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VINCENZO

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MessaggioTitolo: sabato santo   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Apr 23, 2011 8:59 am

SABATO 23 APRILE 2011

SABATO SANTO


Non ci sono celebrazioni oggi: la Chiesa rivive il mistero della sepoltura di Gesù
Anche oggi non ci sono celebrazioni, se non la Liturgia delle Ore ai piedi della Croce insieme ai sacramenti della Penitenza e dell’Unzione degli infermi. Si può amministrare il Viatico ai moribondi. La Chiesa rivive il mistero della sepoltura di Gesù. Si celebra il riposo del Giusto nella speranza della risurrezione, e perciò merita un’attenzione particolare, specialmente nella preghiera che interrompe il silenzio, proprio di questo giorno, la cui discesa agli inferi, cioè nel regno della morte, ha il significato di richiamarci il valore universale della salvezza che si è manifestata a tutti gli uomini che hanno preceduto il Redentore. Gesù ha voluto condividere questo destino umano, al di là della morte, dato che la valenza della sua incarnazione comportava che egli vivesse fino in fondo la sua solidarietà con l’umanità, caduta nel peccato. Ma anche al di fuori del Sabato santo, noi pure possiamo partecipare a questo stato di morte in molte esperienze di vita cristiana: quando ci sentiamo abbandonati da tutti e più nulla ha senso; quando tutto intorno a noi crolla e ci manca un futuro; quando l’aridità interiore giunge perfino a farci dubitare dell’esistenza di Dio; allora dobbiamo essere sostenuti da una fede che crede nonostante tutto, come le donne che indugiano presso il sepolcro del loro amato Signore.
Il Sabato santo è il giorno più triste, ma, per me, il più coinvolgente. Il Sabato santo celebra il silenzio e l’attesa, fuori da ogni rito. L’attesa rischia di trasformarsi in vuoto, perché la croce del Sabato santo è una croce senza Cristo crocifisso. Dell’evento tragico è rimasto solo un segno di morte senza il morto. E tutto sembra, per noi, richiamare una vita che, mentre confessa il Dio presente, lo percepisce come il grande Assente.
In questo giorno, sarebbe sbagliato rivolgersi subito alla Risurrezione ormai alle porte: se non c’è una vera morte con la sua tomba abitata, non c’è nemmeno vera Risurrezione. Il Sabato siamo costretti a vivere al cospetto di Dio senza Dio, perché il Dio che scende nella nostra storia è un Dio debole, emarginato, impotente, messo a tacere e in croce, chiuso in un sepolcro e negli inferi.
La prima Lettera di Pietro ci dice che Gesù, una volta morto e sepolto, è andato negli inferi ad annunciare la salvezza ai condannati (1Pt 3,18-22). È il grande mistero del Sabato santo. Cristo ha abbracciato senza restrizione e senza sconti il tragico destino dell’uomo, e ha affrontato l’irreparabile della morte senza allontanarsi un attimo dalla fede nella vittoria ultima di Dio. Cristo è abbandonato da Dio, perché ‘inferi’ vuol dire assenza di Dio; è esiliato nel regno dei morti da cui non sale voce; è confinato all’estremo limite oltre il quale c’è la morte eterna, per ricondurre di lì ogni prigioniero.
Cristo affronta questo silenzio e questa assenza di Dio; spera contro ogni speranza e vince gli inferi come assenza di Dio. Ormai non esiste più un posto, nemmeno la morte e la tomba, dove l’uomo sia veramente solo, senza Dio.


Ultima modifica di VINCENZO il Sab Apr 23, 2011 9:02 am - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Apr 23, 2011 9:01 am

SABATO 23 APRILE 2011

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA


Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così S. Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti». Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo.

Letture:
Gen 1,1 - 2,2 (Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona)
Sal 103 (Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra)
Gen 22,1-18 (Il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede)
Sal 15 (Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio)
Es 14,15- 15,1 (Gli Israeliti camminarono sull’asciutto in mezzo al mare)
Sal: Es 15,1-7a.17-18 (Cantiamo al Signore: stupenda è la sua vittoria!)
Is 54,5-14 (Con affetto perenne il Signore, tuo redentore, ha avuto pietà di te)
Sal 29 (Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato)
Is 55,1-11 (Venite a me e vivrete; stabilirò per voi un’alleanza eterna)
Sal: Is 12,2-6 (Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza)
Bar 3,9-15.32 - 4,4 (Cammina allo splendore della luce del Signore)
Sal 18 (Signore, tu hai parole di vita eterna)
Ez 36,16-17a.18-28 (Vi aspergerò con acqua pura e vi darò un cuore nuovo)
Sal 41 (Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio)
Rm 6,3-11 (Cristo risorto dai morti non muore più)
Sal 117 (Alleluia, alleluia, alleluia)
Mt 28,1-10 (È risorto e vi precede in Galilea)

Sabato Santo: vita ritrovata
Gli ultras del derby: La Veglia Pasquale avrebbe sette letture, più l’epistola e il Vangelo. Generalmente se ne scelgono solo tre o quattro, altrimenti sarebbe troppo lunga. Non siamo abituati a reggere una celebrazione di questo tipo. Dobbiamo ammettere che è così, purtroppo: è troppo lunga PER NOI. Perché siamo duri, incapaci di ascoltare la sua parola, non realmente interessati alla risurrezione. Prendete i tifosi di calcio. Gente stupida e ignorante, dirà qualcuno. Gente focosa e simpatica, dirà qualcun altro. Gente che la domenica si ritrova fin dalla mattina per preparare cori, striscioni, coreografie, petardi, forse anche piani di battaglia con tifosi avversari e forze dell’ordine, e va avanti tutto il pomeriggio, finché il materiale viene portato allo stadio, controllato dal servizio di sicurezza, e una-due-tre ore prima della partita si entra a prendere il posto. Durante la partita si realizza tutto quello che è stato preparato: canti, esibizione di striscioni, esultanza, sfottò e anche pestaggi, se capita. Per una partita in notturna abbiamo quindi due ore circa di partita, qualche ora di attesa nello stadio e una giornata (forse una settimana) di preparazione. È davvero troppo lunga la veglia pasquale?
Ci interessa?: Cronometricamente no. Solo che ci interessa - temo, e spero di sbagliare - meno di quanto a un tifoso interessa la partita. Il tifoso vive per quell’appuntamento settimanale (che sia la domenica, come da noi, o il sabato, come negli altri paesi); ma noi viviamo per la celebrazione della Pasqua? Nella Passione Gesù affronta le domande fondamentali della nostra esistenza: ha senso vivere? Ha senso amare? Ha senso soffrire? Domande a cui il tifoso ultras dà una risposta grezza ma efficace: vivere è bello perché c’è un’ora alla settimana in cui soffri e gioisci con la tua squadra e con i tuoi compagni, e in quell’ora dimentichi tutto il resto, che magari è uno schifo.
È dura la vita: Non è una risposta diversa da quella che di fatto vivono tante persone: vivere è bello finché sei giovane e non hai responsabilità, vivere è bello se ti puoi divertire, vivere è bello se puoi goderti la vita, quando c’è la salute c’è tutto, ma te ne accorgi soltanto se la salute non ce l’hai, e quando arrivi a un certo punto è meglio farla finita, per non soffrire tu e non far soffrire gli altri.
Le letture della veglia pasquale ci fanno scoprire un’idea diversa della vita: un’esistenza bella in ogni suo aspetto, dalla prima all’ultima delle cose create (prima lettura); la possibilità di fidarsi di Dio, anche nell’ora della prova (il sacrificio di Isacco); Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù e lo guida alla Terra Promessa (terza lettura); Dio che offre il perdono al popolo adultero e peccatore (quarta lettura), che guida la storia con la potenza della sua parola (quinta lettura), che insegna la via della vita, e dona un cuore nuovo per camminare in essa (sesta e settima lettura).
Uomini nuovi: Nella notte pasquale veniamo strappati ad una vita a compartimenti stagni, un’infelicità continua, inframmezzata da rari momenti di divertimento o di evasione o di soddisfazione. Gesù ci offre una vita piena: dove ogni momento può e deve diventare dono, condivisione, offerta, ringraziamento, comunicazione, comunione, solidarietà... è la sua presenza di Risorto che anima la nostra esistenza. Qui cominciamo anche a capire il perché della Passione, che per noi resta incomprensibile e intollerabile: infatti noi non pretendiamo la salvezza. Ci accontenteremmo di molto meno: qualche momento sicuro di felicità; poter vivere intorpiditi nella comodità; al limite, di una “dolce morte”. Per tutto questo non ci serve un salvatore: ci basta un mago, un astrologo, un fattucchiero (o anche un medico-scienziato, tanto il risultato non cambia; o anche un santo - perché no? -, purché faccia il mago, e non pretenda di fare il santo). Soprattutto, non abbiamo nessun desiderio di uno che ci ricordi che siamo peccatori.
Il Risorto: Gesù invece viene per salvare la nostra vita; ma TUTTA la nostra vita, senza mettere da parte le sue fatiche e le sue sofferenze, senza dimenticare che siamo peccatori; e non ci salva per via magica: ci salva come uomini, facendosi uomo come noi, portando su di sé le nostre gioie, i nostri dolori, le nostre malattie; accettando le conseguenze del nostro peccato, e manifestandoci l’amore del Padre. “Non abbiate paura, voi!”... andate a dire ai suoi discepoli: “È risuscitato dai morti e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Il Gesù che accetta la sofferenza e la morte non ne rimane prigioniero, e ci invita a seguirlo, a muoverci, a compiere lo stesso passaggio. Questo è il segreto della nostra vita di cristiani, quel segreto che non riusciremo a capire per tutta la nostra vita, e che anche quest’anno rischiamo di festeggiare per abitudine, senza lasciarci trasformare.
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MessaggioTitolo: domenica di pasqua   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Apr 24, 2011 10:30 am

DOMENICA 24 APRILE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
DOMENICA DI PASQUA
RISURREZIONE DEL SIGNORE


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
At 10,34.37-43 (Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti)
Sal 117 (Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo)
Col 3,1-4 (Cercate le cose di lassù, dove è Cristo)
Gv 20,1-9 (Egli doveva risuscitare dai morti)

Risorto, risorti
“Voi sapete ciò che è accaduto”, …e “noi siamo testimoni”; è la sintesi dell’evento centrale della storia, della nostra storia. È l’evento che diventa per sublime eccellenza “il giorno che ha fatto il Signore”, per cui ci rallegriamo ed esultiamo. È la Pasqua, la nostra Pasqua. Per ognuno finalmente risorge la visione, la speranza e la ricerca delle “cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio”. Ci è chiara finalmente l’ultima mèta della nostra esistenza, la nostra vera patria. È il momento in cui sentiamo l’abbraccio di Dio, che ci accoglie come figli. Si rotola la pesante pietra dal sepolcro e si riaprono per noi le porte del Cielo. Gesù, l’uomo Dio, il Verbo che si è fatto carne, ha subito la crudele passione causata dal peccato del mondo, ma oggi vivo appare a Maria di Màgdala, la peccatrice redenta e già risorta, chiamata a rappresentarci come eredi della stessa sorte. Corrono al sepolcro Pietro e Giovanni, il sepolcro è vuoto, il peccato è stato redento, la morte ha subito una definitiva sconfitta: Cristo Signore è vivo, è risorto e noi con Lui. I due discepoli delusi e con loro tutti i titubanti di oggi e di ogni epoca, tutti coloro che non camminano con la chiesa, non hanno fatto esperienza dell’amore di Dio che rigenera, che privi della lampada della fede, vanno in senso contrario per sette miglia, hanno ormai la fondata speranza che il risorto si affianchi a loro, li illumini con la luce della parola rivelata, li convinca definitivamente nel gesto mirabile dello spezzare il pane. Il gesto del Risorto che la chiesa è chiamata a celebrare e testimoniare nei secoli: la chiesa che annuncia la verità di Dio, la chiesa che celebra il Risorto sugli altari del mondo e lo testimonia ovunque con la carità operosa e fattiva che sfama e racconta la risurrezione e la vita più di ogni altro discorso. Gesù ci chiede la fede nella sua risurrezione, ma vuole che i suoi siano portatori di vita e di risurrezione per ogni uomo: il cristiano risorto è e deve essere già da questa vita un cantore dell’amore di Dio, della sua infinita misericordia, un annunciatore di una festa perenne che si celebra in cielo e in terra per ogni ritorno, per ognuno che risorge, ogni volta che un figlio di Dio viene fuori dal sepolcro del suo peccato, esce dalla miseria, dall’abbandono, si sente amato soccorso e consolato e risorge con Cristo e con la schiera dei credenti. Per questo la Pasqua si celebra ininterrottamente, non dura un giorno: è si legata al tempo, ma è già entrata da quel primo radioso mattino nell’ambito dell’eternità. È il memoriale sempre vivo, sempre vero, eternamente efficace, da vivere ora nella speranza e come già posseduto nella fede.
Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti. “Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.

Approfondimento del Vangelo (La Risurrezione di Gesù)
Il testo: Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Una chiave di lettura: Leggiamo il testo di Gv 20,1-18 (quindi andiamo oltre il versetto 9), per comprendere meglio come l’evangelista, mediante la visita dei due discepoli al sepolcro vuoto e dell’apparizione di Gesù alla Maddalena, cerca di comunicare ai lettori e alle lettrici il significato della fede nella risurrezione. Durante la lettura facciamo attenzione ai minimi dettagli della narrazione del vangelo di Giovanni che ha una dimensione simbolica molto profonda.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Gv 20,1-3: l’esperienza sconcertante del sepolcro vuoto
- Gv 20,4-10: Pietro ed il Discepolo Amato vanno al sepolcro: il Discepolo Amato vide e credette
- Gv 20,11-18: Gesù appare per primo alla Maddalena e le conferisce un Ordine.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Cosa ti ha colpito in questo testo che descrive la prima esperienza della risurrezione?
- Il Discepolo Amato entrò, vide e credette. Ciò che vide è ciò che lo condusse a credere? Come mai il testo non racconta la reazione di Pietro, ma solo quella del Discepolo Amato?
- Che cambiamento avviene in Maria Maddalena lungo il dialogo? Come avvenne il cambiamento?
- Quale missione o Ordine riceve Maria Maddalena da Gesù risorto?
- Maria Maddalena cercava Gesù in un modo e lo incontra in un altro modo. Come avviene questo nella nostra vita?
- Vedere e credere. Il Discepolo Amato vide e credette. Cosa mi porta a credere che Gesù è vivo, che è presente in mezzo a noi, oggi, dando vita nuova ai poveri?
- Sei già passato/a per un’esperienza di perdita o di morte? Cosa ti ha dato nuova vita o ti ha ridato speranza ed allegria di vivere? Cosa affermo dentro di me quando dico: “Credo nella risurrezione”?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
1) Nel Vangelo di Giovanni, la fede nella risurrezione appare nella descrizione della passione e morte di Gesù:
- Nel descrivere la passione e la morte di Gesù, il vangelo di Giovanni desidera indicare non la condanna di un sovversivo politico, bensì l’ora di glorificazione del Figlio di Dio. Durante tutto il processo che lo porta alla morte, Gesù è il signore degli eventi, sia dei suoi, come di quelli dei suoi avversari. Per Giovanni, la croce è sinonimo di “elevazione”, ascesa verso l’alto, per essere insieme al Padre (Gv 3,14; 8,28; 12,32-34). È l’inizio della risurrezione che si manifesterà pienamente il primo giorno della settimana (Gv 20,1). Per questo, nel vangelo di Giovanni, non c’è agonia nell’Orto (Gv 18,1-2); nell’ora della prigione i soldati si spaventano quando Gesù afferma: “Sono io!” (Gv 18,6). Nell’ora della morte Gesù non grida come negli altri vangeli. Sereno, si accomiata dai suoi amici, da sua madre e poi spira (Gv 19,28-30).
- La narrazione della passione è un esempio ancor più concreto del fatto che Giovanni non narra semplicemente i fatti storici, ma li passa per i Raggi-X. Cerca di mostrare ciò che questi fatti nascondono: quando Pilato, Anna, le autorità giudaiche e romane cercarono di farla finita con la vita di Gesù, in realtà stavano permettendo che Gesù fosse elevato verso Dio. Dalla sua prigione, Gesù dirige gli eventi e dona la sua vita. “Offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10, 17-18). Tutti possono rimanere tranquilli e pieni di speranza, perché Gesù ha vinto ed è stato glorificato dal Padre (Gv 17,5).
2) Pietro ed il Discepolo Amato vanno al sepolcro vuoto (vv. 1-10):
- L’esperienza della risurrezione delle prime comunità fu un processo lungo, un’esperienza che crebbe lentamente come crescono gli alberi resistenti. All’inizio furono molti a non credere nella testimonianza di coloro che avevano sperimentato la presenza viva di Gesù (Mt 28,17; Mc 16, 11.13.14; Lc 24, 11.36.41; Gv 20,25). Ma l’esperienza della risurrezione vissuta ed espressa in forma di apparizioni, fu così forte, così profonda e così convincente che riuscì a vincere l’incredulità dell’essere umano dinanzi alla possibilità della vittoria della vita sulla morte.
- Le donne furono più fedeli degli uomini. Furono le prime a credere nella Buona Novella della risurrezione (Mt 28,9-10; Mc 16,9-10; Lc 24, 4-11; Gv 20, 11-18). Dinanzi alla notizia della Maddalena che vede il sepolcro vuoto, Pietro ed il Discepolo Amato si recano al sepolcro. Il vangelo riporta la strana notizia secondo cui “l’altro discepolo” correva più rapidamente di Pietro e giunse per primo al sepolcro, ma non entrò. Guardò solo dentro e vide le bende per terra. Dopo essere entrato vide anche il sudario piegato, da una parte. Ed il vangelo dice: “Vide e credette!” Ma nulla ci dice come fu la reazione di Pietro che era entrato per primo nel sepolcro vuoto. Ed alla fine, il vangelo aggiunge questa frase: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” (Gv 20,9). Ciò significa che l’Antico Testamento da solo non comunica la comprensione totale di ciò che contiene. La luce per capire il vero senso dell’Antico Testamento si vede nel preciso momento in cui il Discepolo Amato “vide e credette”. La sua esperienza della risurrezione fu come una luce che entrò negli occhi dei discepoli e delle discepole e svelò loro il senso totale e pieno dell’A.T. Ed è la luce negli occhi che libera il senso delle parole dell’Antico Testamento.
- Un paragone per capire il mutamento. In un circolo di amici, uno mostrò una foto dove si vedeva un uomo con un volto severo, con il dito alzato, quasi aggredendo il pubblico. Tutti pensarono che si trattasse di una persona inflessibile, antipatica, che non lasciava spazio all’intimità. In quel momento giunse un ragazzo e disse: “È mio padre!” Gli altri lo guardarono e dissero: “Un padre severo, eh!” E lui rispose: “No, no e no! È molto affettuoso. Mio padre è avvocato. Quella fotografia è stata scattata nel tribunale, nel momento in cui denunciava un crimine di un latifondista che voleva espropriare ad una famiglia povera un terreno incolto e che aveva da vari anni! Mio padre vinse la causa. I poveri non furono spogliati di questo bene!” Tutti guardarono di nuovo e dissero: “Che bella foto!” Quasi per un miracolo, la foto si illuminò ed assunse un aspetto nuovo. Quel volto così severo si ricoprì di una grande tenerezza! Le parole del figlio cambiarono tutto, senza cambiare nulla! Le parole ed i gesti di Gesù, nati dalla sua esperienza di figlio, accolto e risorto dal Padre, senza cambiare una lettera o una virgola, cambiarono tutto il senso dell’Antico Testamento (Mt 5,17-18). Lo stesso Dio, che sembrava così distante e severo, assunse i tratti di un Padre buono, pieno di tenerezza!
3) L’apparizione di Gesù a Maria Maddalena
- Maria Maddalena fu una delle poche persone che ebbero il coraggio di rimanere con Gesù fino all’ora della sua morte in croce. Ritorna al sepolcro per stare nel luogo dove aveva incontrato l’Amato per l’ultima volta. Lei cerca il Gesù con cui aveva vissuto durante tre anni. I discepoli di Emmaus vedranno Gesù, ma non lo riconosceranno (Lc 24,15-16). La stessa cosa avviene con Maria Maddalena. Lei vede Gesù, ma non lo riconosce. Pensa che sia il giardiniere. Ma lei cerca il Gesù del passato, lo stesso di tre giorni prima. L’immagine di Gesù del passato le impedisce riconoscere il Gesù vivo, presente dinanzi a lei.
- Gesù pronuncia il nome “Maria!”. Fu il segnale di riconoscimento: la stessa voce, la stessa maniera di pronunciare il nome. Lei risponde: “Maestro!” Gesù era ritornato, ed era lo stesso Gesù che era morto in croce La prima impressione è che la morte fu appena un incidente doloroso del percorso, e che ora tutto ritorna ad essere come prima. Maria abbraccia Gesù con forza. Era lo stesso Gesù che lei aveva conosciuto ed amato.
- Infatti, è lo stesso Gesù, ma il modo di stare insieme a lei non è lo stesso. Gesù le dice: “Non mi trattenere, perché ancora non sono salito al Padre!” Lui andrà dove è il Padre. Maria Maddalena deve lasciare Gesù ed assumere la sua missione: annunciare ai fratelli che lui, Gesù, è salito al Padre. Gesù aprì il cammino per noi e fece come se Dio stesse, di nuovo, vicino a noi.
- Nel modo di descrivere l’apparizione di Gesù a Maria Maddalena scorgiamo le tappe del cammino che lei deve percorrere, dalla ricerca dolorosa fino al nuovo incontro della Pasqua. E queste sono anche le tappe per cui passiamo noi tutti, lungo la vita, alla ricerca di Dio e nel vissuto del Vangelo.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
DOMENICA DI PASQUA “NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE”


