amore che dona vita. La storia del seme è la storia di Gesù, e di ogni discepolo che vuole servirlo e in lui avere la vita.

Momento di silenzio orante per rileggere il testo col cuore e riconoscere attraverso le frasi e la struttura la presenza del mistero del Dio vivente.

Alcune domande per cogliere nel testo i nuclei importanti e cominciare ad assimilarlo.
a) Filippo e Andrea: perché sono stati interpellati proprio loro?
b) Cosa cercavano veramente questi “greci”?
c) Abbiamo anche noi a volte ricevuto domande simili sulla fede, la chiesa, la vita cristiana?
d) Gesù non sembra che abbia incontrato questi “greci”: ma ha ribadito la sua prossima “ora”: perché ha parlato così?
e) Gesù voleva che rispondessero con le formule? Oppure con la testimonianza?

Alcuni approfondimenti di lettura
- “Signore, vogliamo vedere Gesù”: Si tratta della domanda che fanno alcuni “greci” a Filippo. Di essi si dice che “erano saliti per il culto durante la festa”. Probabilmente sono quei “timorati di Dio” di cui si parla con frequenza nei testi neotestamentari: simpatizzanti per la religione ebraica, anche senza essere veri giudei. Come origine potrebbero anche essere solo siro-fenici, come indica con la stessa parola Marco (7, 26), quando parla della donna che chiedeva la guarigione della figlia. Nella loro domanda possiamo trovare solo curiosità per avvicinare un personaggio famoso e discusso. Ma il contesto in cui ci presenta Giovanni questa richiesta segnala invece che cercavano davvero con cuore aperto. Tanto più che essi si presentano subito dopo che è stato detto: “Ecco tutto il mondo gli è andato dietro” (Gv 12,19). E poi la notizia è commentata da Gesù come il “giungere dell’ora del Figlio dell’uomo”. Il fatto che si siano rivolti a Filippo, e questi poi ad Andrea, è dovuto al fatto che i due erano di Betsaida, una città dove la gente era mescolata, e bisognava capirsi fra vari idiomi. I due personaggi comunque rappresentano due sensibilità: Filippo è più tradizionalista (come si vede dalla sua frase dopo aver conosciuto Gesù (Gv 1,45); mentre Andrea che già aveva partecipato al movimento di Giovanni era di carattere più aperto a nuovo (cfr. Gv 1,41). Ad indicare che la comunità che si apre ai pagani, che accoglie la domanda di chi cerca con cuore curioso, va accolta da una comunità che vive nella sua varietà di sensibilità.
- “Se il chicco di grano caduto in terra”: La risposta di Gesù sembra meno interessata ai greci, che vorrebbero vederlo, e più orientata verso tutti, discepoli e greci. Egli vede aprirsi le frontiere, sente la tumultuosa adesione delle genti: ma vuole richiamare che questa fama che li ha attirati, questa “gloria” che vorrebbero conoscere da vicino, è di tutt’altro genere da quello che forse si aspettano. Si tratta di una vita che sta per essere distrutta, di una “parola” che viene silenziata, schiacciata a morte, sepolta nelle viscere dell’odio e della terra, per farla sparire. E invece di vedere una gloria allo stile umano, sono davanti ad una “gloria” che si svela attraverso la sofferenza e la morte. Vale per loro, ma vale per ogni comunità cristiana che vuole aprirsi ai “greci”: deve “consultarsi” con il Signore, cioè deve tenersi in contatto con questo volto, con questa morte per la vita, deve donare la propria contemplazione del mistero e non solo fornire delle nozioni. Deve vivere il pieno distacco dalle sicurezze e dalle gratificazioni umane, per poter servire il Signore e ricevere, anche lei, onore dal Padre. L’attaccamento alla propria vita e alla sapienza mondana ? e nel mondo greco questi erano valori forti ? è il grande ostacolo alla vera “conoscenza di Gesù”. Servire il nome del Signore, accogliere la domanda di chi “lo cerca”, portare da Gesù questi cercatori, ma senza vivere lo stile del Signore, senza dare anzitutto testimonianza di condividere la stessa scelta di vita, lo stesso dono della vita, non porta a nulla.
- “Ora l’anima mia è turbata”: Questa “agitazione” di Gesù è un altro elemento molto interessante. Non è facile soffrire, la carne si ribella, l’inclinazione naturale porta a fuggire la sofferenza. Anche Gesù ha sentito questa ripugnanza, ha avuto orrore davanti ad una morte che si profilava dolorosa e umiliante. Nella sua domanda: “che devo dire?”, possiamo sentire questo fremito, questa paura, questa tentazione di sottrarsi ad una simile morte. Giovanni mette questo momento difficile prima dell’ultima cena; i sinottici invece lo mettono nell’orazione al Getsemani, prima della cattura (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46). In ogni caso, tutti sono concordi nel rilevare in Gesù questo fremito e questa fatica, che lo fa simile a noi, fragile e impaurito. Ma egli affronta questa angoscia “affidandosi” al Padre, richiamando a se stesso che questo è il suo progetto, che tutta la sua vita proprio a quest’ora tende, qui si rivela e si riassume. Il tema dell’ora ? lo sappiamo bene ? è molto importante per Giovanni: si veda la prima affermazione alle nozze di Cana (Gv 2,4) e poi di frequente (Gv 4,21; 7,6.8.30; 8,20; 11, 9; 13,1; 17,1). Si tratta non tanto di un tempo puntuale, quanto di una circostanza decisiva, verso cui tutto si orienta.
- “Attirerò tutti a me”: Messo fuori dalla violenza omicida di chi si sentiva minacciato, quella sospensione alla croce diventa un vero innalzamento, cioè una posta ben in vista di colui che invece è per tutti salvezza e benedizione. Dalla violenza che lo voleva emarginare e togliere di mezzo, si passa alla forza centripeta esercitata da quella icona dell’innalzato. Si tratta di un “attirare” che si genera non per curiosità, ma per amore: sarà suscitatore di discepolato, di adesione in tutti coloro che sapranno andare più in là del fatto fisico, e vedranno in lui la gratuità fatta totalità. Non sarà la morte ignominiosa che allontanerà, ma diventerà fonte di attrazione misteriosa, grammatica che apre a nuovi sensi per la vita. Una vita donata che genera vita; una vita uccisa che genera speranza e nuova solidarietà, nuova comunione, nuova libertà.

Orazione finale: Signore Dio nostro, distogli i discepoli del Figlio tuo dai cammini facili della popolarità, della gloria a poco prezzo, e portali sulle strade dei poveri e dei flagellati della terra, perché sappiano riconoscere nel loro volto il volto del Maestro e Redentore. Dona occhi per vedere i percorsi possibili alla giustizia e alla solidarietà; orecchi per ascoltare le domande di senso e di salvezza di tanti che cercano come a tastoni; arricchisci il loro cuore di fedeltà generosa e di delicatezza e comprensione perché si facciano compagni di strada e testimoni veri e sinceri della gloria che splende nel crocifisso risorto e vittorioso. Egli vive e regna glorioso con te, o Padre, nei secoli eterni.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
V DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA DI LAZZARO


Letture:
Dt 6,4a.20-25
Sal 104
Ef 5,15-20
Gv 11,1-53

Il problema dell’uomo è la morte. Anche Cristo ha pianto, per la morte d’un amico. È IL problema! Il contesto del vangelo di oggi è la domanda che nasce a un funerale: perché? “Se tu fossi stato qui, non sarebbe morto”. “Costui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che questi non morisse?”. È interrogazione riferita a Dio, alla sua potenza, al suo dichiarato amore per l’uomo. Cristo dà una risposta.
“Lazzaro vieni fuori”: Questo gesto di Gesù è chiaramente un segno: della potenza di vita che ha Dio; della volontà e mira finale che possiede tutta l’opera di riscatto di Cristo. Venuto a salvare l’uomo, Cristo guarisce i corpi, libera dal demonio, perdona i peccati, e risuscita i morti. A Cafarnao ridona viva ai genitori una bambina di dodici anni; a Naim ferma un funerale e restituisce vivo il figlio unico ad una madre vedova. Qui Gesù piange un morto di famiglia, era la famiglia dei suoi amici più cari, e freme sentendo tutto il peso della tragedia di noi uomini. Ma proprio da questo punto estremo Dio vuol riscattarci, fino cioè a liberarci dalla morte! Per questo io sono cristiano - diceva già san Paolo -: perché avendo sentito in giro che Cristo è l’unica medicina che risolve il problema della pelle, mi aggrappo a Lui; noi cristiani saremmo la gente più insensata se credessimo a Cristo solo per questa vita (cfr. 1Cor 15,19). “La risurrezione della carne”, professiamo nel Credo, “e la vita eterna”. Questo è il destino che ora Cristo restituisce all’uomo, non tanto una rianimazione, quanto una pienezza di vita che va oltre: la vita stessa di Dio! “Credo che risusciterà nell’ultimo giorno”, dice Marta. Ma Gesù risponde: “Io sono la risurrezione e la vita”. La novità sta qui: Lui, Cristo è lo strumento diretto di tale risurrezione; ed è qui! Quel destino di vita che Dio aveva sognato per l’uomo e che l’uomo ha perso col peccato - “La morte ha raggiunto tutti gli uomini perché tutti hanno peccato” (Rm 5,12) -, ora è Cristo a renderglielo, con la sovrabbondanza della grazia che ha superato di misura il danno del peccato (cfr. Rm 5,15-19). “In nessun altro c’è salvezza”. È il suo gesto di redenzione l’unico strumento ora praticabile per arrivare alla vita. È passato Lui per primo dalla morte per vincerla definitivamente con la sua risurrezione, e ora è Lui il Signore; Signore anche della signora del mondo che è stata la morte fino ad allora. “Credi tu questo?”. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. La risurrezione di Lazzaro è concessa alla fede di Marta e Maria. “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che deve venire nel mondo”. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Così un giorno Gesù sintetizza tutta la sua opera: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5,21-25). Per questo quel giorno a Betania Gesù gridò: “Lazzaro, vieni fuori!”.
“Con Lui ci ha risuscitati”: Se è la fede in Cristo ciò che riscatta dalla morte, questa è disponibile anche a noi oggi. Gesù è risuscitato per essere “il primogenito dei risorti”, non il caso unico. Per la solidarietà creaturale che ha con noi, quel suo atto in un certo modo ci ha coinvolti con Lui: “Fratelli - dice oggi san Paolo - Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù”. Nel testo greco, san Paolo ha dovuto inventare delle parole nuove: convivificati, conrisuscitati, fatti consedere alla destra di Dio! Se abbiamo fede in quel suo gesto di riscatto, anche noi risorgeremo: “Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede”. Questo legame di fede oggi inizia col santo Battesimo e dal battesimo produce i suoi frutti: “Per mezzo del battesimo siamo dunque sepolti insieme con Lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione” (Rm 6,4-5). Si tratta di rendere fruttuoso il battesimo col vivere la vita nuova del cristiano, che oggi cresce in noi mediante lo Spirito santo; finché un giorno “quel medesimo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Si compirà così anche per noi l’esodo definitivo che Gesù come nuovo Israele ha realizzato nella sua Pasqua andando a sedere alla destra del Padre. L’esodo antico - quello di Israele attraverso il Mar Rosso, rievocato dalla prima lettura - era solo prefigurazione di una realtà che oggi noi viviamo: nuovo popolo di Dio, liberato dalla mano potente di Dio dalla schiavitù del peccato attraverso le acque battesimali, guidati dal nuovo Mosè che è Gesù, per un cammino di deserto che porta alla terra promessa del cielo. Dall’antica alla nuova Pasqua, nella quale - come ogni anno - anche noi rinnoveremo le Promesse del nostro Battesimo.
“Grande è il mistero di salvezza che in questa risurrezione si raffigura: quel corpo, ormai in preda al disfacimento, d’un tratto risorge per comando dell’eterno Signore; così la grazia divina del Cristo libera noi tutti, sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine” (Prefazio). Sostanza del discorso: dal peccato la morte; per avere la vita, liberarsi dal peccato per la potenza e la misericordia di Dio! O uomo, vuoi garantirti la risurrezione della carne e la vita eterna, garantisciti oggi la grazia di Dio: i sacramenti pasquali sono imminenti. Non è un di più tradizionale quello di “fare pasqua”; è semplicemente saggezza umana che sa usare gli unici strumenti efficaci per la propria pienezza di vita.
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MessaggioTitolo: sabato 31 marzo 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Mar 28, 2012 8:50 am

SABATO 31 MARZO 2012

SABATO DELLA V SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, che operi sempre per la nostra salvezza e in questi giorni ci allieti con un dono speciale della tua grazia, guarda con bontà alla tua famiglia, custodisci nel tuo amore chi attende il Battesimo e assisti chi è già rinato alla vita nuova.

Letture:
Ez 37,21-28 (Farò di loro un solo popolo)
Sal Ger 31,10-13 (Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge)
Gv 11,45-56 (Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi)

I frutti dell’orgoglio e della violenza
Quando la fede manca e viene colpevolmente rigettata anche la ragione si oscura: dopo la risurrezione di Lazzaro i nemici di Cristo tengono consiglio, riuniscono il sinedrio. Non per riflettere serenamente sui segni che egli va operando sotto i loro occhi, ma per lanciare un allarme: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Queste sono le deduzioni che essi sanno trarre da un evento prodigioso! Temono che tutti crederanno in Lui e questi prodigi e questa fede sarà la causa di una totale disfatta nazionale. Ancora ai nostri giorni molti ritengono che il cosiddetto ordine scandito dalle leggi umane verrebbe turbato e sconvolto dalla fede e dalla religiosità liberamente espressa. La trama contro Cristo è diventata innumerevoli volte motivo di persecuzione per i suoi seguaci. Sono ancora tanti coloro che, come il sommo sacerdote Càifa, propongono ed attuano l’assurda e drastica soluzione: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Ecco come si tenta di far prevalere il bene presunto degli uomini su quello autentico di Dio, ecco come viene conculcata e repressa la libertà religiosa e i diritti fondamentali e sacrosanti di ogni essere vivente. Per nostra fortuna i nemici di Cristo, i nemici della fede e della libertà non sanno che dopo quella prima assurda condanna sancita da un iniquo giudizio, ogni morte diventa un sacrificio di espiazione e il sangue versato dai martiri è il seme fecondo che continuamente purifica e vivifica la chiesa del Signore. Dopo ogni persecuzione la Chiesa ne è uscita più splendente che mai e coloro che pensavano di chiudere in un silenzio di morte prima Cristo e poi i suoi fedeli, hanno dovuto ogni volta sperimentare il prodigio della risurrezione e di una vita nuova. Pare che una folla innumerevole sosti ancora presso un sepolcro, immaginando una fine lugubre e un triste venerdì in cui muore Dio e con lui tutti coloro che credono il lui e delusi e illusi che lo seguono; non hanno la pazienza di attendere il terzo giorno e gustare la gioia della risurrezione. Forse ciò accade perché non vedono per le strade del mondo dei cristiani risorti!
I sommi sacerdoti e i farisei diedero l’ordine di arrestare Gesù. Erano molto invidiosi, in seguito a tutto quello che era successo a partire dalla risurrezione di Lazzaro. Troppe persone avevano creduto e avevano seguito Gesù. Il sommo sacerdote “profetizzò” che la morte di un solo uomo era preferibile alla schiavitù dell’intero popolo, deportato a Roma. In realtà non era ancora giunto il tempo in cui i Romani avrebbero temuto qualcosa da parte degli Ebrei, come testimonia il processo di Gesù: il procuratore della Giudea diede poca importanza al fatto che Gesù si proclamasse re dei Giudei. Ordinò anche di preparare un cartello con questa iscrizione: “Re dei Giudei”. Ma, trent’anni dopo, la “profezia” di Caifa avrebbe avuto un senso molto reale, quando i Romani sarebbero giunti a disperdere l’intero popolo e a distruggere il tempio. Ma Gesù non era un pericolo! Egli muore per il suo popolo, per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi. Prima della morte, Gesù prega il Padre suo, perché tutti possano essere “uno” come lui con il Padre. Molte persone cercarono Gesù nel momento dei preparativi della Pasqua. Molti chiesero: “Non verrà egli alla festa?”. Certamente Gesù verrà per la festa pasquale, perché, senza di lui, essa non avrebbe un senso molto profondo. Allo stesso modo, nella nostra vita, una Pasqua senza Cristo non ha senso. Oggi dobbiamo porci la stessa domanda dei sommi sacerdoti e dei farisei: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni”. E noi che cosa vogliamo fare di Cristo nella nostra vita?

Lettura del Vangelo: In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Lazzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi riporta la parte finale del lungo episodio della risurrezione di Lazzaro a Betania, in casa di Marta e Maria (Gv 11,1-56). La risurrezione di Lazzaro è il settimo segnale (miracolo) di Gesù nel vangelo di Giovanni ed è anche il punto alto e decisivo della rivelazione che lui faceva di Dio e di se stesso.
- La piccola comunità di Betania, dove a Gesù piaceva essere ospitato, rispecchia la situazione e lo stile di vita delle piccole comunità del Discepolo Amato alla fine del primo secolo in Asia Minore. Betania vuol dire “Casa dei poveri”. Erano comunità povere, di gente povera. Marta vuol dire “Signora” (coordinatrice): una donna coordinava la comunità. Lazzaro significa “Dio aiuta”: la comunità povera aspettava tutto da Dio. Maria significa “amata da Yavé”: era la discepola amata, immagine della comunità. L’episodio della risurrezione di Lazzaro comunicava questa certezza: Gesù è fonte di vita per le comunità dei poveri. Gesù è fonte di vita per tutti coloro che credono in Lui.
- Giovanni 11,45-46: La ripercussione del Settimo Segno in mezzo alla gente. Dopo la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44), viene la descrizione della ripercussione di questo segno in mezzo alla gente. La gente era divisa, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista della risurrezione di Lazzaro credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Questi ultimi lo denunciarono. Per poter capire questa reazione di una parte della popolazione è necessario rendersi conto che la metà della popolazione di Gerusalemme dipendeva completamente dal Tempio per poter vivere e sopravvivere. Per questo, difficilmente loro avrebbero appoggiato un profeta sconosciuto della Galilea che criticava il Tempio e le autorità. Ciò spiega anche perché alcuni si prestavano ad informare le autorità.
- Giovanni 11,47-53: La ripercussione del settimo segno in mezzo alle autorità. La notizia della risurrezione di Lazzaro aumenta la popolarità di Gesù. Per questo, i leaders religiosi convocano un consiglio, il sinedrio, la massima autorità, per discernere sul da farsi. Poiché quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione?. Loro avevano paura dei romani. Perché in passato, dall’invasione romana nel 64 prima di Cristo fino all’epoca di Gesù, era stato dimostrato molte volte che i romani reprimevano con molta violenza qualsiasi tentativo di ribellione popolare (cfr. Atti 5,35-37). Nel caso di Gesù, la reazione romana avrebbe potuto condurre alla perdita di tutto, anche del Tempio e della posizione privilegiata dei sacerdoti. Per questo, Caifa’, il sommo sacerdote, decide: “É meglio che un solo uomo muoia per il popolo, e non che perisca un’intera nazione”. E l’evangelista fa questo bel commento: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. Così, a partire da questo momento, i capi, preoccupati per la crescita dell’autorevolezza di Gesù e motivati dalla paura dei romani, decidono di uccidere Gesù.
- Giovanni 11,54-56: La ripercussione del settimo segnale nella vita di Gesù. Il risultato finale è che Gesù doveva vivere come un clandestino. “Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli”. La Pasqua era ormai vicina. In questa epoca dell’anno, la popolazione di Gerusalemme triplicava a causa del gran numero di pellegrini. La conversazione girava tutta attorno a Gesù: “Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?”. Allo stesso modo, all’epoca in cui fu scritto il vangelo, alla fine del primo secolo, epoca della persecuzione dell’imperatore Domiziano (dall’ 81 al 96), le comunità cristiane che vivevano al servizio degli altri si videro obbligate a vivere nella clandestinità.
- Una chiave per capire il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Lazzaro era malato. Le sorelle Marta e Maria mandarono a chiamare Gesù: “Colui che tu ami è malato!” (Gv 11,3.5). Gesù risponde alla richiesta e spiega ai discepoli: “Questa malattia non è mortale, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (Gv 11,4) Nel vangelo di Giovanni, la glorificazione di Gesù avviene mediante la sua morte (Gv 12,23; 17,1). Una delle cause della sua condanna a morte sarà la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,50; 12,10). Molti giudei stavano in casa di Marta e Maria per consolarle della perdita del loro fratello. I giudei, rappresentanti dell’Antica Alleanza, sanno solo consolare. Non danno vita nuova... Gesù è colui che porta una vita nuova! Così, da un lato, la minaccia di morte contro Gesù! Dall’altro, Gesù che vince la morte! In questo contesto di conflitto tra la vita e la morte si svolge il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Marta dice che crede nella risurrezione. I farisei e la maggioranza della gente dicono di credere nella Risurrezione (At 23,6-10; Mc 12,18). Credevano, ma non lo rivelavano. Era solo fede nella risurrezione alla fine dei tempi e non nella resurrezione presente nella storia, qui e ora. Questa fede antica non rinnovava la vita. Perché non basta credere nella risurrezione che avverrà alla fine dei tempi, ma bisogna credere nella Risurrezione già presente qui e ora nella persona di Gesù e in coloro che credono in Gesù. Su costoro la morte non ha più nessun potere, perché Gesù è la “risurrezione e la vita”. Anche senza vedere il segno concreto della risurrezione di Lazzaro, Marta confessa la sua fede: “Io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivo?” (Gv 11,27). Gesù ordina di togliere la pietra. Marta reagisce: “Signore, già manda cattivo odore, perché è di quattro giorni!” (Gv 11,39). Di nuovo Gesù lancia la sfida chiedendo di credere nella risurrezione, qui e ora, come un segno della gloria di Dio: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11,40). Ritirarono la pietra. Dinanzi al sepolcro aperto e dinanzi all’incredulità delle persone, Gesù si dirige al Padre. Nella sua preghiera, prima rende grazie: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto” (Gv 11,41-42). Gesù conosce il Padre e ha fiducia in lui. Ma ora lui chiede un segno a causa della moltitudine che lo circonda, in modo che possa credere che lui, Gesù, è mandato dal Padre. Poi grida ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Lazzaro esce fuori (Gv 11,43-44). É il trionfo della vita sulla morte, della fede sull’incredulità. Un agricoltore commentò: “A noi spetta ritirare la pietra. E a Dio di risuscitare la comunità. C’è gente che non sa togliere la pietra, e per questo la sua comunità non ha vita!”.

Per un confronto personale:
- Cosa significa per me, concretamente, credere nella risurrezione?
- Parte della gente accettò Gesù, e parte no. Oggi parte della gente accetta il rinnovamento della Chiesa e parte no. E tu?

Preghiera finale: Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno (Sal 70).
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MessaggioTitolo: domenica 1 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Mar 28, 2012 8:58 am

DOMENICA 1 APRILE 2012


RITO ROMANO
ANNO B
DOMENICA DELLE PALME


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 50,4-7 (Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso; terzo canto del Servo del Signore)
Sal 21 (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?)
Fil 2,6-11 (Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato)
Mc 14,1- 15,47 (La passione del Signore)

L’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme
Il racconto della passione domina la liturgia della parola di oggi. Il lettore che segue Gesù, nel contesto della celebrazione liturgica, è condotto a percorrere lo stesso itinerario dalla morte alla vita, dalla passione alla gloria. I due aspetti insieme, formano la pasqua di Gesù, ma formano anche la nostra pasqua, la pasqua di tutti noi credenti. Istintivamente saremo presi dalla voglia di scavalcare la sofferenza e la morte… Da Gesù apprendiamo però che la notte della sofferenza si combina sul pentagramma della passione modulando la sinfonia dell’amore, perché il senso della vita è quello di spenderla per gli altri. Egli garantisce che il bene annienta il male e che la vita vince la morte. Non è dunque un caso che “pasqua fiorita” sia uno dei tanti nomi che qualificano la festa odierna. Non c’è che un amico per tutti, Cristo. Tutti noi abbiamo bisogno di questo amico che non tradisce, che capisce il dolore dell’uomo e dà una speranza perfino alla morte. Guardando a Cristo, noi cristiani non abbiamo creato il culto della personalità: di lui, non abbiamo fatto un mito. Non ci inchiniamo davanti a un uomo, ma davanti al Figlio di Dio che ha preso carne nel cuore della Vergine Maria. Niente e nessuno potrà cancellare la presenza di Cristo: neanche l’indegnità dei cristiani, poiché egli è entrato nel cuore dell’umanità senza chiedere nulla, neanche un atto di amore.
È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre. L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita... Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò... E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena. Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche. Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male. Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione? Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno.