Letture:
At 1,1-8a
Sal 117
1Cor 15,3-10a
Gv 20,11-18

Ho visto il Signore
“Non è gran cosa - scrive sant’Agostino - credere che Gesù è morto; questo lo credono anche i pagani. Tutti lo credono. La cosa veramente straordinaria è credere che egli è risorto. La fede dei cristiani sta nella risurrezione di Cristo!”. Diceva già san Paolo: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (Cor 15,19-20). Siamo di fronte al fatto più decisivo della storia: un uomo è venuto dall’aldilà; se fosse vero, cambia la vita!
Il fatto: E vero lo è, perché vi sta una precisa documentazione. Le donne trovano la tomba vuota; Maddalena lo incontra in un clima di rapporto umano tanto personale. Gli evangelisti non avrebbero portato la testimonianza delle donne se non fosse stata più che certa. Pietro, entrato nel sepolcro vuoto, “osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” (Gv 20, 6-7). Non sarebbero rimasti così se il corpo di Gesù fosse stato rubato. L’angelo dice: è risorto! Se Gesù è risorto, lo si può incontrare. Da qui le apparizioni: “Si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (Lett.). Paolo ne fa un elenco, quale documento già pacifico entro la Comunità cristiana: “A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (Epist.). È la testimonianza di quel Paolo, cambiato da persecutore in apostolo proprio da un “violento” incontro faccia a faccia sulla strada di Damasco con questo Gesù vivo e potente! Pietro e Giovanni imprigionati, percossi e processati, con molto coraggio dichiarano: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Pronti a dare la vita, per “ciò che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono” (1Gv 1,1). “Noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10,41). Del resto, più scettico di Tommaso: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò” (Gv 20,25). Un fatto quindi, questo della risurrezione, che s’è imposto oltre ogni verifica! D’altra parte Gesù ha dichiarato: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). È questa sua presenza viva e sperimentata nella Chiesa che ci conferma che Lui è vivo, attivo e operante, oggi ancora salvatore e guida della sua comunità. Risorto con il corpo, il suo corpo: Tommaso, che aveva dubbi, l’ha riconosciuto. Gesù appare nel Cenacolo e mangia: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi” (Lc 24,38-40). Con l’ascensione, un corpo è esaltato alla destra di Dio! Come sarà il nostro corpo risorto? Come quello di Gesù: avrà la sua stessa glorificazione, ed.. eternità!
La fede: Con il termine risurrezione si vuol affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto; con il termine esaltazione si celebra la gloria divina di Cristo risorto. Era Dio, s’è fatto uomo fino alla morte; ora ritorna in Dio portando con sé l’umanità che ha assunto. Per Gesù la risurrezione segna la sua accreditazione. Egli allora è il vero Inviato (Messia) di Dio, perché il Padre lo ha risuscitato: prova per la sua missione e quindi anche segno della sua divinità. È il sigillo di Dio sull’opera di questo profeta. Non è un inventore di religione come gli altri. Tutti sono morti. Lui è l’unico risorto e vivo, come aveva promesso! Nelle apparizioni non lo riconoscono subito, se non nella fede (Maria! - a Emmaus allo spezzare del pane - Giovanni: vide e credette!). Non è sufficiente la documentazione storica, occorre la fede, che è il modo di vedere e capire che nasce dall’amore e si fonda sulla Parola di Dio (ai discepoli di Emmaus Gesù spiega la sua morte alla luce delle Scritture). In questo senso è allora “visibile” anche oggi: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). La fede non è fantasia: Gesù insiste nel mangiare, e dice a Tommaso di toccare. Non si tratta di illusioni soggettive, ma prove oggettive; trascendenti ma reali, così reali che cambiano la vita ai discepoli. La prova storica più irrefutabile della risurrezione è proprio questo capovolgimento dei discepoli: da gente spaventata e delusa durante la passione sono poi diventati missionari intrepidi. È un fatto non altrimenti spiegabile se non con un evento certo e forte che ha toccato la loro vita. Questo è anche il contenuto della nostra fede. Gesù è fatto “Signore”, perché signore della signora della storia che è la morte: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1Cor 15,17). Noi siamo cristiani perché ci fidiamo di Cristo, perché vediamo in lui l’uomo riuscito, il nostro salvatore. In quanto inizio della umanità nuova, “primizia di coloro che sono morti”, in lui leggiamo il nostro destino, cioè uno sbocco diverso alla inevitabile corsa verso la morte. “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Con l’uomo si rinnova anche il cosmo: “La creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi, … nella speranza che anch’essa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 8,21-22). Nasce quindi il vero “materialismo” cristiano. L’unico.
Speranza ma anche garanzia: oggi occorre credere e connettersi a Cristo vivo col battesimo, aiutati dalla signoria dello Spirito che cresce con la vita di grazia, nutrita dall’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). La sera di Pasqua Gesù ha promesso il suo Spirito, il suo modo discreto ma efficace di sussidiare oggi la nostra fragile libertà. “Lasciarsi fare” dallo Spirito è il modo proprio di crescere da figli di Dio! Si tratta di vivere nella Chiesa, anticipo nel tempo della famiglia di Dio che sfocerà in Casa Trinità.
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MessaggioTitolo: sabato 30 aprile 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Apr 30, 2011 8:51 am

SABATO 30 APRILE 2011

SABATO FRA L’OTTAVA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Padre, che nella tua immensa bontà estendi a tutti i popoli il dono della fede, guarda i tuoi figli di elezione, perché coloro che sono rinati nel Battesimo ricevano la veste candida della vita immortale.

Letture:
At 4,13-21 (Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato)
Sal 117 (Ti rendo grazie, Signore, perché mi hai risposto)
Mc 16,9-15 (Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo)

Andate il tutto il mondo
L’evangelista Marco, con il suo stile essenziale e stringato, riassume in poche righe diversi episodi riguardanti le apparizioni di Gesù dopo la sua gloriosa risurrezione. Pone l’accento sulle diverse testimonianze che sgorgano da quelle visioni del Risorto, in particolare quella di Maria di Màgdala e quella dei due discepoli di Emmaus e soprattutto sulla incredulità e sulla perplessità degli apostoli. Riferisce alla fine l’apparizione agli Undici; Gesù siede a mensa con loro, ma li rimprovera per l’incredulità e la durezza di cuore. Incredulità e durezza di cuore sono gli ostacoli più forti e ricorrenti all’accoglienza della verità, offuscano anche la fede e generano una specie di ottusità dello spirito. Sant’Agostino però proprio da questi atteggiamenti sa trarne un grande motivo di conforto per noi: egli argomenta che proprio in virtù di quelle resistenze la nostra fede trova la migliore conferma. Gesù con le sue reiterate apparizioni vuole confermare i suoi nella fede, dare loro la certezza della suo risurrezione perché poi dovrà affidare a loro il mandato di esserne gli annunciatori e i testimoni. «Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura». Appare chiaro che quella fede dovrà irradiare il mondo intero e i veicoli saranno gli apostoli e i loro successori in prima persona e con loro tutti i credenti. La santa pasqua ravviva in tutti noi l’impegno di credere in Cristo, nella sua opera redentrice, nella sua risurrezione e nel frattempo vuole che rinnoviamo i nostri impegni battesimali con i quali gli abbiamo promesso fedeltà e fattiva testimonianza. Riguarda tutti noi il mandato missionario e la crescita del regno di Dio dipende da tutti e da ognuno.
Il Vangelo di san Marco termina con una catechesi sulla fiducia che meritano gli undici apostoli, la cui testimonianza è il fondamento della fede della Chiesa: Gesù stesso li ha chiamati per andare dalla Galilea a Gerusalemme. Dopo il Venerdì santo, delusi e senza speranza, restano in città. Maria di Magdala che - secondo questo racconto, che fa fede - è stata la prima alla quale il Signore è apparso, spiega loro di che cosa l’ha incaricata il Cristo risuscitato. I due discepoli che il Signore accompagna lungo il cammino verso Emmaus rientrano a Gerusalemme. Tuttavia, essi non li ascoltano, né credono loro. Né la testimonianza della donna, né quella dei due discepoli fa uscire gli apostoli dalla loro afflizione e dai loro lamenti. È soltanto quando Gesù stesso è vicino a loro e rimprovera loro la mancanza di fiducia nella parola dei suoi testimoni, che i loro cuori e i loro occhi si aprono. Vedendolo, capiscono che il vangelo di Dio che Gesù aveva predicato, e che diventa la loro missione, ha un avvenire senza fine. Capiscono che la loro missione comprende “il mondo intero” e “la creazione intera”, tutta la comunità dei viventi.

Lettura del Vangelo: Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi fa parte di una unità letteraria più ampia (Mc 16,9-20) che ci mette dinanzi la lista o il riassunto di diverse apparizioni di Gesù: (a) Gesù appare a Maria Maddalena, ma i discepoli non accettano la sua testimonianza (Mc 16,9-11); (b) Gesù appare ai discepoli, ma gli altri non accettano la loro testimonianza (Mc 16,12-13); (c) Gesù appare agli Undici, critica la mancanza di fede e ordina di annunciare la Buona Novella a tutti (Mc 16,14-18); (d) Gesù ascende al cielo e continua a cooperare con i discepoli (Mc 16,19-20).
- Oltre a questa lista di apparizioni del vangelo di Marco, ci sono altre liste di apparizioni che non sempre coincidono tra di loro. Per esempio, la lista conservata da Paolo nella lettera ai Corinzi è molto differente (1Cor 15,3-8). Questa varietà mostra che all’inizio, i cristiani, non si preoccupano di provare la risurrezione per mezzo di apparizioni. Per loro la fede nella risurrezione era così evidente e viva che non c’era bisogno di prove. Una persona che prende il sole sulla spiaggia non si preoccupa di dimostrare che il sole esiste, perché lei stessa abbronzata è la prova evidente dell’esistenza del sole. Le comunità, con il loro esistere in mezzo all’impero immenso, erano una prova viva della risurrezione. Le liste delle apparizioni cominciano a spuntare più tardi, nella seconda generazione per ribattere le critiche degli avversari.
- Marco 16,9-11: Gesù appare a Maria Maddalena, ma gli altri discepoli non le credettero. Gesù appare prima a Maria Maddalena. Lei va ad annunciarlo agli altri. Per venire al mondo, Dio volle dipendere dal seno di una giovane di 15 o 16 anni, chiamata Maria, di Nazaret (Lc 1,38). Per essere riconosciuto vivo in mezzo a noi, volle dipendere dall’annuncio di una donna che era stata liberata da sette demoni, anche lei chiamata Maria, di Magdala! (Per questo era chiamata Maria Maddalena). Ma gli altri non credettero in lei. Marco dice che Gesù apparve prima a Maddalena. Nell’elenco delle apparizioni, trasmesso nella lettera ai Corinzi (1Cor 15,3-8), non vengono riportate le apparizioni di Gesù alle donne. I primi cristiani avevano difficoltà a credere nella testimonianza delle donne. È un peccato!
- Marco 16,12-13: Gesù appare ai discepoli, ma gli altri non credettero a loro. Senza molti dettagli, Marco si riferisce ad un’apparizione di Gesù a due discepoli, “mentre erano in cammino verso la campagna”. Si tratta, probabilmente, di un riassunto dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus, narrata da Luca (Lc 24,13-35). Marco insiste nel dire che “gli altri non cedettero nemmeno a loro”.
- Marco 16,14-15: Gesù critica l’incredulità e ordina di annunciare la Buona Novella a tutte le creature. Per questo, Gesù appare agli undici discepoli e li riprende perché non hanno creduto alle persone che lo avevano visto risorto. Di nuovo, Marco si riferisce alla resistenza dei discepoli nel credere nella testimonianza di coloro che hanno sperimentato la risurrezione di Gesù. Perché? Probabilmente per insegnare tre cose. In primo luogo che la fede in Gesù passa attraverso la fede nelle persone che ne danno testimonianza. In secondo luogo, che nessuno si deve scoraggiare, quando il dubbio o l’incredulità nascono nel cuore. In terzo luogo, per ribattere le critiche di coloro che dicevano che il cristiano è ingenuo e accetta senza critica qualsiasi notizia, poiché gli undici ebbero molta difficoltà ad accettare la verità della risurrezione!
- Il vangelo di oggi termina con l’invio: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura!”. Gesù conferisce loro la missione di annunciare la Buona Novella ad ogni creatura.

Per un confronto personale:
- Maria Maddalena, i due discepoli di Emmaus e gli undici discepoli: chi di loro ebbe maggiore difficoltà nel credere alla risurrezione? Perché? Con chi di loro mi identifico?
- Quali sono i segnali che più convincono le persone della presenza di Gesù in mezzo a noi?

Preghiera finale: Giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero (Sal 144).
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MessaggioTitolo: domenica 1° maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Mag 01, 2011 10:09 am

DOMENICA 1° MAGGIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
II DOMENICA DI PASQUA
O DELLA DIVINA MISERICORDIA


Orazione iniziale: O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, allontanate le nostre paure e le nostre indecisioni, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria.

Letture:
At 2,42-47 (Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune)
Sal 117 (Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre)
1Pt 1,3-9 (Ci ha rigenerati per una speranza viva, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti)
Gv 20,19-31 (Otto giorni dopo venne Gesù)

Signore mio e Dio mio
È il primo giorno della settimana – il terzo dopo il venerdì - ; accade in quel giorno qualcosa di eccezionale, non previsto, inaspettato: il sepolcro è vuoto e il Cristo appare; si presenta in carne ed ossa prima a Pietro e alle donne e poi più tardi ai Discepoli. L’avvenimento storico della resurrezione, che va al di là di ogni immaginazione, diventa constatabile attraverso la narrazione di questi incontri in cui Cristo Risorto nel suo aspetto corporeo condivide i pani e i pesci, parla, si fa toccare, ma nella sua corporeità non è definito dal contesto spazio temporale. È il giorno in cui normalmente i giudei si incontrano, ed anche i cristiani mantengono questa usanza per pregare, per stare insieme…, hanno un po’ timore, si radunano a porte chiuse, forse si stanno raccontando quanto è accaduto la mattina; Maria di Màgdala ha incontrato Gesù e lo ha scambiato per il giardiniere; Pietro dopo che per tre volte Gesù gli domanda: “Mi ami tu?” si sente affidato il compito speciale di “pascere il gregge”, la Chiesa. All’improvviso, nonostante le porte chiuse, entra Gesù, e dice: “pace a voi! . Anche loro diventano quei pochi che possono incontrarlo, a cui Gesù stesso dà l’incarico, la missione di portare la pace al mondo, sostenuti e accompagnati dal dono dello Spirito Santo perché la Parola e l’incontro con Gesù da loro vissuto diventi testimoniato a tutto il mondo ed esperienza di perdono. Tommaso non era presente all’incontro di quel primo giorno della settimana e i suoi amici raccontano anche a lui quanto accaduto. Tommaso fa fatica a credere che sia vero, ha dubbi… come si fa ad immaginare una cosa così straordinaria; è così inconcepibile; nessuno risorge dai morti. Eppure anche i discepoli, i suoi amici, raccontano di averlo incontrato, hanno guardato le sue mani e il suo costato. Gli chiedono di dar credito a quanto gli stanno testimoniando; gli chiedono di avere fede. Ma Tommaso non ce la fa; e scommette: “ Se non metto la mia mano nel suo fianco e il dito nel segno dei chiodi, non ci credo”… Otto giorni dopo, sempre a porte chiuse, appare di nuovo al gruppo di discepoli che si radunano e questa volta Tommaso è presente: è Cristo stesso Risorto che chiede a Tommaso di toccare, di mettere le mani nelle sue ferite. Nella sua Carne Gesù si fa incontro a Tommaso e il discepolo dubbioso non solo lo riconosce ma attesta la radicalità del suo legame con Lui affermando con impeto: “Mio Signore e Mio Dio”. In fondo Tommaso rappresenta, come ciascuno di noi di fronte alla Morte e alla Resurrezione di Cristo - avvenimento totalmente nuovo, impensabile per il pensiero umano e fondamento della fede cristiana – sia interpellato nella libertà di scegliere se riconoscere l’Amore che Dio ha per noi e in cui siamo immersi da sempre e per l’eternità senza averne paura. Giovanni Paolo II di cui celebriamo proprio oggi la beatificazione è stato un grande testimone di come il riconoscere la Misericordia di Dio Padre permetta a ciascuno di noi di vivere appieno la propria umanità.
Dopo la morte di Cristo, gli apostoli rimasero soli. Ebbero paura al punto di rinchiudersi per il timore delle persone malevoli. Avevano vissuto tre lunghi anni con il Maestro, ma non l’avevano capito, al punto che Cristo dovette rimproverarli seriamente (Lc 24,25). Non l’avevano capito perché il loro modo di pensare restava troppo terra terra. Vedendo Cristo impotente e senza coscienza sulla sua croce, essi avevano gettato tutt’intorno sguardi impauriti, dimenticando ciò che era stato detto loro: “Vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22). Ed ancora: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). I discepoli si rallegrarono al vedere Cristo, furono rassicurati dalle sue parole: “Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo!”. Ma essi dovettero attendere la Pentecoste perché lo Spirito Santo venisse a purificare i loro spiriti e i loro cuori, a dare loro il coraggio di proclamare la gloria di Dio, di portare la buona novella agli stranieri e di infondere coraggio ai loro seguaci. Dio si è riavvicinato agli uomini ed essi si sono rimessi nelle sue mani, per mezzo di Cristo e dello Spirito Santo. Concedendo agli apostoli il potere di rimettere i peccati, Cristo ha detto loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). Come Cristo ha fatto con gli apostoli, così il vescovo, imponendo le mani ai sacerdoti che vengono ordinati, trasmette oggi il potere dello Spirito Santo, che permette loro di dispensare i sacramenti e, attraverso di essi, di assolvere i peccati. Ogni sacramento, non solo evoca il ricordo di Cristo, ma è Cristo in persona, che agisce immediatamente per salvare l’uomo. Nel dispensare i sacramenti, la Chiesa si mette in un certo senso ai piedi della croce per portare la salvezza ai credenti. Come potrebbe quindi dimenticare la fonte dalla quale scaturiscono le grazie di salvezza che sgorgano dalle sue mani? Dio realizzerà il suo più grande desiderio, renderà l’uomo felice se egli lo vorrà, se risponderà “sì” al Padre che gli offre la gioia, a Cristo che gli porta la salvezza, allo Spirito Santo che gli serve da guida. Dio non impone il suo amore agli uomini. Egli attende che l’uomo stesso faccia un passo in avanti. Dio salva chi si apre a lui per mezzo della fede, della speranza e dell’amore. Dio si avvicina, e anche l’uomo deve avvicinarsi a lui. Allora Dio e l’uomo si incontrano sullo stesso cammino, in Cristo, nella sua Chiesa. Cristo non è solo uomo, né solo Dio. È Dio e uomo allo stesso tempo; grazie a questa duplice natura, egli è come un ponte teso tra l’umanità e Dio. Questo ponte sarebbe rimasto deserto - né gli uomini né Dio vi avrebbero messo piede - se la causa della discordia e della separazione - il peccato - non fosse stata soppressa. Il sacrificio offerto a Dio da Cristo ha cancellato le colpe passate, presenti e future. “Egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,27). Da allora gli uomini possono “per mezzo di lui accostarsi a Dio” fiduciosi del fatto che “egli resta sempre” (Eb 7,25). Così, per la sua natura prodigiosa e il suo sacrificio completo, Cristo è il solo Intercessore e Sacerdote Supremo. In Cristo, gli uomini ritornano al Padre. In Cristo il Padre rivela agli uomini l’amore che egli porta loro. È sempre più facile avvicinarsi a Dio prendendo la mano caritatevole che il Padre tende all’uomo per aiutarlo a seguire Cristo, nostro Redentore. Tale è il senso del salmo che evoca l’uomo miserabile il cui grido giunse fino agli orecchi del Signore, e che fu liberato dai suoi mali.

Approfondimento del Vangelo (L’apparizione di Gesù e il dono dello Spirito Santo ai discepoli)
Il testo: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Chiave di lettura: Siamo nel cosiddetto “libro della risurrezione” ove sono narrati, senza una continuità logica, diversi episodi che riguardano il Cristo risorto e i fatti che lo provano. Questi fatti sono collocati, nel IV vangelo, nella mattina (20,1-18) e nella sera del primo giorno dopo il sabato e otto giorni dopo, nello stesso luogo e giorno della settimana. Ci troviamo di fronte all’evento più importante della storia dell’umanità, un evento che ci interpella personalmente. “Se Cristo non è risorto è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede... e voi siete ancora nei vostri peccati” (1Cor 15,14.17) dice l’apostolo Paolo che non aveva conosciuto Gesù prima della sua Risurrezione, ma che lo predicava con tutta la sua vita, pieno di zelo. Gesù è l’inviato del Padre. Egli invia anche noi. La disponibilità ad “andare” proviene dalla profondità della fede che abbiamo nel Risorto. Siamo pronti ad accettare il Suo “mandato” e a dare la vita per il suo Regno? Questo brano non riguarda solo la fede di coloro che non hanno visto (testimonianza di Tommaso), ma anche la missione affidata da Cristo alla Chiesa.

Una possibile divisione del testo per facilitare la lettura:
- Gv 20,19-20: apparizione ai discepoli e ostensione delle ferite
- Gv 20,21-23: dono dello Spirito per la missione
- Gv 20,24-26: apparizione particolare per Tommaso, otto giorni dopo
- Gv 20,27-29: dialogo con Tommaso
- Gv 20,30-31: lo scopo del Vangelo secondo Giovanni

Un momento di silenzio per far depositare la Parola nel nostro cuore.

Alcune domande per aiutare la meditazione: Chi o cosa ha suscitato il mio interesse e la mia meraviglia nella lettura che ho fatto? È possibile che ci siano alcuni che si professano cristiani, ma non credano nella Risurrezione di Gesù? È così importante crederci? Cosa cambia se noi ci fermiamo solo al suo insegnamento e alla sua testimonianza di vita? Che significato ha per me il dono dello Spirito per la missione? Come continua, dopo la Risurrezione, la missione di Gesù nel mondo? Qual è il contenuto dell’annuncio missionario? Che valore ha per me la testimonianza di Tommaso? Quali sono, se ne ho, i dubbi della mia fede? Come li affronto e progredisco? So esprimere le ragioni della mia fede?