Inizia la settimana santa: Nella settimana santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme fino alla sua beata passione e gloriosa risurrezione. La Domenica delle palme «della Passione del Signore», nella quale la Chiesa dà inizio alla celebrazione del mistero del suo Signore morto, sepolto e risorto, unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della sua gloriosa passione. I due aspetti del mistero pasquale vengano messi in luce nella catechesi e nella celebrazione di questo giorno. L’ingresso del Signore in Gerusalemme viene commemorato con la solenne processione, con cui i cristiani, imitando le acclamazioni dei fanciulli ebrei, vanno incontro al Signore al canto dell’ «Osanna». La processione sia una soltanto e fatta prima della Messa con maggiore concorso di popolo, anche nelle ore vespertine sia del sabato che della domenica. I fedeli si raccolgano in una chiesa minore o in altro luogo adatto fuori della chiesa verso la quale la processione è diretta. I fedeli partecipino a questa processione cantando e portando in mano rami di palma o di altri alberi. Il sacerdote e i ministri precedono il popolo, portando anch’essi le palme. Le palme vengono benedette per essere portate in processione. Conservate religiosamente in casa, richiamano alla mente dei fedeli la vittoria di Cristo celebrata in questo giorno con la processione.

Approfondimento del Vangelo (Il fallimento finale come nuova chiamata)
Il testo:
Cercavano il modo di impadronirsi di lui per ucciderlo
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».

Ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».

Promisero a Giuda Iscariota di dargli denaro
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.

Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

Uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue dell’alleanza
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.

Cominciò a sentire paura e angoscia
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».

Arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.

Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.

Non conosco quest’uomo di cui parlate
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.

Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?
E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei? ». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Condussero Gesù al luogo del Gòlgota
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

Con lui crocifissero anche due ladroni
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.

Ha salvato altri e non può salvare se stesso!
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Gesù, dando un forte grido, spirò
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

Giuseppe fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.

Chiave di lettura: Generalmente, quando leggiamo la storia della passione e morte, guardiamo Gesù e la sofferenza che Gli fu imposta. Ma vale la pena guardare anche, per lo meno una volta, i discepoli e vedere come reagirono davanti alla croce e come la croce ebbe ripercussioni nella loro vita; poiché la croce è la pietra di paragone! Marco scrive per le comunità dell’inizio degli anni ‘70. Molte di queste comunità, sia dell’Italia che della Siria, vivevano la propria passione. Erano confrontate con la Croce, in vari modi. Erano state perseguitate all’epoca di Nerone, negli anni ‘60, e molti erano morti, lacerati dalle bestie feroci. Altri avevano tradito, negato o abbandonato la loro fede in Gesù, come per esempio Pietro, Giuda ed i discepoli. Altri si chiedevano: “Sopporterò la persecuzione?”. Altri erano stanchi dopo aver perseverato durante tanti sforzi, senza quasi risultati. Tra coloro che avevano abbandonato la fede, alcuni si chiedevano se fosse stato possibile ritornare alla comunità. Volevano ricominciare il cammino, ma non sapevano se il ritorno era possibile o no. Un ramo tagliato non ha radici! Tutti loro avevano bisogno delle motivazioni nuove e forti per poter riprendere il cammino. Avevano bisogno di un’esperienza rinnovata dell’amore di Dio che superasse i loro errori umani. Ma dove trovarla? Sia per loro che per tutti noi, una risposta si trova nei capitoli dal 14 al 16 del Vangelo di Marco, che descrivono la passione, la morte e la risurrezione di Gesù. Perché nella passione di Gesù, momento della maggiore sconfitta dei discepoli, è nascosta anche la più grande speranza! Guardiamo nello specchio di questi capitoli, per vedere come i discepoli reagirono dinanzi alla Croce e come Gesù reagisce dinanzi alle infedeltà ed alle debolezze dei discepoli. Cerchiamo di scoprire come Marco incoraggia la fede delle comunità e come descrive colui che è veramente discepolo di Gesù.

Il fallimento finale come nuova chiamata per essere discepolo: Questa è la storia della passione, morte e risurrezione di Gesù, vista a partire dai discepoli. La frequenza con cui in essa si parla dell’incomprensione e del fallimento dei discepoli corrisponde, molto probabilmente, ad un fatto storico. Ma l’interesse principale dell’evangelista non consiste in raccontare ciò che è avvenuto nel passato, bensì vuole provocare una conversione nei cristiani del suo tempo e far sorgere in tutti loro ed in tutti noi una nuova speranza, capace di superare lo scoraggiamento e la morte. Tre cose spiccano e devono essere considerate a fondo:
1) Il fallimento degli eletti: Quei dodici specialmente chiamati ed eletti da Gesù (Mc 3,13-19) e da lui inviati in missione (Mc 6,7-13), falliscono. Fallimento completo. Giuda tradisce, Pietro nega, tutti fuggono, nessuno rimane. Dispersione totale! Apparentemente, non c’è molta differenza tra loro e le autorità che decretano la morte di Gesù. Come avviene con Pietro, anche loro vogliono eliminare la croce e vogliono un Messia glorioso, re, figlio di Dio benedetto. Ma c’è una profonda e reale differenza! I discepoli, malgrado tutti i loro difetti e le loro debolezze, non hanno malizia. Non hanno cattiva volontà. Sono un ritratto quasi fedele di tutti noi che camminiamo lungo il cammino di Gesù, cadendo incessantemente, ma rialzandoci sempre!
2) La fedeltà dei non eletti: Come contrappunto del fallimento degli uni appare la forza della fede degli altri, di coloro che non facevano parte dei dodici eletti: 1. Una donna anonima di Betania. Lei accettò Gesù come Messia Servo e, per questo, lo unse, anticipandosi così alla sepoltura. Gesù la elogia. Lei è un modello per tutti. 2. Simone di Cirene, un padre di famiglia. Obbligato dai soldati, fa ciò che Gesù aveva chiesto ai dodici che sono fuggiti. Porta la croce dietro Gesù fino al Calvario. 3. Il centurione, un pagano. Nell’ora della morte, lui fa la professione di fede e riconosce il Figlio di Dio nell’uomo torturato e crocifisso, maledetto secondo la legge dei giudei. 4. Maria Maddalena, Maria, la madre di Giacomo, Salomè, “e molte altre donne che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Loro non abbandonarono Gesù, ma continuarono con determinazione ai piedi della croce e vicino alla tomba di Gesù. 5. Giuseppe d’Arimatea, membro del sinedrio, che rischiò tutto chiedendo il corpo di Gesù per seppellirlo. I Dodici fallirono. La continuità del messaggio del Regno non è passata attraverso di loro, ma attraverso altri, soprattutto le donne, che riceveranno l’ordine chiaro di far ritornare gli uomini falliti (Mc 16,7). Ed oggi, la continuità del messaggio passa per dove?
3) L’atteggiamento di Gesù: Il modo in cui il Vangelo di Marco presenta l’atteggiamento di Gesù durante il racconto della passione è per dare speranza perfino al discepolo più scoraggiato e fallito! Perché per grande che sia stato il tradimento ed il fallimento dei Dodici, l’amore di Gesù è stato sempre più grande! Nell’ora dell’annuncio della fuga dei discepoli, già avverte che li aspetterà in Galilea. Pur sapendo del tradimento (Mc 14,18), della negazione (Mc 14,30) e della fuga (Mc 14,27), compie il gesto dell’Eucaristia. E la mattina di Pasqua, l’angelo, attraverso le donne, manda un messaggio a Pietro che lo negò, ed a tutti quelli che fuggirono: devono recarsi in Galilea. Lì dove tutto era iniziato, lì ricomincia tutto di nuovo. Il fallimento dei dodici non provoca una rottura dell’alleanza sigillata e confermata nel sangue di Gesù.

Il modello del discepolo: Seguire, Servire, Salire: Marco pone in risalto la presenza delle donne che seguono e servono Gesù fin dal tempo in cui si trovava in Galilea e che erano salite con lui fino a Gerusalemme (Mc 15,40-41). Marco usa tre parole per definire il rapporto delle donne con Gesù: Seguire! Servire! Salire! Loro “seguivano e servivano” Gesù ed insieme con molte altre “saliranno con lui a Gerusalemme” (Mc 15,41). Sono le tre parole che definiscono il discepolo o la discepola ideale. Sono il modello per gli altri discepoli che erano fuggiti!
- Seguire descrive la chiamata di Gesù e la decisione di seguirlo (Mc 1,18). Questa decisione suppone lasciare tutto e correre il rischio di essere uccisi (Mc 8,34; 10,28).
- Servire indica che loro sono vere discepole, poiché il servizio è la caratteristica del discepolato e di Gesù stesso (Mc 10,42-45).
- Salire indica che loro sono le testimoni qualificate della morte e della risurrezione di Gesù, perché, come i discepoli, lo accompagneranno dalla Galilea fino a Gerusalemme (At 13,31). Testimoniando la risurrezione di Gesù, testimonieranno anche ciò che loro stesse vedono e sperimentano. È l’esperienza del nostro battesimo. “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Per mezzo del battesimo, tutti partecipiamo alla morte e risurrezione di Gesù.

Per aiutare a riflettere
- Cosa mi ha maggiormente colpito nell’atteggiamento dei dodici apostoli e nell’atteggiamento delle donne durante la passione e morte di Gesù? Che avresti fatto tu se fossi stato/a presente? Avresti agito come gli uomini o come le donne?
- Cosa ti ha maggiormente colpito nell’atteggiamento di Gesù riguardo ai discepoli ed alle discepole nella narrazione della sua passione e morte? Perché?
- Qual’è il messaggio speciale della narrazione della passione e morte nel vangelo di Marco? Sei riuscito/a a scoprire le differenze tra la narrazione della passione e la morte nel vangelo di Marco e negli altri vangeli? Quali?

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE


Letture:
Is 52,13-53,12
Sal 87
Eb 12,1b-3
Gv 11,55-12,11

Per le sue piaghe noi siamo stati guariti
Per Gesù è arrivata la sua “ora”. Entra in Gerusalemme per la sua settimana decisiva. Lì compirà i suoi atti fondamentali per la nostra salvezza e il nostro riscatto: la sua passione e morte in croce. Ha voluto preparare bene questo ingresso in città, quasi un presentarsi ufficiale quale Messia preannunciato dai profeti: il Servo Sofferente per le cui “piaghe noi siamo stati guariti” (Lett.). Quanti l’hanno capito? Forse neanche tutti i più vicini. Non era facile accettare un Messia così sconcertante: cavalca un asino. Questo Messia umile vuol portare il peso dei nostri peccati, e sarà un Messia crocifisso.
Un Messia crocifisso: Domandiamoci: che cosa significa che Cristo ci salva dalla croce? Che cosa vuol mostrare Dio scegliendo di farsi conoscere crocifisso? Questa è la sorpresa: Dio ha tanto voluto condividere la nostra vita da sostituirsi a noi nel riscatto dal male e dal peccato. È venuto lui, come uomo, perché finalmente un uomo - e come nostro fratello maggiore - esprimesse a nome nostro e in nostro favore tutta la faticosa obbedienza a Dio, dopo il no del primo Adamo, cioè di ognuno di noi. “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (I lett.). Una condivisione portata fino all’estremo dono di sé, fino al segno del sangue: “Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Dio è uno che ci mette la pelle per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). Sant’Agostino ha una espressione illuminante: “Potuit gutta, venit unda”; poteva salvarci con una goccia di sangue, ne venne una valanga...! Amare quando le cose van bene, son buoni tutti! Anche per noi la prova d’amore vuole sacrificio. La croce allora è lo spettacolo della ECCEDENZA di Dio, del suo voler strafare in amore. Dio ha voluto toccare il nostro cuore perché la sua vittoria non è in potenza ma in amore. Il risultato di questa condivisione e di questo amore è la nostra riconciliazione con Dio e la reintegrata partecipazione alla condizione di figli di Dio. Quei fatti avvenuti a Gerusalemme - con la sbocco della risurrezione - sono stati come uno squarcio di verità sugli inganni del mondo: il Giusto innocente, perseguitato e condannato dai malvagi, oppresso dal male e dalla morte, ma fiducioso nel suo Dio, viene da Dio liberato e ora siede vivo e glorioso alla destra del Padre. “Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio” (Epist.). Finalmente Dio è intervenuto a capovolgere le sorti del mondo e dell’uomo. La signoria del bene vince il dominio del male.
L’attualità di quegli eventi: Il gesto compiuto alla processione, agitando i rami d’ulivo, ha un significato ben preciso: anche noi, come i fanciulli di Gerusalemme, accogliamo oggi nella nostra comunità Gesù che viene in questa settimana per rendere presenti quei suoi atti salvifici e per comunicarcene il frutto. I Riti del Santo Triduo sono appunto “il vestito” sacramentale entro il quale si cala l’opera salvifica di Cristo resa attuale per noi. Di fronte a un così strano modo di essere Messia e Salvatore chi non si sconcerterebbe? Il Vangelo ci indica appunto atteggiamenti e scelte diverse davanti al Cristo sofferente. Siamo sei giorni prima della Pasqua. A Betania Gesù ha risuscitato Lazzaro. Ormai è sulla bocca di tutti. È l’uomo del giorno; la folla lo cerca con curiosità, come si cerca la firma di un divo: “Che ve ne pare? Non verrà alla festa?”. Dietro loro sta chi lo cerca per ucciderlo. Sono i capi e i farisei: “Avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse perché potessero arrestarlo..”; anzi “decisero di uccidere anche Lazzaro”. L’incredulità si traduce spesso in persecuzione. C’è poi Giuda, l’ipocrita: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri? - Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro”. È il perbenismo chiuso ad ogni valore religioso, sempre pronto a sfruttare a proprio vantaggio e a sporcare col proprio interesse anche le cose più sacre! Infine c’è il gesto di Maria, espressione di un amore delicato, che intuisce la valenza di condivisione e di salvezza dell’imminente morte di Gesù. Gesù la difende, apprezzando la sua attenzione personale verso di lui. “I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Quale dolce e forte rimprovero! Avere me, dice Gesù, la mia Persona, il rapporto d’amore, questo conta più di tante cose! Almeno questa settimana, sia tutta da riservare a Me! Nessuno in questi Santi Giorni si meriti il lamento di Gesù: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?” (Mt 26,40). È la Settimana “autentica”, tutta da dedicare a Dio.
La Chiesa, coi suoi riti solenni, ci metterà davanti la vicenda di Cristo, tutta da contemplare e da imitare. “Fratelli, seguiamo il cammino di Cristo che conduce a salvezza. Egli morì per noi, lasciando un esempio. Sulla croce portò nel suo corpo i nostri peccati perché, morendo alla colpa, risorgessimo alla vita di grazia” (Dopo il vangelo). Seguire Gesù per risorgere a vita di grazia, anzi, come lui, a vita di gloria: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Epist.). Alla nostra disponibilità farà però riscontro l’iniziativa sacramentale di Cristo nella celebrazione solenne del Sacro Triduo. Fare Pasqua vuol dire partecipare a queste Celebrazioni, con cuore pentito e attenzione piena, con un coinvolgimento anche affettivo. Domenica sarà Pasqua di risurrezione. Sia davvero risurrezione anche per tutti noi!
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MessaggioTitolo: GIOVEDI' 5 APRILE 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 02, 2012 9:47 am

GIOVEDÌ 5 APRILE 2012

GIOVEDI SANTO


MESSA DEL CRISMA


Letture:
Is 61,1-3.6.8-9 (Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri e a dare loro un olio di letizia)
Sal 88 (Canterò per sempre l’amore del Signore)
Ap 1,5-8 (Cristo ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre)
Lc 4,16-21 (Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione)

Messa del Crisma
Grandi eventi si compiono in questo giorno: la chiesa (fedeli e presbiteri) si riunisce in mattinata nelle cattedrali con il proprio Vescovo per fare concreta e viva esperienza di unità, memore della preghiera di Cristo che intensamente la chiede al Padre per la sua Chiesa. La stessa unità viene celebrata nel memoriale eucaristico e nell’istituzione del Sacerdozio. La benedizione degli oli santi, che serviranno per l’amministrazione dei sacramenti, avviene nella stessa celebrazione a testimoniare la premura della Chiesa per i propri fedeli, che si estende per tutto il tempo della vita terrena e diventano veicoli di grazia e segni efficaci di salvezza. È un giorno veramente santo questo Giovedì: per i sacerdoti è il giorno in cui possono percepire, più che mai, la grandezza del dono ricevuto, che li assimila a Cristo stesso e li rende strumenti di salvezza e dispensatori dei beni di Dio; per i fedeli è il nuovo patto indissolubile ed eterno, sancito da Cristo che, per restare sempre con noi vivo, si rende presente nell’eucaristia e diventa cibo e bevanda di vita; per tutti può essere un giorno in cui la presenza di Dio e il suo amore per l’uomo si rende nel mondo più percettibile e più intenso.
La Messa del Crisma è la Celebrazione Eucaristica presieduta dal vescovo nella cattedrale generalmente il mattino del Giovedì Santo. Se si frapponessero notevoli difficoltà alla riunione del clero e del popolo con il vescovo, si può anticipare la celebrazione in un altro giorno prossimo alla Pasqua con il formulario proprio della messa.
A questa messa, che vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, sono invitati tutti i presbiteri della Diocesi i quali, dopo l’omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.
In questa messa, il Vescovo consacra gli Olii Santi: il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e l’Olio degli Infermi.
Essi sono gli olii che si useranno durante tutto il corso dell’anno liturgico per celebrare i sacramenti:
- il crisma viene usato nel battesimo, nella cresima e nell’ordinazione dei presbiteri e dei vescovi;
- l’Olio dei Catecumeni viene usato nel battesimo;
- l’Olio degli Infermi viene usato per l’Unzione degli infermi.

MESSA IN CENA DOMINI


Preghiera iniziale: Iniziamo il nostro incontro con la Parola di Dio lasciando parlare tutta la nostra vita, lasciando che la parola del vangelo di oggi parli a tutta la nostra vita e la rinnovi con la luce dell’esempio che Gesù ci offre. Ci lasciamo guidare da una proposta di preghiera che attingiamo da una raccolta di canti oranti che ha per titolo: «Cuore in festa». «Quando tu parli, Signore, il nulla palpita di vita: le ossa aride diventano persone viventi, il deserto fiorisce... Quando mi accingo a pregarti mi sento arido, non so che dire. Non sono, evidentemente, sintonizzato con la tua volontà, le mie labbra non sono intonate al mio cuore, il mio cuore non si sforza d’intonarsi con il tuo. Rinnova il mio cuore, purifica le mie labbra perché parli con te come vuoi tu, perché parli con gli altri come vuoi tu, perché parli con me stesso, col mio mondo interiore, come vuoi tu» (L.Renna).

Letture:
Es 12,1-8.11-14 (Prescrizioni per la cena pasquale)
Sal 115 (Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza)
1Cor 11,23-26 (Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore)
Gv 13,1-15 (Li amò sino alla fine)

Eucaristia e sacerdozio
È un giorno solenne e santo quello che celebriamo oggi. Diventiamo i commensali di Dio, ci viene dato come bevanda e come cibo il suo sangue e la sua carne. È il sangue e la carne dell’uomo Dio, prima martirizzato nella crudeltà di una orribile passione, poi racchiusa in un calice e in piccole ostie per assumerli come germe di vita nuova. Così siamo rigenerati nel corpo e nello spirito, diventiamo nuove creature, riscopriamo la nostra fratellanza, diventiamo uno in Cristo, diventiamo templi sacri, in cui inàbita la divinità. Non più schiavi ma liberi, con una somiglianza soprannaturale con il nostro creatore e signore. La sfida che satana lanciò sin dal principio ai nostri progenitori “sarete come Dio”, ora trova il suo vero compimento. Accadde in un ultima cena, mentre si celebrava la nuova Pasqua. Gesù è prostrato come uno schiavo dinanzi ai suoi, vuole loro lavare i piedi. Vuole dare loro una lezione di umiltà, vuole dire loro che l’amore vero esige l’immolazione volontaria per gli altri, vuole spegnere ogni benché minima ombra di potere, vuole dire agli apostoli e ai futuri ministri dell’Eucaristia che per ripetere validamente quell’eterno sacrificio, devono mettere a disposizione di tutti la propria vita, diventare vittime con la Vittima. Solo così quel sacrificio potrà diventare un memoriale, potrà ripetersi nei secoli sugli altari del mondo per sfamare gli affamati di ogni tempo e dissetare le brame dei viventi. “Fate questo in memoria di me” non significa soltanto ricevere una dignità e un mandato, significa soprattutto assimilarsi a Cristo, assumerne le sembianze, ripeterne i suoi gesti e le sue parole, offrirsi ogni giorno come vittima, essere il cibo di tutti, lasciarsi dilaniare nella carne e nello spirito, essere sacerdoti del Dio altissimo, capaci di generare Cristo con un limpido amore alla Madre sua e nostra. Così eucaristia e sacerdozio si fondono nel mistero, si realizzano e si perpetuano nella storia. Così il Vivente entra nel mondo, si dona, si lascia divorare, s’immola, guarisce, risana, redime e salva. Oggi è le festa dei sacerdoti, oggi più che mai contempliamo l’amore di Dio, la grande missione che ci ha affidato, la potenza che egli ha voluto conferire alle nostre parole, ma ci troviamo anche prostrati nella consapevolezza dei limiti e delle debolezze, che ci accompagnano anche quando saliamo tremanti sui pulpiti e sugli altari. È lì che guardandoci allo specchio ci convinciamo che i primi affamati siamo noi, è lì che verrebbe la voglia di scendere e di smettere le nostre messe, ma è ancora lì che troviamo i motivi veri di una interiore e totale purificazione: ci purifica lo sguardo misericordioso di Dio e quello altrettanto benevolo dei fratelli; così ci troviamo accomunati a sperimentare il nostro sacerdozio: “il mio e vostro sacrificio”.
Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli. Il Maestro manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l’ultima Cena, Gesù ha mostrato - con le sue parole - l’amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l’Eucaristia, facendo dono di sé: egli ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha espresso il suo amore nel dolore che provava quando ha annunciato a Giuda Iscariota il suo tradimento ormai prossimo e agli apostoli la loro debolezza. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all’umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri; perché il dovere di ogni credente è di non cercare l’apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio. Nonostante l’insegnamento così chiaro di Gesù, gli apostoli continuarono a disputarsi i primi posti nel Regno del Messia. Durante l’ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l’esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14). La Cena si ripete nei secoli. Infatti Gesù ha investito gli apostoli e i loro successori del potere e del dovere di ripetere la Cena eucaristica nella santa Messa. Cristo si sacrifica durante la Messa. Ma, per riprendere le parole di san Paolo, egli resta lo stesso “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). I credenti che partecipano al Sacrificio eucaristico cambiano, ma il loro comportamento nei confronti di Cristo è più o meno lo stesso di quello degli apostoli nel momento della Cena. Ci sono stati e ci sono tuttora dei santi e dei peccatori, dei fedeli e dei traditori, dei martiri e dei rinnegatori. Volgiamo lo sguardo a noi stessi. Chi siamo? Qual è il nostro comportamento nei confronti di Cristo? Dio ci scampi dall’avere qualcosa in comune con Giuda, il traditore. Che Dio ci permetta di seguire san Pietro sulla via del pentimento. Il nostro desiderio più profondo deve però essere quello di avere la sorte di san Giovanni, di poter amare Gesù in modo tale che egli ci permetta di appoggiarci al suo petto e di sentire i battiti del suo cuore pieno d’amore; di giungere al punto che il nostro amore si unisca al suo in modo che possiamo dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Approfondimento del Vangelo (Lavanda dei piedi)
Il testo: Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Momenti di silenzio orante: In un ascolto amoroso la parola non è necessaria, anche il silenzio parla e comunica amore.

Preambolo alla Pasqua di Gesù: Il brano del vangelo di questo giorno è inserito in un insieme letterario che comprende i capitoli 13-17. L’inizio è costituito dal racconto dell’ultima cena che Gesù condivide con i suoi discepoli, durante la quale compie il gesto della lavanda dei piedi (13,1-30). Poi, Gesù intesse un lungo dialogo d’addio con i suoi discepoli (13,31 - 14,31), i capitoli 15-17 hanno la funzione di approfondire ulteriormente il precedente discorso del maestro. Immediatamente, segue, l’azione dell’arresto di Gesù (18,1-11). In ogni modo, questi eventi narrati in 13,-17,26 sono collegati sin da 13,1 con la Pasqua di Gesù. Interessante è notare quest’ultima annotazione: da 12,1 la Pasqua non viene più denominata come la pasqua dei giudei, ma di Gesù. É lui, d’ora innanzi, l’Agnello di Dio che libererà l’uomo dal suo peccato. Quella di Gesù è una pasqua che mira alla liberazione dell’uomo: un nuovo esodo che permette di passare dalle tenebre alla luce (8,12), e che porterà vita e festa nell’umanità (7,37). Gesù è consapevole che sta per concludersi il suo cammino verso il Padre e, quindi sta per portare a termine il suo esodo personale e definitivo. Tale passaggio al Padre avviene mediante la croce, momento nodale in cui Gesù consegnerà la sua vita a vantaggio dell’uomo. Colpisce l’attenzione del lettore nel constatare come l’evangelista Giovanni sappia ben presentare la figura di Gesù nel mentre è consapevole degli ultimi eventi della sua vita e, quindi, della sua missione. Come a ribadire che Gesù non è travolto dagli eventi che minacciano la sua esistenza, ma è pronto a dare la sua vita. In precedenza l’evangelista aveva notato che non era giunta la sua ora; ma ora nel racconto della lavanda dei piedi dice che è consapevole dell’approssimarsi della sua ora. Tale coscienza sta alla base dell’espressione giovannea: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (v.1). L’amore per i «suoi», coloro che formano la nuova comunità, è stato evidente mentre era con loro, ma splenderà in modo eminente nella sua morte. Tale amore viene mostrato da Gesù nel gesto della lavanda dei piedi che, nella sua valenza simbolica, mostra l’amore continuo che si esprime nel servizio.

Lavanda dei piedi: Gesù si trova in una cena ordinaria con i suoi. Ha piena coscienza della missione che il Padre gli ha affidato: da lui dipende la salvezza dell’umanità. Con tale consapevolezza vuole mostrare ai «suoi», mediante la lavanda dei piedi, come si porta a compimento l’opera salvifica del Padre e indicare in tale gesto la donazione della sua vita per la salvezza dell’uomo. É volontà di Gesù che l’uomo si salvi e uno struggente desiderio lo guida a dare la sua vita e a consegnarsi. É consapevole che «il Padre aveva posto tutto nelle sua mani» (v.3a), tale espressione lascia intravedere che il Padre lascia a Gesù la completa libertà di azione. Gesù, inoltre, sa che la sua vera provenienza e la meta del suo itinerario è Dio; sa che la sua morte in croce, espressione massima del suo amore, è l’ultimo momento del suo cammino salvifico. La sua morte è un «esodo»; è l’apice della sua vittoria sulla morte, nel suo donarsi (dare la vita) Gesù ci rivela la presenza di Dio come vita piena ed esente dalla morte. Con questa piena consapevolezza della sua identità e della sua completa libertà Gesù si accinge a compiere il grande e umile gesto della lavanda dei piedi. Tale gesto d’amore viene descritto con un accumulo di verbi (otto) che rendono la scena coinvolgente e pregna di significato. L’evangelista nel presentare l’ultima azione di Gesù verso i suoi, usa questa figura retorica dell’accumulo dei verbi senza ripetersi perché tale gesto rimanga impresso nel cuore e nella mente dei suoi discepoli e di ogni lettore e perché venga ritenuto un comandamento da non dimenticare. Il gesto compiuto da Gesù intende mostrare che il vero amore si traduce in azione tangibile di servizio. Gesù si spoglia delle sue vesti e si cinge di un grembiule, simbolo del servizio. Più precisamente Gesù che depone le sue vesti è un’espressione che ha la funzione di esprimere il significato del dono della vita. Quale insegnamento Gesù vuole trasmettere ai suoi discepoli con questo gesto? Mostra loro che l’amore si esprime nel servizio, nel dare la vita all’altro come lui ha fatto. Al tempo di Gesù la lavanda dei piedi era un gesto che esprimeva ospitalità e accoglienza nei confronti degli ospiti. In via ordinaria era svolto da uno schiavo oppure dalla moglie nei confronti della moglie e anche dalle figlie verso il loro padre. Inoltre era consuetudine che tale rito della lavanda dei piedi avvenisse sempre prima di mettersi a mensa e non durante. Tale inciso dell’azione di Gesù intende sottolineare la singolarità del suo gesto. E così Gesù si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. Il reiterato uso del grembiule con cui Gesù si è cinto sottolinea che l’atteggiamento del servizio è un attributo permanente della persona di Gesù. Difatti quando avrà terminato la lavanda Gesù non si toglie il panno che funge da grembiule. Tale particolare intende sottolineare che il servizio-amore non termina con la sua morte. La minuziosità di tali dettagli mostra l’intento dell’evangelista a voler sottolineare la singolarità e l’importanza del gesto di Gesù. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù intende mostrare ad essi il suo amore, che è un tutt’uno con quello del Padre (10,30.38). É davvero sconvolgente questa immagine che Gesù ci rivela di Dio: non è un sovrano che risiede esclusivamente nel cielo, ma si presenta come servo dell’umanità per innalzarla a livello divino. Da questo servizio divino scaturisce per la comunità dei credenti quella libertà che nasce dall’amore e che rende tutti i suoi membri «signori» (liberi) perché servi. É come dire che solo la libertà crea vero amore. D’ora in poi il servizio che i credenti renderanno all’uomo avrà come scopo quello di instaurare rapporti tra gli uomini in cui l’uguaglianza e la libertà siano una conseguenza della pratica del servizio reciproco. Gesù con il suo gesto intende mostrare che qualsiasi dominio o tentativo di sopravvento sull’uomo è contrario all’atteggiamento di Dio che, invece, serve l’uomo per elevarlo a sé. Inoltre non ha più senso le pretese di superiorità di un uomo sull’altro, perché la comunità fondata da Gesù non ha caratteristiche piramidali, ma dimensioni orizzontali, in cui ciascuno è a servizio degli altri, sull’esempio di Dio e di Gesù. In sintesi, il gesto che Gesù compie esprime i seguenti valori: l’amore versi i fratelli chiede di tradursi in accoglienza fraterna, ospitalità, cioè in servizio permanente.

Resistenza di Pietro: La reazione di Pietro al gesto di Gesù si esprime in atteggiamenti di stupore e protesta. Anche nel modo di rapportarsi a Gesù avviene un cambiamento: Pietro lo chiama «Signore» (13,6). Tale titolo riconosce a Gesù un livello di superiorità che stride con il «lavare» i piedi, un’azione che compete, invece, a un soggetto inferiore. La protesta è energicamente espressa dalle parole: «tu lavi i piedi a me?». Agli occhi di Pietro questo umiliante gesto della lavanda dei piedi è sembrato come un inversione dei valori che regolano le relazioni tra Gesù e gli uomini: il primo è il Messia, Pietro è un suddito. Pietro disapprova l’uguaglianza che Gesù vuole creare tra gli uomini. A tale incomprensione Gesù risponde invitando Pietro ad accogliere il senso del lavargli i piedi come una testimonianza del suo affetto verso di lui. Più precisamente gli vuole offrire una prova concreta di come lui e il Padre lo ama. Ma la reazione Pietro non desiste: rifiuta categoricamente che Gesù si metta ai suoi piedi. Per Pietro ognuno deve ricoprire il suo ruolo, non è possibile una comunità o una società basata sull’uguaglianza. Non è accettabile che Gesù abbandoni la sua posizione di superiorità per rendersi uguale ai suoi discepoli. Tale idea del Maestro disorienta Pietro e lo porta a protestare. Non accettando il servizio d’amore del suo Maestro, non accetta, neanche che muoia in croce per lui (12,34;13,37). É, come dire, che Pietro è lontano dalla comprensione di cosa sia il vero amore, e tale ostacolo è di impedimento perché Gesù glielo mostri con l’azione. Intanto se Pietro non è disposto a condividere la dinamica dell’amore che si manifesta nel servizio reciproco non può condividere l’amicizia con Gesù e rischia, davvero, di autoescludersi. Inseguito all’ammonimento di Gesù «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (v.8), Pietro aderisce alle minacciose parole del Maestro, ma senza, però, accettare il significato profondo dell’azione di Gesù. Si mostra aperto disposto a farsi lavare da Gesù, non solo i piedi, ma, anche le mani e la testa. Sembra che a Pietro sia più facile accettare il gesto di Gesù come un’azione di purificazione o abluzione piuttosto che come servizio. Ma Gesù gli risponde che i discepoli sono diventati puri («puliti») nel momento in cui hanno accettato di lasciarsi guidare dalla Parola del Maestro, rifiutando quella del mondo. Pietro e i discepoli non hanno più bisogno del rito giudaico della purificazione ma di lasciarsi lavare i piedi da Gesù; ovvero di lasciarsi amare da lui, conferendo loro dignità e libertà.

Il memoriale dell’amore: Al termine della lavanda dei piedi Gesù intende dare alla sua azione una validità permanente per la sua comunità e nello stesso tempo lasciare ad essa un memoriale o comandamento che dovrà regolare per sempre le relazioni fraterne. Gesù è il Signore, non nella dimensione del dominio, ma in quanto comunica l’amore del Padre (il suo Spirito) che ci rende figli di Dio e idonei a imitare Gesù che liberamente dona l’amore ai suoi. Tale atteggiamento interiore Gesù ha inteso comunicarlo ai suoi, un amore che non esclude nessuno, neppure Giuda che sta per tradirlo. Quindi se i discepoli lo chiamano signore, devono imitarlo; se lo considerano maestro devono ascoltarlo.

Alcune domande per meditare:
- si alzò da tavola: come vivi l’eucaristia? In modo sedentario o ti lasci sollecitare all’azione dal fuoco dell’amore che ricevi? Corri il pericolo che l’eucaristia a cui partecipi si smarrisca nel narcisismo contemplativo, senza approdare all’impegno di solidarietà e condivisione? Il tuo impegno per la giustizia, per i poveri parte dalla consuetudine d’incontrare Cristo nell’eucaristia, dalla familiarità con lui?
- depose le vesti: quando dall’eucaristia passi alla vita sai deporre le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale per lasciarti guidare da un amore autentico verso gli altri? Oppure dopo l’eucaristia non sei capace di deporre le vesti del dominio e dell’arroganza per indossare quelle della semplicità, della povertà?
- si cinse un asciugatoio: è l’immagine della «chiesa del grembiule». Nella vita della tua famiglia, della tua comunità ecclesiale percorri la strada del servizio, della condivisione? Sei coinvolto direttamente nel servizio ai poveri e agli ultimi? Sai scorgere il volto di Cristo che chiede di essere servito, amato nei poveri?

Preghiera finale:
Affascinato dal modo con cui Gesù esprime il suo amore verso i suoi Origene così prega: Gesù, vieni, ho i piedi sporchi. Per me fatti servo, versa l’acqua nel bacile; vieni, lavami i piedi. Lo so, è temerario quel che ti dico, ma temo la minaccia delle tue parole: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Lavami dunque i piedi, perché abbia parte con te (Omelia 5 su Isaia).

E San Ambrogio preso da un desiderio ardente di corrispondere all’amore di Gesù, così si esprime: O mio signore Gesù, lasciami lavare i tuoi sacri piedi; te li sei sporcati da quando cammini nella mia anima... Ma dove prenderò l’acqua della fonte per lavarti i piedi? In mancanza di essa mi restano gli occhi per piangere: bagnando i tuoi piedi con le mie lacrime, fa’ che io stesso rimanga purificato (Trattato sulla penitenza).
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: VENERDI' 6 APRILE 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 02, 2012 9:52 am

VENERDÌ 6 APRILE 2012

VENERDI SANTO
PASSIONE DEL SIGNORE


Raccogliamoci in preghiera: Vieni, tu refrigerio, delizia e nutrimento delle anime nostre. Vieni, e togli tutto quello che è di mio, e infondi in me solo quello che è tuo. Vieni, tu che sei nutrimento d’ogni casto pensiero, circolo d’ogni clemenza e cumulo d’ogni purità. Vieni e consuma in me tutto quello che è cagione che io non possa essere consumata da te. Vieni, o Spirito, che sei sempre col Padre e con lo Sposo, e riposati sopra le spose dello Sposo (S. Maria Maddalena de’ Pazzi, O.Carm., in La Probatione ii, 193-194).

Letture:
Is 52,13 - 53,12 (Egli è stato trafitto per le nostre colpe; quarto canto del Servo del Signore)
Sal 30 (Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito)
Eb 4,14-16; 5,7-9 (Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono)
Gv 18,1 -19,42 (Passione del Signore)

“Donna ecco tuo figlio!”, “Ecco tua madre!”
Sono le frasi che Gesù sulla Croce pronuncia dirette a Maria ed a Giovanni. Un momento prima di morire si ricorda di sua madre, si ricorda di noi; dalla croce ha la forza dello Spirito di continuare la sua missione di Amore. La morte non può sconfiggere questa forza e i legami che sembrerebbero spezzare con essa Gesù stesso, dall’alto della Croce. Non è un saluto formale quello di Cristo ma è vitale e pregno di amore perché è proiettato verso il futuro, oltre la Resurrezione della Pasqua e si incontra nel cammino che farà nascere la Chiesa. Da qui, da questo momento tutti noi sapremo che Maria non è soltanto la Madre di Dio, ma la Madre di tutti noi perché Madre della Chiesa. L’eredità di Gesù è la stessa Madonna e non potevamo aspirare a niente di meglio, tesoro più inestimabile non vi è. Preghiamola quindi ogni giorni, quando pensiamo alla Croce di Gesù ricordiamoci che vi era lei sotto a piangere. Maria è presente nella quiete gioia della notte di Natale, ora sotto la Croce dolorosa, e sarà presente in preghiera nel Cenacolo quando lo Spirito Santo scenderà sugli apostoli discepoli perché inizino la loro missione per tutte le strade del mondo! Se sappiamo pregare Maria per Nostro Signore sicuramente le nostre preghiere non saranno inascoltate!
La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre. Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua. Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore. Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù. Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.
Il racconto della Passione di Gesù Cristo, costituisce, anche da punto di vista cronologico, il primo nucleo della predicazione apostolica, il punto fondamentale della proclamazione della fede della Chiesa. Nella liturgia di oggi, la proclamazione della passione assume una importanza centrale: il valore della parola, come segno sacramentale della presenza attuale del Cristo, prende grande evidenza e polarizza a sé tutta la celebrazione di oggi. Sulla croce il Cristo realizza la suprema manifestazione del nome di Dio: Agape. Il poema descrive la sofferenza Salvatrice e gloriosa del servo di Jahvé. Il suo dolore è un mistero. Il suo dolore però rivela non il suo proprio peccato – egli è innocente – ma il peccato del popolo. Il servo accetta questo piano di Dio, consapevole che lo condurrà alla morte e ad una sepoltura. Cristo è il servo di Jahvé, è lui che si consegna alla morte per il popolo. La risurrezione costituisce la sua esaltazione. La chiesa oggi non celebra l’Eucaristia, ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l’atroce passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo. È così che potremmo trarne la più logica ed impegnativa conclusione: noi responsabili in prima persona di quella morte con i nostri peccati re e Dio immenso nell’amore! L’adorazione che poi segue nell’altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiese spoglie e disadorne ci aiutano ulteriormente a comprendere da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall’altra l’attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza ed è il mattino di Pasqua. Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati tutti gli uomini. Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.
La celebrazione si svolge in tre momenti: Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunione eucaristica. In questo giorno la santa comunione ai fedeli viene distribuita soltanto durante la celebrazione della Passione del Signore; ai malati, che non possono prendere parte a questa celebrazione, si può portare la comunione in qualunque ora del giorno. Il sacerdote e il diacono indossano le vesti di color rosso, come per la Messa. Si recano poi all’altare e, fatta la debita riverenza, si prostrano a terra o, secondo l’opportunità, s’inginocchiano. Tutti, in silenzio, pregano per breve tempo.

Approfondimento del Vangelo (La Passione di Gesù secondo Giovanni)
Il testo:
Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti - una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

Qui si genuflette e di fa una breve pausa.

E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Chiave di lettura:
- Gesù padrone della sua sorte. Vorrei proporvi di raccoglierci con lo spirito di Maria, sotto la croce di Gesù. Lei, donna forte che ha colto tutto il significato di questo evento della passione e morte del Signore, ci aiuterà a volgere uno sguardo contemplativo sul crocifisso (Gv 19,25-27). Ci troviamo nel capitolo 19 del vangelo di Giovanni, che apre con la scena della flagellazione e la coronazione di spine. Pilato presenta Gesù ai sommi sacerdoti e alle guardie: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” che gridano la sua morte in croce (Gv 19,6). Comincia così per Gesù il cammino della croce verso il Gòlgota, dove sarà crocifisso. Nel racconto della Passione secondo Giovanni, Gesù si rivela padrone di se stesso, controllando così tutto quello che gli succede. Il testo giovanneo abbonda di frasi che indicano a questa realtà teologica, di Gesù che offre la sua vita. Gli eventi della passione lui le subisce attivamente non passivamente. Portiamo qui solo alcuni esempi facendo enfasi su alcune frasi e parole. Il lettore ne può trovare altri: Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. Gesù replicò: “Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. “Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora” (Gv 19,5). A Pilato dice: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto.” (Gv 19,11). Anche sulla croce Gesù prende parte attiva alla sua morte, non si lascia uccidere come i ladroni ai quali vengono spezzate le gambe (Gv 19,31-33), ma consegna il suo spirito (Gv 19,30). Molto importanti i dettagli portati dall’evangelista: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” (Gv 19,26-27). Queste parole semplici di Gesù portano il peso della rivelazione, parole con le quali, egli ci rivela la sua volontà: “ecco tuo figlio (v. 26); “ecco tua madre” (v. 27). Parole che ci rimandano a quelle pronunciate da Pilato sul litostrotos: “Ecco l’uomo” (Gv 19,5). Qui Gesù, dalla croce, suo trono, rivela la sua volontà e il suo amore per noi. Egli è l’agnello di Dio, il pastore che da la sua vita per le pecorelle. In quel momento, presso la croce, egli partorisce la Chiesa, rappresentata da Maria, sua sorella, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala con il discepolo amato (Gv 19,25).
- Discepoli amati e fedeli: Il quarto vangelo specifica che questi discepoli “stavano presso la croce” (Gv 19,25-26). Un dettaglio questo di significato profondo. Solo il quarto vangelo ci racconta che queste cinque persone stavano presso la croce. Gli altri evanġ elisti non specificano. Luca per esempio, racconta che tutti quelli che lo conobbero seguivano tutto da lontano (Lc 23,49). Pure Matteo riporta che molte donne seguivano da lontano questi eventi. Queste donne, avevano seguito Gesù fin dalla Galilea e lo servivano. Ma adesso lo seguivano da lontano (Mt 27,55-56). Marco come pure Matteo ci offre i nomi di quelli che seguivano la morte di Gesù da lontano. (Mc 15,40-41). Solo il quarto vangelo perciò, specifica che la madre di Gesù con le altre donne e il discepolo amato “stavano presso la croce”. Stavano li, come servi al loro re. Sono coraggiosamente presenti nel momento in cui Gesù dichiara che ormai “tutto è compiuto” (Gv 19,30). La madre di Gesù è presente all’ora che finalmente “è giunta”. Quell’ora preannunziata nelle nozze di Cana (Gv 2,1ss). Il quarto vangelo aveva notato anche in quel momento che “la madre di Gesù era là” (Gv 2,1). Perciò colui che rimane fedele al Signore nella sua sorte, egli è il discepolo amato. L’evangelista lascia in anonimato questo discepolo così ciascuno di noi potrà rispecchiarsi in lui che ha conosciuto i misteri del Signore, appoggiando il capo sul petto di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,25).

Domande e suggerimenti per orientare la meditazione e l’attualizzazione
- Leggi un’altra volta il brano del vangelo, e trova nella Bibbia tutti i testi citati nella chiave di lettura. Cerca di trovarne altri testi paralleli che ti aiutino a penetrare a fondo il testo in meditazione.
- Con il tuo spirito, aiutato dalla lettura orante del racconto giovanneo, visita i luoghi della Passione, fermati sul Calvario per cogliere con Maria e il discepolo amato l’evento della Passione.
- Che cosa ti colpisce di più?
- Quali sentimenti suscita in te questo racconto della Passione?
- Che significato ha per te il fatto che Gesù subisce attivamente la sua passione?

Preghiera finale: O Sapienza Eterna, o Bontà Infinita, Verità Ineffabile, scrutatore dei cuori, Dio Eterno, donaci di capire, tu che puoi, sai e vuoi! O Amoroso e Svenato Agnello, Cristo crocifisso, che fa’ che si adempisca in noi quel che tu dicesti: “Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). O lume indeficiente, del qual procedono tutti i lumi! O luce, per la quale fu fatto la luce, senza la quale ogni cosa è tenebre, con la quale ogni cosa è luce. Illumina, illumina, che illumina! E fa penetrare la volontà tutta a tutti gli autori e cooperatori che hai eletti in tal opera di rinnovazione. Gesù, Gesù amore, Gesù, trasformaci e conformaci a te. Increata Sapienza, Verbo Eterno, dolce Verità, tranquillo Amore, Gesù, Gesù Amor! (S. Maria Maddalena de’ Pazzi, O.Carm., in La Renovatione della Chiesa, 90-91).
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MessaggioTitolo: SABATO 7 APRILE 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 02, 2012 9:53 am

SABATO 7 APRILE 2012

SABATO SANTO


Il Sabato Santo è il giorno liturgico in cui il culto cristiano, sia in forme liturgiche che contemplative e devozionali, celebra il Signore Gesù Cristo che, con la sua divinità e con la sua anima umana ma non con il suo corpo che, tolto dalla croce su cui è morto il Venerdì Santo e deposto nel sepolcro, viene preservato dalla corruzione grazie alla virtù divina, discende agli inferi dove, a motivo della sua vittoria sulla morte e sul diavolo e secondo certe tradizioni cristiane per un tempo corrispondente a circa quaranta ore, libera le anime dei giusti morti prima di lui e apre loro le porte del Paradiso. Compiuta tale missione, la divinità e l’anima di Gesù si ricongiungono al Corpo nel sepolcro: e ciò costituisce il mistero della resurrezione, centro della fede di tutti i Cristiani, che verrà celebrato nella seguente domenica di Pasqua.
La data del Sabato santo è mobile in quanto collegata con la data della Pasqua. Inoltre, essendo la Pasqua celebrata in giorni diversi nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa, la data solitamente non coincide nelle varie tradizioni ecclesiastiche.
Il Sabato Santo è un giorno di silenzio e pur, se un senso di lutto pervade tutta l’area del tempio, esso è incentrato sull’attesa dell’annuncio della Risurrezione che avverrà nella solenne veglia pasquale che non fa parte di tale giorno e che si svolge nella notte tra il questo sabato e la domenica successiva. La Chiesa cattolica considera degno di lode protrarre il digiuno ecclesiastico e l’astinenza dalla carne anche per tutto il Sabato Santo, tuttavia non ne fa un obbligo per i fedeli.
In tale giorno, come nel Venerdì Santo, la Chiesa cattolica non offre il sacrificio della Messa ma a differenza del Venerdì Santo la comunione può essere distribuita solo come viatico. Per questa ragione, il Sabato Santo è detto “aliturgico” da intendersi non nel senso che è l’unico giorno dell’anno senza alcuna liturgia in quanto in esso è prevista la celebrazione della liturgia delle ore ma nel senso che in esso non si celebra la messa, celebrazione che una volta veniva indicata con il termine liturgia. L’Eucarestia non è conservata normalmente nel Tabernacolo, che quindi è spalancato e senza conopeo, ma viene normalmente conservata in altro luogo adatto, come la sacrestia, anche se in qualche posto continua ad essere conservata nell’altare della reposizione. Le luci e tutte le candele sono spente. Gli altari sono spogli, senza fiori e paramenti: tovaglia e copritovaglia. In molte chiese rimane esposta la Croce servita per l’adorazione nel Venerdì Santo.
Nella Liturgia delle Ore secondo il rito romano, questo giorno è l’unico sabato in cui si recitano i Vespri e la Compieta del giorno, e non i primi Vespri e la Compieta dopo i primi Vespri della domenica successiva.
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MessaggioTitolo: DOMENICA 8 APRILE 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 02, 2012 10:01 am

DOMENICA 8 APRILE 2012


RITO ROMANO
ANNO B
DOMENICA DI PASQUA
RISURREZIONE DEL SIGNORE


VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA


Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così S. Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti». Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo.