Commento:
- La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato: i discepoli stanno vivendo un giorno straordinario. Il giorno dopo il sabato, nel momento in cui viene scritto il IV vangelo, è già per la comunità “il giorno del Signore” (Ap 1,10), Dies Domini (domenica) e ha più importanza della tradizione del sabato per i Giudei.
- Mentre erano chiuse le porte: un particolare per indicare che il corpo di Gesù risorto, pur essendo riconoscibile, non è soggetto alle leggi ordinarie della vita umana.
- Pace a voi: non è un augurio, ma la pace che aveva promesso quando erano afflitti per la sua dipartita (Gv14,27; 2Tes3,16; Rom5,3), la pace messianica, il compimento delle promesse di Dio, la liberazione da ogni paura, la vittoria sul peccato e sulla morte, la riconciliazione con Dio, frutto della sua passione, dono gratuito di Dio. Viene ripetuto tre volte in questo brano, come anche l’introduzione (20,19) viene ripetuta più avanti (20,26) in modo identico.
- Mostrò loro le mani e il costato: Gesù fornisce le prove evidenti e tangibili che è colui che è stato crocifisso. Solo Giovanni ricorda il particolare della ferita al costato inferta dalla lancia di un soldato romano, mentre Luca evidenzia la ferita ai piedi (Lc 24,39). Nel mostrare le ferite Gesù vuole anche evidenziare che la pace che lui dà viene dalla croce (2Tim2,1-13). Fanno parte della sua identità di risorto (Ap 5,6).
- E i discepoli gioirono al vedere il Signore: È la stessa gioia che esprime il profeta Isaia nel descrivere il banchetto divino (Is 25,8-9), la gioia escatologica, che aveva preannunciata nei discorsi di addio, che nessuno potrà mai togliere (Gv 16,22; 20,27; cfr. anche Lc 24,39-40; Mt 28,8; Lc 24,41).
- Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi: Gesù è il primo missionario, “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Ap 3,1). Dopo l’esperienza della croce e della resurrezione si attualizza la preghiera di Gesù al Padre (Gv 13,20; 17,18; 21,15,17).Non si tratta di una nuova missione, ma della stessa missione di Gesù che si estende a coloro che sono suoi discepoli, legati a lui come il tralcio alla vite (15,9), così anche alla sua chiesa (Mt 28,18-20; Mc 16,15-18; Lc 24,47-49). Il Figlio eterno di Dio è stato inviato perché “il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17) e tutta la sua esistenza terrena, di piena identificazione con la volontà salvifica del Padre, è una costante manifestazione di quella volontà divina che tutti si salvino. Questo progetto storico lo lascia in consegna ed eredità a tutta la Chiesa e, in maniera particolare, all’interno di essa, ai ministri ordinati.
- Alitò su di loro: il gesto ricorda il soffio di Dio che da la vita all’uomo (Gn 2,7), non si incontra altrove nel Nuovo Testamento. Segna l’inizio di una creazione nuova.
- Ricevete lo Spirito Santo: dopo che Gesù è stato glorificato viene dato lo Spirito Santo (Gv 7,39). Qui si tratta della trasmissione dello Spirito per una missione particolare, mentre la Pentecoste (At 2) è la discesa dello Spirito su tutto il popolo di Dio.
- A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi: il potere di perdonare o non perdonare (rimettere) i peccati si trova anche in Matteo in forma più giuridica (Mt 16,19; 18,18). È Dio che ha il potere di rimettere i peccati, secondo gli Scribi e i Farisei (Mc 2,7), come da tradizione (Is 43,25). Gesù ha questo potere (Lc 5,24) e lo trasmette alla sua Chiesa. Conviene non proiettare su questo testo, nella meditazione, lo sviluppo teologico della tradizione ecclesiale e le controversie teologiche che ne seguono. Nel IV Vangelo l’espressione si può considerare in modo ampio. Si indica il potere di rimettere i peccati nella Chiesa, come comunità di salvezza, di cui sono particolarmente muniti coloro che partecipano per successione e missione al carisma apostolico. In questo potere generale è incluso anche il potere di rimettere i peccati dopo il battesimo, quello che noi chiamiamo “sacramento della riconciliazione” espresso in diverse forme nel corso della storia della Chiesa.
- Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo: Tommaso è uno dei protagonisti del IV vangelo, si mette in evidenza il suo carattere dubbioso e facile allo scoraggiamento (11,16; 14,5); “uno dei dodici” è ormai una frase stereotipa (6,71), perché in realtà erano undici. “Didimo” vuol dire “gemello”, noi potremmo essere “gemelli” suoi per la difficoltà a credere in Gesù, Figlio di Dio, morto e risorto.
- Abbiamo visto il Signore! Già Andrea, Giovanni e Filippo, trovato il Messia, erano corsi ad annunciarlo ad altri (Gv 1,41-45). Ora è l’annuncio ufficiale da parte dei testimoni oculari (Gv 20.18).
- Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò: Tommaso non riesce a credere attraverso i testimoni oculari. Vuole fare lui l’esperienza. Il IV vangelo è conscio della difficoltà di chiunque a credere nella Risurrezione (Lc 24, 34-40; Mc 16,11; 1Cor 15,5-8), specialmente poi di coloro che non hanno visto il Risorto. Tommaso è il loro (e nostro) interprete. Egli è disposto a credere, ma vuole risolvere di persona ogni dubbio, per il timore di uno sbaglio. Gesù non vede in Tommaso uno scettico indifferente, ma un uomo in cerca della verità e lo accontenta pienamente. È comunque l’occasione per lanciare l’apprezzamento verso i credenti futuri (versetto 29).
- Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Gesù ripete le parole di Tommaso, entra in dialogo con lui, capisce i suoi dubbi e vuole aiutarlo. Gesù sa che Tommaso lo ama e ne ha compassione perché ancora non gode della pace che viene dalla fede. Lo aiuta a progredire nella fede. Per approfondire si possono confrontare i paralleli: 1Gv1-2; Sal 78,38; 103,13-14; Rom 5,20; 1Tim 1,14-16.
- Mio Signore e mio Dio! È la professione di fede nel Risorto e nella sua divinità come è proclamato anche all’inizio del vangelo di Giovanni (1,1). Nell’Antico Testamento “Signore” e “Dio” corrispondono rispettivamente a “Jahvé” e ad “Elohim” (Sal 35,23-24;Ap 4,11). È la professione di fede pasquale nella divinità di Gesù più esplicita e diretta. In ambiente giudaico acquistava ancora più valore in quanto si applicavano a Gesù i testi che riguardavano Dio. Gesù non corregge le parole di Tommaso come corresse quelle dei Giudei che lo accusavano di volersi fare “uguale a Dio” (Gv 5,18ss) approvando così il riconoscimento della sua divinità.
- Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! Gesù mal sopporta coloro che sono alla ricerca di segni e prodigi per credere (Gv 4,48) e sembra rimproverare Tommaso. Scorgiamo qui anche un passaggio verso una fede più autentica, un “cammino di perfezione” verso una fede cui si deve arrivare anche senza le pretese di Tommaso, la fede accolta come dono e atto di fiducia. Come quella esemplare degli antenati (Ap 11) e come quella di Maria (Lc 1,45). A noi che siamo più di duemila anni distanti dalla venuta di Gesù, vien detto che, benché non lo abbiamo veduto, lo possiamo amare e credendo in lui possiamo esultare “di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8).
- Questi (segni) sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Il IV vangelo, come gli altri, non ha lo scopo di scrivere la vita completa di Gesù, ma quello di dimostrare che Gesù era il Cristo, il Messia atteso, il Liberatore e che era Figlio di Dio. Credendo in Lui abbiamo la vita eterna. Se Gesù non è Dio vana è la nostra fede!

Orazione finale: Ti ringrazio Gesù, mio Signore e mio Dio, che mi hai amato e chiamato, reso degno di essere tuo discepolo, che mi hai dato lo Spirito, il mandato di annunciare e testimoniare la tua risurrezione, la misericordia del Padre, la salvezza e il perdono per tutti gli uomini e tutte le donne del mondo. Tu veramente sei la via, la verità e la vita, aurora senza tramonto, sole di giustizia e di pace. Fammi rimanere nel tuo amore, legato come tralcio alla vite, dammi la tua pace, così che possa superare le mie debolezze, affrontare i miei dubbi, rispondere alla tua chiamata e vivere pienamente la missione che mi hai affidato, lodandoti in eterno. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
II DOMENICA DI PASQUA
O DELLA DIVINA MISERICORDIA


Letture:
At 2,42-47
Sal 117
1Pt 1,3-9
Gv 20,19-31

Mio Signore e mio Dio
Il fatto della risurrezione di Gesù - certo anche sulla scorta dell’esperienza di Tommaso – garantisce la sua identità di Figlio di Dio e di nostro Salvatore. “Mio Signore e mio Dio” è l’espressione più alta della fede ecclesiale, cui siamo chiamati a giungere perché quel fatto divenga per noi fonte di nuova vita e nuovo destino. Scrive a conclusione del suo vangelo san Giovanni: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Se non tocco: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non credo”. Per noi moderni, abituati a demitizzare ogni cosa e a credere solo a ciò che si tocca e si misura, il dubbio di Tommaso e la sua verifica ci sono di sodo fondamento al nostro credere. Anche Paolo fu trasformato da persecutore in apostolo quando s’imbattè sulla via di Damasco in Gesù risorto e vivo. Ma Tommaso, e più Paolo, sono stati confortati dalla testimonianza molteplice della Chiesa. Gesù si mostra vivo - la domenica di Pasqua e quella successiva - alla sua Comunità raccolta alla celebrazione festiva, a dirci che oggi è sulla scorta di infiniti anelli di testimoni che giunge a noi questa eccezionale notizia, legandoci alla radice apostolica propria della nostra Chiesa. Anche noi abbiamo appreso la fede nella nostra piccola Chiesa locale (magari a partire dai genitori e dagli amici della parrocchia). In questo senso a noi viene la beatitudine di Gesù: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Il manifestarsi di Gesù entro la comunità raccolta in preghiera è altro elemento qualificante della nostra esperienza di fede. I discepoli di Emmaus lo riconoscono “allo spezzare del pane”. Tommaso giunge alla fede quando si ritrova e partecipa alla celebrazione ecclesiale, dove Cristo vive e dona lo Spirito: “Soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito santo”. Fu opera dello Spirito santo a Pentecoste a trasformare quegli spaventati discepoli in apostoli esplosivi. Gesù l’aveva promesso quando si trovò davanti i suoi discepoli che.. poco avevano capito della sua predicazione e del suo mistero: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,12-13). È con questa “forza dello Spirito Santo” che la Chiesa si è mossa “fino ai confini della terra” (At 1,8) per adempiere il comando di Gesù: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. È nell’Eucaristia che ora Cristo è presente e opera la salvezza. Nella Chiesa si incontra il Dio vivo: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”, diceva san Cipriano. Una scelta sacramentale, non inventata da noi, ma scelta da Cristo stesso nel segno da lui voluto, appunto la Messa, quando anche oggi il sacerdote ripete le sue parole: “Questo è il mio Corpo dato per voi, questo è il mio sangue sparso..”. Una presenza non visibile ma sicuramente efficace. Scrive san Paolo: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione al sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1Cor 10,16). È il corpo di Cristo risorto che viene a toccare e trasformare - gradualmente - il nostro misero corpo nel suo corpo glorioso. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Potremmo a questo punto invertire le parole di Tommaso: Non, se io non tocco, ma se non mi lascerò toccare da Gesù, non avrò l’esperienza di lui vivo e salvatore. La lunga storia dei Santi nella Chiesa ne è la verifica.
Mio Signore e mio Dio: Lo scopo dell’esperienza del Gesù vivo, è per crederlo il Dio che si comunica e trasforma la nostra vita. Appunto, riconoscerlo:”mio Dio”, come fa Tommaso. Paolo ha oggi una sintetica espressione: “È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Epist.). A questo preciso contenuto deve giungere la nostra fede. “Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri” (Epist.). Non è richiamo fuori tempo. Oggi girano molti libri col “richiamo religioso”, ma che non attingono alla fede della Chiesa e non riconoscono in Gesù il Figlio di Dio. Perché alla fine noi abbiamo bisogno di una salvezza che viene da Dio non dagli uomini. Lui Cristo “ha perdonato le colpe e ha annullato il documento scritto contro di noi, lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Con lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti a causa delle colpe” (Epist.). Paolo è categorico: “Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5). “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Lett.). Per la salvezza personale e “per la vita del mondo” (Gv 6,51). Infatti: “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo” (Lett.). Allora, come Tommaso, dobbiamo professare in Gesù il “nostro Signore”, cioè il nostro Salvatore. Dio è venuto a salvarci; anzi a salvare proprio me. Solo questo riferimento personale esprime concretamente la fede. Non si tratta di “cultura” ma di vita e di destino personale eterno. Tenendo però sempre conto dell’ammonimento di Paolo: “Nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Non capacità nostra, ma dono dello Spirito. E quindi frutto della preghiera. Salvezza incanalata oggi nella Chiesa. Ritorniamo a questo tema. “Extra Ecclesia nulla salus”, solo nella Chiesa si trovano tutti gli elementi voluti da Dio per la salvezza dell’uomo, pur rispettando altri più deboli canali che Dio sa usare per la salvezza di tutti. “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È un mandato esplicito. La Chiesa ora è il corpo di Cristo, il suo prolungamento visibile nel tempo. Forse a volte problematico, ma comunque binario esclusivo sul quale viaggia il perdono e la santificazione.
In questa domenica il papa Giovanni Paolo II volle porre il richiamo alla “misericordia” di Dio, sulla scorta degli inviti fatti da suor Faustina Kowalska. Il sacramento della riconciliazione fa giungere a noi la parola autorizzata del perdono di Dio. E questo fonda la nostra più profonda serenità di fronte a Dio.

1° maggio: San Giuseppe, lavoratore
Biografia: Nel Vangelo Gesù è chiamato «il figlio del carpentiere». Pio XII istituì questa memoria liturgica, Giuseppe lavoratore, nel contesto della festa dei lavoratori, universalmente celebrata il 1 maggio.

Dagli scritti
Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
L’attività umana nell’universo
Con il suo lavoro e con l’ingegno l’uomo ha sempre cercato di sviluppare maggiormente la sua vita. Oggi poi specialmente con l’aiuto della scienza e della tecnica ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e principalmente in forza dei maggiori mezzi dovuti all’intenso scambio tra le nazioni, la famiglia umana poco alla volta si riconosce e si costituisce come una comunità unitaria nel mondo intero. Da qui viene che molti beni che l’uomo si aspettava soprattutto dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la propria iniziativa. Di fronte a questo immenso sforzo che investe ormai tutto il genere umano, sorgono tra gli uomini parecchi interrogativi. Qual è il senso e il valore dell’attività umana? Come si deve usare dei suoi frutti e delle sue risorse? Al raggiungimento di quale fine tendono gli sforzi sia dei singoli che delle collettività? La Chiesa, che custodisce il deposito della parola di Dio, fonte dei principi religiosi e morali, anche se non ha sempre pronta la risposta alle singole questioni, desidera unire la luce della rivelazione alla competenza di tutti, perché sia illuminata la strada che l’umanità ha da poco imboccato. Per i credenti è certo che l’attività umana individuale e collettiva, con quello sforzo immenso con cui gli uomini lungo i secoli cercano di cambiare in meglio le condizioni di vita, risponde al disegno divino. L’uomo, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di sottomettere a sé la terra con tutto ciò che è contenuto in essa, di governare il mondo nella giustizia e nella santità, di riconoscere Dio come creatore di tutto e, conseguentemente, di riferire a lui stesso e tutti l’universo, di modo che, assoggettate all’uomo tutte le cose, il nome di Dio sai glorificato su tutta le terra. Questo vale pienamente anche per il lavoro di ogni giorno. Quando uomini e donne per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l’opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia. I cristiani pensano che quanto gli uomini hanno prodotto con il loro ingegno e forza non si oppone alla potenza di Dio, né creatura razionale sia quasi rivale del Creatore. Sono persuasi che le vittorie del genere umano sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si amplia la responsabilità, sia individuale che collettiva. Gli uomini non sono distolti dalla edificazione del mondo dal messaggio cristiano, né sono spinti a disinteressarsi del bene dei loro simili, ma anzi ad operare più intensamente per questo scopo (Nn. 33-34).
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MessaggioTitolo: sabato 7 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Mag 07, 2011 9:40 am

SABATO 7 MAGGIO 2011

SABATO DELLA II SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.

Letture:
At 6,1-7 (Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo)
Sal 32 (Su di noi sia il tuo amore, Signore)
Gv 6,16-21 (Videro Gesù che camminava sul mare)

Videro Gesù che camminava sul mare.
È notte fonda: i discepoli stanno attraversando il mare quando li coglie la tempesta. Eccoli privi di qualsiasi aiuto, abbandonati a se stessi. Non si tratta di una folla, ma solo del gruppetto dei discepoli; anch’essi senza Gesù sono dei poveri derelitti; solo da lui possono sperare aiuto. Il prodigio è duplice. Primo, è un miracolo il fatto che, nel cuore della notte, Gesù all’improvviso vada verso di loro camminando sulle acque. Secondo, è un miracolo il fatto che, appena Gesù è salito sulla barca, raggiungano in un attimo la riva. Gesù comanda alle forze della natura e gli obbediscono. I discepoli, quindi, non devono temere la tempesta quando egli è vicino. Tutto questo ci pensare che quando siamo con Cristo risorto la nostra vita, per agitata e burrascosa che sia, non ha motivo di spavento e di terrore. Egli ci fa arrivare sicuramente in porto. Colui che moltiplica miracolosamente il pane, che cammina sulle acque, che non conosce le distanze e che quindi domina completamente le forze della natura, può certamente trasformare il pane nella propria carne e il vino nel proprio sangue. Su entrambi i miracoli aleggia la divina e potenza affermazione di Gesù: “Io sono, non abbiate paura”.
Dal racconto degli altri Vangeli sappiamo il carattere drammatico della traversata del lago agitato: come le onde facessero dondolare la barca da una parte all’altra, e i discepoli, che Gesù aveva esortato a precederlo dall’altra parte del lago, temessero per la loro vita. Il Vangelo di san Giovanni non racconta niente di tutto questo. Certamente si può immaginare il comportamento dei discepoli, ma non viene menzionato. Chiaramente, l’evangelista non vuole che ci soffermiamo sull’atteggiamento dei discepoli; perché, in fondo, ciò non ha importanza per il racconto. Solo Gesù è importante. I discepoli se ne sono resi conto: bisogna che Gesù salga sulla loro barca, altrimenti questa non raggiungerà la riva. Ma i discepoli hanno sottovalutato Gesù: la barca raggiunge sempre il suo scopo, se Gesù lo vuole; questo non dipende assolutamente dalla sua presenza fisica sulla barca. Gesù rimane sempre il padrone della sua Chiesa. Senza restrizioni. Ed è per questo che egli può dire di se stesso: sono io. Nell’Antico Testamento, è in questo modo che Dio parlava al suo popolo.

Lettura del Vangelo: Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

Riflessione:
- Il vangelo di oggi racconta l’episodio della barca sul mare agitato. Gesù si trova sulla montagna e i discepoli nella barca. Nel modo di descrivere i fatti, Giovanni cerca di aiutare le comunità a scoprire il mistero che avvolge la persona di Gesù. Lo fa evocando testi dell’Antico Testamento che alludono all’esodo.
- All’epoca in cui Giovanni scrive, la barchetta delle comunità doveva affrontare un vento contrario sia da parte di alcuni giudei convertiti che volevano ridurre il mistero di Gesù a profezie e figure dell’Antico Testamento, sia da parte di alcuni pagani convertiti che pensavano che fosse possibile un’alleanza tra Gesù e l’impero.
- Giovanni 6,15: Gesù sulla montagna. Dinanzi alla moltiplicazione dei pani, la gente conclude che Gesù è il messia atteso, perché secondo la speranza della gente dell’epoca, il Messia avrebbe ripetuto il gesto di Mosè: alimentare la gente nel deserto. Per questo, secondo l’ideologia ufficiale, la moltitudine pensava che Gesù fosse il messia e, per questo, voleva fare di lui un re (cfr. Gv 6,14-15). Questa richiesta della gente era una tentazione sia per Gesù che per i discepoli. Nel vangelo di Marco, Gesù obbliga i discepoli a imbarcarsi immediatamente e ad andare all’altro lato del lago (Mc 6,45). Voleva evitare che si contaminassero con l’ideologia dominante. Segno, questo, che il “fermento di Erode e dei farisei”, era molto forte (cfr. Mc 8,15). Gesù affronta la tentazione con la preghiera sulla montagna.
- Giovanni 6,16-18. La situazione dei discepoli. Era già di notte. I discepoli scesero verso il mare, salirono sulla barca e si diressero verso Cafarnao, all’altro lato del mare (del lago). Giovanni dice che era già buio e che Gesù non era ancora arrivato. Da un lato evoca l’esodo: attraversare il mare in mezzo a difficoltà. Dall’altro evoca la situazione delle comunità nell’impero romano: con i discepoli, vivevano nel buio, con il vento contrario ed il mare agitato e Gesù sembrava assente!
- Giovanni 6,19-20. Cambiamento della situazione. Gesù giunge camminando sul mare. I discepoli si spaventano. Come avviene nel racconto dei discepoli di Emmaus, loro non lo riconoscono (Lc 24,28). Gesù si avvicina e dice: “Sono io! Non temete!”. Qui, di nuovo, chi conosce la storia dell’Antico Testamento, ricorda alcuni fatti molto importanti: (a) Ricorda che la moltitudine, protetta da Dio, attraversò senza paura il Mar Rosso. (b) Ricorda che Dio, nel chiamare Mosè, dichiara il suo nome dicendo: “Io sono!” (cfr. Es 3,15). (c) Ricorda anche il libro di Isaia che presenta il ritorno dall’esilio come un nuovo esodo, in cui Dio appare ripetendo molte volte: “Io sono!” (cfr. Is 42,8; 43,5.11-13; 44,6.25; 45,5-7).
- Per il popolo della Bibbia, il mare era il simbolo dell’abisso, del caos, del male (Ap 13,1). Nell’Esodo, il popolo compie la traversata verso la libertà affrontando e vincendo il mare. Dio divide il mare con il suo soffio e la moltitudine attraversa il mare sull’asciutto (Es 14,22). In altri passaggi la Bibbia mostra Dio che vince il mare (Gen 1,6-10; Sal 104,6-9; Pro 8,27). Vincere il mare significa imporgli i propri limiti ed impedire che inghiottisca tutta la terra con le sue onde. In questo passaggio Gesù rivela la sua divinità dominando e vincendo il mare, impedendo che la barca dei suoi discepoli sia trascinata dalle onde. Questo modo di evocare l’Antico Testamento, di usare la Bibbia, aiutava le comunità a percepire meglio la presenza di Dio in Gesù e nei fatti della vita. Non temete!
- Giovanni 6,22. Giunsero nel porto desiderato. Loro vogliono prendere Gesù nella barca, ma non fu necessario, perché la barca toccò la riva alla quale erano diretti. Giunsero al porto desiderato. Il Salmo dice: “Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare. Si rallegrarono nel vedere la bonaccia ed egli li condusse al porto sospirato” (Sal 107,29-30).

Per un confronto personale:
- Sulla montagna: Perché Gesù cerca di stare da solo per pregare dopo la moltiplicazione dei pani? Qual è il risultato della sua preghiera?
- È possibile oggi camminare sulle acque del mare della vita? Come?

Preghiera finale: Esultate, giusti, nel Signore: ai retti si addice la lode. Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate (Sal 32).
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MessaggioTitolo: DOMENICA 8 MAGGIO 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Mag 08, 2011 9:15 am

DOMENICA 8 MAGGIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
III DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
At 2,14. 22-33 (Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere)
Sal 15 (Mostraci, Signore, il sentiero della vita)
1Pt 1,17-21 (Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia)
Lc 24,13-35 (Lo riconobbero nello spezzare il pane)

Di questo voi siete testimoni…
…del mistero di Cristo, morto e risorto. Testimoni… da allora ad oggi. Siamo oggi a due settimane dalla Pasqua e le letture, la Parola di Dio risentono ancora del clima di festa, del clima di gioia pasquale per la risurrezione di Gesù. Luca nella prima lettura dagli Atti degli Apostoli ci racconta di Pietro, Pietro che dopo la discesa dello Spirito Santo non ha più paura. Prima le porte del Cenacolo erano serate, chiuse per paura, oggi Pietro esce dal Cenacolo, comincia a predicare, comincia a dare testimonianza, e con parole dure contro i giudei, contro i farisei… «Voi avete ucciso l’autore della vita!» E Pietro sottolinea un paradosso: Pilato, un pagano, non solo, uno scettico, mosso da un senso innato di rettitudine, di giustizia, ha fatto di tutto per liberare Gesù, per preservare Gesù dalla condanna a morte. Invece i capi del popolo eletto lo hanno crocifisso. Ma Pietro continua a parlare, senza paura, senza timore. E alcuni credono, si convertono. Chiedono: «che cosa dobbiamo fare? Come riparare il peccato?» «Pentitevi, pentitevi e cambiate vita». Anche a noi, oggi risuonano queste stesse parole di Pietro. Noi siamo presenti, per mezzo della liturgia, siamo presenti a quell’evento. A noi oggi, come allora, san Pietro dice: «pentitevi e cambiate vita». E forse non si tratta solo della confessione, non si tratta di un semplice pentimento. Si tratta del cambiar vita, del cambiare le nostre visioni, i nostri ideali, le nostre strade… per sostituire le nostre con quelle di Cristo. Non è una cosa semplice e non è immediata. È un processo che ha un inizio, che parte, inizia, per non finire più se non in Dio. Perché quanto più ci avviciniamo al Signore, quanto più gli siamo vicini, tanto più ci accorgiamo quanta strada abbiamo ancora davanti, quanto abbiamo ancora da camminare… Nel Vangelo invece vediamo Gesù, Gesù che accompagna nel Cenacolo i suoi, Gesù in mezzo ai suoi discepoli. Cristo non ci lascia soli come non ha lasciato soli gli apostoli. Dopo la sua risurrezione appare loro molte volte. Nei quaranta giorni tra la Pasqua e l’Ascensione continua ad essere con loro. Parla con loro, mangia, rimprovera la loro incredulità, risolve i dubbi… Tutto questo per rafforzare la loro fede, tutto questo per rinsaldarli, renderli più convinti. Fare di loro missionari, testimoni. E il Vangelo si conclude proprio così: «Di questo voi siete testimoni». Testimoni della morte, della risurrezione, dell’amore, testimoni e servitori del Vangelo di Cristo. Questo è il compito che Gesù lascia ai discepoli, lo lascia a tutti coloro che lo vogliono seguire. Alla fine della messa noi usciamo di Chiesa, torniamo alle nostre case, ai nostri impegni, ma dobbiamo uscire da qui cambiati, trasformati dall’incontro con Cristo, diversi, come i discepoli di Emmaus, che, senza guardare che era notte, senza guardare la fatica del ritorno, senz’indugio tornano a Gerusalemme per annunziare la buona novella. Che cosa impariamo oggi, che cosa ci insegna la Liturgia della parola… La prima cosa, credo, dovrebbe essere proprio quella dell’ammonimento di Pietro: pentitevi e cambiate vita. A questo Gesù aggiunge: siate i miei testimoni. Ed è proprio questo che ci chiede oggi il Signore, di essere suoi testimoni, testimoni che la vita ha un senso, che la vita ha un fine, uno scopo, una direzione precisa che è Cristo Gesù. Non è vero che il male è più forte del bene, non è vero che la morte è la fine di tutto, non è vero che la vita non ha senso… Noi siamo testimoni del bene, della vita senza fine, siamo qui per guadagnarcela. Se cerchiamo con tutte le forze di essere suoi testimoni, testimoni del suo amore che egli riversa nei nostri cuori, quell’amore sarà in noi veramente perfetto e la sua pace, la pace che egli ci dona, dimorerà in noi. La Madre del nostro Maestro ci aiuti in questo.
La scena di Emmaus è un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria. Vi è descritto l’itinerario di due discepoli che lasciano Gerusalemme illusi e delusi e vi ritornano per ripartire gioiosi e fiduciosi verso la testimonianza, perché sono stati incontrati dal Crocifisso-Risorto, spiegazione di tutta la Scrittura e presenza perenne tra i suoi nel sacramento del “pane spezzato”. L’inizio del cammino è un allontanarsi dal Crocifisso. La crisi della croce sembra aver seppellito ogni speranza. Colui che l’ha fatta nascere, l’ha portata con sé nella tomba. Non bastano voci di donne per farla rinascere. Gesù raggiunge i due subito a questo inizio e chiede di spartire con loro domande e scandalo. Ecco la prima tappa, quella del problema posto ad ogni persona dall’evento Gesù, il Crocifisso. L’appello di Cristo ci raggiunge sulla strada della nostra fede incompiuta e della sua domanda. Gesù non arriva di faccia, ma da dietro, come dice il testo greco, e cammina a fianco, da forestiero. Il passaggio al riconoscimento ha bisogno della spiegazione delle Scritture. Solo il Risorto ne è l’interprete adeguato. Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato. Gesù, però, sparisce. La Chiesa non può trattenere Gesù nella visibilità storica di prima. Deve sapere e credere che egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia. I discepoli capiscono e tornano a Gerusalemme per condividere con gli apostoli la testimonianza. Emmaus è un capolavoro di dialogo confortante. Emmaus assicura tutti che, quando ascoltano la Scrittura nella liturgia della Parola e partecipano allo spezzare del pane nella liturgia eucaristica, sono realmente incontrati da Cristo e ritrovano fede e speranza.

Approfondimento del Vangelo (Sulla strada di Emmaus)
Il testo: Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Una chiave di lettura: Leggiamo il testo in cui Luca ci presenta Gesù che interpreta la Scrittura. Durante la lettura cerchiamo di scoprire quali sono i diversi passi del processo d’interpretazione seguito da Gesù, dall’incontro con i due discepoli sulla strada verso Emmaus, fino al nuovo incontro dei due discepoli con la comunità di Gerusalemme.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Lc 24,13-24: Gesù cerca di conoscere la realtà che fa soffrire i due discepoli;
- Lc 24,25-27: Gesù illumina la realtà dei due discepoli con la luce della Scrittura;
- Lc 24,28-32: Gesù condivide il pane e celebra con i discepoli;
- Lc 24,33-35: I due discepoli ritornano a Gerusalemme e condividono la loro esperienza della risurrezione con la comunità;

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione: Qual è il punto che ti è piaciuto di più, e perché? Quali sono i passi dell’interpretazione della Scrittura seguiti da Gesù, dall’incontro con i due amici per strada fino al ritorno dei due discepoli alla comunità di Gerusalemme? Qual è la situazione in cui Gesù incontra i due discepoli? Quali sono le somiglianze e quali le differenze tra la situazione dei due discepoli e la nostra situazione attuale? Quali sono oggi i fattori che mettono in crisi la nostra fede e ci causano tristezza? Quale fu il risultato della lettura della Bibbia fatta da Gesù nella vita dei due discepoli? In quali punti l’interpretazione fatta da Gesù critica la nostra maniera di leggere la Bibbia ed in quali punti la conferma?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
a) Il contesto in cui Luca scrive:
- Luca scrive verso l’anno 85 per le comunità della Grecia e dell’Asia Minore che vivevano in una difficile situazione, sia esterna che interna. All’interno c’erano tendenze divergenti che rendevano difficile la convivenza: ex farisei che volevano imporre la legge di Mosè (At 15,1); gruppi più vincolati a Giovanni Battista che non avevano mai sentito parlare dello Spirito Santo (At 19,1-6); giudei che si servivano del nome di Gesù per espellere demoni (At 19,13); c ‘erano coloro che dicevano di essere seguaci di Pietro, altri di Paolo, altri di Apollo, altri di Cristo (1Cor 1,12). All’esterno aumentava sempre più la persecuzione da parte dell’Impero romano (Ap 1,9-10; 2,3.10.13; 6,9-10; 12,16) e l’infiltrazione insidiosa dell’ideologia dominante dell’Impero e della religione ufficiale, come oggi il consumismo si infiltra in tutti i settori della nostra vita (Ap 2,14.20; 13,14-16).
- Luca scrive per queste comunità, affinché ricevano un orientamento sicuro nel mezzo delle difficoltà ed affinché trovino la forza e la luce nel vissuto della loro fede in Gesù. Luca scrive un’opera unica in due volumi: il Vangelo e gli Atti, con il medesimo scopo generale: “poter verificare la solidità degli insegnamenti ricevuti” (Lc 1,4). Uno degli obiettivi specifici è quello di mostrare, mediante la storia così bella di Gesù con i due discepoli di Emmaus, come le comunità devono leggere ed interpretare la Bibbia. In realtà chi camminava per la strada di Emmaus erano le comunità (e siamo tutti noi). Ognuno di noi e tutti insieme, siamo il compagno o la compagna di Clèopa (Lc 24,18). Insieme a lui, andiamo per la strade della vita, cercando una parola di appoggio e di orientamento nella Parola di Dio.
- Il modo in cui Luca narra l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus ci indica la forma in cui le comunità del tempo di Luca usavano la Bibbia e facevano ciò che oggi noi chiamiamo Lectio Divina o Lettura Orante della Bibbia. Tre sono gli aspetti o i passi che caratterizzavano il loro atteggiamento interpretativo nei riguardi della Bibbia.
b) I diversi passi o aspetti del processo di interpretazione della Scrittura:
- 1º Passo: Partire dalla realtà (Lc 24,13-24): Gesù incontra i due amici in una situazione di paura e di dispersione, di sfiducia e di sgomento. Stavano fuggendo. Le forze della morte, la croce, avevano ucciso in loro la speranza. Gesù si avvicina e cammina con loro, ascolta la conversazione e chiede: “Di cosa state parlando?” L’ideologia dominante impedisce loro di capire e di avere una coscienza critica. “Noi aspettavamo che lui fosse il liberatore, ma...” (Lc 24,21). Qual è oggi la conversazione del popolo che soffre? Quali sono oggi i fatti che mettono in crisi la nostra fede? Il primo passo è questo: avvicinarci alle persone, ascoltare la realtà, i problemi; essere capaci di porre domande che aiutino a guardare la realtà con uno sguardo più critico.
- 2º Passo: Servirci del testo della Bibbia (Lc 24,25-27): Gesù si serve della Bibbia non per dare una lezione sulla Bibbia, bensì per illuminare il problema che faceva soffrire i suoi due amici, e quindi chiarire la situazione in cui stavano vivendo. Con l’aiuto della Bibbia, Gesù colloca i due discepoli nel progetto di Dio ed indica loro che la storia non è fuggita dalla mano di Dio. Gesù non usa la Bibbia come un dottore che già sa tutto, bensì come un compagno che vuole aiutare i suoi amici a ricordare ciò che loro avevano dimenticato: Mosè ed i profeti. Gesù non causa negli amici un complesso di ignoranza, ma cerca di metterli in condizione di ricordare, risveglia quindi la loro memoria. Il secondo passo è questo: con l’aiuto della Bibbia, illuminare la situazione e trasformare la croce, segnale di morte, in segnale di vita e di speranza. Così ciò che impedisce di vedere, diventa luce e forza lungo il cammino.
- 3º Passo: Celebrare e condividere in comunità (Lc 24,28-32): La Bibbia, da sola, non apre gli occhi, ma fa ardere il cuore! (Lc 24,32). Ciò che apre gli occhi e fa scoprire agli amici la presenza di Gesù è la condivisione del pane, il gesto comunitario, la celebrazione. Nel momento in cui è riconosciuto, Gesù scompare. E loro stessi sperimentano la risurrezione, rinascono e camminano da soli. Gesù non si appropria del cammino dei suoi amici. Non è paternalista. Risuscitati, i discepoli sono capaci di camminare con i loro piedi. Il terzo passo è questo: saper creare un ambiente orante di fede e di fraternità, dove lo Spirito possa agire. È lo Spirito che ci fa scoprire e sperimentare la Parola di Dio nella vita e ci porta a capire il senso delle parole che Gesù disse (Gv 14,26; 16,13). Ed è soprattutto in questo punto della celebrazione che la pratica delle comunità ecclesiali di base, sostenute dalle periferie del mondo, aiutano noi religiose e religiosi ad incontrare di nuovo l’antico pozzo della Tradizione per bere la sua acqua.
c) L’obiettivo: Risuscitare e ritornare verso Gerusalemme (Lc 24,33-35). Tutto è cambiato nei due discepoli. Loro stessi risuscitano, riprendono coraggio e ritornano a Gerusalemme, dove continuano ad essere attive le forze di morte che uccisero Gesù, ma dove si manifestano anche le forze di vita nella condivisione dell’esperienza della risurrezione. Coraggio, invece della paura. Ritorno, invece della fuga. Fede invece della sua assenza. Speranza invece della disperazione. Coscienza critica, invece del fatalismo dinanzi al potere. Libertà invece dell’oppressione. In una parola: vita invece della morte! Ed invece della notizia della morte di Gesù, la Buona Notizia della sua Risurrezione! L’obiettivo della lettura della Bibbia è questo: sperimentare la presenza viva di Gesù e del suo Spirito, presente in mezzo a noi. È lo Spirito che apre gli occhi sulla Bibbia e sulla Realtà e ci porta a condividere l’esperienza della Resurrezione, come succede fino ad oggi negli incontri comunitari.
d) Il nuovo modo di Gesù: fare una lettura Orante della Bibbia:
- Spesso non è possibile capire se l’uso che i vangeli fanno dell’AT viene da Gesù o se si tratta di una esplicitazione dei primi cristiani che in questo modo cercavano di esprimere la loro fede in Gesù. Ma ciò che è innegabile è l’uso costante e frequente che Gesù fa della Bibbia. Una semplice lettura dei vangeli ci mostra che Gesù si orientava nella Scrittura per svolgere la sua missione e per istruire i discepoli e la gente.
- Alla radice della lettura che Gesù fa della Bibbia c’è la sua esperienza di Dio come Padre. L’intimità con il Padre da a Gesù un criterio nuovo che lo pone in contatto diretto con l’autore della Bibbia. Gesù cerca il significato nella fonte. Non dalla lettera alla radice, bensì dalla radice alla lettera. Il paragone della fotografia, descritta nella Lectio Divina della domenica di Pasqua, ci aiuta a fare luce su questo tema. Come per miracolo, quella fotografia di viso severo si illuminò ed acquistò tratti di gran tenerezza. Le parole, nate dall’esperienza vissuta del figlio, cambiarono tutto, senza cambiare niente (vedi la Lectio Divino di Pasqua).
- E così, sfogliando le fotografie dell’Antico Testamento, la gente del tempo di Gesù si fa l’idea di un Dio molto distante, severo, di difficile accesso, il cui nome non può essere pronunciato. Ma le parole ed i gesti di Gesù, nati dalla sua esperienza di Figlio, senza neanche cambiare una lettera (Mt 5,18-19), cambiarono tutto il senso dell’Antico Testamento. Il Dio che sembrava così distante e severo acquisisce i tratti di un Padre pieno di tenerezza, sempre presente, pronto ad accogliere e liberare! Questa Buona Notizia di Dio, comunicata da Gesù, è la nuova chiave per rileggere tutto l’Antico Testamento. Il Nuovo Testamento è una rilettura dell’Antico Testamento fatta alla luce della nuova esperienza di Dio, rivelata da Gesù. Questo modo diverso di illuminare la vita con la luce della Parola di Dio gli causa molti conflitti, perché rende critici i piccoli e, di conseguenza, incomoda i grandi.
- Nell’interpretare la Bibbia per il popolo, Gesù mostrava i tratti del volto di Dio, l’esperienza che lui stesso aveva di Dio come Padre. Rivelare Dio come Padre era la fonte e lo scopo della Buona Notizia di Gesù. Nei suoi atteggiamenti Gesù manifesta l’amore di Dio verso i discepoli e le discepole. Rivela il Padre e ne incarna l’amore! Gesù poteva dire: “Chi mi vede, vede il Padre” (Gv 14,9). Per questo, lo Spirito del Padre stava anche con Gesù (Lc 4,18) e lo accompagnava in tutto, dall’incarnazione (Lc 1,35) all’inizio della sua missione (Lc 4,14), fino alla fine, nella morte e risurrezione (At 1,8).
- Gesù, interprete, educatore e maestro, era una persona significativa per i suoi discepoli e le sue discepole. Ed ha per sempre marcato la loro vita. Interpretare la Bibbia non è solo insegnare verità che l’altro deve vivere. Il contenuto che Gesù aveva da dare non era racchiuso solo nelle parole, bensì era presente nei gesti e nel suo modo di relazionarsi con la gente. Il contenuto non è mai separato dalla persona che lo comunica. La bontà e l’amore che affiorano dalle sue parole fanno parte del contenuto. Sono il suo temperamento. Un buon contenuto senza la bontà è come latte sparso.

Orazione Finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
III DOMENICA DI PASQUA


Ecco l’agnello di Dio
Il Crocifisso Risorto è vivo e lo si incontra nella sua Chiesa (domenica di Tommaso). Contempliamo in queste domeniche la persona del Risorto e come opera nella sua Chiesa. Oggi ci viene detto di Lui: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”. L’Apocalisse ha una immagine strana: Gesù risorto è nella gloria di Dio come un agnello sgozzato ma in piedi e vivo, “un Agnello, in piedi, come immolato” (5,6). San Paolo della Pasqua dirà: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1Cor 5,7), rievocando l’agnello pasquale col quale gli Ebrei celebravano la Pasqua. Dal cuore di Gesù trafitto in croce, “subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19,34), simbolo dei sacramenti che fanno giungere a noi i benefici della redenzione. Ci poniamo due domande: chi è il risorto sul quale Tommaso ha visto permanenti le cicatrici della morte cruenta? E come opera oggi quel sacrificio pasquale di Cristo nella vita della Chiesa?
Agnello di Dio: Mentre al tempio, quel giorno di “parasceve”, si portavano gli agnelli per la cena pasquale degli Ebrei, sulla croce il vero agnello pasquale si immolava ormai unico e definitivo sacrificio di riconciliazione con Dio per tutta l’umanità. “Cristo - dice oggi la Lettera agli Ebrei - entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna” (Epist.). È la lettura più profonda della morte di Cristo, come già Isaia aveva preannunciato: “Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5). Con la sua Pasqua Cristo ha portato a compimento quello che gli antichi sacrifici avevano solo - come ombra - preannunciato. La Pasqua di Gesù è la Pasqua definitiva che assume e supera ogni altro atto di riconciliazione con Dio. Quella di Gesù fu l’obbedienza che riparò la disobbedienza del primo Adamo, offrendosi come vittima di espiazione a nome nostro per ottenerci la riconciliazione col Padre. “Mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio, purificando la nostra coscienza dalle opere di morte. Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova” (Epist.). La sua fu una obbedienza onerosa ma efficace, vissuta come uomo totalmente fiducioso di Dio: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9). Il Signore vuole il cuore, non il rito esterno. “Entrando nel mondo Cristo dice: Tu non ha voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). Questo sacrificio è ora ciò che ci santifica, non tanto nostre opere di purificazione e pentimento. “Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre” (Eb 10,10). Solo la partecipazione al suo sacrificio può rendere anche ognuno di Dio sacrificio gradito a Dio: “Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome” (Eb 13,15). Ora è lui il sacerdote definitivo che esercita per noi alla destra del Padre: “Egli, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta; perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,24-25).
Lo Spirito Santo: Viene detto al Battista: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. Io, dice il Battista, ho solo fatto un battesimo di conversione; ma “dopo di me viene un uomo che è avanti a me”. Lui darà lo Spirito, la definitiva forma della “alleanza nuova” (Epist.). Oggi l’opera di Gesù nella sua Chiesa agisce tramite lo Spirito. Ritornato vivo tra i suoi la sera di Pasqua, Gesù disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati..” (Gv 20,22-23). Scrive san Giovanni: “Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi” (1Gv 5,6ss). È l’acqua del Battesimo che ci immerge nel mistero pasquale di morte e risurrezione. “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Per questo a Efeso quei battezzati col solo battesimo del Battista mancavano di qualcosa di decisivo per l’autentica identità cristiana. Ricevettero “il battesimo nel nome del Signore Gesù.. e subito discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare” (Lett.). È detto per noi, per il tempo della chiesa: “Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5). Del sangue di Cristo che giunge a noi come sacrificio di salvezza c’è luogo nell’Eucaristia, per comando stesso di Gesù: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati” (Mt 26,28). Ed è lo Spirito che è invocato perché ora compia il mistero: “Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore” (Canone II). Gesù risorto e vivo si rende personalmente presente nel mistero eucaristico nutrendoci della sua carne glorificata per “contagiarci” della sua divinità: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).
La Pasqua si semina ora nella Chiesa, tramite appunto lo Spirito Santo che rende presente l’opera (anzi “gli atti”) di Gesù nella Santa Liturgia. Egli è il “Paraclito, che rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,17). “Prenderà di quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,14). Sant’Ireneo diceva appunto che il Padre opera nella storia con due sue braccia: il Figlio e lo Spirito santo. Così oggi l’Agnello di Dio toglie ancora il peccato del mondo!
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MessaggioTitolo: sabato 14 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Mag 14, 2011 9:20 am

SABATO 14 MAGGIO 2011

SAN MATTIA


Preghiera iniziale: O Dio, che hai voluto aggregare san Mattia al collegio degli Apostoli, per sua intercessione concedi a noi, che abbiamo ricevuto in sorte la tua amicizia, di essere contati nel numero degli eletti.