Letture:
Gen 1,1 - 2,2; forma breve Gen 1,1.26-31 (Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona)
Sal 103 (Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra)
Gen 22,1-18; forma breve Gen 22,1-2.9.10-13.15-18 (Il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede)
Sal 15 (Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio)
Es 14,15- 15,1 (Gli Israeliti camminarono sull’asciutto in mezzo al mare)
Sal: Es 15,1-7a.17-18 (Cantiamo al Signore: stupenda è la sua vittoria!)
Is 54,5-14 (Con affetto perenne il Signore, tuo redentore, ha avuto pietà di te)
Sal 29 (Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato)
Is 55,1-11 (Venite a me e vivrete; stabilirò per voi un’alleanza eterna)
Sal: Is 12,2-6 (Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza)
Bar 3,9-15.32 - 4,4 (Cammina allo splendore della luce del Signore)
Sal 18 (Signore, tu hai parole di vita eterna)
Ez 36,16-17a.18-28 (Vi aspergerò con acqua pura e vi darò un cuore nuovo)
Sal 41 (Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio)
Rm 6,3-11 (Cristo risorto dai morti non muore più)
Sal 117 (Alleluia, alleluia, alleluia)
Mc 16,1-7 (Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto)

È risorto, non è qui!
Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome forse pensavano di averne già viste abbastanza, ma non sapevano che il bello doveva ancora venire! Sabato mattina, con l’aiuto del buon Giuseppe d’Arimatea, calano Gesù dalla Croce e in fretta lo depongono in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia. Il giorno successivo, all’alba, sarebbero ritornate per pulire e ungere il corpo del Rabbì. Si aspettano di ritrovare il suo cadavere. Vanno ai sepolcri per onorare un morto. Durante il tragitto un solo problema le fa pensierose: la pietra del sepolcro. Ancora non sanno che ben altri macigni andranno rimossi? Il sepolcro è aperto. Al posto del cadavere del Rabbì, le donne trovano un angelo e il suo annuncio: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”. Questo è il grande annuncio! Siamo discepoli di un Dio vivo! Siamo discepoli di un Dio che ha fatto esplodere d’amore il suo sepolcro! Non siamo più schiavi della morte, non siamo più prigionieri senza scampo: Gesù è risorto! Gesù è vivo! E come sarebbe bello se questa gioia (almeno un po’) riempisse per davvero le nostre celebrazioni, la nostra vita quotidiana, i nostri incontri. A volte basta che qualcuno ci rubi un parcheggio o che l’autobus sia in ritardo per scatenare tutte le nostre ire più barbariche? Coraggio, amici: siamo discepoli di un Dio vivo! Ma c’è un’altra cosa veramente bella nell’annuncio dell’angelo. Nazareno, crocifisso e risorto: con queste tre parole viene riassunta la verità di Gesù. L’angelo avrebbe potuto dire “Gesù il messia”, “Gesù il Cristo”, “Gesù il Figlio di Dio”; e invece no: “Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto”. Questo è molto importante perché ci ricorda lo strettissimo legame tra l’incarnazione, la croce e la resurrezione. Davanti al Risorto non dobbiamo perdere la memoria dell’Incarnazione e della Croce, perché sono proprio esse a dirci lo specifico dell’annuncio della Pasqua. La buona notizia non è l’annuncio che un morto è ritornato in vita, ma che il Figlio di Dio che si è fatto uomo tra gli uomini e ha donato tutta la sua vita per amore, ha sconfitto la morte! La resurrezione di Gesù annuncia che solo la vita donata per amore è più forte della morte, che solo la vita riconsegnata nella mani di Dio è sottratta alla morte. Allora coraggio, amici, il Signore è risorto! È Risorto per te che ti senti abbandonato da tutti. È risorto per te che sei riuscita a riprendere tra le mani la tua vita. È risorto per te che da anni ti prendi cura di tuo marito immobile nel letto. È risorto per te che dopo mesi di indecisione hai fatto quel passo tanto importante. È risorto per te che dopo mesi di buio regali alla tua famiglia e ai tuoi amici i tuoi sorrisi più belli. È risorto per te che fai Pasqua lontano dalla tua famiglia e anche per te che una famiglia non ce l’hai più. È risorto per te che non lo cerchi mai e oggi sei qui, davanti a Lui. Forse non lo sai, ma Gesù è vivo e se anche tu ti dimentichi di Lui, Lui di te non si scorda mai.

MESSA DEL GIORNO


Invochiamo lo Spirito santo: Signore Gesù Cristo, oggi la tua luce splende in noi, fonte di vita e di gioia! Donaci il tuo Spirito d’amore e di verità, perché, come Maria Maddalena, Pietro e Giovanni, sappiamo anche noi scoprire e interpretare alla luce della Parola i segni della tua vita divina presenti nel nostro mondo e accoglierli nella fede per vivere sempre nella gioia della tua presenza accanto a noi, anche quando tutto sembra avvolto dalle tenebre della tristezza e del male.

Letture:
At 10,34. 37-43 (Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti)
Sal 117 (Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo)
Col 3,1-4 (Cercate le cose di lassù, dove è Cristo)
Gv 20,1-9 (Egli doveva risuscitare dai morti)

Alleluia, Alleluia
Nel buio della notte ardono dei fuochi sui sacrati delle nostre chiese. Il sacerdote benedice quel fuoco che servirà a far ardere un cero. Con quella luce verrà squarciato il buio, è la luce di Cristo, è il cero pasquale. Seguendo quell’unica scia, entriamo festanti nella chiesa, da quel cero attingiamo la nostra luce, la fede che già ci fu donata nel giorno del nostro battesimo. Ora tutta la chiesa splende, tutta la chiesa canta la gioia del Cristo risorto. È la nostra veglia, la splendida conclusione dei tre lunghi giorni d’attesa. Ora il mondo intero è illuminato dalla luce di Cristo: è la Pasqua del Signore. Ascoltiamo la nostra storia, quella che affonda nei tempi lontani, quella che noi stiamo vivendo, quella che sarà fino alla fine dei tempi: è la storia sacra, quella che scandisce il peccato del mondo e i prodigiosi e salvifici interventi divini. Arriviamo al mattino radioso, al mattino del Risorto, arriviamo fino al culmine alla pienezza della storia. Corriamo anche noi al sepolcro per avere la certezza che è vuoto. Ci rechiamo al cenacolo per vederlo vivo, per ascoltare l’annuncio della sua pace. Vogliamo convincerci fino in fondo che la sua pasqua è anche la nostra pasqua. Vogliamo essere certi, come Tommaso, che per le sue piaghe siamo salvati e redenti. Vogliamo respirare a pieni polmoni l’aria buona del mattino di Pasqua. Dobbiamo alimentare la gioia con la certezza di essere stati rigenerati, ricreati, redenti e perdonati da Dio. Non possiamo neanche per un istante restare nel dubbio che la vittima sia ancora chiusa in un sepolcro, vogliamo liberarci dall’atroce pensiero di aver ucciso per sempre il Figlio di Dio. Vogliamo vedere vuoti anzitempo i nostri sepolcri e spalancate le porte del cielo. Vogliamo all’unisono far sentire a Dio la nostra lode, la nostra gratitudine, il nostro rinnovato impegno di fedeltà. Vogliamo che la pasqua diventi il pensiero dominante della nostra vita, la fonte della nostra speranza, il primo motivo del nostro amore a Cristo. Vogliamo poterci dire “Buona Pasqua” e sapere come renderla buona e santa per ognuno di noi, non solo oggi, ma per tutta la vita, per l’eternità.
Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti. “Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.

Approfondimento del Vangelo (Vedere nella notte e credere per l’amore)
Il testo: Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Una chiave di lettura: Per l’evangelista Giovanni, la resurrezione di Gesù è il momento decisivo del processo della sua glorificazione, con un nesso inscindibile con la prima fase di tale glorificazione, cioè con la passione e morte. L’evento della resurrezione non è descritto con i particolari spettacolari e apocalittici dei vangeli sinottici: per Giovanni la vita del Risorto è una realtà che si impone senza chiasso e si fa avanti in silenzio, nella potenza discreta e irresistibile dello Spirito. Il fatto della fede dei discepoli si annuncia “quando era ancora buio” e s’inizia mediante la visione di segni materiali che rimandano alla Parola di Dio. Gesù è il grande protagonista della narrazione, ma non compare mai di persona.

Suddivisione del testo, per comprenderlo meglio:
- v. 1: l’introduzione, un antefatto che tratteggia la situazione;
- v. 2: la reazione di Maria e il primo annuncio del fatto appena scoperto;
- vv. 3-5: la reazione immediata dei discepoli e la relazione che intercorre fra loro;
- vv. 6-7: constatazione del fatto annunziato da Maria;
- vv. 8-9: la fede dell’altro discepolo e la relazione di essa con la sacra Scrittura.

Uno spazio di silenzio interno ed esterno per aprire il cuore e dare spazio dentro di me alla Parola di Dio:
- Rileggo lentamente l’intero brano;
- Sono anch’io in quel giardino: il sepolcro vuoto è davanti ai miei occhi;
- Lascio riecheggiare dentro di me le parole di Maria di Magdala;
- Corro anch’io con lei, Pietro e l’altro discepolo;
- Mi lascio immergere nello stupore gioioso della fede in Gesù risorto, anche se, come loro, non lo vedo con i miei occhi di carne.

La Parola che ci è donata
- Il capitolo 20 di Giovanni: è un testo abbastanza frammentario, in cui risulta evidente che il redattore è intervenuto più volte per evidenziare alcuni temi e per unire i vari testi ricevuti dalle fonti precedenti, almeno tre racconti.
- Nel giorno dopo il sabato: è “il primo giorno della settimana” ed eredita in ambito cristiano la grande sacralità del sabato ebraico. Per i Cristiani è il primo giorno della nuova settimana, l’inizio del nuovo tempo, il giorno memoriale della resurrezione, chiamato “giorno del Signore” (Dies Domini, domenica). L’evangelista adotta qui e al vers. 19 un’espressione che è già tradizionale per i Cristiani (es.: Mc 16,2.9; At 20,7) ed è più antica di quella divenuta in seguito caratteristica della prima evangelizzazione: “il terzo giorno” (es.: Lc 24,7.46; At 10,40; 1Cor 15,4).
- Maria di Magdala: è la stessa donna già presente ai piedi della croce con altre (19,25). Qui sembrerebbe sola, ma la frase del vers. 2 (“non sappiamo”) rivela che il racconto originario, sul quale l’evangelista ha lavorato, narrava di più donne, al pari degli altri vangeli (cfr. Mc 16,1-3; Mt 28,1; Lc 23,55-24,1). Diversamente rispetto ai sinottici (cfr. Mc 16,1; Lc 24,1), inoltre, non si specifica il motivo della sua visita al sepolcro, visto che è stato riferito che le operazioni di sepoltura erano state già completate (19,40); forse, l’unica cosa che manca è il lamento funebre (cfr. Mc 5,38). Comunque, il quarto evangelista riduce al minimo la narrazione della scoperta del sepolcro vuoto, per puntare l’attenzione dei lettori sul resto.
- Di buon mattino, quando era ancora buio: Marco (16,2) parla in modo diverso, ma da entrambi si comprende che si tratta delle primissime ore del mattino, quando la luce è molto tenue e ancora livida. Forse Giovanni sottolinea la mancanza di luce per evidenziare il contrasto simbolico fra tenebre-mancanza di fede e luce-accoglienza del vangelo della resurrezione.
- La pietra era stata ribaltata dal sepolcro: la parola greca è generica: la pietra era stata “tolta” o “rimossa” (diversamente: Mc 16,3-4). Il verbo “togliere” ci rimanda a Gv 1,29: il Battista indica Gesù come “l’Agnello che toglie il peccato del mondo”. Forse l’evangelista vuole richiamare il fatto che questa pietra “tolta”, sbalzata via dal sepolcro è il segno materiale che la morte e il peccato sono stati “tolti” dalla resurrezione di Gesù?
- Corse allora e andò da Pietro e dall’altro discepolo: la Maddalena corre da coloro che condividono con lei l’amore per Gesù e la sofferenza per la sua morte atroce, ora accresciuta da questa scoperta. Si reca da loro, forse perché erano gli unici che non erano fuggiti con gli altri e si erano tenuti in contatto fra loro (cfr. 19,15.26-27). Vuole almeno condividere con loro l’ulteriore dolore per l’oltraggio al cadavere. Notiamo come Pietro, il “discepolo amato” e Maddalena si caratterizzino per l’amore speciale che li lega a Gesù: è proprio l’amore, specie se ricambiato, che rende capaci di intuire la presenza della persona amata.
- L’altro discepolo, quello che Gesù amava: è un personaggio che compare solo in questo vangelo e solo a partire dal cap. 13, quando mostra una grande intimità con Gesù e anche una profonda intesa con Pietro (13,23-25). Compare in tutti i momenti decisivi della passione e della resurrezione di Gesù, ma rimane anonimo e sulla sua identità sono state fatte ipotesi abbastanza varie. Probabilmente si tratta del discepolo anonimo del Battista che segue Gesù assieme ad Andrea (1,35.40). Poiché il quarto vangelo non parla mai dell’apostolo Giovanni e considerando che questo vangelo riporta spesso particolari evidentemente risalenti a un testimone oculare, il “discepolo” è stato identificato con l’apostolo Giovanni. Il quarto vangelo gli è stato sempre attribuito, anche se egli non l’ha composto materialmente, bensì è all’origine della tradizione particolare cui risale questo vangelo e gli altri scritti attribuiti a Giovanni. Ciò spiega anche come egli sia un personaggio alquanto idealizzato. “Quello che Gesù amava”: è evidentemente un’aggiunta dovuta non all’apostolo, che non avrebbe osato vantare tanta confidenza col Signore, ma ai suoi discepoli, che hanno scritto materialmente il vangelo e hanno coniato quest’espressione riflettendo sull’evidente amore privilegiato che intercorre fra Gesù e questo discepolo (cfr. 13,25; 21,4.7). Laddove si usa l’espressione più semplice, “l’altro discepolo” o “il discepolo”, è mancata, dunque, l’aggiunta dei redattori.
- Hanno portato via il Signore dal sepolcro: queste parole, che ricorrono anche in seguito: vers. 13 e 15, rivelano che Maria teme uno dei furti di cadavere che avvenivano spesso all’epoca, tanto da costringere l’imperatore romano a emanare severi decreti per arginare il fenomeno. A questa stessa possibilità ricorrono, in Matteo (28,11-15), i capi dei sacerdoti per diffondere discredito sull’evento della resurrezione di Gesù ed, eventualmente, giustificare il mancato intervento dei soldati posti a guardia del sepolcro.
- Il Signore: il titolo di “Signore” implica il riconoscimento della divinità ed evoca l’onnipotenza divina. Era, perciò, utilizzato dai Cristiani per Gesù risorto. Il quarto evangelista, infatti, lo riserva ai soli racconti pasquali (anche in 20,13).
- Non sappiamo dove l’hanno posto: la frase rimanda a quanto successe a Mosè, il cui luogo di sepoltura era sconosciuto (Dt 34,10). Un altro probabile rimando implicito è alle stesse parole di Gesù sull’impossibilità di conoscere il luogo dove si sarebbe recato (7,11.22; 8,14.28.42; 13,33; 14,1-5; 16,5).
- Correvano insieme... ma l’altro... giunse per primo... ma non entrò: La corsa rivela l’ansia che vivono questi discepoli. Il fermarsi dell’ “altro discepolo” è più che un gesto di cortesia o di rispetto verso un anziano: è il riconoscimento tacito e pacifico, nella sua semplicità, della preminenza di Pietro all’interno del gruppo apostolico, sebbene questa non vada enfatizzata. È, dunque, un segno di comunione. Questo gesto potrebbe anche essere un artificio letterario per spostare l’evento della fede nella resurrezione al momento successivo e culminante del racconto.
- Le bende per terra e il sudario... piegato in un luogo a parte: già l’altro discepolo, pur senza entrare, ne aveva visto qualcosa. Pietro, varcando la soglia del sepolcro, scopre la prova che non vi era stato alcun furto del cadavere: nessun ladro avrebbe perso tempo a sbendare il cadavere, distendere ordinatamente le fasce e il lenzuolo (per terra potrebbe essere tradotto meglio con “stese” o “adagiate sul piano”) e anche arrotolare a parte il sudario! L’operazione sarebbe stata complicata anche dal fatto che gli olii con cui era stato unto quel corpo (specialmente la mirra) agivano quasi come un collante, facendo aderire perfettamente e saldamente il lenzuolo al corpo, quasi come avveniva per le mummie. Il sudario, inoltre, è piegato; il verbo greco può voler dire anche “arrotolato”, oppure indicare che quel drappo di stoffa leggera aveva conservato in gran parte le forme del volto sul quale era stato posto, quasi come una maschera mortuaria. Le bende sono le stesse citate in Gv 19,40. Nel sepolcro, tutto risulta in ordine, anche se manca il corpo di Gesù e Pietro riesce a vedere bene all’interno, perché il giorno sta salendo. A differenza di Lazzaro (11,44), dunque, il Cristo è risorto abbandonando del tutto il proprio corredo funerario: i commentatori antichi fanno notare che, infatti, Lazzaro dovette poi usare quelle bende per la propria definitiva sepoltura, mentre il Cristo non aveva più alcun bisogno di esse, non dovendo mai più morire (cfr. Rm 6,9).
- Pietro... vide... l’altro discepolo... vide e credette: anche Maria, all’inizio del racconto, aveva “visto”. Nonostante la versione italiana traduca tutto con lo stesso verbo, il testo originale ne usa tre diversi (theorein per Pietro; blepein per l’altro discepolo e Maddalena; idein, qui, per l’altro discepolo), lasciandoci intendere un accrescimento della profondità spirituale di questo “vedere” che, infatti, culmina con la fede dell’altro discepolo. Il discepolo anonimo, di certo, non ha visto nulla di diverso da quanto aveva già osservato Pietro; forse, egli interpreta ciò che vede diversamente dagli altri anche per la particolare sintonia d’amore che aveva avuto con Gesù (l’esperienza di Tommaso è emblematica: 29,24-29). Tuttavia, come indicato dal tempo del verbo greco, la sua è una fede ancora solo iniziale, tanto che egli non trova il modo di condividerla con Maria o Pietro o qualcun altro dei discepoli (non vi si accenna più in seguito). Per il quarto evangelista, tuttavia, il binomio “vedere e credere” è molto significativo ed è riferito esclusivamente alla fede nella resurrezione del Signore (cfr. 20,29), perché era impossibile credere davvero prima che il Signore fosse morto e risorto (cfr. 14,25-26; 16,12-15). Il binomio visione ? fede, quindi, caratterizza tutto questo capitolo e “il discepolo amato” è presentato come un modello di fede che riesce a comprendere la verità di Dio attraverso gli avvenimenti materiali (cfr. anche 21,7).
- Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura: si riferisce evidentemente a tutti gli altri discepoli. Anche per coloro che avevano vissuto accanto a Gesù, dunque, è stato difficile credere in Lui e per loro, come per noi, l’unica porta che ci permette di varcare la soglia della fede autentica è la conoscenza della Scrittura (cfr. Lc 24,26-27; 1Cor 15,34; At 2,27-31) alla luce dei fatti della resurrezione.

Alcune domande per orientare la riflessione e l’attuazione
- Cosa vuol dire concretamente, per noi, “credere in Gesù il Risorto”? Quali difficoltà incontriamo? La resurrezione riguarda solo Gesù o è veramente il fondamento della nostra fede?
- Il rapporto che vediamo fra Pietro, l’altro discepolo e Maria di Magdala è evidentemente di grande comunione attorno a Gesù. In quali persone, realtà, istituzioni oggi ritroviamo la stessa intesa d’amore e la stessa “comune unione” fondata su Gesù? Dove riusciamo a leggere i segni concreti del grande amore per il Signore e per i “suoi” che mosse tutti i discepoli?
- Quando osserviamo la nostra vita e la realtà che ci circonda a breve e a lungo raggio abbiamo lo sguardo di Pietro (vede i fatti, ma rimane fermo ad essi: alla morte e sepoltura di Gesù) oppure quello dell’altro discepolo (vede i fatti e scopre in essi i segni della vita nuova)?

Dagli scritti
Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
L’agnello immolato ci trasse dalla morte alla vita
Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo; temporaneo nella figura, eterno nella grazia; corruttibile per l’immolazione dell’agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per la sua risurrezione dai morti. La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la grazia; corruttibile l’agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio. «Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). La similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di un agnello, Dio, l’uomo-Cristo, che tutto compendia. Perciò l’immolazione dell’agnello, la celebrazione della Pasqua e la scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell’antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell’ordine nuovo tutto converge a Cristo in una forma assai superiore. La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova, ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l’agnello nel Figlio, la pecora nell’uomo e l’uomo in Dio. Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò questa grande parola: Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me (cfr. Is 50,8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l’inferno, che ho imbrogliato il forte e ho elevato l’uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo. Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l’Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra. (Capp. 2-7; 100-103; SC 123,60-64.120-122).

Orazione finale:
Il contesto liturgico non è indifferente per pregare questo Vangelo e l’evento della resurrezione di Gesù, attorno al quale ruota tutta la nostra fede e vita cristiana. La sequenza che caratterizza la liturgia eucaristica di questo giorno e della settimana che segue (l’ “ottava”) ci guida nel lodare il Padre e il Signore Gesù: Alla vittima pasquale s’innalzi oggi il sacrificio di lode. L’agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate In un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora - vivo - trionfa. “Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?” “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto e vi precede in Galilea”. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.
La nostra preghiera può anche concludersi con questa vibrante invocazione di un poeta contemporaneo, Marco Guzzi: Amore, Amore, Amore! Voglio sentire, vivere ed esprimere tutto questo Amore che è impegno gioioso nel mondo e contatto felice con gli altri. Solo tu mi liberi, solo tu mi sciogli. E i ghiacci scendono a irrigare La valle più verde del creato.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
DOMENICA DI PASQUA
«NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE»


Letture:
At 1,1-8a
Sal 117
1Cor 15,3-10a
Gv 20,11-18

Ho visto il Signore
“Non è gran cosa - scrive sant’Agostino - credere che Gesù è morto; questo lo credono anche i pagani. Tutti lo credono. La cosa veramente straordinaria è credere che egli è risorto. La fede dei cristiani sta nella risurrezione di Cristo!”. Diceva già san Paolo: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (Cor 15,19-20). Siamo di fronte al fatto più decisivo della storia: un uomo è venuto dall’aldilà; se fosse vero, cambia la vita!
Il fatto: E vero lo è, perché vi sta una precisa documentazione. Le donne trovano la tomba vuota; Maddalena lo incontra in un clima di rapporto umano tanto personale. Gli evangelisti non avrebbero portato la testimonianza delle donne se non fosse stata più che certa. Pietro, entrato nel sepolcro vuoto, “osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” (Gv 20,6-7). Non sarebbero rimasti così se il corpo di Gesù fosse stato rubato. L’angelo dice: è risorto! Se Gesù è risorto, lo si può incontrare. Da qui le apparizioni: “Si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (Lett.). Paolo ne fa un elenco, quale documento già pacifico entro la Comunità cristiana: “A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (Epist.). È la testimonianza di quel Paolo, cambiato da persecutore in apostolo proprio da un “violento” incontro faccia a faccia sulla strada di Damasco con questo Gesù vivo e potente! Pietro e Giovanni imprigionati, percossi e processati, con molto coraggio dichiarano: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Pronti a dare la vita, per “ciò che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono” (1Gv 1,1). “Noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10,41). Del resto, più scettico di Tommaso: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò” (Gv 20,25). Un fatto quindi, questo della risurrezione, che s’è imposto oltre ogni verifica! D’altra parte Gesù ha dichiarato: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). È questa sua presenza viva e sperimentata nella Chiesa che ci conferma che Lui è vivo, attivo e operante, oggi ancora salvatore e guida della sua comunità. Risorto con il corpo, il suo corpo: Tommaso, che aveva dubbi, l’ha riconosciuto. Gesù appare nel Cenacolo e mangia: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi” (Lc 24,38-40). Con l’ascensione, un corpo è esaltato alla destra di Dio! Come sarà il nostro corpo risorto? Come quello di Gesù: avrà la sua stessa glorificazione, ed.. eternità!
La fede: Con il termine risurrezione si vuol affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto; con il termine esaltazione si celebra la gloria divina di Cristo risorto. Era Dio, s’è fatto uomo fino alla morte; ora ritorna in Dio portando con sé l’umanità che ha assunto. Per Gesù la risurrezione segna la sua accreditazione. Egli allora è il vero Inviato (Messia) di Dio, perché il Padre lo ha risuscitato: prova per la sua missione e quindi anche segno della sua divinità. È il sigillo di Dio sull’opera di questo profeta. Non è un inventore di religione come gli altri. Tutti sono morti. Lui è l’unico risorto e vivo, come aveva promesso! Nelle apparizioni non lo riconoscono subito, se non nella fede (Maria! - a Emmaus allo spezzare del pane - Giovanni: vide e credette!). Non è sufficiente la documentazione storica, occorre la fede, che è il modo di vedere e capire che nasce dall’amore e si fonda sulla Parola di Dio (ai discepoli di Emmaus Gesù spiega la sua morte alla luce delle Scritture). In questo senso è allora “visibile” anche oggi: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). La fede non è fantasia: Gesù insiste nel mangiare, e dice a Tommaso di toccare. Non si tratta di illusioni soggettive, ma prove oggettive; trascendenti ma reali, così reali che cambiano la vita ai discepoli. La prova storica più irrefutabile della risurrezione è proprio questo capovolgimento dei discepoli: da gente spaventata e delusa durante la passione sono poi diventati missionari intrepidi. È un fatto non altrimenti spiegabile se non con un evento certo e forte che ha toccato la loro vita. Questo è anche il contenuto della nostra fede. Gesù è fatto “Signore”, perché signore della signora della storia che è la morte: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1Cor 15,17). Noi siamo cristiani perché ci fidiamo di Cristo, perché vediamo in lui l’uomo riuscito, il nostro salvatore. In quanto inizio della umanità nuova, “primizia di coloro che sono morti”, in lui leggiamo il nostro destino, cioè uno sbocco diverso alla inevitabile corsa verso la morte. “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Con l’uomo si rinnova anche il cosmo: “La creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi, … nella speranza che anch’essa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 8,21-22). Nasce quindi il vero “materialismo” cristiano. L’unico.
Speranza ma anche garanzia: oggi occorre credere e connettersi a Cristo vivo col battesimo, aiutati dalla signoria dello Spirito che cresce con la vita di grazia, nutrita dall’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). La sera di Pasqua Gesù ha promesso il suo Spirito, il suo modo discreto ma efficace di sussidiare oggi la nostra fragile libertà. “Lasciarsi fare” dallo Spirito è il modo proprio di crescere da figli di Dio! Si tratta di vivere nella Chiesa, anticipo nel tempo della famiglia di Dio che sfocerà in Casa Trinità.
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MessaggioTitolo: sabato 14 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 09, 2012 12:36 pm

SABATO 14 APRILE 2012

SABATO FRA L’OTTAVA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Padre, che nella tua immensa bontà estendi a tutti i popoli il dono della fede, guarda i tuoi figli di elezione, perché coloro che sono rinati nel Battesimo ricevano la veste candida della vita immortale.

Letture:
At 4,13-21 (Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato)
Sal 117 (Ti rendo grazie, Signore, perché mi hai risposto)
Mc 16,9-15 (Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo)

Le apparizioni nel Vangelo di San Marco
San Marco si contraddistingue sempre per la brevità narrativa che è una sintesi profonda e coinvolgente per arrivare in modo più diretto a ciò che è essenziale. Abbiamo l’incontro con Maria di Magdala, con i discepoli di Emmaus e quindi con i discepoli riuniti a tavola. Una costante è presente la troviamo nella difficoltà dei discepoli a credere. Gesù stesso li rimprovera per la durezza dei loro cuori. Un primo momento di tentennamento della comunità è testimoniato da tutti gli evangelisti. È un atteggiamento che è facilmente spiegabile; chi non avrebbe avuto questo primo momento che è soprattutto stupore? A questo momento, però è subentrata immediatamente una espansione clamorosa del messaggio del Cristo Risorto; e questa è storia ben documentata. Una diffusione così rapida spiegabile solo come opera dello Spirito Santo che ha alla origine un mandato preciso di Gesù stesso: quanto è testimoniato proprio anche dal Vangelo di San Marco! Leggiamolo allora alla luce della storia, inseriamolo nella storia di salvezza che è l’annuncio pasquale che gli apostoli hanno trasmesso. È la crescita della Chiesa: è la nostra storia!
Il Vangelo di san Marco termina con una catechesi sulla fiducia che meritano gli undici apostoli, la cui testimonianza è il fondamento della fede della Chiesa: Gesù stesso li ha chiamati per andare dalla Galilea a Gerusalemme. Dopo il Venerdì santo, delusi e senza speranza, restano in città. Maria di Magdala che - secondo questo racconto, che fa fede - è stata la prima alla quale il Signore è apparso, spiega loro di che cosa l’ha incaricata il Cristo risuscitato. I due discepoli che il Signore accompagna lungo il cammino verso Emmaus rientrano a Gerusalemme. Tuttavia, essi non li ascoltano, né credono loro. Né la testimonianza della donna, né quella dei due discepoli fa uscire gli apostoli dalla loro afflizione e dai loro lamenti. È soltanto quando Gesù stesso è vicino a loro e rimprovera loro la mancanza di fiducia nella parola dei suoi testimoni, che i loro cuori e i loro occhi si aprono. Vedendolo, capiscono che il vangelo di Dio che Gesù aveva predicato, e che diventa la loro missione, ha un avvenire senza fine. Capiscono che la loro missione comprende “il mondo intero” e “la creazione intera”, tutta la comunità dei viventi.

Lettura del Vangelo: Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi fa parte di una unità letteraria più ampia (Mc 16,9-20) che ci mette dinanzi la lista o il riassunto di diverse apparizioni di Gesù: (a) Gesù appare a Maria Maddalena, ma i discepoli non accettano la sua testimonianza (Mc 16,9-11); (b) Gesù appare ai discepoli, ma gli altri non accettano la loro testimonianza (Mc 16,12-13); (c) Gesù appare agli Undici, critica la mancanza di fede e ordina di annunciare la Buona Novella a tutti (Mc 16,14-18); (d) Gesù ascende al cielo e continua a cooperare con i discepoli (Mc 16,19-20).
- Oltre a questa lista di apparizioni del vangelo di Marco, ci sono altre liste di apparizioni che non sempre coincidono tra di loro. Per esempio, la lista conservata da Paolo nella lettera ai Corinzi è molto differente (1Cor 15,3-8). Questa varietà mostra che all’inizio, i cristiani, non si preoccupano di provare la risurrezione per mezzo di apparizioni. Per loro la fede nella risurrezione era così evidente e viva che non c’era bisogno di prove. Una persona che prende il sole sulla spiaggia non si preoccupa di dimostrare che il sole esiste, perché lei stessa abbronzata è la prova evidente dell’esistenza del sole. Le comunità, con il loro esistere in mezzo all’impero immenso, erano una prova viva della risurrezione. Le liste delle apparizioni cominciano a spuntare più tardi, nella seconda generazione per ribattere le critiche degli avversari.
- Marco 16,9-11: Gesù appare a Maria Maddalena, ma gli altri discepoli non le credettero. Gesù appare prima a Maria Maddalena. Lei va ad annunciarlo agli altri. Per venire al mondo, Dio volle dipendere dal seno di una giovane di 15 o 16 anni, chiamata Maria, di Nazaret (Lc 1,38). Per essere riconosciuto vivo in mezzo a noi, volle dipendere dall’annuncio di una donna che era stata liberata da sette demoni, anche lei chiamata Maria, di Magdala! (Per questo era chiamata Maria Maddalena). Ma gli altri non credettero in lei. Marco dice che Gesù apparve prima a Maddalena. Nell’elenco delle apparizioni, trasmesso nella lettera ai Corinzi (1Cor 15,3-8), non vengono riportate le apparizioni di Gesù alle donne. I primi cristiani avevano difficoltà a credere nella testimonianza delle donne. È un peccato!
- Marco 16,12-13: Gesù appare ai discepoli, ma gli altri non credettero a loro. Senza molti dettagli, Marco si riferisce ad un’apparizione di Gesù a due discepoli, “mentre erano in cammino verso la campagna”. Si tratta, probabilmente, di un riassunto dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus, narrata da Luca (Lc 24,13-35). Marco insiste nel dire che “gli altri non cedettero nemmeno a loro”.
- Marco 16,14-15: Gesù critica l’incredulità e ordina di annunciare la Buona Novella a tutte le creature. Per questo, Gesù appare agli undici discepoli e li riprende perché non hanno creduto alle persone che lo avevano visto risorto. Di nuovo, Marco si riferisce alla resistenza dei discepoli nel credere nella testimonianza di coloro che hanno sperimentato la risurrezione di Gesù. Perché? Probabilmente per insegnare tre cose. In primo luogo che la fede in Gesù passa attraverso la fede nelle persone che ne danno testimonianza. In secondo luogo, che nessuno si deve scoraggiare, quando il dubbio o l’incredulità nascono nel cuore. In terzo luogo, per ribattere le critiche di coloro che dicevano che il cristiano è ingenuo e accetta senza critica qualsiasi notizia, poiché gli undici ebbero molta difficoltà ad accettare la verità della risurrezione!
- Il vangelo di oggi termina con l’invio: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura!”. Gesù conferisce loro la missione di annunciare la Buona Novella ad ogni creatura.

Per un confronto personale:
- Maria Maddalena, i due discepoli di Emmaus e gli undici discepoli: chi di loro ebbe maggiore difficoltà nel credere alla risurrezione? Perché? Con chi di loro mi identifico?
- Quali sono i segnali che più convincono le persone della presenza di Gesù in mezzo a noi?

Preghiera finale: Giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero (Sal 144).
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MessaggioTitolo: domenica 15 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 09, 2012 12:44 pm

DOMENICA 15 APRILE 2012


RITO ROMANO
ANNO B
II DOMENICA DI PASQUA
DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA


Orazione iniziale: O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, allontanate le nostre paure e le nostre indecisioni, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria.

Letture:
At 4,32-35 (Un cuore solo e un’anima sola)
Sal 117 (Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre)
1Gv 5,1-6 (Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo)
Gv 20,19-31 (Otto giorni dopo venne Gesù)

Pace a voi!
La Pace è il vero dono di Gesù Cristo; è la consegna agli apostoli che è alla base del loro mandato! È la pace di Cristo, non la pace umana come equilibrio di relazioni basate sull’interesse ed egoismo. Gesù, lo testimonia sempre l’evangelista San Giovanni ha lasciato le bende nel sepolcro. Quelle bende intrise del sangue e testimoni della sua Passione e Morte sono nella tomba ormai vuota. Lì avevamo rinchiuso Cristo, lì pensavamo di aver terminato la Sua e nostra storia. Il Cristo Risorto ha scoperchiato quella tomba, ha lasciato quelle vesti per una nuova vita. Ora Egli si presenta ai discepoli e mostra i segni della sua Passione sul suo Corpo. La Passione di Cristo è ora legata alla sua Resurrezione. Le nostre debolezze, i nostri peccati sono sul Cristo Risorto; non li troviamo più nella sua tomba; fanno parte ormai della Sua vita nuova. È questa la sua pace: la trasformazione del male del mondo in opera di redenzione; è la sua Pasqua che va oltre i confini delle miserie umane e la sua Pace è opera di Dio e non di gabbie e sepolcri umani. La tomba rimane vuota perché in Cristo troviamo le Sue e le nostre sofferenze. E in Lui, solo in Lui, abbiamo le risposte a tanti nostri interrogativi che rischiano di far rimanere la nostra vita in una tomba chiusa. È opera dello Spirito di Cristo, è opera affidata alla sua Chiesa e opera che serve per la nostra vita. Accogliamo la pace di Cristo come segno di speranza nella fede e nella carità.
I profeti chiamarono il Messia “principe della pace” (Is 9,5); affermarono che una pace senza fine avrebbe caratterizzato il suo regno (Is 9,6; 11,6). In occasione della nascita di Cristo, gli angeli del cielo proclamarono la pace sulla terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Gesù stesso dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo” (Gv 14,27). Sul monte degli Ulivi, contemplando la maestà di Gerusalemme, Gesù, con le lacrime agli occhi e con il cuore gonfio, rimproverò il suo popolo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!” (Lc 19,42). La pace è il dono apportato dal Redentore. Egli ci ha procurato questo dono per mezzo della sua sofferenza e del suo sacrificio, della sua morte e della sua risurrezione. San Paolo afferma: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,13-14). Quando, risuscitato dai morti, si mostrò agli apostoli, Gesù offrì loro innanzi tutto la pace, prezioso dono del riscatto. Quando si mostrò a loro, disse ai suoi discepoli: “Pace a voi!”. Vedendoli spaventati e sperduti, li rassicurò dicendo loro che era proprio lui, risuscitato dai morti, e ripeté loro: “Pace a voi!”. Gesù ha voluto fare questo dono prezioso del riscatto - la pace - e l’ha fatto, non solo agli apostoli, ma anche a tutti quelli che credevano e avrebbero creduto in lui. È per questo che mandò gli apostoli a proclamare il Vangelo della redenzione in tutti i paesi del mondo, dando loro il potere di portare la pace dell’anima per mezzo dei sacramenti del battesimo e del pentimento, per mezzo dell’assoluzione dai peccati. Inoltre, in quell’occasione, Cristo soffiò sugli apostoli e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete, i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23). Beati coloro che credono in Dio senza averlo mai visto con i loro occhi, percepito con i loro sensi, compreso completamente con la loro intelligenza. La fede è una grazia; essa supera la conoscenza. La fede è un abbandonarsi con fiducia, non è un dato scientificamente dimostrato. Noi crediamo perché Dio si è rivelato e questa rivelazione è confermata dalla testimonianza di coloro che poterono essere presenti per decisione di Cristo e per ispirazione dello Spirito Santo, e cioè gli scrittori sacri, autori dei libri ispirati, e la Chiesa, alla cui testa si trova, in maniera invisibile, il Redentore stesso. Da ciò possiamo capire che la fede è meritoria e dunque benedetta. Infatti, accettare un sapere scientifico certo non costituisce in nessun modo un merito, mentre credere in qualcosa che non possiamo capire rappresenta un sacrificio e, perciò, un merito. La benedizione della fede consiste nel fatto che essa ci unisce a Dio, ci indica la vera via di salvezza e ci libera così dall’angoscia del dubbio. La fede rende salda la speranza e, grazie ad essa, ci preserva dalla sfiducia, dalla tristezza, dallo smarrimento. La fede ci avvicina al soprannaturale e ci assicura così l’aiuto divino nei momenti più difficili. La fede ci innalza dalla vita materiale all’esistenza spirituale e ci riempie così di una gioia celeste. Sulla terra, l’uomo è angosciato dal dubbio, dall’incertezza, dalla disperazione. Ma la fede lo libera da tutto questo. La fede lo rende pacifico e felice. Che cosa dobbiamo temere se Dio è con noi? La fede ci unisce a Dio e stabilisce uno stretto legame con lui. L’armonia con Dio sbocca, a sua volta, in un accordo con il proprio io, accordo che assicura una vera e propria pace interiore. Per giungere ad essa abbiamo bisogno, oltre che della fede, del pentimento che ci libera dai peccati riscattandoci. Perché è la colpa, il senso di colpa che suscita in noi l’inquietudine, e provoca tormenti spirituali, e ci procura rimorsi: tutto ciò è dovuto ad una coscienza appesantita dai peccati. La colpa non ci lascia in pace. Dice bene il profeta: “Non c’è pace per i malvagi” (Is 48,22). Mentre il salmo ci rassicura: “Grande pace per chi ama la tua legge” (Sal 119,165).

Approfondimento del Vangelo (La missione dei discepoli e la testimonianza dell’apostolo Tommaso)
Il testo: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Chiave di lettura: Siamo nel cosiddetto “libro della risurrezione” ove sono narrati, senza una continuità logica, diversi episodi che riguardano il Cristo risorto e i fatti che lo provano. Questi fatti sono collocati, nel IV vangelo, nella mattina (20,1-18) e nella sera del primo giorno dopo il sabato e otto giorni dopo, nello stesso luogo e giorno della settimana. Ci troviamo di fronte all’evento più importante della storia dell’umanità, un evento che ci interpella personalmente. “Se Cristo non è risorto è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati” (1Cor 15,14.17) dice l’apostolo Paolo che non aveva conosciuto Gesù prima della sua Risurrezione, ma che lo predicava con tutta la sua vita, pieno di zelo. Gesù è l’inviato del Padre. Egli invia anche noi. La disponibilità ad “andare” proviene dalla profondità della fede che abbiamo nel Risorto. Siamo pronti ad accettare il Suo “mandato” e a dare la vita per il suo Regno? Questo brano non riguarda solo la fede di coloro che non hanno visto (testimonianza di Tommaso), ma anche la missione affidata da Cristo alla Chiesa.

Una possibile divisione del testo per facilitare la lettura:
- 20,19-20: apparizione ai discepoli e ostensione delle ferite
- 20,21-23: dono dello Spirito per la missione
- 20,24-26: apparizione particolare per Tommaso, otto giorni dopo
- 20,27-29: dialogo con Tommaso
- 20,30-31: lo scopo del Vangelo secondo Giovanni

Un momento di silenzio per far depositare la Parola nel nostro cuore.

Alcune domande per aiutare la meditazione: Chi o cosa ha suscitato il mio interesse e la mia meraviglia nella lettura che ho fatto? È possibile che ci siano alcuni che si professano cristiani, ma non credano nella Risurrezione di Gesù? È così importante crederci? Cosa cambia se noi ci fermiamo solo al suo insegnamento e alla sua testimonianza di vita? Che significato ha per me il dono dello Spirito per la missione? Come continua, dopo la Risurrezione, la missione di Gesù nel mondo? Qual è il contenuto dell’annuncio missionario? Che valore ha per me la testimonianza di Tommaso? Quali sono, se ne ho, i dubbi della mia fede? Come li affronto e progredisco? So esprimere le ragioni della mia fede?

Commento:
- La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato: i discepoli stanno vivendo un giorno straordinario. Il giorno dopo il sabato, nel momento in cui viene scritto il IV vangelo, è già per la comunità “il giorno del Signore” (Ap 1,10), Dies Domini (domenica) e ha più importanza della tradizione del sabato per i Giudei.
- Mentre erano chiuse le porte: un particolare per indicare che il corpo di Gesù risorto, pur essendo riconoscibile, non è soggetto alle leggi ordinarie della vita umana.
- Pace a voi: non è un augurio, ma la pace che aveva promesso quando erano afflitti per la sua dipartita (Gv 14,27; 2Tes 3,16; Rom 5,3), la pace messianica, il compimento delle promesse di Dio, la liberazione da ogni paura, la vittoria sul peccato e sulla morte, la riconciliazione con Dio, frutto della sua passione, dono gratuito di Dio. Viene ripetuto tre volte in questo brano, come anche l’introduzione (20,19) viene ripetuta più avanti (20,26) in modo identico.
- Mostrò loro le mani e il costato: Gesù fornisce le prove evidenti e tangibili che è colui che è stato crocifisso. Solo Giovanni ricorda il particolare della ferita al costato inferta dalla lancia di un soldato romano, mentre Luca evidenzia la ferita ai piedi (Lc 24,39). Nel mostrare le ferite Gesù vuole anche evidenziare che la pace che lui dà viene dalla croce (2Tim 2,1-13). Fanno parte della sua identità di risorto (Ap 5,6).
- E i discepoli gioirono al vedere il Signore: È la stessa gioia che esprime il profeta Isaia nel descrivere il banchetto divino (Is 25,8-9), la gioia escatologica, che aveva preannunciata nei discorsi di addio, che nessuno potrà mai togliere (Gv 16,22; 20,27; cfr. Lc 24,39-40; Mt 28,8; Lc 24,41).
- Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi: Gesù è il primo missionario, “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Ap 3,1). Dopo l’esperienza della croce e della resurrezione si attualizza la preghiera di Gesù al Padre (Gv 13,20; 17,18; 21,15,17). Non si tratta di una nuova missione, ma della stessa missione di Gesù che si estende a coloro che sono suoi discepoli, legati a lui come il tralcio alla vite (15,9), così anche alla sua chiesa (Mt 28,18-20; Mc 16,15-18; Lc 24,47-49). Il Figlio eterno di Dio è stato inviato perché “il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17) e tutta la sua esistenza terrena, di piena identificazione con la volontà salvifica del Padre, è una costante manifestazione di quella volontà divina che tutti si salvino. Questo progetto storico lo lascia in consegna ed eredità a tutta la Chiesa e, in maniera particolare, all’interno di essa, ai ministri ordinati.
- Alitò su di loro: il gesto ricorda il soffio di Dio che da la vita all’uomo (Gn 2,7), non si incontra altrove nel Nuovo Testamento. Segna l’inizio di una creazione nuova.
- Ricevete lo Spirito Santo: dopo che Gesù è stato glorificato viene dato lo Spirito Santo (Gv 7,39). Qui si tratta della trasmissione dello Spirito per una missione particolare, mentre la Pentecoste (At 2) è la discesa dello Spirito su tutto il popolo di Dio.
- A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi: il potere di perdonare o non perdonare (rimettere) i peccati si trova anche in Matteo in forma più giuridica (Mt 16,19; 18,18). È Dio che ha il potere di rimettere i peccati, secondo gli Scribi e i Farisei (Mc 2,7), come da tradizione (Is 43,25). Gesù da questo potere (Lc 5,24) e lo trasmette alla sua Chiesa. Conviene non proiettare su questo testo, nella meditazione, lo sviluppo teologico della tradizione ecclesiale e le controversie teologiche che ne seguono. Nel IV Vangelo l’espressione si può considerare in modo ampio. Si indica il potere di rimettere i peccati nella Chiesa, come comunità di salvezza, di cui sono particolarmente muniti coloro che partecipano per successione e missione al carisma apostolico. In questo potere generale è incluso anche il potere di rimettere i peccati dopo il battesimo, quello che noi chiamiamo “sacramento della riconciliazione” espresso in diverse forme nel corso della storia della Chiesa.
- Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo: Tommaso è uno dei protagonisti del IV vangelo, si mette in evidenza il suo carattere dubbioso e facile allo scoraggiamento (11,16; 14,5). “uno dei dodici” è ormai una frase stereotipa (6,71), perché in realtà erano undici. “Didimo” vuol dire “gemello”, noi potremmo essere “gemelli” suoi per la difficoltà a credere in Gesù, Figlio di Dio, morto e risorto.
- Abbiamo visto il Signore! Già Andrea, Giovanni e Filippo, trovato il Messia, erano corsi ad annunciarlo ad altri (Gv 1,41-45). Ora è l’annuncio ufficiale da parte dei testimoni oculari (Gv 20.18).
- Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò: Tommaso non riesce a credere attraverso i testimoni oculari. Vuole fare lui l’esperienza. Il IV vangelo è conscio della difficoltà di chiunque a credere nella Risurrezione (Lc 24, 34-40; Mc 16,11; 1Cor 15,5-8), specialmente poi di coloro che non hanno visto il Risorto. Tommaso è il loro (e nostro) interprete. Egli è disposto a credere, ma vuole risolvere di persona ogni dubbio, per il timore di uno sbaglio. Gesù non vede in Tommaso uno scettico indifferente, ma un uomo in cerca della verità e lo accontenta pienamente. È comunque l’occasione per lanciare l’apprezzamento verso i credenti futuri (versetto 29).
- Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Gesù ripete le parole di Tommaso, entra in dialogo con lui, capisce i suoi dubbi e vuole aiutarlo. Gesù sa che Tommaso lo ama e ne ha compassione perché ancora non gode della pace che viene dalla fede. Lo aiuta a progredire nella fede. Per approfondire si possono confrontare i paralleli: 1Gv 1-2; Sal 78,38; 103,13-14; Rom 5,20; 1Tim 1,14-16.
- Mio Signore e mio Dio! È la professione di fede nel Risorto e nella sua divinità come è proclamato anche all’inizio del vangelo di Giovanni (1,1). Nell’Antico Testamento “Signore” e “Dio” corrispondono rispettivamente a “Jahvé” e ad “Elohim” (Sal 35,23-24; Ap 4,11). È la professione di fede pasquale nella divinità di Gesù più esplicita e diretta. In ambiente giudaico acquistava ancora più valore in quanto si applicavano a Gesù i testi che riguardavano Dio. Gesù non corregge le parole di Tommaso come corresse quelle dei Giudei che lo accusavano di volersi fare “uguale a Dio” (Gv 5,18ss) approvando così il riconoscimento della sua divinità.
- Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! Gesù mal sopporta coloro che sono alla ricerca di segni e prodigi per credere (Gv 4,48) e sembra rimproverare Tommaso. Scorgiamo qui anche un passaggio verso una fede più autentica, un “cammino di perfezione” verso una fede cui si deve arrivare anche senza le pretese di Tommaso, la fede accolta come dono e atto di fiducia. Come quella esemplare degli antenati (Ap 11) e come quella di Maria (Lc 1,45). A noi che siamo più di duemila anni distanti dalla venuta di Gesù, viene detto che, benché non lo abbiamo veduto, lo possiamo amare e credendo in lui possiamo esultare “di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8).
- Questi (segni) sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Il IV vangelo, come gli altri, non ha lo scopo di scrivere la vita completa di Gesù, ma quello di dimostrare che Gesù era il Cristo, il Messia atteso, il Liberatore e che era Figlio di Dio. Credendo in Lui abbiamo la vita eterna. Se Gesù non è Dio vana è la nostra fede!