Letture:
At 1,15-17.20-26 (La sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli)
Sal 112 (Il Signore lo ha fatto sedere tra i prìncipi del suo popolo)
Gv 15,9-17 (Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici)

E la sorte cadde su Mattia
Cristo Gesù ha stabilito la sua Chiesa sul fondamento degli Apostoli. Oggi celebriamo la dodicesima colonna, Mattia, colui che ha preso il posto di Giuda, il traditore. Il numero dodici non è stata una scelta casuale da parte del Signore Gesù. Dodici era molto significativo nella vita umana antica per il fatto delle dodici tribù di Israele e non solo. Saranno gli Apostoli infatti nell’ora del Giudizio a giudicare le dodici tribù di Israele. L’eletto dovrà divenire insieme agli undici testimone della risurrezione del Signore. Pregano insieme prima di procedere alla scelta tra i due candidati Giuseppe e Mattia; E nel pregare dissero: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per ricevere in questo ministero e apostolato il posto da cui traviò Giuda per andare al luogo suo». Gli apostoli sono ben consapevoli delle parole che Gesù aveva rivolto loro circa la chiamata e la sequela: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Nella loro invocazione quindi chiedono che sia lo stesso Gesù a mostrare loro quale dei due Egli ha scelto per ricevere in questo ministero. Il vangelo di Giovanni ci riferisce una intensa ed accorata preghiera ed esortazione di Gesù ai suoi: chiede loro fedeltà e amore affinché vivano nella gioia e possano godere della sua amicizia: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” e “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Sono ancora questi gli impegni e i privilegi degli apostoli di oggi. Riguardano certo San Mattia, ma anche tutti i successori degli apostoli. Pone la stessa condizione “Amatevi gli uni gli altri!”.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Riflessione:
- Oggi è la festa dell’Apostolo Mattia. Il vangelo di Giovanni 15,9-17 è stato già meditato in aprile. Riprendiamo alcuni punti già visti quel giorno.
- Giovanni 15,9-11: Rimanete nel mio amore, fonte della perfetta gioia. Gesù rimane nell’amore del Padre osservando i comandamenti ricevuti da lui. Noi rimaniamo nell’amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato. E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui osservò i comandamenti del Padre: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. E in questa unione d’amore del Padre e di Gesù si trova la fonte della vera gioia: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
- Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ha amati. Il comandamento di Gesù è uno solo: “amarci come lui ci amò!” (Gv 15,12). Gesù supera l’Antico Testamento. Il criterio antico era il seguente: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 18,19). Il nuovo criterio è: “Amatevi come io vi ho amato”. E la frase che fino ad oggi cantiamo dice: “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per il fratello!”.
- Giovanni 15,14-15: Amici e non servi. “Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando”, cioè la pratica dell’amore fino al dono totale di sé! Subito Gesù presenta un ideale altissimo per la vita dei suoi discepoli. Dice: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi!”. Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli. Ci racconta tutto ciò che ha udito dal Padre! Ecco l’ideale stupendo della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, al punto di non avere più segreti tra di noi e poter aver fiducia pienamente l’uno nell’altro, poter parlare dell’esperienza che abbiamo di Dio e della vita e, così, poterci arricchire a vicenda. I primi cristiani riusciranno a raggiungere questo ideale dopo molti anni. “Avevano un solo cuore ed un’anima sola” (At 4,32; 1,14; 2,42.46).
- Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo noi che abbiamo scelto Gesù. Lui ci incontrò, ci chiamò e ci affidò la missione di andare e dare frutto, frutto che duri. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui vuole aver bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare e fare oggi per la gente ciò che faceva per la gente di Galilea. L’ultima raccomandazione: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri!”.

Per un confronto personale:
- Amare il prossimo come Gesù ci ha amato. Ecco l’ideale di ogni cristiano. Come lo vivo?
- Tutto ciò che ho udito dal Padre ve l’ho raccontato. Ecco l’ideale della comunità: giungere ad una trasparenza totale. Come lo viviamo nella mia comunità?

14 maggio: San Mattia, Apostolo

Biografia: Eletto dagli apostoli al posto di Giuda, per rendere testimonianza della risurrezione del Signore, fu annoverato fra i Dodici, come si legge negli Atti degli apostoli (1,15-26). In un antico Martirologio leggiamo: Nella Giudea il natale di san Mattia Apostolo, il quale, dopo l’Ascensione del Signore, eletto a sorte dagli Apostoli in luogo di Giuda il traditore, per la predicazione dell’Evangelo fu martirizzato.

Dagli scritti
Dalle «Omelie sugli Atti degli Apostoli» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
«In quei giorni, Pietro si alzò in mezzo ai fratelli e disse…» (At 1,15). Dato che era il più zelante e gli era stato affidato da Cristo il gregge, e dato che era il primo nell’assemblea, per primo prende la parola: Fratelli, occorre scegliere uno tra noi (cfr. At 1,21-22). Lascia ai presenti il giudizio, stimando degni d’ogni fiducia coloro che sarebbero stati scelti e infine garantendosi contro ogni odiosità che poteva sorgere. Infatti decisioni così importanti sono spesso origine di numerosi contrasti. E non poteva essere lo stesso Pietro a scegliere? Certo che poteva, ma se ne astiene per non sembrare di fare parzialità. D’altra parte non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo. «Ne furono proposti due, Giuseppe, detto Barsabba che era soprannominato Giusto e Mattia» (At 1,23). Non li presentò lui, ma tutti. Lui motivò la scelta, dimostrando che non era sua, ma già contemplata dalla profezia. Così egli fu solo l’interprete, non uno che impone il proprio giudizio. Per questo disse: «Bisogna che tra coloro che ci furono compagni» con quel che segue (At 1,21-22). Osserva quanta oculatezza richieda nei testimoni, anche se doveva venire lo Spirito; tratta con grande diligenza questa scelta. «Tra questi uomini», prosegue, «che sono stati con noi tutto il tempo che visse tra noi il Signore Gesù». Parla di coloro che erano vissuti con Gesù, non quindi semplici discepoli. All’inizio molti lo seguivano: ecco perché afferma: Era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù. «Per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni» (At 1,21). E si, perché gli avvenimenti accaduti prima, nessuno li ricordava con esattezza, ma li appresero dallo Spirito. «Fino al giorno in cui Gesù é stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione» (At 1,22). Non dice: testimone di ogni cosa, ma «testimone della sua risurrezione», semplicemente. Infatti era più credibile uno che affermasse: Colui che mangiava, beveva e fu crocifisso, é proprio lo stesso che é risuscitato. Perciò non era necessario che fosse testimone del passato né del tempo successivo e neppure dei miracoli, ma solo della risurrezione. Gli altri avvenimenti erano noti ed evidenti; la risurrezione invece era avvenuta di nascosto ed era nota solo a quei pochi. E pregavano insieme dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci…» (At 1,24). Tu, non noi. Molto giustamente lo invocano come colui che conosce i cuori: da lui, infatti, dev’essere fatta l’elezione, non da altri. Pregavano con tanta confidenza, perché era proprio necessario che uno fosse eletto. Non chiesero: Scegli, ma: «mostraci quale di questi due hai designato» (At 1,24), ben sapendo che tutto é già stabilito da Dio. «Gettarono quindi le sorti su di loro» (At 1,25). Non si ritenevano degni di fare essi stessi l’elezione, per questo desiderarono essere guidati da un segno.

Preghiera finale: Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre (Sal 112).
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MessaggioTitolo: sabato 21 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Mag 21, 2011 9:43 am

SABATO 21 MAGGIO 2011

SABATO DELLA IV SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi il mistero della Pasqua, perché, nati a nuova vita nel Battesimo, con la tua protezione possiamo portare molto frutto e giungere alla pienezza della gioia eterna.

Letture:
At 13,44-52 (Noi ci rivolgiamo ai pagani)
Sal 97 (Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio)
Gv 14,7-14 (Chi ha visto me, ha visto il Padre)

Quasi tutti ascoltano
«Voi siete un popolo redento, annunziate…»; è la voce del Signore che risuona all’inizio della celebrazione eucaristica. Non possiamo essere sordi a tale richiamo o far finta di non essere interpellati tutti personalmente, perché ognuno di noi ha ricevuto il necessario per compiere quelle cose grandi che il Signore ha predetto. La grandezza alla quale siamo chiamati, non fa chiasso, perché è fatta di semplici e gioiosi «sì» quotidiani, gocce di acqua dissetante per noi e per molti altri fratelli… «…quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio» (Atti 13, 44-32). Gli ascoltatori innamorati della Verità, non accettano quel «quasi» che turba il cuore del sincero credente; superando l’indifferenza, prendono esempio dal buon Pastore e partono alla ricerca del fratello che non risponde, perché è troppo grande il vuoto che lascia. La nostra fede si fa annunzio quando non rimane «privata» e nascosta, non c’è nulla di «privato» nel Regno di Dio. Preghiera e umiltà, coerenza e coraggio, costituiscono un buon carburante per arrivare in pascoli lontani. Forse non servono tante parole…I figli della Carità sono instancabili, sostenuti dal Signore che ha detto «io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11). Anche noi siamo lì con Lui; se accogliamo il Signore, pane di vita, entriamo nella vita, nella santissima Trinità che è solo e sempre, scambio d’amore.
“Verità” è un termine chiave. Per lo spirito profano evoca una formula, una teoria, una cosa dello spirito, insomma, e, soprattutto, qualche cosa che si possiede. Cristo rovescia questa concezione della “verità”, rifiutandola in quanto superficiale. Egli non dice: “Io ho”, ma “Io sono”: “Io sono la verità”. La verità è una persona, non una proposizione. Tutto il mondo cerca la verità, ma nei posti sbagliati, accontentandosi di qualche “ismo” o di qualche ideologia. Tutti gli “ismi”, però, passano presto di moda, come un temporale d’estate. Cercando la verità, noi cerchiamo la persona vera, cerchiamo il Padre e il Cristo che ne è la manifestazione concreta. Non si tratta di verità del Padre che il Figlio deve imparare per poi trasmettere. Cristo è la verità in se stesso. Ciò andava al di là dell’intelligenza degli apostoli. Filippo esprime la loro inquietudine con una richiesta precisa: “Signore, mostraci il Padre e basta”. Gli apostoli non riescono ad afferrare l’identità del Figlio e del Padre. Hanno appena saputo che stanno per lasciare Cristo e non sanno che andare presso il Padre significa restare con Gesù e rimanere sempre presso di lui nella terra promessa.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

Riflessione:
- Giovanni 14,7: Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Il testo del vangelo di oggi è la continuazione di quello di ieri. Tommaso aveva chiesto: “Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?”. Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita! Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Ed aggiunse: “Se conoscete me, conoscete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Questa è la prima frase del vangelo di oggi. Gesù parla sempre del Padre, perché era la vita del Padre che appariva in tutto ciò che diceva e faceva. Questo riferimento costante al Padre provoca la domanda di Filippo.
- Giovanni 14,8-11: Filippo chiede: “Mostraci il Padre e ci basta!”. Era il desiderio dei discepoli, il desiderio di molte persone delle comunità del Discepolo Amato ed è il desiderio di molta gente oggi: come fa la gente per vedere il Padre di cui tanto parla Gesù? La risposta di Gesù è molto bella ed è valida fino ad oggi: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto! Chi ha visto me ha visto il Padre!”. La gente non deve pensare che Dio è lontano da noi, distante e sconosciuto. Chi vuole sapere come e chi è Dio Padre, basta che guardi Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! “Il Padre è in me ed io sono nel Padre!”. Attraverso la sua obbedienza, Gesù si è identificato totalmente con il Padre. Lui faceva ogni momento ciò che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! Ed i segni o le opere sono le opere del Padre! Come dice la gente: “Il figlio è il volto del padre!”. Per questo in Gesù e per Gesù, Dio sta in mezzo a noi.
- Giovanni 14,12-14: Promessa di Gesù. Gesù fa una promessa per dire che la sua intimità con il Padre non è un privilegio solo suo, ma è possibile per tutti coloro che credono in lui. Anche noi, mediante Gesù, possiamo giungere a fare cose belle per gli altri come faceva Gesù per la gente del suo tempo. Lui intercede per noi. Tutto ciò che la gente chiede a lui, lui lo chiede al Padre e lo ottiene, sempre che sia per servire. Gesù è il nostro difensore. Se ne va ma non ci lascia senza difesa. Promette che chiederà al Padre e il Padre manderà un altro difensore o consolatore, lo Spirito Santo. Gesù giunse a dire che è necessario che lui vada via, perché altrimenti lo Spirito Santo non potrà venire (Gv 16,7). E lo Spirito Santo compirà le cose di Gesù in noi, se agiamo a nome di Gesù ed osserviamo il grande comandamento della pratica dell’amore.

Per un confronto personale:
- Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Nella Bibbia la parola “conoscere una persona” non è solo una comprensione intellettuale, ma suppone anche una profonda esperienza della presenza della persona nella vita. Conosco io Gesù?
- Conosco il Padre?

Preghiera finale: Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio. Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia (Sal 97).
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MessaggioTitolo: domenica 22 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Mag 22, 2011 10:07 am

DOMENICA 22 MAGGIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
V DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
At 6,1-7 (Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo)
Sal 32 (Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo)
1Pt 2,4-9 (Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale)
Gv 14,1-12 (Io sono la via, la verità e la vita)

Nella casa del padre vi sono molti posti, vado a prepararvene uno
Gli apostoli sono in un stato di profondo turbamento per l’annunciata sua dipartita da questo mondo. Gesù li esorta a superare tale momento difficile, invitandoli a credere in lui in modo rinnovato e più profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. L’assenza visibile di Cristo non può essere motivo di tristezza come in chi avesse perduto la mèta o la strada per arrivarci, perché: “Io vado a prepararvi un posto nella casa del Padre mio”. Là è situato il termine del desiderio e della rinascita del discepolo, e quindi la ragione ultima della sua serenità. Il cristiano non è uno spaesato, che girovaga non sapendo dove andare: sa che Gesù è il pedagogo, colui che lo conduce alla casa del Padre, di cui egli è la via, dopo avergli preparato un posto. Ogni uomo per la fede in Cristo già può godere e abitare in questa casa, cioè in Dio, con la volontà e con la purezza dei propri sentimenti. La visione del Padre poi sarà l’appagamento di tutti i nostri desideri e la pienezza della nostra vita. Per questo ora Filippo può dire: “Mostraci il Padre”. Una richiesta indispensabile, ma fuori posto per chi aveva avuto già esperienza di vita col Maestro. Gesù si rivolgeva continuamente al Padre. Per cui la sua risposta non si fa attendere: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me”. Gesù è il volto del Padre. Egli è nel Padre e il Padre è in lui. Egli è il cammino che porta lì. Non ferma su di sé quelli che vengono a lui, ma coinvolgendosi costituisce l’itinerario verso di lui. Non abbiamo quindi solo la sicurezza del termine, ma anche la sicurezza della via, che è Cristo stesso. Ci affidiamo ad essa nel nostro esodo quotidiano. Proprio perché il Cristo sprigiona la potenza e l’efficacia dell’amore di Dio, egli ne diventa la via. La nostra ascesa verso Dio è possibile solo perché lui stesso è disceso verso di noi, lasciandoci un esempio così che possiamo camminare sulle sue tracce per essere introdotti in quella eterna coabitazione.
Le ultime parole che si pronunciano alla fine della vita hanno un carattere particolare. Riassumono il mistero di un essere. Platone fa parlare il suo maestro Socrate di immortalità prima di morire. Il condannato a morte consola quelli che restano. Le ultime parole possono essere molto pragmatiche. La madre di Goethe diede istruzioni di non mettere troppa uva passa nel dolce preparato per la sua sepoltura. Alcuni esortano i loro figli a sostenersi a vicenda. I patriarchi della Bibbia muoiono benedicendo la loro discendenza. Anche nel nostro Vangelo si tratta di ultime parole. Parla uno che è consapevole di stare per morire. E colui che ne ha preso nota è convinto che quel morto è ancora in vita. Non leggete queste parole come un discorso ben costruito e coerente. Immaginate delle pause. Prendetele piuttosto come parole pronunciate in un profondo silenzio, come parole indirizzate a uomini prigionieri, “tutt’orecchi”, in qualche modo. Noi potremmo ascoltarle anche come si ascolta una goccia d’acqua cadere in una grotta. Bisogna che chi ascolta sia assolutamente silenzioso per lasciar entrare in sé queste parole. Se noi ascoltiamo veramente, sentiamo parole di consolazione: “Non sia turbato il vostro cuore”. Parole di speranza: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti”. Parole di maestà: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Parole di vocazione esigente: “Chi crede in me compirà le opere che io compio”. Non è facile per noi capire immediatamente queste parole. I discepoli che interrompono il Signore fanno delle domande smarrite. Non hanno ancora capito, eppure è già l’ora dell’addio. Sapremo noi capire meglio?

Approfondimento del Vangelo (Io sono la via, la verità e la vita)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Una chiave di lettura: Mentre fai la lettura, prova ad ascoltare come se tu fossi presente in quell’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli e le sue discepole. Ascolta le sue parole come rivolte a te, oggi, in questo momento.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Gv 14,1-4: Niente ti turbi!
- Gv 14,5-7: Domanda di Tommaso e risposta di Gesù
- Gv 14,8-12: Domanda di Filippo e risposta di Gesù

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Quale parola di Gesù ha toccato di più il mio cuore? Perché?
- Quali tracce del volto di Dio Padre, rivelato da Gesù, traspaiono in questi dodici versetti?
- Cosa ci rivelano questi versetti sul rapporto di Gesù con il Padre?
- Che cosa questi versetti ci dicono sul nostro rapporto con Gesù e con il Padre?
- Quali sono “le opere maggiori”che potremo realizzare secondo le parole di Gesù?
- Gesù disse: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti”. Cosa significano queste affermazioni per noi oggi?
- Quale problema o desiderio traspare nelle domande di Tommaso e di Filippo?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento.
a) Il Vangelo di Giovanni: un tessuto fatto di tre fili
- La parola testo vuol dire tessuto. Così, il testo del vangelo di Giovanni è come un bel tessuto, fatto con tre fili molto diversi e, allo stesso tempo, molto simili. Questi tre fili combinano così bene tra loro che ci confondiamo e, alle volte, nemmeno percepiamo quando si passa da un filo all’altro.
1) Il primo filo: sono i fatti della vita di Gesù, avvenuti negli anni 30 e ricordati dai testimoni oculari, qu lle persone che hanno vissuto con Gesù e che videro le cose che lui fece e le parole che insegnò. È il Gesù storico, conservato nelle testimonianze del Discepolo Amato (1Gv 1,1).
2) Il secondo filo: sono i fatti e i problemi della vita delle comunità della seconda metà del primo secolo. Partendo dalla fede in Gesù e convinte della presenza del Risorto in mezzo a loro, le comunità hanno illuminato questi fatti e problemi con le parole e i gesti di Gesù. Così, per esempio, i litigi che loro avevano con i farisei, finirono per influenzare profondamente il racconto e la trasmissione delle discussioni tra Gesù e i farisei.
3) Il terzo filo: sono i commenti fatti dall’evangelista. In certi brani, ci resta difficile percepire quando Gesù smette di parlare e quando l’evangelista comincia a fare i suoi commenti (Gv 2,22; 3,16-21; 7,39; 12,37-43; 20,30-31).
- Nei cinque capitoli che descrivono l’addio di Gesù (Gv 13 a 17), si nota la presenza di quei tre fili: quello in cui Gesù parla, quello in cui parlano le comunità e quello in cui parla l’evangelista. In essi i tre fili sono intrecciati in modo tale che il tutto si presenta come un pezzo di rara bellezza ed ispirazione, dove è difficile distinguere cosa sia dell’uno e cosa dell’altro.
b) I capitoli 13 a 17 del Vangelo di Giovanni
- La lunga conversazione (Gv 13,1 a 17,26), che Gesù ebbe con i suoi discepoli nell’ultima cena, alla vigilia del suo arresto e morte, e il Testamento che lui ci lasciò. In esso è espressa l’ultima volontà di Gesù riguardo alla vita in comunità dei suoi discepoli e discepole. Era una conversazione amichevole, che è rimasta nella memoria del Discepolo Amato. Gesù, così vuol far capire l’evangelista, voleva estendere al massimo quest’ultimo incontro amico, momento di grande intimità. Lo stesso accade oggi. C’è modo e modo di conversare. Una conversazione superficiale che lancia parole all’aria e che rivela il vuoto delle persone, e c’è una conversazione che va in profondità nel cuore. Tutti noi, una volta o l’altra, abbiamo questi momenti di condivisione amichevole che allarga il cuore e diviene forza nell’ora delle difficoltà. Aiuta ad aver fiducia e a vincere la paura.
- Questi cinque capitoli (Gv 13 a 17) sono anche un esempio di come le comunità del Discepolo Amato facevano catechesi. Le domande dei tre discepoli, Tommaso (Gv 14,5), Filippo (Gv 14,8) e Giuda Taddeo (Gv 14,22), erano anche le domande delle comunità della fine del primo secolo. Le risposte di Gesù ai tre erano uno specchio in cui le comunità trovavano una risposta ai loro dubbi e difficoltà. Così, il nostro capitolo 14 era (ed è tuttora) una catechesi che insegna alle comunità come vivere senza la presenza fisica di Gesù.
c) Il capitolo 14,1-12: Una risposta alle eterne domande del cuore umano.
- Giovanni 14,1-4: Le comunità domandavano: “Come vivere in comunità con tante idee diverse?”Gesù risponde con un’esortazione: “Non sia turbato il vostro cuore! Nella casa del Padre mio ci sono molti posti!”L’insistenza nell’avere parole d’incoraggiamento che fossero d’aiuto a superare i turbamenti e le divergenze, è un segno che ci dovevano essere tendenze molto diverse tra le comunità, volendo l’una essere più veritiera dell’altra. Gesù dice: “Nella casa del Padre ci sono molte dimore!”Non è necessario che tutti pensino allo stesso modo. Quel che importa è che tutti accettino Gesù come rivelazione del Padre e che, per amore suo, abbiano atteggiamenti di servizio e d’amore. Amore e servizio sono il cemento che lega tra di loro i vari mattoni della parete e fa sì che le diverse comunità diventino una Chiesa consistente di fratelli e sorelle.
- Giovanni 14,5-7: Tommaso domanda: “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscerne la via?”Gesù risponde: “Io sono la via e la verità e la vita!”Tre parole importanti. Senza via, non si cammina. Senza verità, non si accerta. Senza vita, c’è solo la morte! Gesù spiega il senso. Lui stesso è la via, perché “Nessuno va al Padre se non attraverso di me!”Poiché, lui è la porta, per la quale le pecore entrano ed escono (Gv 10,9). Gesù è la verità, perché guardando a lui, vediamo l’immagine del Padre. “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre!”Gesù è la vita, perché camminando come Gesù ha camminato, saremo uniti al Padre e avremo la vita in noi!
- Giovanni 14, 8-11: Filippo chiede: “Gli dice Filippo: «Mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli risponde: «Chi ha visto me, ha visto il Padre!”Filippo ha espresso un desiderio che era di molte persone nelle comunità di Giovanni e continua ad essere il desiderio di tutti noi: cosa devo fare per vedere il Padre di cui Gesù tanto parla? La risposta di Gesù è molto bella: “Da tanto tempo sono con voi, e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre!”Noi non dobbiamo pensare che Dio sia lontano, come qualcuno distante e sconosciuto. Chi volesse sapere come sia e chi sia Dio Padre, gli basti guardare Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! “Io sono nel Padre e il Padre è in me!”Per il suo modo di essere Gesù rivelava un volto nuovo di Dio che attirava il popolo. Tramite la sua obbedienza, era totalmente identificato con il Padre. Ad ogni momento faceva quello che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! E i segni o le opere che lui realizza sono le opere del Padre! Alla stessa maniera, noi, per il nostro modo di vivere e convivere, dobbiamo essere una rivelazione di Gesù. Chi ci vede, deve poter vedere e riconoscere in noi qualcosa di Gesù. Quel che importa meditare qui è il domandarmi: “Che immagine mi faccio di Gesù?”Sono come Pietro che non accettava un Gesù servo e sofferente e voleva un Gesù alla sua propria misura? (Mc 8,32-33) Sono come quelli che sanno solo dire: “Signore! Signore!” (Mt 7,21). Sono come quelli che vogliono solo un Cristo celeste e glorioso e dimenticano Gesù di Nazaret che camminava con i poveri, accoglieva gli emarginati, curava i malati, reintegrava gli esclusi e che, a causa di questo suo compromesso con il popolo e con il Padre, fu perseguitato e ucciso.
- Giovanni 14,12: La promessa di Gesù. Gesù afferma che la sua intimità con il Padre non è privilegio di lui solo, ma è possibile per tutti noi che crediamo in lui. Tramite lui, possiamo arrivare a fare le stesse cose che egli faceva per il popolo del suo tempo. Lui intercederà per noi. Tutto quello che gli chiederemo, lui lo chiederà al Padre e lo otterrà, purché sia per servire (Gv 14,13).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
V DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA


Letture:
At 10,1-5.24.34-36.44-48°
Sal 65
Fil 2,12-16
Gv 14,21-24

Mi manifesterò a chi mi ama
“Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. La salvezza è per tutti o solo per i cristiani che appartengono alla Chiesa? Il Risorto ha dato lo Spirito nella Chiesa, e lì c’è la pienezza degli strumenti di salvezza. E lì è possibile vivere la fede nel modo più intenso, fino alla inabitazione della Trinità. Ma il disegno di salvezza è per tutti gli uomini; “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32): l’opera di Gesù tocca tutti i cuori, e ciascuno è chiamato a corrispondervi. L’opera missionaria di annuncio è sempre necessaria per aiutare un cammino verso la comprensione e la pienezza del Dono di Dio.
Chi mi ama: La manifestazione del Risorto e la piena comprensione di lui è legata ad una sola condizione, ma decisiva: l’amore. “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. L’amore è l’habitat in cui si muove Dio e il nostro rapporto con lui. Questa è la logica di tutta la rivelazione: “Il Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (DV 2). Un amore libero e personale, del cuore, ma che si sincera con l’obbedienza alla sua Parola: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi non mi ama, non osserva le mie parole”. La Parola di Gesù è naturalmente quella del Padre: “La parola che voi ascoltate non è mia ma del Padre che mi ha mandato”. È da questo rapporto d’amore che nasce una sempre più intensa comunione d’amore con Gesù e col Padre: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Gesù ne ha parlato spesso, quale scopo finale della sua missione: “Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26). Si tratta in sostanza di una iniziale inabitazione che avrà come sbocco finale la piena partecipazione alla vita stessa di Casa Trinità: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Là, appunto, dove “saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). La sostanza di questo amore, da e per Dio, non è opera nostra, ma dello Spirito Santo che Gesù Risorto ha dato come artefice della sua opera di divinizzazione. “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14,15-17). Ecco: avere lo Spirito è ciò che costituisce - e costruisce - concretamente il cristiano. Se ne era reso conto anche Pietro quando giunse dal centurione Cornelio: “Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?” (Lett.).
Il Signore di tutti: È ancora esperienza di Pietro: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Perché: “Questi è il Signore di tutti” (Lett.). Dio chiama tutti alla salvezza, prepara il cuore di ognuno; non c’è quindi da stupirsi “che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo” (Lett.). La condizione è quella di una sincera apertura e una retta coscienza dell’agire. Tutti gli uomini sono creati con una “capacità di Dio”perché creati “a sua immagine”, “perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, perché di lui anche noi siamo stirpe” (At 17,27-28). Anche questa “disponibilità”e preparazione alla fede è opera di Dio: “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore” (Epist.). Nel considerare le religioni non cristiane, il Concilio dice: “La divina Provvidenza non nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di raggiungere la vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita” (LG 16). Sono i “semina Verbi”, quei barlumi di verità che lo Spirito semina nei cuori e nelle forme sincere di religiosità. Spesso però la ricerca dell’uomo è limitata da errori e debolezze, quando non di oggettive perversioni. Da qui il dovere di testimoniare il vangelo, e di portare la missione certamente là dove Cristo non è ancora conosciuto, ma soprattutto là dove una cultura laicizzata ha rifiutato Dio sommersa da pregiudizi ed “emancipazioni”. Così oggi ci esorta san Paolo alla testimonianza: “Fate tutto senza mormorare ed esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo ad una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Epist.). Una “parola di vita”: è la fierezza della nostra fede che offre l’unico pieno umanesimo. Radice psicologica della missione è la certezza di avere l’unica verità sull’uomo, e quindi l’unica vera opera di umanizzazione!
Gioia di un possesso, ma coscienza che è un dono, quello della nostra esperienza di Cristo. Senza presunzioni o esclusivismi che umiliano gli altri. Dialogo, rispetto, umiltà nel rapporto con i non credenti. È quanto emerge anche nelle forme di confronto delle varie “cattedra dei non credenti” o “cortile dei gentili”che vanno nascendo nell’ambito più generale di un “progetto culturale”quale nuova forma di evangelizzazione entro un mondo sempre più plurietnico, pluriculturale e plurireligioso.
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MessaggioTitolo: sabato 28 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Mag 28, 2011 8:37 am

SABATO 28 MAGGIO 2011

SABATO DELLA V SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, che nel battesimo ci hai comunicato la tua stessa vita, fa’ che i tuoi figli, rinati alla speranza dell’immortalità, giungano con il tuo aiuto alla pienezza della gloria.

Letture:
At 16,1-10 (Vieni in Macedonia e aiutaci!)
Sal 99 (Acclamate il Signore, voi tutti della terra)
Gv 15,18-21 (Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo)

La pace la gioia e la fiducia
Lo stesso Gesù si fa garante del futuro della sua Chiesa nascente. Inviando i suoi ad andare in tutto il mondo per annunciare l’avvento del suo regno, ha predetto loro rifiuti e persecuzioni, ma tutto ciò, quasi per assurdo, viene annoverato tra le beatitudini: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Egli vuole così dirci che insulti e persecuzioni non potranno inficiare la pace della sua Chiesa, anzi, proprio da quegli eventi, sgorgherà la migliore fecondità. Neanche la gioia potrà essere compromessa come testimonieranno, prima gli apostoli, e poi la schiera dei testimoni di Cristo nel corso della storia fino ai nostri giorni. Già San Paolo affermava: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa!”. Non c’è quindi contraddizione tra la pace, la gioia e la fiducia cristiana e le inevitabili persecuzioni, anzi in Cristo, crocifisso e risorto, abbiamo scoperto che queste sono la via della vita, la certezza della risurrezione. Alla sofferenza che uccide Egli ha sostituito quella che salva. Per questo predice ai suoi seguaci: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Tra i grandi doni della fede cristiana dobbiamo annoverare sicuramente quello che ci consente di valorizzare agli occhi di Dio anche gli eventi più negativi della nostra esistenza. L’esempio dei santi e specie dei martiri ci illumini.
Una fede da proteggere e diffondere con la spada è ben debole. La storia è del resto consapevole del paradosso che fa sì che la fede cristiana diventi più forte quando è perseguitata. Il sangue dei martiri, scriveva Tertulliano, è seme di cristiani. Ai giorni nostri, il termine “martire” è usato per definire chiunque soffra e muoia per una “causa”, che può essere l’idea di nazione, la rivoluzione sociale, persino la “guerra santa” caldeggiata dai fanatici. Ma simili martiri sono causa di sofferenze maggiori di quelle inflitte a loro stessi. Il vero martire (dal greco, che significa testimone) soffre semplicemente perché è cristiano: testimone di Cristo. Il nostro secolo è stato davvero il secolo del martirio, con innumerevoli martiri, come i cristiani armeni in Turchia, i cattolici in Messico, nella Germania nazista, nell’ex Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est, in Cina, in Corea, in Vietnam, in Sudan... L’elenco potrebbe continuare. E, per restare vicino a noi, molti sono coloro che affrontano un martirio “bianco”, cioè senza spargimento di sangue, tentando semplicemente di vivere la fede in un mondo sempre più ateo o predicando le esigenze integrali dell’insegnamento della Chiesa nel campo della morale, avendo per fondamento la rivelazione di Cristo. Non dobbiamo essere sorpresi, ma piuttosto rallegrarci ed essere felici: è questo che egli ci ha promesso.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».

Riflessione:
- Giovanni 15,18-19: L’odio del mondo. “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”. Il cristiano che segue Gesù è chiamato a vivere in modo contrario alla società. In un mondo organizzato a partire dagli interessi egoistici di persone e gruppi, chi cerca di vivere ed irradiare l’amore sarà crocifisso. È stato questo il destino di Gesù. Per questo, quando un cristiano è molto elogiato dai poteri di questo mondo ed è esaltato quale modello per tutti dai mezzi di comunicazione, è bene non fidarsi troppo. “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. È stata la scelta di Gesù che ci ha separato. È basandoci su questa scelta o vocazione gratuita di Gesù che abbiamo la forza di sopportare la persecuzione e la calunnia e che possiamo avere gioia, malgrado le difficoltà.
- Giovanni 15,20: Il servo non è più grande del suo signore. “Un servo non è più grande del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra”. Gesù aveva già insistito su questo stesso punto nella lavanda dei piedi (Gv 13,16) e nel discorso della Missione (Mt 10,24-25). Ed è questa identificazione con Gesù che, lungo due secoli, dette tanta forza alle persone per continuare il cammino ed è stata fonte di esperienza mistica per molti santi e sante martiri.
- Giovanni 15,21: Persecuzione a causa di Gesù. “Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. L’insistenza ripetuta dei vangeli nel ricordare le parole di Gesù che possano aiutare le comunità a capire il perché delle crisi e delle persecuzioni è un segno evidente che i nostri fratelli e le nostre sorelle delle prime comunità non ebbero una vita facile. Dalla persecuzione di Nerone dopo Cristo fino alla fine del primo secolo, loro vivevano sapendo che potevano essere perseguitati, accusati, incarcerati ed uccisi in qualsiasi momento. La forza che li sosteneva era una certezza che Gesù comunicava che Dio era con loro.

Per un confronto personale:
- Gesù si rivolge a me e mi dice: Se tu fossi del mondo, il mondo amerebbe ciò che è tuo. Come applico questo nella mia vita?
- In me ci sono due tendenze: il mondo e il vangelo. Quale dei due ha la precedenza?

Preghiera finale: Buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione (Sal 99).
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MessaggioTitolo: domenica 29 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Mag 29, 2011 9:41 am

DOMENICA 29 MAGGIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
VI DOMENICA DI PASQUA


Orazione iniziale: O Padre, già il Cristo tuo Figlio sta pregando per noi, ma Tu concedi anche al nostro cuore di aprirsi a Te nella preghiera profonda, intensa, vera, luminosa, dentro le righe di questa tua Parola, che per noi, è vita. Mandaci il Consolatore, lo Spirito di verità, perché non soltanto dimori presso di noi, ma entri dentro di noi e sia in noi per sempre. Egli è il fuoco d’amore che ti unisce a Gesù, è il bacio che vi scambiate incessantemente; fa’ che anche noi, attraverso la tua Parola, possiamo entrare in questo amore e vivere di esso. Tocca il nostro spirito, la nostra mente e tutto il nostro essere, perché possiamo accogliere i comandamenti, nascosti in questi pochi versetti, osservarli, cioè viverli in pienezza e in verità, davanti a te e davanti ai nostri fratelli. Amen.

Letture:
At 8,5-8.14-17 (Imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo)
Sal 65 (Acclamate Dio, voi tutti della terra)
1Pt 3,15-18 (Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito)
Gv 14,15-21 (Pregherò il Padre e vi darà un altro Paràclito)

Non cambiate rotta, noi verremo, aspettateci…
Non siamo soli, il Signore lo ripete in tanti modi. Il ricordo delle sue parole ci conforta come anche l’esperienza viva di fede che non abbandona coloro che scrutano con attenzione le Scritture, né chi vive la propria quotidianità con cuore generoso e accogliente. Se misuriamo le nostre forze ci troviamo deboli e bisognosi, ma se riconosciamo serenamente di cosa siamo plasmati, quella Parola entra in noi come Spirito vivificante, promesso per colmare le nostre lacune, per dilatare i nostri orizzonti e spallare le pareti dei nostri cuori rimpiccioliti dalla paura… Se ospitiamo lo Spirito, con lui coltiviamo la speranza della quale possiamo rendere ragione con la gioia e la sicurezza dei figli di Dio. «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Pietro, chiamato a confermare i fratelli e a guidare la Chiesa di ieri e di oggi, invita tutti noi alla dolcezza, al rispetto, alla rettitudine che fa discernere la volontà di Dio. È un cammino verso la nostra più vera e profonda identità, che non teme minacce esterne, e che si fortifica nelle avversità. È allora che possiamo verificare la forza dello Spirito che agisce in noi; solo con questa disponibilità si può evitare ciò che agita le acque e toglie stabilità alla nostra imbarcazione. Cambiare rotta è pericoloso; rischiamo di non incontrare Colui che non ha mai smesso di darci indicazioni chiare ed inequivocabili per giungere alla mèta, di indicarci la via più semplice e diretta, quella che forse, per natura, noi non avremmo mai scelto. Tenere le mani salde sul timone è la nostra garanzia di salvezza; quel timone è lo stesso Pietro che si fa voce dello Spirito che attraversa i secoli. «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Possibile che ci intimorisca tanto l’invito ad amare e ad essere amati? «Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo agire sugli uomini… venite, ascoltate voi tutti che temete Dio e narrerò quanto per me ha fatto». Questo sia il nostro impegno di cristiani, di specchi che riflettono piccoli raggi di luce in un mondo avvolto dalle tenebre.
L’uomo vive d’amore dal suo primo respiro fino all’ultimo. Amato, si sente protetto ed accettato. Amando, sente di appartenere e trova un senso ad offrirsi. Poiché l’amore non può restare chiuso nel suo cuore; esso pervade il quotidiano. L’amore che si porta all’uomo spinge ad impegnarsi. L’amore che si porta a Dio si manifesta nella considerazione che si ha dei suoi comandamenti. Si manifesta anche nella giustizia, nel rispetto della vita, nell’azione per la riconciliazione dei popoli e per la pace. Le conseguenze dell’amore che si porta a Dio possono prendere l’aspetto di un lavoro, perfino di una lotta. Lavoro e lotta sembrano spesso esigere troppo dall’uomo e superare le sue forze. Egli vede le sue debolezze ed ha voglia di rinunciare, ma quando lavoro e lotta sono le conseguenze dell’amore, conferiscono all’esistenza un respiro profondo, mettono la vita in un contesto più vasto e la rendono importante tanto sulla terra quanto in cielo. Cose apparentemente infime acquistano un significato quando sono il risultato dell’amore per Dio. Ogni buona azione, anche quella che facciamo senza pensare a Dio, è in relazione all’amore che gli portiamo. Ogni atto di amore, anche quando sembra minimo - come quando si porge un bicchiere d’acqua a qualcuno che ha sete - assume un significato per l’eternità. Noi ci chiediamo spesso: che cosa rimarrà del nostro mondo? È vero che crediamo di poter vivere e risuscitare grazie all’amore di Dio, con tutto ciò che è esistito grazie a questo amore che non si è accontentato di restare sentimento: contatti, relazioni, avvenimenti, cose. Quando risusciteremo, tutto un mondo risusciterà con noi, un mondo fatto di amore responsabile. Sarà magnifico: una “terra nuova”, che abbiamo il diritto di chiamare anche un “cielo nuovo”.

Approfondimento del Vangelo (La promessa dell’invio dello Spirito. I comandamenti come via dell’amore in Cristo)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Per inserire il brano nel suo contesto: Questi versetti ci conducono nel luogo santo in cui Gesù ha celebrato l’ultima cena con i suoi discepoli: luogo della sua rivelazione, della sua gloria, del suo insegnamento e del suo amore. Qui siamo invitati anche noi a sedere a mensa con Gesù, a chinarci sul suo petto per ricevere il suo comandamento e prepararci, così, ad entrare anche noi, con Lui, nella Passione e nella risurrezione. Dopo il brano di 13,1-30, che racconta i gesti, le parole, i sentimenti di Gesù e dei suoi durante la cena pasquale, con 13,31 entriamo nelle parole del grande ultimo discorso di Gesù, che terminerà con la preghiera sacerdotale del cap. 17. Qui siamo, dunque, ancora agli inizi; in 14,1-14 Gesù si era presentato, offerto quale via al Padre, mentre in questi pochi versetti introduce la promessa dell’invio dello Spirito santo, quale consolatore, quale presenza certa, ma anche la promessa della venuta del Padre e di Lui stesso nell’intimo dei discepoli che, per la fede, avranno creduto in lui e avranno custodito i suoi comandi.

Per aiutare nelle lettura del brano:
- vv. 15-17: Gesù, innanzi tutto, mette in luce, davanti ai suoi discepoli, che l’amore per Lui, se è vero amore, porta infallibilmente all’osservanza dei suoi comandamenti. Vuole dirci, insomma, che se non c’è osservanza, significa che noi non abbiamo l’amore; essa è una conseguenza essenziale, irrinunciabile, che rivela se noi amiamo davvero o se ci illudiamo di amare. Gesù dice anche che il dono dello Spirito santo da parte del Padre è frutto di questo amore e di questa osservanza, che suscitano la preghiera di Gesù, grazie alla quale noi possiamo ricevere lo Spirito. E spiega chi esso è: il Consolatore, lo Spirito della verità, colui che il mondo non vede, non conosce, ma i discepoli sì, è colui che dimora presso di loro e che sarà dentro di loro.
- vv. 18-20: Gesù promette la sua venuta, il suo ritorno, che sta per realizzarsi nella sua risurrezione; annuncia il suo sparire nella passione, nella morte, nella sepoltura, ma anche il suo riapparire ai discepoli, che lo vedranno, perché egli è la risurrezione e la vita. E rivela il suo rapporto col Padre, dentro il quale invita anche loro, anche noi; dice, infatti, che conosceremo, cioè sperimenteremo nel profondo. Consolazione più grande di questa non potrebbe essere promessa, in alcun modo, da nessuno al mondo, se non da Gesù.
- v. 21: Qui il discorso di Gesù si allarga a tutti; passa dal “voi” dei discepoli al “chi” di chiunque cominci ad amarlo, a entrare in relazione con Lui e a seguirlo. Ciò che è accaduto ai discepoli, ai primi scelti, accade a chiunque crede in Lui. E qui Gesù apre per noi, per ognuno, il suo rapporto d’amore col Padre, perché rimanendo in Cristo, noi siamo conosciuti e amati anche dal Padre. Infine Gesù promette di nuovo il suo amore per chi lo ama e la rivelazione di se stesso, cioè una manifestazione ininterrotta del suo amore per noi.

Un momento di silenzio orante: Queste parole del Signore mi offrono una realtà sconvolgente, enorme, che mi supera, mi avvolge e mi riempie. Sento che solo un silenzio intimo e profondo può aiutarmi ad ascoltare meglio, a lasciarmi raggiungere fino al cuore, all’anima, da Lui e dal suo dono d’amore. Il Padre è pronto a donarsi, ad accogliermi nel suo grembo; il Figlio Gesù viene a me con un amore infinito, più forte della morte; lo Spirito, che è presso di me, accanto a me, è inviato per entrare dentro, per rimanere in me per sempre. Desidero rispondere il mio sì all’Amore, fargli spazio, fargli accoglienza piena; desidero, in questa Parola, lasciarmi portare via dall’Amore, là dove Lui vorrà... così aspetto, in silenzio. Sono certo che l’Amore verrà, non tarderà, non mi lascerà orfano.

Alcune domande: Dopo il silenzio, la parola. Non posso più tacere, ormai; devo cominciare a parlare. Parlare prima di tutto con il Signore, che è sceso all’incontro, all’appuntamento con me attraverso i versetti di questo brano evangelico; poi parlare con me stesso, con il mio essere più profondo, più intimo, quello che vive il rapporto d’amore col Signore; infine parlare anche con i fratelli e le sorelle che incontrerò, per annunciare loro le meraviglie che ho visto, che ho vissuto.
a) Questo brano si apre e si chiude con le stesse parole: la proclamazione e l’invito all’amore verso il Signore. Comprendo che Lui ha voluto prepararmi, con questa lectio divina, un incontro forte con l’amore; forse mi spavento un po’, so che non sono abituato, forse mi vergogno, forse mi ritengo superiore a questi temi così sdolcinati. Ma Lui insiste e continua a ripetere solo questo, solo l’Amore. Cosa decido di fare, allora? Rimango ed entro in questa relazione così impegnativa, così sconvolgente? Oppure me ne vado, scappo, perché ho paura, perché non me la sento di impegnarmi? Scelgo l’Amore, cioè la relazione, il mettere a confronto, lo scambio, il dono reciproco, l’offerta di me stesso? O scelgo la chiusura, la solitudine, l’isolamento assurdo di un uomo, che non vuole stare col suo Dio e con i suoi simili? Gesù dice: “Se vuoi”; Lui non mi costringe. Però so che mi sta aspettando, da tanto tempo... perché tardare ancora?
b) Leggo e rileggo il brano, perché queste parole, così cariche di significato, mi si imprimano meglio nella mente e scendano nel cuore. Noto che Gesù pronuncia con insistenza un pronome, il “voi”, riferito ai suoi discepoli, a quelli di allora, ma anche a quelli di oggi. Siamo noi, ognuno visto e guardato da Lui con amore unico, personale, irripetibile, che non può essere svenduto, o scambiato. So che anch’io sono presente dentro quel “voi”, che sembra generico, ma non lo è. Provo a rileggere ancora le parole di Gesù, ma ponendo il “tu” al posto del “voi” e lasciandomi raggiungere più direttamente; mi pongo faccia a faccia, occhi negli occhi con Gesù e lascio che Lui mi dica tutto, chiamandomi con un “tu” traboccante d’amore, col mio nome, che solo Lui veramente conosce... Se tu mi ami; il Padre ti darà un altro Consolatore; tu lo conosci; egli dimora presso di te e sarà in te; non ti lascerò orfano, ritornerò da te; tu mi vedrai; tu vivrai; tu saprai che io sono nel Padre e tu in me e io in te.
c) Emerge, ora, un’espressione importante di Gesù, ripetuta due volte: “osservare i comandamenti”. È una realtà importante, fondamentale, perché da essa dipende l’autenticità del mio rapporto d’amore col Signore; se io non osservo i suoi comandamenti, significa che non lo amo. Ma provo a chiedermi con più attenzione che significato abbia questo verbo, che forse sembra un po’ freddo, un po’ distante. Lo trovo, per es. in Mt 27,36, dove è detto che i soldati facevano la guardia a Gesù crocifisso; si tratta, dunque, di una custodia attenta, scrupolosa, una sorveglianza instancabile. In Gv 2,10, invece, appare col significato di tenere da parte, riservare, come dice Gesù del vino buono, custodito per la fine. 2Tim 4,7 me lo presenta in quel versetto stupendo sulla fede: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”, mettendo in luce tutto lo sforzo, tutta l’attenzione impiegate per salvaguardare e custodire quella realtà così preziosa. Gesù, in Gv 17,15, prega il Padre di custodire i suoi dal maligno; significa preservare, proteggere, perché niente e nessuno possa fare del male o sciupare.
Non è semplicemente un osservare freddo ed esteriore dei comandamenti di Dio o di Gesù, ma è molto di più: è un rapporto d’amore, è prendermi cura, proteggere, tenere in vita. In fondo è realizzare ciò che essi mi dicono o mi chiedono, nella mia vita di ogni giorno, in ogni momento e in ogni situazione.

Una chiave di lettura: Ho letto il brano più volte, ho cercato di fare silenzio, di fare spazio alla Parola; ho ascoltato, poi ho cominciato a parlare, a interrogare la Scrittura, il Signore, me stesso. Adesso è il momento del confronto ancora più stretto, dell’immersione dentro i sentieri di questo brano così ricco e traboccante. Tento di penetrare ancora meglio i significati delle parole, di incontrarmi ancora più da vicino coi personaggi che mi sono presentati: il Padre, Gesù, lo Spirito, i discepoli, il mondo.
- Il Padre. Questa presenza appare subito come il punto di riferimento di Gesù, il Figlio; è a Lui che egli indirizza la propria preghiera. Dice, infatti: “Io pregherò il Padre”. È questo contatto così particolare e intimo che fa di Gesù il Figlio del Padre suo, che lo conferma continuamente in questa realtà; la relazione d’amore con il Padre viene alimentata e tenuta in vita proprio dalla preghiera, fatta durante le notti, nei momenti del giorno, nella necessità, nella richiesta di aiuto, nel dolore, nella prova più straziante. Se ripercorriamo i Vangeli, molte volte, troveremo Gesù così, preso nella relazione col Padre suo attraverso la preghiera. Posso leggere alcuni passi: Mt 6,9; 11,25; 14,23; 26,39; 27,46; Lc 21,21s; 6,12; 10,21; 22,42; 23,34.46; Gv 11,41s; 17,1. Sento che questa via è anche per me; Gesù l’ha percorsa fino in fondo, lasciandomi le sue tracce luminose e sicure, perché io non abbia paura di seguirlo in questa esperienza. Anch’io sono figlio del Padre, anch’io posso pregarlo. Subito dopo il Padre viene presentato da Gesù come Colui che dona. Il donare, infatti, è la caratteristica principale di Dio, che è dono ininterrotto, senza misura, senza calcolo, a tutti e in ogni tempo; il Padre è Amore e l’Amore dona se stesso, dona ogni cosa. Non gli basta averci donato Gesù, il suo Figlio prediletto, ma vuole ancora beneficarci, ancora offrirci vita e ci invia lo Spirito Santo. Infatti, come sta scritto: “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32). Ma ancora di più: il Padre ci ama (Gv 14,23; 16,27)! E questo suo amore ci fa passare dalla morte alla vita, dalla tristezza del peccato alla gioia della comunione con Lui, dalla solitudine dell’odio alla condivisione, perché l’amore di Dio porta necessariamente all’amore per i fratelli.
- Il Figlio Gesù. In questi pochi versetti la figura e la presenza di Gesù emergono con una forza, una luminosità enormi. Egli appare subito come l’orante, colui che prega il Padre a nostro favore; alza le mani in preghiera per noi, così come le alza in offerta sulla croce. Gesù è colui che non se ne va per sempre, che non ci lascia orfani, ma che ritorna: “Io tornerò”. Se sembra assente, non devo disperare, ma continuare a credere che Lui, davvero, tornerà. “Sì, aerrò presto!” (Ap 22,20). Tornerà e, come ha detto, ci prenderà con sé, perché siamo anche noi dove è Lui (Gv 14,3). Gesù è il vivente per sempre, il vincitore della morte. Egli è nel Padre ed è in noi, con una forza onnipotente, che nessuna realtà può sopraffare. Lui è dentro il Padre, ma anche dentro di noi, abita in noi, rimane in noi; non c’è altra possibilità di vita vera e piena, per noi, se non in questa compenetrazione di essere che il Signore Gesù ci offre. Lui dice sì, incessantemente e non si pente, non si ritrae. Anzi! Egli ci ama, come il Padre ci ama e si manifesta a noi. Si dona, si offre, lasciandosi conoscere da noi, lasciandosi sperimentare, toccare, gustare. Ma è una manifestazione che va attesa con amore, come dice Paolo (2Tim 4,8).
- Lo Spirito Santo. In questo brano lo Spirito del Signore sembra quasi la figura emergente, che abbraccia ogni cosa: egli unisce il Padre al Figlio, porta il Padre e il Figlio nel cuore dei discepoli; crea un’unione d’amore insolvibile, unione di essere. Viene subito chiamato col nome di Paraclito, cioè Consolatore, colui che rimane con noi sempre, che non ci lascia soli, abbandonati, dimenticati; egli viene e ci raccoglie, dai quattro venti, dalla dispersione e soffia dentro di noi la forza per il ritorno al Padre, all’Amore. Solo lui può operare tutto questo; è il dito della mano di Dio che, ancora oggi, scrive sulla polvere del nostro cuore le parole di un’alleanza nuova, che non potrà più essere dimenticata. È lo Spirito della verità, cioè di Gesù; in lui non c’è inganno, non c’è menzogna, ma solo la luminosità certa della Parola del Signore. Egli ha costruito la sua abitazione in noi; è stato inviato e ha compiuto il passaggio da presso di noi a dentro di noi. Si è fatto una cosa sola con noi, accettando questa unione nuziale, questa fusione; egli è il buono, l’amico degli uomini, è l’Amore stesso. Per questo si dona così, riempiendoci di gioia. Guai a rattristarlo, a cacciarlo via, a sostituire la sua presenza con altre presenze, altre alleanze d’amore; noi ne moriremmo, perché nessuno potrebbe più consolarci al posto suo.
- I discepoli. Le parole dirette ai discepoli di Gesù sono quelle che mi interpellano più da vicino, con maggior forza; sono per me, entrano nella mia vita di ogni giorno, raggiungono il mio cuore, i miei pensieri, i miei desideri più nascosti. Mi è richiesto un amore vero, che sappia trasformarsi in gesti concreti, in attenzione alla Parola e al desiderio di colui che dico di amare, il Signore. Un amore verificabile attraverso la mia osservanza dei comandamenti. Il discepolo, poi, appare, qui come colui che sa aspettare il suo Signore, che ritorna; a mezzanotte, al canto del gallo, o già quando è mattino? Non importa; Lui ritornerà e perciò occorre aspettarlo, stando pronti. Che amore è, un amore che non veglia, che non custodisce, non protegge? Il discepolo è anche uno che conosce; si tratta di una conoscenza donataci dall’alto, che si realizza nel cuore, cioè nella parte più intima del nostro essere e della nostra personalità, là dove noi prendiamo le nostre decisioni per agire, là dove comprendiamo la realtà, formuliamo i pensieri, vediamo, amiamo. È la conoscenza in senso biblico, che nasce da un’esperienza forte, prolungata, intima, nasce da un’unione profonda e dal dono reciproco. Questo avviene tra lo Spirito e il vero discepolo di Gesù. Una conoscenza inarrestabile, sempre in espansione, che ci porta al Cristo, al Padre e ci pone dentro la loro comunione d’amore, eterna, infinita: “Saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi”. Il discepolo è anche colui che vive, che è in, cioè dentro, in un’unione inscindibile col suo Signore; non rimane alla superficie, a distanza, a intervalli, ma lui è dentro il rapporto d’amore sempre. Ci va lui stesso, torna e ritorna, si lascia attrarre, trattenere. E così realizza la parola del Vangelo: “Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio”. Il discepolo di Gesù, infatti, è un amato, un prediletto, da sempre e per sempre.
- Il mondo. Il brano ci offre solo poche parole riguardo a questa realtà, che sappiamo molto importante negli scritti giovannei: il mondo non può ricevere lo Spirito, perché non lo vede e non lo conosce. Il mondo è cieco, è immerso nella tenebra, nell’errore: non vede e non conosce, non fa esperienza dell’amore di Dio. Il mondo rimane lontano, si volta indietro, si chiude, se ne va. Il mondo risponde con l’odio all’amore che il Signore nutre per esso: il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. Forse anche noi dobbiamo amare altrettanto il mondo, creatura di Dio; amarlo unendoci all’offerta, al sacrificio di Gesù per esso.
Che sia qui, proprio in questo punto preciso, nell’offerta di Cristo, anche il nostro arrivo, la nostra verità più piena, più luminosa, come figli del Padre, come discepoli, come amanti? È qui la conclusione di questa lectio divina, di questo incontro con Cristo, col Padre e con lo Spirito? Forse veramente è così; dovevamo giungere alla pienezza dell’amore, che è osservanza dei comandamenti e di quell’unico comandamento di Gesù: amate, come Io ho amato.

Orazione finale: Signore, sono pieno di Te, del tuo amore; trabocco di gioia, di pace profonda. Tu mi hai amato tanto in questo incontro, attraverso la tua Parola. Ti sei donato a me in pienezza; nulla hai lasciato in abbandono di me, della mia persona, della mia storia, di tutta la mia vita. Io sono, o Signore, perché tu ci sei; sei con me, in me. Tu oggi mi hai fatto rinascere dall’alto, mi hai reso nuovo; io conosco, io vedo, io sento in me la tua stessa vita. Questa è vera Pasqua, vero passaggio dalla morte alla vita. Signore, grazie per questo amore indicibile, che mi sommerge, mi supera, eppure mi solleva, mi rialza! Lascio qui la mia brocca vuota, inutile, incapace e corro in città, Signore; vado a chiamare i miei amici, coloro che tu ami, per dire loro: Venite anche voi a conoscere l’Amore! Signore, un’ultima cosa: che io non ti tradisca. Se l’Amore non è donato, non è condiviso, si allontana, svanisce, si trasforma in malattia, in solitudine. Aiutami, ti prego: fa’ che io sia amore.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VI DOMENICA DI PASQUA


Letture:
At 4,8-14
Sal 117
1Cor 2,12-16
Gv 14,25-29

Vi do la mia pace
La pace interiore l’uomo cerca veramente. Quella pace che è sicurezza di essere nella verità, di non essere imbrogliato nelle cose che contano, di realizzare quelle speranze grandi che il cuore gli suscita. È la pace che deriva dal conoscere in modo significativo i fatti di un Dio che s’è proteso fino a noi a salvarci della nostra precarietà. I fatti di Cristo risorto, unica piena salvezza per ogni uomo. Appunto “pietra d’angolo” su cui fondare sicuramente la propria esistenza e il proprio futuro. Questa pace, questa conoscenza decisiva e pervasiva, è dono di Cristo, è il suo Spirito capace di comunicarci lo stesso “pensiero di Cristo”, cioè il suo modo di guardare le cose, la vita e Dio stesso.
La pietra d’angolo: Un uomo è guarito a Gerusalemme “nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”. Un fatto testimoniato con fermezza da “persone semplici e senza istruzione”, riconosciuti “come quelli che erano stati con Gesù” (Lett.). Un fatto inspiegabile perché tutti “vedendo in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare”. La risposta c’è: sta nella potenza di quel Gesù “che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti”. Alla radice sta un evento che immette una risorsa di trasformazione e di vita nella vicenda umana; Pietro lo annuncia con forza nel suo primo discorso a Pentecoste: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36). La risurrezione accredita Gesù come l’inviato di Dio e ne proclama la signoria divina su tutta la realtà umana. Egli “è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”, cioè il fondamento di un mondo nuovo ormai gestito da Dio per la salvezza di ogni uomo. È da lui e con lui che ora soltanto si può costruire qualcosa di sano e di definitivo: “In nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”. Per chi sente di aver bisogno di una salvezza da Dio, ora l’unico tramite è questo Cristo risorto: “Uno solo infatti è Dio e uno solo anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5-6). Dentro le autosufficienze soggettive che lasciano delusioni e vuoto, tra le proposte di evasione e relativismo morale che annegano l’animo tra dubbi e paure, tra proposte religiose d’ogni tipo che oggi affollano il mercato sollecitando emozioni e ambienti caldi e promettendo risultati miracolistici, ma senza una sufficiente razionalità e sicurezza quale risulta dal mondo delle sette..., quanto è necessario - per la pace vera interiore - appoggiare la nostra fede e la nostra speranza su fatti, su testimonianze ben precise e documentate quale appunto è la risurrezione di un Uomo che si è presentato non come caso unico, ma “primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,20). Cose forse che conosciamo, che forse condividiamo, ma che stentiamo a tradurre come significative per la propria vita. Quanti cristiano faticano a credere alla risurrezione della carne!
Lo Spirito Santo: “Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito” (Epist.). Dice altrove san Paolo: “Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio” (1Cor 2,11). Non c’è acume umano che giunga a conoscere l’intimo disegno di Dio e la sua vera identità; solo una sua rivelazione lo può permettere: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Ora ciò che Cristo ha rivelato lo può conoscere chi ha ricevuto “lo Spirito Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato”. Anzi con lui “noi abbiamo il pensiero di Cristo” (Epist.). Ecco allora il grande dono di Cristo risorto ai suoi: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Paraclito significa uno che sta al nostro fianco come prolungamento della presenza e dell’azione stessa di Gesù, ormai salito al cielo. “Non vi lascerò orfani: verrò da voi” (Gv 14,18). “Il Padre vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14,16-17). È colui che fa memoria viva di Gesù e del suo mistero: “Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,14). Dal che deriva la necessità dell’azione dello Spirito per una autentica esistenza cristiana. Solo “quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene” (Rm 8,9). Sì la fede, sì la Parola di Dio, ma solo se sostenuta dalla preghiera e dai sacramenti perché sia lo Spirito a far capire e vivificare quella che altrimenti resterebbe cultura insignificante per la vita. Molto dell’afflosciarsi della testimonianza cristiana dipende da una pastorale che oggi privilegia troppo convegni e incontri.., e poco la crescita spirituale nella preghiera, nella azione diretta dell’Eucaristia (messa e adorazione) che sono il veicolo privilegiato per lasciarsi coinvolgere dall’azione dello Spirito. La “santità” è opera diretta dello Spirito, non sforzo o velleità umana!
Novena dello Spirito Santo, questa settimana, che prepara la solennità di Pentecoste. Tutti sentiamo il bisogno di capire qualcosa di più del mistero di Dio e della nostra fede. Non devono mancare i nostri sforzi di conoscenza (l’ultimo libro del papa: Gesù di Nazaret, vol. secondo) è un’ottima occasione di approfondimento. Ma è l’invocazione allo Spirito ciò che è decisivo. Gli apostoli nel Cenacolo furono cambiati proprio dall’effusione dello Spirito, che si rinnova anche per noi quest’anno sul cuore di chi ne è aperto e docile.
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MessaggioTitolo: 31 maggio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyMar Mag 31, 2011 9:36 am

MARTEDÌ 31 MAGGIO 2011

VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA


Preghiera iniziale: Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo disegno di amore hai ispirato alla beata Vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant’Elisabetta, concedi a noi di essere docili all’azione del tuo Spirito, per magnificare con Maria il tuo santo nome.

Letture (rito romano):
Sof 3,14-18 (Re d’Israele è il Signore in mezzo a te)
Is 12 (Grande in mezzo a te è il Santo d’Israele)
Lc 1,39-56 (Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili)

Letture (rito ambrosiano):
Ct 2,8-14
Sal 44
Rm 8,3-11
Lc 1,39-56

Visitazione della Beata Vergine Maria
Il mese di maggio in cui in modo particolare ci siamo affidati alla Madonna Santissima volge al termine. E proprio l’ultimo giorno la liturgia ci propone l’esempio di Maria. Il fondamento della festa è il Vangelo. «Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile». «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». Nel dare l’annuncio della prodigiosa maternità di Maria, l’angelo Gabriele l’aveva informata di quanto è già accaduto alla sua parente, ed ecco che la futura Madre del Signore, l’umile ancella, come Lei stessa si è definita, sente il dovere impellente di andare a trovare Elisabetta per darle quell’aiuto di cui ogni mamma ha bisogno quando è prossima alla maternità. Chi ama Dio e si sente amato da Lui, ama anche il suo prossimo e allora non c’è dignità o privilegio che possa frenare la concreta espressione della più squisita carità. Sembra poi normale che nella manifestazione operosa dell’amore si svelino anche i misteri reconditi di Dio. Elisabetta, mossa dallo Spirito Santo esclama: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Vede in Maria la Madre del Mio Signore, il bambino che da oltre sei mesi porta in grembo, il futuro Giovanni Battista, le sussulta di gioia nel grembo. E Maria, che serbava nel suo cuore l’arcano mistero che stava per compiersi in Lei, esplode in un sublime cantico di lode, intona il suo Magnificat. Che bell’insegnamento per noi! Dio si svela e si fa conoscere dove l’amore trova le sue migliori manifestazioni. Ce lo conferma San Giovanni quando dice: «Dov’è carità e amore, lì c’è Dio». Ma lo stesso Gesù afferma solennemente che quello che facciamo nel suo nome ai nostri fratelli più bisognosi egli lo ritiene e lo premia come se fosse fatto a Lui stesso. Ci è di conforto infine scoprire la materna sollecitudine di Maria nei confronti delle nostre necessità. Ne avremo una conferma alle nozze di Cana; sarà lei ad accorgersi del disagio e a provvedere per la mancanza del vino chiedendo anzitempo un miracolo dal Figlio suo Gesù Cristo.
Il vangelo ci rivela che Maria è regina della comunicazione e dell’accoglienza. Il mistero della Visitazione, infatti, è il mistero della comunicazione mutua di due donne diverse per età, ambiente, caratteristiche e della rispettosa vicendevole accoglienza. Due donne, ciascuna delle quali porta un segreto difficile a comunicare, il segreto più intimo e più profondo che una donna possa sperimentare sul piano della vita fisica: l’attesa di un figlio. Elisabetta fatica a dirlo a causa dell’età, della novità, della stranezza. Maria fatica perché non può spiegare a nessuno le parole dell’angelo. Se Elisabetta ha vissuto, secondo il Vangelo, nascosta per alcuni mesi nella solitudine, infinitamente più grande è stata la solitudine di Maria. Forse per questo parte “in fretta”; ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca e da ciò che le ha detto l’angelo ha capito che la cugina è la persona più adatta. Quando si incontrano, Maria è regina nel salutare per prima, è regina nel saper rendere onore agli altri, perché la sua regalità è di attenzione premurosa e preveniente, quella che dovrebbe avere ogni donna. Elisabetta si sente capita ed esclama: “Benedetta tu tra le donne”. Immaginiamo l’esultanza e lo stupore di Maria che si sente a sua volta compresa, amata, esaltata. Sente che la sua fede nella Parola è stata riconosciuta. Il mistero della Visitazione ci parla quindi di una compenetrazione di anime, di un’accoglienza reciproca e discretissima, che non si logora con la moltitudine delle parole, che non richiede un eloquio fluviale ma che con semplici accenni di luci, di fiaccole nella notte, permette una comunicazione perfetta.