Orazione finale: Ti ringrazio Gesù, mio Signore e mio Dio, che mi hai amato e chiamato, reso degno di essere tuo discepolo, che mi hai dato lo Spirito, il mandato di annunciare e testimoniare la tua risurrezione, la misericordia del Padre, la salvezza e il perdono per tutti gli uomini e tutte le donne del mondo. Tu veramente sei la via, la verità e la vita, aurora senza tramonto, sole di giustizia e di pace. Fammi rimanere nel tuo amore, legato come tralcio alla vite, dammi la tua pace, così che possa superare le mie debolezze, affrontare i miei dubbi, rispondere alla tua chiamata e vivere pienamente la missione che mi hai affidato, lodandoti in eterno. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
II DOMENICA DI PASQUA
DOMENICA IN ALBIS DEPOSITIS


Letture:
At 4,8-24
Sal 117
Col 2,8-15
Gv 20,19-31

Mio Signore e mio Dio
Il fatto della risurrezione di Gesù - certo anche sulla scorta dell’esperienza di Tommaso – garantisce la sua identità di Figlio di Dio e di nostro Salvatore. “Mio Signore e mio Dio” è l’espressione più alta della fede ecclesiale, cui siamo chiamati a giungere perché quel fatto divenga per noi fonte di nuova vita e nuovo destino. Scrive a conclusione del suo vangelo san Giovanni: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Se non tocco: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non credo”. Per noi moderni, abituati a demitizzare ogni cosa e a credere solo a ciò che si tocca e si misura, il dubbio di Tommaso e la sua verifica ci sono di sodo fondamento al nostro credere. Anche Paolo fu trasformato da persecutore in apostolo quando s’imbattè sulla via di Damasco in Gesù risorto e vivo. Ma Tommaso, e più Paolo, sono stati confortati dalla testimonianza molteplice della Chiesa. Gesù si mostra vivo - la domenica di Pasqua e quella successiva - alla sua Comunità raccolta alla celebrazione festiva, a dirci che oggi è sulla scorta di infiniti anelli di testimoni che giunge a noi questa eccezionale notizia, legandoci alla radice apostolica propria della nostra Chiesa. Anche noi abbiamo appreso la fede nella nostra piccola Chiesa locale (magari a partire dai genitori e dagli amici della parrocchia). In questo senso a noi viene la beatitudine di Gesù: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Il manifestarsi di Gesù entro la comunità raccolta in preghiera è altro elemento qualificante della nostra esperienza di fede. I discepoli di Emmaus lo riconoscono “allo spezzare del pane”. Tommaso giunge alla fede quando si ritrova e partecipa alla celebrazione ecclesiale, dove Cristo vive e dona lo Spirito: “Soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito santo”. Fu opera dello Spirito santo a Pentecoste a trasformare quegli spaventati discepoli in apostoli esplosivi. Gesù l’aveva promesso quando si trovò davanti i suoi discepoli che.. poco avevano capito della sua predicazione e del suo mistero: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,12-13). È con questa “forza dello Spirito Santo” che la Chiesa si è mossa “fino ai confini della terra” (At 1,8) per adempiere il comando di Gesù: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. È nell’Eucaristia che ora Cristo è presente e opera la salvezza. Nella Chiesa si incontra il Dio vivo: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”, diceva san Cipriano. Una scelta sacramentale, non inventata da noi, ma scelta da Cristo stesso nel segno da lui voluto, appunto la Messa, quando anche oggi il sacerdote ripete le sue parole: “Questo è il mio Corpo dato per voi, questo è il mio sangue sparso..”. Una presenza non visibile ma sicuramente efficace. Scrive san Paolo: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione al sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1Cor 10,16). È il corpo di Cristo risorto che viene a toccare e trasformare - gradualmente - il nostro misero corpo nel suo corpo glorioso. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Potremmo a questo punto invertire le parole di Tommaso: Non, se io non tocco, ma se non mi lascerò toccare da Gesù, non avrò l’esperienza di lui vivo e salvatore. La lunga storia dei Santi nella Chiesa ne è la verifica.
Mio Signore e mio Dio: Lo scopo dell’esperienza del Gesù vivo, è per crederlo il Dio che si comunica e trasforma la nostra vita. Appunto, riconoscerlo:”mio Dio”, come fa Tommaso. Paolo ha oggi una sintetica espressione: “È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Epist.). A questo preciso contenuto deve giungere la nostra fede. “Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri” (Epist.). Non è richiamo fuori tempo. Oggi girano molti libri col “richiamo religioso”, ma che non attingono alla fede della Chiesa e non riconoscono in Gesù il Figlio di Dio. Perché alla fine noi abbiamo bisogno di una salvezza che viene da Dio non dagli uomini. Lui Cristo “ha perdonato le colpe e ha annullato il documento scritto contro di noi, lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Con lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti a causa delle colpe” (Epist.). Paolo è categorico: “Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5). “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Lett.). Per la salvezza personale e “per la vita del mondo” (Gv 6,51). Infatti: “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo” (Lett.). Allora, come Tommaso, dobbiamo professare in Gesù il “nostro Signore”, cioè il nostro Salvatore. Dio è venuto a salvarci; anzi a salvare proprio me. Solo questo riferimento personale esprime concretamente la fede. Non si tratta di “cultura” ma di vita e di destino personale eterno. Tenendo però sempre conto dell’ammonimento di Paolo: “Nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Non capacità nostra, ma dono dello Spirito. E quindi frutto della preghiera. Salvezza incanalata oggi nella Chiesa. Ritorniamo a questo tema. “Extra Ecclesia nulla salus”, solo nella Chiesa si trovano tutti gli elementi voluti da Dio per la salvezza dell’uomo, pur rispettando altri più deboli canali che Dio sa usare per la salvezza di tutti. “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È un mandato esplicito. La Chiesa ora è il corpo di Cristo, il suo prolungamento visibile nel tempo. Forse a volte problematico, ma comunque binario esclusivo sul quale viaggia il perdono e la santificazione.
In questa domenica il papa Giovanni Paolo II volle porre il richiamo alla “misericordia” di Dio, sulla scorta degli inviti fatti da suor Faustina Kowalska. Il sacramento della riconciliazione fa giungere a noi la parola autorizzata del perdono di Dio. E questo fonda la nostra più profonda serenità di fronte a Dio.
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MessaggioTitolo: sabato 21 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 16, 2012 1:09 pm

SABATO 21 APRILE 2012

SABATO DELLA II SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.

Letture:
At 6,1-7 (Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo)
Sal 32 (Su di noi sia il tuo amore, Signore)
Gv 6,16-21 (Videro Gesù che camminava sul mare)

Vedono Gesù camminare sul mare e hanno paura
È una pagina di Vangelo che fa sempre bene leggere, perché anima profondamente la nostra speranza. La descrizione della situazione iniziale ci pone in un contesto ecclesiale: i discepoli, lasciati soli, sono nelle tenebre, sono esposti all’assalto di forze avverse. Anche loro, come ogni uomo, troveranno sicurezza e protezione solo in Gesù. “Il mare era agitato perché soffiava un forte vento”. I fatti ci insegnano che molto spesso veramente il mare è agitato. L’esistenza è quella che è; abbiamo problemi, difficoltà, sofferenze di ogni genere e continuiamo a sentirci soli. A questo punto la nostra fede può porsi delle domande a cui non sa dare una adeguata risposta. Dov’è Gesù? Perché Dio non interviene nelle nostre cose o nelle situazioni difficili di tanti poveracci? “Dopo aver remato circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e che si avvicinava alla barca, ed ebbero paura”. Ai discepoli affaticati e spaventati che lo vedono giungere, il Signore dice: “Io sono”. È una frase tipica con la quale Gesù rivela il suo vero essere, qualificandosi come presente e operante per il bene dei suoi, come già nell’Antico Testamento Dio si era rivelato a Mosè, accingendosi a compiere la grande opera di liberazione. Gli apostoli avevano bisogno di un segno per riconoscere la divinità e non restare invischiati in concezioni messianiche terrestri. D’altra parte dovevano perdonargli di non voler essere il loro re, secondo le loro aspirazioni; dovevano prepararsi all’estremo insuccesso della croce. Il miracolo dei pani, del vangelo di ieri, rievocava e compiva quello della manna. Il camminare sulle acque, richiama il passaggio del Mar Rosso. E Gesù stesso ne fornisce l’interpretazione, dicendo: “Io sono”. Nelle vicende umane la fede deve sempre far risuonare quel: “Io sono”.
Dal racconto degli altri Vangeli sappiamo il carattere drammatico della traversata del lago agitato: come le onde facessero dondolare la barca da una parte all’altra, e i discepoli, che Gesù aveva esortato a precederlo dall’altra parte del lago, temessero per la loro vita. Il Vangelo di san Giovanni non racconta niente di tutto questo. Certamente si può immaginare il comportamento dei discepoli, ma non viene menzionato. Chiaramente, l’evangelista non vuole che ci soffermiamo sull’atteggiamento dei discepoli; perché, in fondo, ciò non ha importanza per il racconto. Solo Gesù è importante. I discepoli se ne sono resi conto: bisogna che Gesù salga sulla loro barca, altrimenti questa non raggiungerà la riva. Ma i discepoli hanno sottovalutato Gesù: la barca raggiunge sempre il suo scopo, se Gesù lo vuole; questo non dipende assolutamente dalla sua presenza fisica sulla barca. Gesù rimane sempre il padrone della sua Chiesa. Senza restrizioni. Ed è per questo che egli può dire di se stesso: sono io. Nell’Antico Testamento, è in questo modo che Dio parlava al suo popolo.

Lettura del Vangelo: Venuta la sera, i suoi discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi racconta l’episodio della barca sul mare agitato. Gesù si trova sulla montagna e i discepoli nella barca. Nel modo di descrivere i fatti, Giovanni cerca di aiutare le comunità a scoprire il mistero che avvolge la persona di Gesù. Lo fa evocando testi dell’Antico Testamento che alludono all’esodo.
- All’epoca in cui Giovanni scrive, la barchetta delle comunità doveva affrontare un vento contrario sia da parte di alcuni giudei convertiti che volevano ridurre il mistero di Gesù a profezie e figure dell’Antico Testamento, sia da parte di alcuni pagani convertiti che pensavano che fosse possibile un’alleanza tra Gesù e l’impero.
- Giovanni 6,15: Gesù sulla montagna. Dinanzi alla moltiplicazione dei pani, la gente conclude che Gesù è il messia atteso, perché secondo la speranza della gente dell’epoca, il Messia avrebbe ripetuto il gesto di Mosè: alimentare la gente nel deserto. Per questo, secondo l’ideologia ufficiale, la moltitudine pensava che Gesù fosse il messia e, per questo, voleva fare di lui un re (cfr. Gv 6,14-15). Questa richiesta della gente era una tentazione sia per Gesù che per i discepoli. Nel vangelo di Marco, Gesù obbliga i discepoli a imbarcarsi immediatamente e ad andare all’altro lato del lago (Mc 6,45). Voleva evitare che si contaminassero con l’ideologia dominante. Segno, questo, che il “fermento di Erode e dei farisei”, era molto forte (cfr. Mc 8,15). Gesù affronta la tentazione con la preghiera sulla montagna.
- Giovanni 6,16-18: La situazione dei discepoli. Era già di notte. I discepoli scesero verso il mare, salirono sulla barca e si diressero verso Cafarnao, all’altro lato del mare (del lago). Giovanni dice che era già buio e che Gesù non era ancora arrivato. Da un lato evoca l’esodo: attraversare il mare in mezzo a difficoltà. Dall’altro evoca la situazione delle comunità nell’impero romano: con i discepoli, vivevano nel buio, con il vento contrario ed il mare agitato e Gesù sembrava assente!
- Giovanni 6,19-20: Cambiamento della situazione. Gesù giunge camminando sul mare. I discepoli si spaventano. Come avviene nel racconto dei discepoli di Emmaus, loro non lo riconoscono (Lc 24,28). Gesù si avvicina e dice: “Sono io! Non temete!”. Qui, di nuovo, chi conosce la storia dell’Antico Testamento, ricorda alcuni fatti molto importanti: (a) Ricorda che la moltitudine, protetta da Dio, attraversò senza paura il Mar Rosso. (b) Ricorda che Dio, nel chiamare Mosè, dichiara il suo nome dicendo: “Io sono!” (cfr. Es 3,15). (c) Ricorda anche il libro di Isaia che presenta il ritorno dall’esilio come un nuovo esodo, in cui Dio appare ripetendo molte volte: “Io sono!” (cfr. Is 42,8; 43,5.11-13; 44,6.25; 45,5-7).
- Per il popolo della Bibbia, il mare era il simbolo dell’abisso, del caos, del male (Ap 13,1). Nell’Esodo, il popolo compie la traversata verso la libertà affrontando e vincendo il mare. Dio divide il mare con il suo soffio e la moltitudine attraversa il mare sull’asciutto (Es 14,22). In altri passaggi la Bibbia mostra Dio che vince il mare (Gen 1,6-10; Sal 104,6-9; Pro 8,27). Vincere il mare significa imporgli i propri limiti ed impedire che inghiottisca tutta la terra con le sue onde. In questo passaggio Gesù rivela la sua divinità dominando e vincendo il mare, impedendo che la barca dei suoi discepoli sia trascinata dalle onde. Questo modo di evocare l’Antico Testamento, di usare la Bibbia, aiutava le comunità a percepire meglio la presenza di Dio in Gesù e nei fatti della vita. Non temete!
- Giovanni 6,22: Giunsero nel porto desiderato. Loro vogliono prendere Gesù nella barca, ma non fu necessario, perché la barca toccò la riva alla quale erano diretti. Giunsero al porto desiderato. Il Salmo dice: “Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare. Si rallegrarono nel vedere la bonaccia ed egli li condusse al porto sospirato” (Sal 107,29-30).

Per un confronto personale
- Sulla montagna: Perché Gesù cerca di stare da solo per pregare dopo la moltiplicazione dei pani? Qual è il risultato della sua preghiera?
- È possibile oggi camminare sulle acque del mare della vita? Come?

Preghiera finale: Esultate, giusti, nel Signore: ai retti si addice la lode. Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate (Sal 32).
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MessaggioTitolo: domenica 22 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 16, 2012 1:13 pm

DOMENICA 22 APRILE 2012


RITO ROMANO
ANNO B
III DOMENICA DI PASQUA


Invochiamo lo Spirito santo: Shaddai, Dio della montagna, che fai della nostra fragile vita la rupe della tua dimora, conduci la nostra mente a percuotere la roccia del deserto, perché scaturisca acqua alla nostra sete. La povertà del nostro sentire ci copra come manto nel buio della notte e apra il cuore ad attendere l’eco del Silenzio finché l’alba, avvolgendoci della luce del nuovo mattino, ci porti, con le ceneri consumate del fuoco dei pastori dell’Assoluto che hanno per noi vegliato accanto al divino Maestro, il sapore della santa memoria.

Letture:
At 3,13-15.17-19 (Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti)
Sal 4 (Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto)
1Gv 2,1-5 (Gesù Cristo è vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo)
Lc 24,35-48 (Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno)

Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui
Seguiamo Gesù e le sue apparizioni. Sembrava morto… ma continua ad apparire per testimoniare il mistero della tomba vuota. Non è li’ perché è risuscitato. È vivo! Oggi ascoltiamo la testimonianza dei due che lo hanno incontrato in via. Li ha rimproverati, li ha rispiegato le scritture… Ha spezzato il pane per loro… Forti di questa sua presenza tornano in Gerusalemme… Portano la buona novella agli apostoli chiusi per paura. E mentre loro condividono l’esperienza del Signore risorto egli appare in mezzo… Pace a voi!… E di nuovo spiega loro le scritture cominciando da Mosè e dai Profeti… “Il Cristo doveva sopportare queste sofferenze per entrare nella sua gloria” e, solo così, si supera lo scandalo della croce, il suo e il nostro. La comprensione, non la semplice lettura, tuttavia porta nel contemplarla gioia e serenità nell’animo. “Si ricordano quelli di Emmaus: non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi, quando ci spiegava le Scritture?”. Senza la luce della Parola il mondo è buio e la notte, come fu notte quando Giuda lasciò il Cenacolo, scende nel cuore dei credenti. Le Scritture illuminano il cammino dei credenti, il sacramento – realtà di grazia – mette i discepoli in comunione di vita con il Risorto. Nel tempo presente l’esperienza cristiana è vera e autentica, ma siamo ancora nel cammino, nell’attesa della beata speranza. Ma anche la testimonianza… Perché: «di questo voi siete testimoni».
Gesù, venendo nel mondo, aveva come scopo ultimo della sua vita la salvezza dell’umanità. Per questo, oltre che preoccuparsi di operare la salvezza degli uomini per mezzo della sua passione, morte e risurrezione, provvide a far giungere la salvezza a tutti i popoli della terra per mezzo dell’opera della Chiesa. A tale scopo, fin dall’inizio della sua vita pubblica, si scelse dei discepoli perché stessero con lui, perché, vivendo con lui, seguendo i suoi esempi e le sue istruzioni, fossero formati per diventare suoi testimoni qualificati tra le genti. Gesù li formò innanzitutto alla sottomisione alla volontà del Padre, cioè all’amore della croce e allo svuotamento di se stessi (Mt 16,24-25) e li consacrò alla salvezza delle anime (Gv 17,18-20). Apparendo ai suoi apostoli, dopo la sua risurrezione, Gesù completò la formazione e l’insegnamento dato ai suoi discepoli; rivelando loro la verità del Vangelo, dette una pratica dimostrazione della realtà della vita eterna. Aprì in tal modo le loro menti alla comprensione delle Scritture e dei suoi insegnamenti, per renderli suoi testimoni autentici (cfr. At 2,21-22), perché per mezzo loro la sua salvezza arrivasse a tutti gli uomini. Ogni cristiano oggi è chiamato a diventare un testimone autentico di Gesù, rivivendo in se stesso il mistero pasquale. La sua formazione cristiana è completa quando la sua vita si apre generosamente all’opera di evangelizzazione e di salvezza dei fratelli.

Approfondimento del Vangelo (Gesù appare agli apostoli)
Il testo: In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Momento di silenzio: lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.

Alcune domande:
a) Era accaduto lungo la via; l’avevano riconosciuto: Quanti momenti di grazia lungo la via della nostra esistenza? Lo riconosciamo mentre spezza con noi il pane del presente nella locanda del farsi sera?
b) Gesù in persona apparve in mezzo a loro. Guardate e toccate: Sono proprio io!: Tocchiamo con mano i doni della libertà nella persona del Cristo vivente e nella frazione dello stare insieme?
c) Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma: Quale Dio ci affascina? Il Dio dell’imprevedibile che è sempre al di là del nostro piccolo mondo oppure il Dio “fantasma” del nostro desiderio onnipotente?
d) Per la grande gioia ancora non credevano: È la gioia il nostro bastone di viaggio? Vive in noi in noi il senso dell’attesa o ci muoviamo nelle ombre della rassegnazione?
e) Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture: Dov’è la creatura immagine nel nostro cercare? Abbiamo fatto della Scrittura la nostalgia di una Parola lasciata andare come brezza dell’Amore eterno tra i rami del dolore umano?

Chiave di lettura:
- La categoria del cammino rende bene in Luca l’itinerario teologico di quel percorso di grazia che interviene negli eventi umani. Giovanni prepara la via al Signore che viene (Lc 1,76) e invita a spianare le sue vie (Lc 3,4); Maria si mette in cammino e va in fretta verso la montagna (Lc 1,39); Gesù, via di Dio (Lc 20,21), cammina con gli uomini e traccia la via della pace (Lc 1,79) e della vita (At 2,28), percorrendola in prima persona con la sua esistenza. Dopo la risurrezione continua il cammino insieme ai discepoli (Lc 24,32) e resta il protagonista del cammino della Chiesa che si identifica con il suo (At 18,25). Tutta la ragion d’essere della Chiesa è in questo cammino di salvezza (At 16,17) che conduce a Dio (At 18,2). Essa è chiamata a viverlo e ad indicarlo a tutti perché, ciascuno, abbandonata la propria via (At 14,16), si orienti verso il Signore che cammina con i suoi.
- v. 35. In quel tempo, di ritorno da Emmaus, i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. L’esperienza dell’incontro con la Vita permette di tornare sui propri passi. Non è il ritorno del rimorso né il ritorno del rimpianto. È il ritorno di chi rilegge la propria storia e sa di trovare, lungo il percorso fatto, il luogo del memoriale. Dio si incontra in ciò che accade. È lui che viene incontro e si affianca nel cammino spesso arido e brullo del non compiuto. Si fa riconoscere attraverso i gesti familiari di un’esperienza assaporata a lungo. Sono i solchi del già consumato che accolgono la novità di un oggi senza tramonto. L’uomo è chiamato a cogliere la presenza nuova di Dio sulla sua strada in quel viandante che si fa riconoscere attraverso i segni fondamentali per la vita della comunità cristiana: le Scritture, lette in chiave Cristologica, e la frazione del pane (Lc 24, 1-33). La storia umana, spazio privilegiato dell’azione di Dio, è storia di salvezza che attraversa tutte le situazioni umane e lo scorrere dei secoli in una forma di esodo perenne, carico della novità dell’annuncio.
- v. 36. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Luca cuce sapientemente gli eventi per dare fondamento e continuità alla storia della salvezza. I germi annunciati fioriranno e l’atmosfera di novità che aleggia nelle pagine di questi eventi fanno da sottofondo allo svolgersi in una memoria Dei che si ripropone di volta in volta. Gesù torna dai suoi. Sta in mezzo a loro come persona, per intero, come prima anche se in una condizione diversa in quanto definitiva. Si manifesta nella sua corporeità glorificata per dimostrare che la risurrezione è un fatto realmente avvenuto.
- v. 37. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. La reazione dei discepoli sembra non raccordarsi bene con il racconto precedente dal momento che essi credevano già nella risurrezione di Gesù sulla parola di Pietro (v. 34). La loro perplessità comunque non riguarda più la convinzione che Gesù è risorto, ma la questione della natura corporea di Gesù risorto. E in tal senso non c’è contraddizione nella narrazione. Era necessario per i discepoli fare una esperienza intensa della realtà corporea della risurrezione di Gesù per svolgere in modo adeguato la loro futura missione di testimoni della buona notizia e chiarire le idee sul Risorto: non credevano che fosse Gesù in persona, ma pensavano di vederlo solo in spirito.
- vv. 38-40. Ma egli disse: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Il Gesù del vangelo di Luca è quasi un eroe che affronta la sua sorte con sicurezza e le poche ombre che rimangono servono semplicemente a comprendere e sottolineare la sua piena realtà. Luca aveva ricordato le umili origini e la genealogia, del tutto comune e spoglia di figure prestigiose, una folla di individui oscuri da cui scaturiva la figura del Cristo. Nel turbamento e nel dubbio dei discepoli dopo la risurrezione appare evidente che Gesù non è il Salvatore dei grandi, ma di tutti gli uomini, stupiti o spaventati che siano. Egli, protagonista del cammino della Chiesa, percorre i sentieri umani dell’incredulità per sanarli con la fede, e continua a camminare nel tempo, mostrando le mani e i piedi nella carne e nelle ossa dei credenti.
- vv. 41-42. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?”. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Ogni invito a mensa nasconde il desiderio dell’intimità, è un rimanere, un condividere. La risurrezione non toglie a Gesù di presentarsi come il luogo della condivisione. Quel pesce arrostito, mangiato per anni insieme ai suoi, continua ad essere veicolo di comunione. Un pesce cucinato nell’amore, l’uno per l’altro: un cibo che non smette di rassicurare la fame nascosta dell’uomo, un cibo capace di sfatare l’illusione di un qualcosa che finisce tra le rovine del passato.
- v. 44. Poi disse: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. I momenti di ansia, di commozione, di pianto per la propria nazione (Lc 19,41), la fatica del salire a Gerusalemme, le tentazioni avevano demarcato quel confine perennemente presente tra umiliazione-nascondimento e affermazione-gloria focalizzato nelle varie fasi della vita umana di Gesù attraverso la luce del volere del Padre. Amarezza, oscurità e dolore avevano nutrito il cuore del Salvatore: “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). Ora è pienamente visibile e propositiva l’opera della grazia perché ad opera dello Spirito l’eschaton già attuato in Cristo e nel credente crea un’atmosfera di lode, un clima di gioia e di pace profonda, tipiche delle cose compiute. La parusia segnerà la fine del cammino salvifico, tempo di consolazione e di restaurazione di tutte le cose (At 3,21).
- v. 45. Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture. La fede apostolica nella risurrezione di Gesù costituisce la chiave ermeneutica per l’interpretazione delle Scritture e il fondamento dell’annuncio pasquale. La Bibbia si adempie in Cristo, in lui è unificata nella sua valenza profetica e acquista il suo pieno significato. L’uomo non può da solo capire la Parola di Dio. La presenza del Risorto apre la mente alla comprensione piena di quel Mistero nascosto nelle parole sacre dell’esistenza umana.
- v. 45-47. Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. In Luca la salvezza tocca tutte le dimensioni umane attraverso l’opera del Cristo che salva dal male, che libera dalle tenebre (At 26,18) e dal peccato (Lc 5,20-26; At 2,38), dalla malattia e dalla sofferenza, dalla morte, dall’incredulità, dagli idoli; che realizza la vita umana nell’essere comunità di Dio, fraternità lieta di amore; che non lascia orfani ma si rende presente incessantemente con il suo Spirito dall’alto (At 2,2 ). La salvezza radicale dell’uomo è nel liberarsi dal suo cuore di pietra e nel ricevere un cuore nuovo il che comporta un dinamismo che liberi da ogni forma di schiavitù (Lc 4,16-22). Dio dirige la storia; è lui che opera l’evangelizzazione e guida il cammino dei suoi. L’evangelista dei grandi orizzonti - da Adamo al regno, da Gerusalemme ai confini della terra - è anche l’evangelista della quotidianità. È in atto il processo storico-escatologico per il quale la storia concreta si compie trascendendo la storia umana e Gesù continua a offrire la salvezza mediante il suo Spirito che crea testimoni capaci di profezia che diffondono la salvezza finché nel ritorno del Cristo (Lc 21,28) si renderà manifesta la piena liberazione dell’uomo. In At 2,37 si trova riassunto tutto l’iter salutis che qui è accennato: accogliere la parola, convertirsi, credere, farsi battezzare, ottenere il perdono dei peccati e il dono dello Spirito. La parola di salvezza, parola di grazia, dispiega la sua potenza nel cuore che ascolta (Lc 8, 4-15) e l’invocazione del Nome del Salvatore suggella la salvezza in colui che si è convertito alla fede. C’è complementarietà tra l’azione di Gesù per mezzo dello Spirito, attuata senza la mediazione della Chiesa (At 9, 3-5), e quella compiuta mediante la Chiesa alla quale egli stesso rinvia come nel caso della chiamata di Paolo (At 9, 6-18).
- v. 48. Di questo voi siete testimoni. Chiamata a tracciare nella storia umana il cammino della testimonianza, la comunità cristiana proclama con parole ed opere il compimento del regno di Dio fra gli uomini e la presenza del Signore Gesù che continua ad agire nella sua Chiesa come Messia, Signore, profeta. La Chiesa crescerà e camminerà nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo (At 9,31). È un cammino di servizio, volto a far risuonare agli estremi confini della terra (At 1,1-11) l’eco della Parola di salvezza. Pian piano il cammino si allontana da Gerusalemme per dirigersi nel cuore del mondo pagano. Nell’arrivo a Roma, capitale dell’impero, Luca porrà la firma ai suoi passi di evangelizzatore. Nessuno davvero sarà escluso nel percorso. Destinatari della salvezza sono tutti gli uomini, in particolare i peccatori per la conversione dei quali c’è grande gioia in cielo (Lc 15,7.10). Come Maria che per Luca è il modello del discepolo che cammina nel Signore, i credenti sono chiamati ad essere trasformati interamente per vivere la maternità messianica, nonostante la propria condizione “verginale”, espressione della propria povertà di creatura (Lc 1,30-35). Il sì del Magnificat è la via da percorrere. Camminiamo portando in noi la parola della salvezza; camminiamo nella fede, fidandoci di Dio che mantiene le promesse; camminiamo nell’esultanza di Colui che ci rende beati non per merito ma per umiltà di vita. Sia l’itinerario di Maria il nostro itinerario: andare, portati dallo Spirito, verso i fratelli avendo come unico bagaglio la Parola che salva: Cristo Signore (At 3,6).

Riflessione: Gesù nell’incontro personale con gli uomini ha offerto la sua presenza benevola, e atteso che i semi della parola e della fede germogliassero. L’abbandono degli apostoli, il rinnegamento di Pietro, l’amore della peccatrice, la chiusura dei farisei non lo hanno scandalizzato né turbato. Sapeva che non sarebbe andato perduto ciò che aveva loro detto e proposto... e infatti dopo la Pentecoste gli stessi uomini vanno davanti al sinedrio senza timore per affermare che è necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, Pietro predica apertamente fino a morire su una croce come il suo Maestro, le donne sono mandate come testimoni della risurrezione agli apostoli, e un fariseo figlio di farisei, Paolo di Tarso, diventa apostolo delle genti. Se non puoi, uomo, sottrarti al vivere quotidianamente la morte di te stesso, non devi però dimenticare che la risurrezione si cela nelle tue piaghe per farti vivere di lui, fin d’ora. Nel fratello che per te può essere sepolcro di morte e di fango, una croce maledetta, troverai la vita nuova. Sì, perché il Cristo risorto assumerà le sembianze dei tuoi fratelli: un ortolano, un viandante, un fantasma, un uomo sulla riva del lago... Quando saprai accogliere la “sfida” di Pilato che penetra i secoli e non accetterai lo scambio proposto (Gv 18,39-40) perché avrai imparato nelle notti dell’abbandono che non puoi barattare la tua vita di brigante, tu che porti indegnamente il suo nome: Bar-Abba, figlio del Padre, con la vita di Gesù, l’unigenito Figlio del Dio vivente, il Signore della vita e della morte... allora griderai anche tu come l’apostolo Tommaso nello stupore della fede: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28), mio Dio e mio tutto, e non tramonterà più all’orizzonte delle tue giornate la bellezza dell’esultanza.

Contemplazione: Signore, donaci la tenacia del camminare verso le vette, alla luce dell’unica Parola che salva. Come sorella di sangue, di quel Sangue che ci rende tutti fratelli, io resto qua, accanto alla tomba di ogni morte interiore per incamminarmi come un viandante nei sentieri del non senso e inoltrarmi nei sentieri dell’amicizia e dell’incontro. Voglio oggi condividere la meraviglia dell’amore umano, la gioia delle persone meravigliose che mi vivono accanto non nella periferia della loro esistenza, ma nei loro varchi segreti, lì dove il loro cuore abbraccia l’Assoluto di Dio. Grazie a te, che mi doni il suo volto risorto, per il tuo cuore innamorato della Vita e baciato dall’Eterno. Grazie a te per la tua libertà da esploratore che si immerge negli abissi dell’Essenziale. Dio del deserto che si fa giardino, possa io essere sempre una piccola fiamma accesa nel buio della ricerca umana, un calore che si espande lì dove il gelido vento del male distrugge e distoglie dagli orizzonti della Verità e della Bellezza per narrare al mondo la stupenda avventura dell’amore umano risorto, quell’amore che sa morire per incarnare il sorriso di Dio! Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
III DOMENICA DI PASQUA


Letture:
At 3,13-15.17-19
Sal 4
1Gv 2,1-5
Lc 24,35-48

Chi ha visto me, ha visto il Padre
Vedere e possedere Dio, o meglio la vita piena e felice che si pensa lui abbia, è anelito di ogni uomo e strada di ogni religione. Ma questo è, prima ancora, disegno antico di Dio: ha creato l’uomo esattamente per comunicare se stesso e la sua vita. Paolo è orgoglioso di darne l’annuncio, quasi un segreto, “il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria” (Epist.).
Cristo in voi: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. L’invocazione di Filippo esprime l’anelito dell’uomo. E Dio ha risposto rendendosi visibile e accessibile nell’uomo chiamato Gesù. “Chi ha visto me, ha visto il Padre. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me”. Lui è l’immagine vera di Dio, lui è la “verità”, la manifestazione reale e concreta di Dio all’uomo. “Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Tutto quello che Dio voleva dire all’uomo, lo ha detto tramite Cristo: “Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso”. Tutto quello che Dio vuol fare per l’uomo, lo fa tramite Cristo: “Il Padre, che rimane in me, compie le sue opere”. Alla fine Gesù dirà: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Egli appunto è la “via”. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Paolo, perentorio, afferma: “Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5). Cristo è la strada giusta che conduce al vero Dio e alla vita con lui: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). Per questo Gesù ci esorta ad aver fiducia in lui: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Sono io che vi conduco a Dio, verso la sicurezza e il possesso della vita piena! Proprio perché Dio s’è reso in Cristo totalmente presente agli uomini, noi entrando in comunione con lui entriamo in comunione col Padre: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Dio dimora con noi, dentro di noi, tramite Cristo, il cui segno efficace vistoso è l’Eucaristia. “Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” (Gv 14,20), fino a che “tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me e io in te. Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Questa è l’essenza della vita cristiana: l’anticipata intimità con la Trinità, che noi chiamiamo “vita di grazia”, in attesa della “vita di gloria” in paradiso.
Speranza della gloria: “Io sono la vita”. È dunque questione di vita. Da Dio la riceviamo. Col peccato la perdiamo. Per dono gratuito la possiamo riacquistare, fino al suo massimo compimento di diventare “simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Per questo oggi Gesù afferma: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: ‘Vado a prepararvi un posto’? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi “. Fino alla promessa nella sera del suo testamento: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Oggi si tratta di possedere Cristo, o meglio essere da lui posseduti, per garantirci “la gloria”, la vita piena stessa di Dio. Tutta qui la vita cristiana, che Paolo sintetizza così bene: “Cristo in voi, speranza della gloria” (Epist.). Cerchiamo la vita, la vita piena; la possiede solo Dio, l’ha data al Figlio perché la passi a noi: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me, così anche chi mangia me vivrà per me” (Gv 6,57). “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Appare chiaro che Gesù è la strada al Padre, alla vita piena, alla “gloria”, ma non tanto in senso morale, quando piuttosto in senso “sacramentale”, cioè frutto di un legame interiore con lui che opera questo “trascinarci” al Padre. Più precisamente: siccome v’è sintonia piena, anzi sostanziale, tra il Figlio e il Padre, l’unirci a lui, l’assimilarci a lui, - o, come dice Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) - produce gradualmente un possesso di Dio, forse anche una particolare esperienza di lui, che diviene quell’indefinibile certezza di fondo che chiamiamo “fede”, radice di quella sicura “speranza della gloria”.
La prima lettura rievoca una conversione, la gioia di una famiglia che arriva alla fede. “Signori, che cosa devo fare per essere salvato? - Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Il carceriere rimase colpito dal distacco e dalla serenità di quei credenti che, pur in catene “verso mezzanotte, Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio”. Alla fine, la fede si propaga.. per contagio, per una vita umana gioiosa perché innervata della “vita” e della gioia di Cristo!
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MessaggioTitolo: sabato 28 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Apr 25, 2012 8:55 am

SABATO 28 APRILE 2012

SABATO DELLA III SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Dio, che nell’acqua del Battesimo hai rigenerato coloro che credono in te, custodisci in noi la vita nuova, perché possiamo vincere ogni assalto del male e conservare fedelmente il dono del tuo amore.

Letture:
At 9,31-42 (La Chiesa si consolidava, e con il conforto dello Spirito Santo cresceva di numero)
Sal 115 (Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto?)
Gv 6,60-69 (Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna)

Un linguaggio duro
Che dinanzi al discorso del Pane di vita entrassero in crisi i giudei, dichiarati nemici di Cristo, potrebbe anche risultare comprensibile, anche se sempre colma di amarezza il rifiuto di un dono dato con immenso amore. Oggi Gesù sperimenta il mormorìo esteriore ed interiore dei suoi discepoli: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Egli interviene ancora per cercare di illuminare le loro menti: «È lo Spirito che dá la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita». Non si tratta quindi di cannibalismo, ma di assumere, nel pane e nel vino, lo Spirito che dà vita, la divinità, l’amore, la santa energia che ci rigenera. Se si rimane ancorati alla fisicità della carne e del sangue e non si è capaci di trascendere con la luce della fede per vederne i valori reconditi, l’eucaristia non può essere compresa. Nei segni sacramentali noi scorgiamo la pienezza dell’amore di Dio, che non è più solo dichiarato ed offerto con la verità delle sue parole, ma nella carne e nel sangue del figlio suo, immolato per noi e per tutti, per la remissione dei peccati. Soltanto l’esperienza ci può convincere della sublimità del dono e solo quando sentiamo realmente Cristo in noi diventiamo capaci di squarciare i veli del mistero eucaristico. Molti dei suoi discepoli però abbandonano Gesù: la sua dottrina non è più accessibile alle loro menti, la sua stessa credibilità viene messa in gioco. Rimangono i dodici, ma anche a loro il Signore, chi sa con quanta sofferenza, deve rivolgere un interrogativo: «Forse anche voi volete andarvene?». Queste parole, che risuonano come il flebile lamento dell’amore incompreso, denunciano tutti gli abbandoni e tutte le assenze che, nel corso dei secoli, i “suoi” avrebbero fatto nei confronti della sua mensa divina. È l’amara delusione dello sposo che non vede arrivare gli invitati al banchetto delle sue nozze, che non vede entrare nella sua chiesa coloro che si professano cristiani; rimangono fuori, digiuni e affamati. È sicuramente consolante per Cristo la confessione di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»; in questo contesto però, e non a caso, Gesù ricorda agli apostoli il privilegio per essere stati scelti da lui, ma denuncia anche il tradimento di uno di loro. Può capitare che il primo assente dalla mensa sia proprio il celebrante! Speriamo non sia mai.
“Nessuno si deve aspettare da me qualcosa di cui io non sono capace”. Non si può non approvare chi parla così. Anche Dio non chiede a nessuno l’impossibile. Ma chi decide concretamente che cosa è troppo per lui? Ci conosciamo troppo bene: ognuno ha la tendenza a sentire come inaccettabile qualcosa che non gli piace piuttosto che qualcosa che gli fa piacere. Che cosa può esserci di inaccettabile, se si può perfino esigere la vita di un uomo? I discepoli sentono il discorso di Gesù come inaccettabile. Perché, quando qualcuno afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”, ciò oltrepassa di molto il concepibile. E tuttavia: in nome dei Dodici, Pietro esprime la sua professione di fede in colui che parla in termini così poco comprensibili. Egli la giustifica in un modo sorprendente: “Soltanto le tue parole (incomprensibili) sono parole di vita eterna”. Nessun mortale è capace di pronunciare queste parole, che vanno ben oltre quello che chiunque potrebbe dire. Solo chi resta incomprensibile pur rivelandosi - con parole di vita eterna - è capace di offrire agli uomini l’ultimo rifugio.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, molti dei suoi discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a a; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi presenta la parte finale del Discorso del Pane di Vita. Si tratta Della discussione dei discepoli tra di loro e con Gesù (Gv 6,60-66) e della conversazione di Gesù con Simon Pietro (Gv 6,67-69). L’obiettivo è quello di mostrare le esigenze della fede e la necessità di un impegno serio con Gesù e con la sua proposta. Fino a qui tutto succedeva nella sinagoga di Cafarnao. Non si indica il luogo di questa parte finale.
- Giovanni 6,60-63: Senza la luce dello Spirito queste parole non si capiscono. Molti discepoli pensavano che Gesù stesse andando troppo oltre! Stava terminando la celebrazione della Pasqua e si stava lui stesso ponendo nel posto più centrale della Pasqua. Per questo, molta gente si separò dalla comunità e non andava più con Gesù. Gesù reagisce dicendo: “È lo spirito che dà vita, la carne non giova a nulla”. Non devono prendersi letteralmente queste cose che lui dice. Solo con la luce dello Spirito Santo è possibile cogliere il senso pieno di tutto ciò che Gesù disse (Gv 14,25-26; 16,12-13). Paolo nella lettera ai Corinzi dirà: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita!” (2Cor 3,6).
- Giovanni 6,64-66: Alcuni di voi non credono. Nel suo discorso Gesù si era presentato come il cibo che sazia la fame e la sete di tutti coloro che cercano Dio. Nel primo Esodo, avvenne la prova di Meriba. Dinanzi alla fame ed alla sete nel deserto, molti dubitarono della presenza di Dio in mezzo a loro: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (Es 17,7) e mormoravano contro Mosè (cfr. Es 17,2-3; 16,7-8). Volevano rompere con lui e ritornare in Egitto. In questa stessa tentazione cadono i discepoli, dubitando della presenza di Gesù nello spezzare il pane. Dinanzi alle parole di Gesù su “mangiare la mia carne e bere il mio sangue”, molti mormoravano come la moltitudine nel deserto (Gv 6,60) e prendono la decisione di rompere con Gesù e con la comunità: “si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66).
- Giovanni 6,67-71: Confessione di Pietro. Alla fine rimangono solo i dodici. Dinanzi alla crisi prodotta dalle sue parole e dai suoi gesti, Gesù si gira verso i suoi amici più intimi, qui rappresentati dai Dodici e dice: “Forse anche voi volete andarvene?”. Per Gesù non è questione di avere tanta gente dietro a lui. Né cambia il discorso quando il messaggio non piace. Parla per rivelare il Padre e non per far piacere a chi che sia. Preferisce rimanere da solo, e non essere accompagnato da persone che non si impegnano con il progetto del Padre. La risposta di Pietro è bella: “Da chi andremo! Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio!”. Pur senza capire tutto, Pietro accetta Gesù Messia e crede in lui. Nel nome del gruppo professa la sua fede nel pane spezzato e nella parola. Gesù è la parola ed il pane che saziano il nuovo popolo di Dio (Dt 8,3). Malgrado tutti i suoi limiti, Pietro non è come Nicodemo che voleva vedere tutto ben chiaro secondo le proprie idee. Ma tra i dodici c’era qualcuno che non accettava la proposta di Gesù. In questo circolo più intimo c’era un avversario (Gv 6,70-71) “colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno” (Sal 41,10; Gv 13,18).

Per un confronto personale
- Mi pongo al posto di Pietro dinanzi a Gesù. Che risposta do a Gesù che mi chiede: “Forse anche tu vuoi andartene?”
- Mi metto al posto di Gesù. Oggi, molte persone non seguono più Gesù. Colpa di chi?

Preghiera finale: Sì, io sono il tuo servo, Signore, io sono tuo servo, figlio della tua ancella; hai spezzato le mie catene. A te offrirò sacrifici di lode e invocherò il nome del Signore (Sal 115).
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: domenica 29 aprile 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyMer Apr 25, 2012 9:05 am

DOMENICA 29 APRILE 2012


RITO ROMANO
ANNO B
IV DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
At 4,8-12 (In nessun altro c’è salvezza)
Sal 117 (La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo)
1Gv 3,1-2 (Vedremo Dio così come egli è)
Gv 10,11-18 (Il buon pastore dà la propria vita per le pecore)

Il buon pastore offre la vita per le sue pecore
Gesù si propone come il buon Pastore. Sùbito ci appare una bella icona. Suggerisce aperte campagne con pascoli rigogliosi in un ambiente invitante. Tutto in un clima rilassante. Il contatto con la natura propone una simbiosi che allarga lo spirito. Le pecore sono al sicuro, proprio perché c’è il Pastore, il buon pastore che vigila costantemente. Gesù prende molto spesso spunto dalla natura per fornire delle immagini che vanno però ben oltre la realtà che Egli richiama. Il buon pastore di Gesù dona la sua vita per le sue pecore. È un gesto generoso, di vero e puro amore; significa donazione completa. Gesù, però non è mai banale nelle sue affermazioni; pone sempre una questione che va oltre. Richiede da noi molta attenzione. Il Buon Pastore dona la sua vita non semplicemente come gesto supremo di amore. Gesù proclama la sua divinità quando dice che Lui stesso ha il potere di offrire la sua vita, per poi riprenderla. Gesù è l’autore della vita; è la Vita stessa. È una dichiarazione ma anche un annuncio ed una profezia sul suo Mistero Pasquale. La sua Passione e Resurrezione non sono, allora, eventi tragici ed ineluttabili di una missione impossibile. Non è lo scontrarsi nella realtà terrena di un piano divino. Non è un infrangersi di una missione preparata da tempo. Il Mistero Pasquale è nella logica di Dio non nella logica dell’uomo. È donazione completa che essendo divina è condivisa dal Padre, come Donatore e dal Figlio, come Donato nello Spirito. È un mistero profondo che è trinitario e che non trova sbavature tra il comando del Padre e l’obbedienza del Figlio; due realtà che coincidono. Non c’è abbandono, non c’è dimenticanza nella Croce; anzi nel silenzio del Padre è presente tutta l’opera Trinitaria. Gesù si proclama vero Dio con l’immagine del Pastore. Non è un Dio nascosto e lontano; le sue pecore conoscono la sua voce. Gesù china la divinità all’uomo per comunicare questo amore infinito; custodisce, difende le sue pecore. Parla loro con amore, infonde fiducia e coraggio. La sua voce è rassicurante; le pecore quando sentono la voce amica del Buon pastore sanno che ormai possono essere tranquille. Gesù si mostra vicino agli uomini; si proclama vero Dio e vero uomo, proprio perché in Lui albergano veri sentimenti umani. Ascoltiamo la sua voce, accettiamo questo Dono di infinito amore per metterci accanto a Lui nella morte e resurrezione. Sentiamoci veramente sicuri e protetti dalla sua Guida, che mai prevarica sull’uomo.
Gesù è il dono del Padre. Chi è veramente Gesù? Niente come l’antitesi tra il Buon Pastore e il mercenario ce lo fa capire. In cosa si differenziano radicalmente le due figure? Non certo per il ruolo che, all’apparenza, sembra il medesimo. Li oppone e li divide la natura intima del rapporto con le pecore: la non appartenenza per il mercenario e l’appartenenza per il pastore. Se le pecore non ti appartengono te ne vai quando arriva il lupo e le lasci alla sua mercé. Se sei un mercenario non t’importa delle pecore e non ti importa perché non le conosci. Non le conosci “per esperienza”, non le conosci per amore: esse non sono tue. E da che cosa si vede se sono tue? Che dai la vita per loro. Gesù dà la vita per noi. È lui che ce la dà, tiene a precisare, nessuno gliela toglie. Lui, solo lui, ha il potere di offrire la sua vita e di riprenderla di nuovo. In questo sta la sua autorevolezza, nel potere dell’impotenza, a cui Dio nella morte si è volontariamente esposto. Gli uomini possono seguire Gesù solo in forza di questa sua autorevolezza. Per essa ne conoscono la voce, subiscono il fascino della sua Presenza, si dispongono alla sequela. Solo nel vivere questa appartenenza il cristiano diventa a sua volta autorevole, cioè capace di incontrare l’altro, di amarlo e di dar la sua vita per lui. L’appartenenza fa essere eco fragile e tenace della sua Presenza e suscita la nostalgia di poterlo incontrare.

Approfondimento del Vangelo (Perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Chiave di lettura: Il Vangelo di questa 4ª Domenica di Pasqua ci riporta la parabola del Buon Pastore. Per questo, a volte, è chiamata Domenica del Buon Pastore. In alcune parrocchie si celebra la festa del parroco, pastore del gregge. Nel vangelo di oggi, Gesù si presenta come il Buon Pastore che venuto “perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza” (Gv 10,10). In quel tempo, il pastore era l’immagine del leader. Gesù dice che molti si presentavano come pastori, ma in realtà erano “ladri e briganti”. Oggi succede la stessa cosa. Ci sono persone che si presentano come leaders, ma in realtà, invece di servire, cercano i loro propri interessi. Alcuni di loro hanno un modo di parlare così mansueto, e fanno una propaganda così intelligente da riuscire ad ingannare la gente. Hai mai fatto l’esperienza di essere stato ingannato? Quali sono i criteri per valutare una leadership sia a livello di comunità che di paese? Chi è, e come deve essere un buon pastore? Con queste domande nella mente cerchiamo di meditare il testo del vangelo di oggi. Nel corso della lettura cerchiamo di essere attenti alle immagini che Gesù usa per presentarsi alla gente come un vero e buon pastore.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Gv 10,11: Gesù si presenta come il Buon Pastore che dà la sua vita per le pecore
- Gv 10,12-13: Gesù definisce l’atteggiamento del mercenario
- Gv 10,14-15: Gesù si presenta come il Buon Pastore che conosce le sue pecore
- Gv 10,16: Gesù definisce la meta da raggiungere: un solo gregge ed un solo pastore
- Gv 10,17-18: Gesù e il Padre

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Cosa ti ha maggiormente colpito nel testo del Buon Pastore? Perché?
b) Quali sono le immagini che Gesù applica a se stesso, come le applica e cosa significano?
c) Quante volte in questo testo, Gesù usa la parola vita e cosa afferma sulla vita?
d) Cosa dice il testo sulle pecore che siamo noi? Quali sono le qualità ed i compiti delle pecore?
e) Pastore-Pastorale. Sarà che le nostre pastorali continuano la missione di Gesù-Pastore?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto:
1) Il discorso di Gesù sul Buon Pastore (Gv 10,1-18) è come un mattone inserito in una parete già pronta. Con questo mattone la parete è più forte e più bella. Immediatamente prima, in Gv 9,40-41, il vangelo parlava della guarigione di un cieco nato (Gv 9,1-38) e della discussione di Gesù con i farisei sulla cecità (Gv 9,39-41). Immediatamente dopo in Gv 10,19-21, Giovanni colloca la conclusione della discussione di Gesù con i farisei sulla cecità. I farisei si presentavano al popolo in qualità di leaders e pensavano di essere in grado di poter discernere ed insegnare le cose di Dio. In realtà, loro erano ciechi (Gv 9,40-41) e disprezzavano l’opinione della gente rappresentata dal cieco fin dalla nascita che era stato guarito da Gesù (Gv 9,34). Il discorso sul Buon Pastore è stato inserito qui allo scopo di offrire alcuni criteri per saper discernere chi è il leader, il pastore che merita credito. La parabola realizza una parola che Gesù aveva appena detto ai farisei: “Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi!” (Gv 9,39).
2) Il discorso di Gesù sul “Buon Pastore” presenta tre paragoni, legati tra di essi dall’immagine delle pecore, che offrono criteri per discernere chi è il vero pastore:
- 1° paragone (Gv 10,1-5): “Entrare per la porta”. Gesù distingue tra il pastore delle pecore e colui che assalta per rubare. Ciò che rivela chi è il pastore è il fatto che lui entra per la porta. Il brigante da un’altra parte.
- 2° paragone (Gv 10,6-10): “Io sono la porta”. Entrare per la porta significa agire come Gesù, la cui preoccupazione maggiore è la vita in abbondanza delle pecore. Ciò che rivela il pastore è la difesa della vita delle pecore.
- 3° paragone (Gv 10,11-18): “Io sono il buon pastore”. Gesù non è semplicemente un pastore. Lui è il Buon Pastore. Ciò che rivela chi è il Buon Pastore è (1) la conoscenza reciproca tra la pecora ed il pastore e (2) dare la vita per le pecore.
3) In che modo la parabola del Buon Pastore può togliere la cecità ed aprire gli occhi delle persone? In quel tempo, l’immagine del pastore era il simbolo del leader. Ma non per il semplice fatto che qualcuno si occupi delle pecore può costui essere definito un pastore. Anche i mercenari contano. I farisei erano persone leaders. Ma erano anche pastori? Come vedremo, secondo la parabola, per discernere chi è pastore e chi è mercenario, bisogna fare attenzione a due cose: (a) All’atteggiamento delle pecore davanti al pastore che le conduce, per vedere se riconoscono la sua voce. (b) All’atteggiamento del pastore davanti alle pecore per vedere se il suo interesse è la vita delle pecore e se è capace di dare la vita per loro (Gv 10,11-18).
4) Il testo del Vangelo di questa 4a domenica di Pasqua (Gv 10,11-18) è l’ultima parte del discorso sul Buon Pastore (Gv 10,1-18). Per questo vogliamo commentare tutto il testo. Osserviamo da vicino le diverse immagini di cui Gesù si serve per presentarsi a noi come il vero e buon pastore.
b) Commento del testo:
1) Gv 10,1-5: 1ª Immagine: il pastore “entra per la porta”. Gesù inizia il discorso con un paragone sulla porta: “Chi non entra per la porta, ma sale da un’altra parte, è un ladro e assaltante! Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore!”. Per capire questo paragone, è bene ricordare quanto segue. In quel tempo, i pastori curavano il gregge durante il giorno. Quando giungeva la notte, loro portavano le pecore in un grande recinto comunitario, ben protetto contro ladroni e lupi. Tutti i pastori di una stessa regione portavano lì il loro gregge. Un guardiano se ne occupava durante la notte. Il giorno dopo, al mattino presto, giungeva il pastore, batteva le mani sulla porta ed il guardiano apriva. Le pecore riconoscevano la voce del loro pastore, si alzavano e uscivano dietro a lui a pasteggiare. Le pecore degli altri pastori udivano la voce, ma non si movevano, poiché per loro era una voce sconosciuta. La pecora riconosce la voce del suo pastore. Ogni tanto, appariva il pericolo dell’assalto. Per rubare le pecore, i ladri non si presentavano al guardiano dalla porta, ma entravano da un altro lato o distruggevano il recinto, fatto di pietre una sull’altra.
2) Gv. 10,6-10: 2ª Immagine: spiega cosa significa “entrare per la porta”: Gesù è la porta. Coloro che stavano ascoltando Gesù, i farisei (cfr. Gv 9,40-41), non capirono il paragone. Allora Gesù spiegò: “Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti”. Di chi sta parlando Gesù in questa frase così dura? Probabilmente, si sta riferendo ai leaders religiosi che trascinavano la gente dietro di loro, ma che non rispondevano alla speranza della gente. Ingannavano la gente, lasciandola peggio di prima. Non interessava loro il bene della gente, bensì il loro proprio interesse ed il proprio portafoglio. Gesù spiega che il criterio fondamentale per discernere chi è il pastore e chi è assaltante è la preoccupazione per la vita delle pecore. Chiede alla gente di non seguire colui che si presenta in qualità di pastore, ma non desidera la vita della gente. È qui che Gesù pronunciò quella frase che cantiamo fino ad oggi: “Sono venuto perché abbiano vita, e vita in abbondanza!”. Questo è il primo criterio!
3) Gv 10,11-16: 3ª Immagine: spiega ciò che significa “sono venuto perché abbiano vita in abbondanza” (Qui inizia il testo di questa quarta domenica di Pasqua):
- Gv 10,11: Gesù si presenta come il Buon Pastore che dà la sua vita per le pecore. Gesù cambia il paragone. Prima, lui era la porta delle pecore. Ora dice che è il pastore delle pecore. Non un pastore qualsiasi, bensì: “Io sono il buon pastore!”. L’immagine del buon pastore viene dal Vecchio Testamento. Tutti sapevano ciò che era un pastore e come viveva e lavorava. Nel dire che è un Buon Pastore, Gesù si presenta come colui che viene a compiere le promesse dei profeti e le speranze della gente. Insiste su due punti: (a) la difesa della vita delle pecore; il buon pastore dà la sua vita (Gv 10,11.15.17.18); (b) nella reciproca comprensione tra il pastore e le pecore; il Pastore conosce le sue pecore e loro conoscono il pastore (Gv 10,4.14.16).
- Gv 10,12-13: Gesù definisce l’atteggiamento del mercenario che non è pastore. “Il mercenario che non è pastore”. Guardando dal di fuori, non si percepisce la differenza tra il mercenario ed il pastore. Tutti e due si occupano delle pecore. Oggi ci sono molte persone che si occupano di altre persone negli ospedali, nelle comunità, negli asili per anziani, nei collegi, nei servizi pubblici, nelle parrocchie. Alcuni lo fanno per amore, altri, appena per uno stipendio, per poter sopravvivere. A queste persone gli altri non interessano. Hanno un atteggiamento da funzionari, da stipendiati, da mercenari. Nel momento del pericolo, loro non si interessano, perché “le pecore non sono loro”, i bambini non sono loro, gli alunni non sono loro, i vicini non sono loro, i fedeli non sono loro, i malati non sono loro, i membri della comunità non sono loro. Ora, invece di giudicare il comportamento degli altri, mettiamoci davanti alla nostra propria coscienza e chiediamoci: “Nel mio rapporto con gli altri, sono mercenario o pastore?”. Guarda che Gesù non ti condanna perché l’operaio ha diritto al suo stipendio (Lc 10,7), ma ti chiedi di dare un passo in più e diventare pastore.
- Gv 10,14-15: Gesù si presenta come il Buon Pastore che conosce le sue pecore. Due cose caratterizzano il buon pastore: a) conosce le pecore ed è conosciuto da loro. Nella lingua di Gesù, “conoscere” non è una questione di conoscere il nome o il volto della persona, ma di rapportarsi alla persona per amicizia, e per affetto. b) dare la vita per le pecore. Ciò significa essere disposti a sacrificarsi per amore. Le pecore sentono e percepiscono, quando una persona le difende e le protegge. Questo vale per tutti noi: per i parroci e per coloro che hanno qualche responsabilità verso altre persone. Per un parroco sapere se è buon pastore non basta con l’essere nominato parroco ed obbedire alle norme del diritto canonico. È necessario essere riconosciuto come buon pastore dalle pecore. A volte ciò viene dimenticato nell’attuale politica della Chiesa. Gesù dice che non solo il pastore riconosce le pecore, ma che anche le pecore riconoscono il pastore. Loro hanno criteri per questo. Perché se loro non lo riconoscono, pur anche se lui è nominato secondo il diritto canonico, lui non è pastore secondo il cuore di Gesù. Non sono solo le pecore che devono obbedire a chi le conduce. Anche colui che conduce deve essere molto attento alla reazione delle pecore per sapere se agisce come pastore o come mercenario.
- Gv 10,16: Gesù definisce la meta da raggiungere; un solo gregge, un solo pastore.Gesù apre l’orizzonte e dice che ha altre pecore che non sono di questo gregge. Ancora non hanno udito la voce di Gesù, ma quando l’udranno, si renderanno conto che lui è il pastore e lo seguiranno. Chi farà ciò, e quando avverrà? Siamo noi, imitando in tutto il comportamento di Gesù, Buon Pastore!
- Gv 10,17-18: Gesù è il Padre. In questi due versetti finali Gesù si apre e ci lascia capire qualcosa che c’è nel più profondo del suo cuore: il suo rapporto con il Padre. Qui si percepisce la verità di quanto dice in un altro momento: “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Gesù è per noi un libro aperto.
c) Ampliando l’informazione:
- L’immagine del Pastore nel VT che si realizza in Gesù:
1) In Palestina, la sopravvivenza della gente dipendeva dall’allevamento del bestiame: capre e pecore. L’immagine del pastore che guida le sue pecore nei pascoli era da tutti conosciuta, come oggi conosciamo l’immagine del conducente di autobus. Era normale usare l’immagine del pastore per indicare la funzione di colui che governava e conduceva il popolo. I profeti criticavano i re perché erano pastori che non si occupavano del loro gregge e non lo conducevano a pascolare (Jr 2,8; 10,21; 23,1-2). Questa critica dei cattivi pastori aumentò e giunse a un punto culminante quando per colpa dei re il popolo fu deportato in esilio (Ez 34,1-10; Zc 11,4-17).
2) Di fronte alla frustrazione sofferta a causa dell’attuazione dei cattivi pastori, sorge il desiderio di avere Dio come pastore, desiderio così ben espresso nel salmo: “Il Signore è l mio pastore, non manco di nulla” (Sl 23,1-6; Gn 48,15). I profeti sperano che, nel futuro, Dio stesso venga a guidare il suo gregge, come un pastore (Is 40,11; Ez 34,11-16). E sperano che questa volta la gente sappia riconoscere la voce del suo pastore: “Ascoltate oggi la sua voce!” (Sl 95,7). Sperano che Dio venga in qualità di Giudice che pronuncerà il giudizio tra le pecore del gregge (Ez 34,17). Sorgono il desiderio e la speranza che un giorno, Dio susciti buoni pastori e che il messia sia un buon pastore per il popolo di Dio (Jr 3,15; 23,4).
3) Gesù realizza questa speranza e si presenta come il buon pastore, diverso dagli assaltanti che, prima di lui, avevano rubato al popolo. Si presenta anche come il Giudice del popolo che, alla fine, emetterà la sentenza come il pastore che separa le pecore dai capri (Mt 25,31-46). In Gesù si realizza la profezia di Zaccaria che dice che il buon pastore sarà perseguitato dai cattivi pastori, infastiditi dalla sua denuncia: “Percuoti il pastore e sia disperso il gregge!” (Zc 13,7).
4) Al termine del vangelo di Giovanni, l’immagine si estende e Gesù finisce con essere tutto allo stesso tempo: porta (Gv 10,7), pastore (Gv 10,11) agnello e pecora (Gv 1,36)!

Una chiave per il vangelo di Giovanni: Tutti percepiscono la differenza che c’è tra il vangelo di Giovanni e gli altri tre vangeli di Matteo, Marco e Luca. Qualcuno la definisce così: Gli altri tre fanno una fotografia, Giovanni fa una radiografia. Ossia, Giovanni aiuta i suoi lettori a scoprire la dimensione più profonda che c’è in ciò che Gesù dice e fa. Rivela le cose nascoste che solamente i raggi X della fede riescono a scoprire e rivelare. Giovanni insegna a leggere gli altri vangeli con lo sguardo della fede ed a scoprire il significato più profondo. Gesù stesso aveva già detto che avrebbe mandato il dono del suo Spirito affinché potessimo capire tutta la pienezza delle sue parole (Gv 14,24-25; 16,12-13). Gli antichi Padri della Chiesa dicevano: il Vangelo di Giovanni è “spirituale” e “simbolico”. Alcuni esempi: (a) Gesù cura il cieco nato (Gv 9,6-7). Per Giovanni questo miracolo ha un significato più profondo. Rivela che Gesù è la Luce del Mondo che ci fa comprendere e contemplare meglio le cose di Dio nella vita (Gv 9,39). (b) Gesù risuscita Lazzaro (Gv 11,43-44) non solo per aiutare Lazzaro e consolare le due sorelle, Marta e Maria, ma anche per rivelare che lui è la Risurrezione e la vita (Gv 11,25-26). (c) Gesù cambia 600 litri di acqua in vino nelle nozze di Cana (Gv 2,1-13). E lo fa non solo per salvare l’allegria della festa, ma anche e soprattutto per rivelare che la nuova Legge del Vangelo è come vino paragonato all’acqua della Legge precedente. E lo fa con tale abbondanza (600 litri!), proprio per significare che non mancherà per nessuno, fino ad oggi! (d) Gesù moltiplica il pane ed alimenta gli affamati (Gv 6,11) non solo per saziare la fame di quella gente povera che stava con lui nel deserto, ma anche per rivelare che lui stesso è il pane di vita che alimenta tutti lungo la vita (Gv 6,34-58). (e) Gesù conversa con la Samaritana sull’acqua (Gv 4,7.10), ma lui voleva che lei giungesse a scoprire l’acqua del dono di Dio che già portava dentro (Gv 4,13-14). In una parola, è lo Spirito di Gesù che dà vita (Gv 6,63). La carne o solo la lettera non bastano e possono perfino uccidere il senso e la vita (2Cor 3,6).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO B
IV DOMENICA DI PASQUA


Letture:
At 20,7-12
Sal 29
1Tim 4,22-16
Gv 10,17-30

Le mie pecore ascoltano la mia voce
Vi è, nella esperienza di fede, una duplice tentazione o paura. La prima è quella di venir meno nella prova, di ribellarci a Dio quando la pelle brucia; come i discepoli di Emmaus arrivare a dire: “Speravamo!”. L’altra tentazione è quella di dubitare della fedeltà di Dio, per la coscienza di una nostra indegnità, la paura che Dio ci abbia a mollare per le nostre incorrispondenze o infedeltà. O che il mondo pagano ci assorba.., e satana vinca il già poco entusiasmo di sentirci figli ed eredi di Dio. Oggi il vangelo ci riporta parole commoventi che ci danno serenità: “Il Padre mio è più grande di tutti..”; di tutti i potenti, di tutti i nemici, di tutti i maestri umani; “e nessuno può rapirle - le sue pecore che siamo noi - dalla mano del Padre mio”; e ancora: “Non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”, dice il Gesù.
Io le conosco: Fin da prima della creazione del mondo noi siamo stati da Dio conosciuti, amati, eletti, predestinati ad essere suoi figli. L’amore di Dio ci precede, segue e supera fino a condurre a compimento l’opera iniziata. San Paolo fissa in cinque momenti questa storia di Dio con l’uomo: “Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato li ha anche glorificati” (Rm 8,29-30). Il progetto di Dio, grande all’inizio, divenne più grande al momento del nostro rifiuto, perché sovrabbondò in misericordia ed aiuto proprio là dove erano abbondati la debolezza e il peccato. Cristo ci possiede per il prezioso riscatto compiuto in croce. Di fronte al Padre noi costiamo (e contiamo) quanto il suo Figlio unigenito: “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme a lui?” (Rm 8,32). La consapevolezza di questo grandioso piano di Dio fa dire a Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Io sono persuaso che niente potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35.39). Ecco allora le dichiarazioni sublimi del vangelo odierno: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. E poiché lui, Gesù, e il Padre sono una cosa sola, v’è per le pecore che siamo noi piena certezza di non essere mai mollati da Dio stesso: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre mio”. Il loro sogno è di condurre tutti gli uomini a divenire una cosa sola con il Padre il Figlio in Casa Trinità: “Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Anche i discepoli, un giorno sul mare agitato, ebbero paura. Ed ecco, premuroso e inaspettato, giungere Gesù, camminando sul mare: “Sono io, non abbiate paura” (Gv 6,20). E a Pietro, che volle raggiungerlo camminando sulle acque, Gesù “tese la mano, lo afferrò e gli disse: Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,30-31). Gli apostoli, al sentire gli annunci della passione, si erano spaventati, e Gesù a dire: “Non sia turbato il vostro cuore. Non vi lascerò orfani. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimango con voi per sempre” (Gv 14,1.16.18). Fino ad allora, Gesù è stato il Paràclito (il Difensore) per i suoi. Ora ha mandato lo Spirito per stare in sua vece a fianco di ogni credente e difenderlo. Siamo in buone mani!
Ascoltano la mia voce: Certo che all’iniziativa di Dio non può mancare la corrispondenza dell’uomo. Al richiamo, alla guida, alla premura del pastore deve corrispondere la docilità libera e gioiosa di ognuno di noi: “Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono”. Senza il sì dell’uomo l’onnipotenza salvifica di Dio rimane inefficace. “Dio che ha fatto te senza di te non salverà te senza di te” (sant’Agostino). Il salmo 22, che cantiamo spesso, ci fa dire: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare; mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome”. I sostanza, la scelta per sentire sicurezza e serenità nella vita, sta qui: o ci si lascia guidare da Dio Padre e Pastore, o si diventa schiavi di maestri e padroni, che troppo spesso si rivelano essere tutti solo dei grandi mercenari...! Per essere di Dio e di Cristo, primo passo è quello di ascoltare: “Ascoltano la mia voce”. Ama chi conosce. Noi non amiamo Dio perché non lo conosciamo. Cioè perché non sappiamo dalla Bibbia ciò che Dio ha fatto e vuole per noi. Di Dio e di Cristo rimaniamo sempre ad un autodidattismo superficiale che sfiora a volte la più completa ignoranza di ciò che è specifico, accontentandoci di barlumi ed emotività soggettive. Un giorno Gesù ce lo ha rinfacciato: “Se tu conoscessi il dono di Dio...”, saresti tu a corrermi dietro, cioè apprezzeresti ciò che io ti offro; e invece - è scritto nel profeta Geremia - “hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, dice il Signore, e si sono scavate cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua” (Ger 2,13). Solo uno studio serio - almeno quanto lo abbiamo fatto per la nostra professionalità - ci può dare consapevolezza e gioia della nostra fede. Va aggiunto: le mie pecore “mi seguono”. È un impegno vitale, pratico, morale l’essere discepoli del Signore. La Lettura oggi rievoca una delle prime celebrazioni eucaristiche di Paolo con la sua piccola comunità di Troade. Era il primo giorno della settimana e si erano riuniti “a spezzare il pane”. Il primo segno della sequela di Gesù è il radunarsi ogni domenica nella comunità cristiana, dove Gesù sta in mezzo ai suoi e li incontra. Ne verrà il richiamo e la forza per essere coerenti nella vita, “nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza” (Epist.), come viene suggerito a Timoteo.
Oggi nella Chiesa Italiana si celebra la Giornata di preghiera per le Vocazioni a consacrazione speciale: sacerdoti, missionari, religiose. Il Papa nel suo Messaggio esorta soprattutto i giovani a rischiare la vita su Cristo per servire il mondo in quello che riguarda il bisogno di eterno che c’è in ognuno di noi, cioè a divenire testimoni dell’amore divino che ci chiama a più alti destini. Senza paura di rischiare per Cristo. È un buon investimento. Ci accorgiamo in questi giorni quanto la nostra società civile manchi sempre più di sale evangelico: profeti e testimoni sono necessari tra le pieghe della nostra vita quotidiana se vogliamo che non si imbarbarisca ulteriormente. “Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”.
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MessaggioTitolo: sabato 5 maggio 2012   LECTIO - Pagina 11 EmptyLun Apr 30, 2012 11:12 pm

SABATO 5 MAGGIO 2012

SABATO DELLA IV SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi il mistero della Pasqua, perché, nati a nuova vita nel Battesimo, con la tua protezione possiamo portare molto frutto e giungere alla pienezza della gioia eterna.

Letture:
At 13,44-52 (Noi ci rivolgiamo ai pagani)
Sal 97 (Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio)
Gv 14,7-14 (Chi ha visto me, ha visto il Padre)

Chi ha visto me ha visto il Padre
Gesù Cristo sottolinea spesso la sua figliolanza con il Padre. Il richiamo alla paternità divina è un modo reale per dimostrare l’importanza della relazione tra noi esseri umani. Filippo, con la sua richiesta di voler vedere il Padre indica una fede reale ma che vuole essere sbrigativa. Vuole andare subito alla questione fondamentale. Gesù ha parlato tante volte del Padre; ecco allora contempliamolo e tutto si risolve. Non è così, la sua fede è sincera ma non completa. Nelle relazioni tutto è importante; Gesù Cristo come uomo, vuole condurci a Dio. Il rispetto di questa mediazione significa completare la fede in modo maturo. Per noi è un messaggio importante. I nostri comportamenti dovrebbero sempre rispecchiare questi sentimenti. Il rispetto altrui, non è solo adempiere un obbligo preciso! È un modo preciso ed inequivocabile di considerarci tutti fratelli e sorelle e tutti portatori di una realtà che non ci appartiene. Il messaggio di Gesù che troviamo nel Vangelo di oggi ha molti riferimenti. Possiamo applicarlo nelle nostre relazioni familiari; nei luoghi di lavoro ed anche nel nostro rapporto con Dio. La fede matura che ci è richiesta significa anche la mediazione della Chiesa che, con le sue debolezze umane, è portatrice anche lei di una realtà che non le appartiene. Guardiamo più in avanti, siamo consapevoli che tutti abbiamo bisogno della misericordia di Dio e sappiamo come interpretare il messaggio di Gesù tra noi, nel perdono, nella carità e nella misericordia.
“Verità” è un termine chiave. Per lo spirito profano evoca una formula, una teoria, una cosa dello spirito, insomma, e, soprattutto, qualche cosa che si possiede. Cristo rovescia questa concezione della “verità”, rifiutandola in quanto superficiale. Egli non dice: “Io ho”, ma “Io sono”: “Io sono la verità”. La verità è una persona, non una proposizione. Tutto il mondo cerca la verità, ma nei posti sbagliati, accontentandosi di qualche “ismo” o di qualche ideologia. Tutti gli “ismi”, però, passano presto di moda, come un temporale d’estate. Cercando la verità, noi cerchiamo la persona vera, cerchiamo il Padre e il Cristo che ne è la manifestazione concreta. Non si tratta di verità del Padre che il Figlio deve imparare per poi trasmettere. Cristo è la verità in se stesso. Ciò andava al di là dell’intelligenza degli apostoli. Filippo esprime la loro inquietudine con una richiesta precisa: “Signore, mostraci il Padre e basta”. Gli apostoli non riescono ad afferrare l’identità del Figlio e del Padre. Hanno appena saputo che stanno per lasciare Cristo e non sanno che andare presso il Padre significa restare con Gesù e rimanere sempre presso di lui nella terra promessa.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

Riflessione:
- Giovanni 14,7: Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Il testo del vangelo di oggi è la continuazione di quello di ieri. Tommaso aveva chiesto: “Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?”. Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita! Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Ed aggiunse: “Se conoscete me, conoscete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Questa è la prima frase del vangelo di oggi. Gesù parla sempre del Padre, perché era la vita del Padre che appariva in tutto ciò che diceva e faceva. Questo riferimento costante al Padre provoca la domanda di Filippo.
- Giovanni 14,8-11: Filippo chiede: “Mostraci il Padre e ci basta!”. Era il desiderio dei discepoli, il desiderio di molte persone delle comunità del Discepolo Amato ed è il desiderio di molta gente oggi: come fa la gente per vedere il Padre di cui tanto parla Gesù? La risposta di Gesù è molto bella ed è valida fino ad oggi: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto! Chi ha visto me ha visto il Padre!”. La gente non deve pensare che Dio è lontano da noi, distante e sconosciuto. Chi vuole sapere come e chi è Dio Padre, basta che guardi Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! “Il Padre è in me ed io sono nel Padre!”. Attraverso la sua obbedienza, Gesù si è identificato totalmente con il Padre. Lui faceva ogni momento ciò che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! Ed i segni o le opere sono le opere del Padre! Come dice la gente: “Il figlio è il volto del padre!”. Per questo in Gesù e per Gesù, Dio sta in mezzo a noi.
- Giovanni 14,12-14: Promessa di Gesù. Gesù fa una promessa per dire che la sua intimità con il Padre non è un privilegio solo suo, ma è possibile per tutti coloro che credono in lui. Anche noi, mediante Gesù, possiamo giungere a fare cose belle per gli altri come faceva Gesù per la gente del suo tempo. Lui intercede per noi. Tutto ciò che la gente chiede a lui, lui lo chiede al Padre e lo ottiene, sempre che sia per servire. Gesù è il nostro difensore. Se ne va ma non ci lascia senza difesa. Promette che chiederà al Padre e il Padre manderà un altro difensore o consolatore, lo Spirito Santo. Gesù giunse a dire che è necessario che lui vada via, perché altrimenti lo Spirito Santo non potrà venire (Gv 16,7). E lo Spirito Santo compirà le cose di Gesù in noi, se agiamo a nome di Gesù ed osserviamo il grande comandamento della pratica dell’amore.

Per un confronto personale
- Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Nella Bibbia la parola “conoscere una persona” non è solo una comprensione intellettuale, ma suppone anche una profonda esperienza della presenza della persona nella vita. Conosco io Gesù?
- Conosco il Padre?

Preghiera finale: Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio. Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia (Sal 97).
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