Lettura del Vangelo: In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Riflessione:
- Oggi è la festa della visitazione della Vergine, e il vangelo narra la visita di Maria a sua cugina Elisabetta. Quando Luca parla di Maria, pensa alle comunità del suo tempo che vivevano sparse nelle città dell’Impero Romano ed offre loro in Maria un modello di come devono rapportarsi alla Parola di Dio. Una volta, udendo Gesù parlare di Dio, una donna del popolo esclamò: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte” elogiando la madre di Gesù. Immediatamente, Gesù rispose: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,27-28). Maria è il modello della comunità fedele che sa vivere e praticare la Parola di Dio. Nel descrivere la visita di Maria a Elisabetta, lui insegna come devono agire le comunità per trasformare la visita di Dio in servizio ai fratelli e alle sorelle.
- L’episodio della visita di Maria ad Elisabetta mostra ancora un altro aspetto tipico di Luca. Tutte le parole e gli atteggiamenti, soprattutto il cantico di Maria, formano una grande celebrazione di lode. Sembra una descrizione di una liturgia solenne. Così, Luca, evoca l’ambiente liturgico e celebrativo, in cui Gesù si formò ed in cui le comunità devono vivere la propria fede.
- Luca 1,39-40: Maria va a visitare sua cugina Elisabetta. Luca mette l’accento sulla prontezza di Maria nel rispondere alle esigenze della Parola di Dio. L’angelo le parlò della gravidanza di Elisabetta e Maria, immediatamente, si alza per verificare ciò che l’angelo le aveva annunciato, ed esce di casa per aiutare una persona nel bisogno. Da Nazaret fino alle montagne di Giuda ci sono più di 100 km! Non c’erano pullman, né treni!
- Luca 1,41-44: Il saluto di Elisabetta. Elisabetta rappresenta l’Antico Testamento che termina. Maria, il Nuovo che inizia. L’Antico Testamento accoglie il Nuovo con gratitudine e fiducia, riconoscendo in esso il dono gratuito di Dio che viene a realizzare e completare qualsiasi aspettativa della gente. Nell’incontro delle due donne si manifesta il dono dello Spirito che fa’ che la creatura salti di gioia nel seno di Elisabetta. La Buona Novella di Dio rivela la sua presenza in una delle cose più comuni della vita umana: due donne di casa che si scambiano la visita per aiutarsi. Visita, gioia, gravidanza, bambini, aiuto reciproco, casa, famiglia: Luca vuol far capire e far scoprire alle comunità (e a noi tutti) la presenza del Regno. Le parole di Elisabetta, fino ad oggi, fanno parte del salmo più conosciuto e più recitato in tutto il mondo, che è l’Ave Maria.
- Luca 1,45: L’elogio che Elisabetta fa a Maria. “Beata colei che ha creduto, nell’adempimento delle parole del Signore”. È l’avviso di Luca alle Comunità: credere nella Parola di Dio, poiché ha la forza di realizzare ciò che ci dice. È Parola creatrice. Genera una nuova vita nel seno di una vergine, nel seno della gente povera ed abbandonata che l’accoglie con fede.
- Luca 1,46-56: Il cantico di Maria. Molto probabilmente, questo cantico, era già conosciuto e cantato nelle comunità. Lei insegna come deve essere pregato e cantato. Luca 1,46-50: Maria inizia proclamando il cambiamento avvenuto nella sua vita sotto lo sguardo amorevole di Dio, pieno di misericordia. Per questo, canta felice: “Esulto di gioia in Dio, mio Salvatore”. Luca 1,51-53: canta la fedeltà di Dio verso il suo popolo e proclama il mutamento che il braccio di Yavé sta producendo a favore dei poveri e degli affamati. L’espressione “braccio di Dio” ricorda la liberazione dell’Esodo. È questa forza salvatrice di Dio ciò che dà vita al mutamento: disperde gli orgogliosi (1,51), rovescia dai troni i potenti ed innalza gli umili (1,52), rimanda a mani vuote i ricchi e ricolma di beni gli affamati (1,53). Luca 1,54-55: Alla fine, lei ricorda che tutto ciò è espressione della misericordia di Dio verso il suo popolo ed espressione della sua fedeltà alle promesse fatte a Abramo. La Buona Novella non è una risposta all’osservanza della Legge, ma espressione della bontà e della fedeltà di Dio alle promesse fatte. È ciò che Paolo insegnava nelle lettere ai Galati e ai Romani.
- Il secondo libro di Samuele racconta la storia dell’Arca dell’Alleanza. Davide volle metterla a casa sua, ma si impaurì e disse: “Come potrà venire da me l’Arca del Signore?” (2Sam 6,9). Davide ordinò così che l’Arca fosse messa nella casa di Obed-Edom. “E l’Arca del Signore rimase tre mesi in casa de Obed-Edom, e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la casa” (2Sam 6,11). Maria, in attesa di Gesù, è come l’Arca dell’Alleanza che, nell’Antico Testamento, visitava le case delle persone portando benefici. Lei si reca a casa di Elisabetta e vi rimane tre mesi. E mentre si trova in casa di Elisabetta, tutta la famiglia è benedetta da Dio. La comunità deve essere come la Nuova Arca dell’Alleanza. Visitando la casa delle persone, deve portare benefici e la grazia di Dio alla gente.

Per un confronto personale:
- Cosa ci impedisce di scoprire e di vivere la gioia della presenza di Dio nella nostra vita?
- Dove e come la gioia della presenza di Dio avviene oggi nella mia vita e in quella della comunità?

31 maggio: Visitazione della Beata Vergine Maria
Biografia: Visitazione è l’incontro fra la giovane madre, Maria, l’ancella del Signore e l’anziana Elisabetta simbolo degli aspettanti di Israele. La premura affettuosa di Maria, con il suo cammino frettoloso, esprime insieme col gesto di carità anche l’annunzio che i tempi si sono compiuti.
Giovanni che sussulta nel grembo materno inizia già la sua missione di precursore. Il calendario liturgico tiene conto della narrazione evangelica che colloca la Visitazione entro i tre mesi fra l’Annunciazione e la nascita del Battista.

Dagli scritti
Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote
Maria magnifica il Signore che opera in lei
«L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Lc 1,46). Con queste parole Maria per prima cosa proclama i doni speciali a lei concessi, poi enumera i benefici universali con i quali Dio non cessò di provvedere al genere umano per l’eternità. Magnifica il Signore l’anima di colui che volge a lode e gloria del Signore tutto ciò che passa nel suo mondo interiore, di colui che, osservando i precetti di Dio, dimostra di pensare sempre alla potenza della sua maestà. Esulta in Dio suo salvatore, lo spirito di colui che solo si diletta nel ricordo del suo creatore dal quale spera la salvezza eterna. Queste parole, che stanno bene sulle labbra di tutte le anime perfette, erano adatte soprattutto alla beata Madre di Dio. Per un privilegio unico essa ardeva d’amore spirituale per colui della cui concezione corporale ella si rallegrava. A buon diritto ella poté esultare più di tutti gli altri santi di gioia straordinaria in Gesù suo salvatore. Sapeva infatti che l’autore eterno della salvezza, sarebbe nato dalla sua carne, con una nascita temporale e in quanto unica e medesima persona, sarebbe stato nello stesso tempo suo figlio e suo Signore. «Cose grandi ha fatto a me l’onnipotente e santo è il suo nome». Niente dunque viene dai suoi meriti, dal momento che ella riferisce tutta la sua grandezza al dono di lui, il quale essendo essenzialmente potente e grande, è solito rendere forti e grandi i suoi fedeli da piccoli e deboli quali sono. Bene poi aggiunse: «E Santo è il suo nome», per avvertire gli ascoltatori, anzi per insegnare a tutti coloro ai quali sarebbero arrivate le sue parole ad aver fiducia nel suo nome e a invocarlo. Così essi pure avrebbero potuto godere della santità eterna e della vera salvezza, secondo il detto profetico: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3,5). Infatti è questo stesso il nome di cui sopra si dice: «Ed esultò il mio spirito in Dio, mio salvatore». Perciò nella santa Chiesa è invalsa la consuetudine bellissima ed utilissima di cantare l’inno di Maria ogni giorno nella salmodia vespertina. Così la memoria abituale dell’incarnazione del Signore accende di amore i fedeli, e la meditazione frequente degli esempi di sua Madre, li conferma saldamente nella virtù. Ed è parso bene che ciò avvenisse di sera, perché la nostra mente stanca e distratta in tante cose, con il sopraggiungere del tempo del riposo si concentrasse tutta in se medesima.

Preghiera finale: Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici (Sal 102).
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MessaggioTitolo: giovedì 2 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyGio Giu 02, 2011 3:29 pm

IL RITO ROMANI CELEBRA L'ASCENZIONE DEL SIGNORE NON DI DOMENICA MA QUARANTA GIORNI DOPO LA PASQUA (quindi sempre di giovedì; riprendendo At 1,3).

GIOVEDÌ 2 GIUGNO 2011


RITO AMBROSIANO
ANNO A
ASCENSIONE DEL SIGNORE - SOLENNITÀ DEL SIGNORE


Invochiamo lo Spirito santo: Shaddai, Dio della montagna, che fai della nostra fragile vita la rupe della tua dimora, conduci la nostra mente a percuotere la roccia del deserto, perché scaturisca acqua alla nostra sete. La povertà del nostro sentire ci copra come manto nel buio della notte e apra il cuore ad attendere l’eco del Silenzio finché l’alba, avvolgendoci della luce del nuovo mattino, ci porti, con le ceneri consumate del fuoco dei pastori dell’Assoluto che hanno per noi vegliato accanto al divino Maestro, il sapore della santa memoria.

Letture:

At 1,6-13a
Sal 46
Ef 4,7-13
Lc 24,36b-53

Lettura del Vangelo: In quel tempo. Il Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Momento di silenzio: lasciamo che la voce del Verbo risuoni in noi.

Alcune domande:
a) Era accaduto lungo la via; l’avevano riconosciuto: Quanti momenti di grazia lungo la via della nostra esistenza? Lo riconosciamo mentre spezza con noi il pane del presente nella locanda del farsi sera?
b) Gesù in persona apparve in mezzo a loro. Guardate e toccate: Sono proprio io!: Tocchiamo con mano i doni della libertà nella persona del Cristo vivente e nella frazione dello stare insieme?
c) Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma: Quale Dio ci affascina? Il Dio dell’imprevedibile che è sempre al di là del nostro piccolo mondo oppure il Dio “fantasma” del nostro desiderio onnipotente?
d) Per la grande gioia ancora non credevano: È la gioia il nostro bastone di viaggio? Vive in noi in noi il senso dell’attesa o ci muoviamo nelle ombre della rassegnazione?
e) Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture: Dov’è la creatura immagine nel nostro cercare? Abbiamo fatto della Scrittura la nostalgia di una Parola lasciata andare come brezza dell’Amore eterno tra i rami del dolore umano?
f) Nel nome del Signore. Ciò che vivo ogni giorno in nome di chi lo faccio?
g) A tutte le genti. Ho un cuore capace di accogliere tutti oppure discrimino facilmente secondo le mie vedute?
h) Restate in città. Riesco a stare nelle situazioni più difficili o tento, prima ancora di capirne il senso, di eliminarle?
i) La mia preghiera. Lodo il Signore per ciò che compie nella mia vita oppure chiedo per me?

Chiave di lettura: La categoria del cammino rende bene in Luca l’itinerario teologico di quel percorso di grazia che interviene negli eventi umani. Giovanni prepara la via al Signore che viene (Lc 1,76) e invita a spianare le sue vie (Lc 3,4); Maria si mette in cammino e va in fretta verso la montagna (Lc 1,39); Gesù, via di Dio (Lc 20,21), cammina con gli uomini e traccia la via della pace (Lc 1,79) e della vita (At 2,28), percorrendola in prima persona con la sua esistenza. Dopo la risurrezione continua il cammino insieme ai discepoli (Lc 24,32) e resta il protagonista del cammino della Chiesa che si identifica con il suo (At 18,25). Tutta la ragion d’essere della Chiesa è in questo cammino di salvezza (At 16,17) che conduce a Dio (At 18,2). Essa è chiamata a viverlo e ad indicarlo a tutti perché, ciascuno, abbandonata la propria via (At 14,16), si orienti verso il Signore che cammina con i suoi. Poche righe che parlano di vita, di movimento, di cammino, di incontro... Obiettivo che compie il così sta scritto è tutte le genti. La via è quella tracciata dalla testimonianza. Gli apostoli sono dei mandati, non portano qualcosa di proprio, ma si fanno vita, movimento, cammino, incontro, via che fa fiorire la vita ovunque arrivi.

Commento del testo:
- v. 36. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Luca cuce sapientemente gli eventi per dare fondamento e continuità alla storia della salvezza. I germi annunciati fioriranno e l’atmosfera di novità che aleggia nelle pagine di questi eventi fanno da sottofondo allo svolgersi in una memoria Dei che si ripropone di volta in volta. Gesù torna dai suoi. Sta in mezzo a loro come persona, per intero, come prima anche se in una condizione diversa in quanto definitiva. Si manifesta nella sua corporeità glorificata per dimostrare che la risurrezione è un fatto realmente avvenuto.
- v. 37. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. La reazione dei discepoli sembra non raccordarsi bene con il racconto precedente dal momento che essi credevano già nella risurrezione di Gesù sulla parola di Pietro (v. 34). La loro perplessità comunque non riguarda più la convinzione che Gesù è risorto, ma la questione della natura corporea di Gesù risorto. E in tal senso non c’è contraddizione nella narrazione. Era necessario per i discepoli fare una esperienza intensa della realtà corporea della risurrezione di Gesù per svolgere in modo adeguato la loro futura missione di testimoni della buona notizia e chiarire le idee sul Risorto: non credevano che fosse Gesù in persona, ma pensavano di vederlo solo in spirito.
- vv. 38-40. Ma egli disse: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Il Gesù del vangelo di Luca è quasi un eroe che affronta la sua sorte con sicurezza e le poche ombre che rimangono servono semplicemente a comprendere e sottolineare la sua piena realtà. Luca aveva ricordato le umili origini e la genealogia, del tutto comune e spoglia di figure prestigiose, una folla di individui oscuri da cui scaturiva la figura del Cristo. Nel turbamento e nel dubbio dei discepoli dopo la risurrezione appare evidente che Gesù non è il Salvatore dei grandi, ma di tutti gli uomini, stupiti o spaventati che siano. Egli, protagonista del cammino della Chiesa, percorre i sentieri umani dell’incredulità per sanarli con la fede, e continua a camminare nel tempo, mostrando le mani e i piedi nella carne e nelle ossa dei credenti.
- vv. 41-42. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?”. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Ogni invito a mensa nasconde il desiderio dell’intimità, è un rimanere, un condividere. La risurrezione non toglie a Gesù di presentarsi come il luogo della condivisione. Quel pesce arrostito, mangiato per anni insieme ai suoi, continua ad essere veicolo di comunione. Un pesce cucinato nell’amore, l’uno per l’altro: un cibo che non smette di rassicurare la fame nascosta dell’uomo, un cibo capace di sfatare l’illusione di un qualcosa che finisce tra le rovine del passato.
- v. 44. Poi disse: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. I momenti di ansia, di commozione, di pianto per la propria nazione (Lc 19,41), la fatica del salire a Gerusalemme, le tentazioni avevano demarcato quel confine perennemente presente tra umiliazione-nascondimento e affermazione-gloria focalizzato nelle varie fasi della vita umana di Gesù attraverso la luce del volere del Padre. Amarezza, oscurità e dolore avevano nutrito il cuore del Salvatore: “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). Ora è pienamente visibile e propositiva l’opera della grazia perché ad opera dello Spirito l’eschaton già attuato in Cristo e nel credente crea un’atmosfera di lode, un clima di gioia e di pace profonda, tipiche delle cose compiute. La parusia segnerà la fine del cammino salvifico, tempo di consolazione e di restaurazione di tutte le cose (At 3,21).
- v. 45-47. Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. In Luca la salvezza tocca tutte le dimensioni umane attraverso l’opera del Cristo che salva dal male, che libera dalle tenebre (At 26,18) e dal peccato (Lc 5,20-26; At 2,38), dalla malattia e dalla sofferenza, dalla morte, dall’incredulità, dagli idoli; che realizza la vita umana nell’essere comunità di Dio, fraternità lieta di amore; che non lascia orfani ma si rende presente incessantemente con il suo Spirito dall’alto (At 2,2). La salvezza radicale dell’uomo è nel liberarsi dal suo cuore di pietra e nel ricevere un cuore nuovo il che comporta un dinamismo che liberi da ogni forma di schiavitù (Lc 4,16-22). Dio dirige la storia; è lui che opera l’evangelizzazione e guida il cammino dei suoi. L’evangelista dei grandi orizzonti - da Adamo al regno, da Gerusalemme ai confini della terra - è anche l’evangelista della quotidianità. È in atto il processo storico-escatologico per il quale la storia concreta si compie trascendendo la storia umana e Gesù continua a offrire la salvezza mediante il suo Spirito che crea testimoni capaci di profezia che diffondono la salvezza finché nel ritorno del Cristo (Lc 21,28) si renderà manifesta la piena liberazione dell’uomo. In At 2,37 si trova riassunto tutto l’iter salutis che qui è accennato: accogliere la parola, convertirsi, credere, farsi battezzare, ottenere il perdono dei peccati e il dono dello Spirito. La parola di salvezza, parola di grazia, dispiega la sua potenza nel cuore che ascolta (Lc 8,4-15) e l’invocazione del Nome del Salvatore suggella la salvezza in colui che si è convertito alla fede. C’è complementarietà tra l’azione di Gesù per mezzo dello Spirito, attuata senza la mediazione della Chiesa (At 9,3-5), e quella compiuta mediante la Chiesa alla quale egli stesso rinvia come nel caso della chiamata di Paolo (At 9,6-18).
- v. 45. Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture. La fede apostolica nella risurrezione di Gesù costituisce la chiave ermeneutica per l’interpretazione delle Scritture e il fondamento dell’annuncio pasquale. La Bibbia si adempie in Cristo, in lui è unificata nella sua valenza profetica e acquista il suo pieno significato. L’uomo non può da solo capire la Parola di Dio. La presenza del Risorto apre la mente alla comprensione piena di quel Mistero nascosto nelle parole sacre dell’esistenza umana.
- v. 46. Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno. Cosa sta scritto? Dove? L’unica scrittura che noi conosciamo è quella di un incontro. Dio sembra non possa fare a meno dell’uomo, per questo lo va a cercare, ovunque si trova, e non si arrende finché non lo riabbraccia. Questo è ciò che è scritto. Un amore eterno, capace di scendere nel patire, di bere fino in fondo il calice del dolore pur di rivedere il volto del figlio amato. Negli abissi della non vita Cristo scende per prendere la mano dell’uomo e riaccompagnarlo a casa. Tre giorni. Tre momenti. Passione, morte, risurrezione. Questo è ciò che è scritto. Per Cristo e per ognuno che gli appartenga. Passione: tu ti consegni con fiducia, e l’altro fa di te ciò che vuole, ti abbraccia o ti strapazza, ti accoglie o ti respinge... ma tu continui ad amare, fino alla fine. Morte: una vita che non si tira indietro... muore, si spegne... ma non per sempre, perché la morte ha potere sulla carne, lo spirito che da Dio viene a Dio ritorna. Risurrezione: Tutto acquista senso alla luce della Vita: l’amore donato non muore, risorge sempre.
- v. 47. E nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. La parola di Gesù, pronunciata nella storia, non si ferma. Ha bisogno di annunciatori. E gli apostoli vanno, mandati nel nome santo di Dio. Vanno a tutte le genti. Non più un popolo eletto, ma tutti gli uomini eletti. Vanno a prendere per le spalle i loro fratelli e a convertirli, a girarli verso di loro per dire: Tutto ti è perdonato, puoi tornare a vivere la vita divina, Gesù è morto e risorto per te! Non è una invenzione la fede. Vengo da Gerusalemme. Ho visto con i miei occhi, l’ho sperimentato nella mia vita. Non ti racconto altro che la mia storia, una storia di salvezza.
- v. 48. Di questo voi siete testimoni. Chiamata a tracciare nella storia umana il cammino della testimonianza, la comunità cristiana proclama con parole ed opere il compimento del regno di Dio fra gli uomini e la presenza del Signore Gesù che continua ad agire nella sua Chiesa come Messia, Signore, profeta. La Chiesa crescerà e camminerà nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo (At 9,31). È un cammino di servizio, volto a far risuonare agli estremi confini della terra (At 1,1-11) l’eco della Parola di salvezza. Pian piano il cammino si allontana da Gerusalemme per dirigersi nel cuore del mondo pagano. Nell’arrivo a Roma, capitale dell’impero, Luca porrà la firma ai suoi passi di evangelizzatore. Nessuno davvero sarà escluso nel percorso. Destinatari della salvezza sono tutti gli uomini, in particolare i peccatori per la conversione dei quali c’è grande gioia in cielo (Lc 15,7.10). Come Maria che per Luca è il modello del discepolo che cammina nel Signore, i credenti sono chiamati ad essere trasformati interamente per vivere la maternità messianica, nonostante la propria condizione “verginale”, espressione della propria povertà di creatura (Lc 1,30-35). Il sì del Magnificat è la via da percorrere. Camminiamo portando in noi la parola della salvezza; camminiamo nella fede, fidandoci di Dio che mantiene le promesse; camminiamo nell’esultanza di Colui che ci rende beati non per merito ma per umiltà di vita. Sia l’itinerario di Maria il nostro itinerario: andare, portati dallo Spirito, verso i fratelli avendo come unico bagaglio la Parola che salva: Cristo Signore (At 3,6). Di questo voi siete testimoni. Dio lo si conosce per esperienza. Essere testimoni vuol dire portare scritta nella pelle, cucita sillaba per sillaba, la parola che è Cristo. Quando un uomo è stato toccato da Cristo, diventa come una lampada, anche se non lo volesse, risplende! E se la fiamma volessi spegnerla, si riaccende, perché la luce non è della lampada ma dello Spirito riversato nel cuore che irradia senza fine la comunione eterna.
- v. 49. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto. Le promesse di Gesù non vengono meno. Lui se ne va, ma non lascia orfani i suoi amici. Sa che hanno bisogno della presenza costante di Dio. E Dio torna a venire all’uomo. Questa volta non più nella carne, ma invisibilmente nel fuoco di un amore impalpabile, nell’ardore di un vincolo che mai più si romperà, l’arcobaleno dell’alleanza ratificata, lo splendore del sorriso di Dio, lo Spirito Santo. Rivestiti di Cristo, rivestiti dello Spirito gli apostoli non avranno più paura, e potranno finalmente andare!
- v. 50. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Il momento del lasciarsi è solenne. Betania, il luogo dell’amicizia. Gesù alza le mani e benedice i suoi. Un gesto di saluto che è un dono. Dio non si allontana dai suoi, semplicemente li lascia per tornare in altra veste.
- v. 51. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ogni distacco è sicuramente un evento che porta dispiacere. Ma in questo caso la benedizione è un lascito di grazia. E gli apostoli vivono una comunione intensa con il loro Signore tanto da non avvertire separazione.
- v. 52. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia. La gioia degli apostoli è grande, gioia di tornare per le vie di Gerusalemme con un tesoro sconfinato, la gioia dell’appartenenza. L’umanità di Cristo entra in cielo, è una porta che si riapre per non più chiudersi. La gioia della sovrabbondanza di vita che Cristo ha ormai versato nella loro esperienza non si arresterà più...
- v. 53. E stavano sempre nel tempio lodando Dio. Stare... un verbo importantissimo per il cristiano. Stare suppone una forza particolare, la capacità di non fuggire le situazioni ma di viverle assaporandole fino in fondo. Stare. Un programma evangelico da portare a tutti. Allora la lode scaturisce sincera, perché nello stare la volontà di Dio è sorseggiata come bevanda salutare e inebriante di beatitudine.

Riflessione: Gesù nell’incontro personale con gli uomini ha offerto la sua presenza benevola, e atteso che i semi della parola e della fede germogliassero. L’abbandono degli apostoli, il rinnegamento di Pietro, l’amore della peccatrice, la chiusura dei farisei non lo hanno scandalizzato né turbato. Sapeva che non sarebbe andato perduto ciò che aveva loro detto e proposto... e infatti dopo la Pentecoste gli stessi uomini vanno davanti al sinedrio senza timore per affermare che è necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, Pietro predica apertamente fino a morire su una croce come il suo Maestro, le donne sono mandate come testimoni della risurrezione agli apostoli, e un fariseo figlio di farisei, Paolo di Tarso, diventa apostolo delle genti. Se non puoi, uomo, sottrarti al vivere quotidianamente la morte di te stesso, non devi però dimenticare che la risurrezione si cela nelle tue piaghe per farti vivere di lui, fin d’ora. Nel fratello che per te può essere sepolcro di morte e di fango, una croce maledetta, troverai la vita nuova. Sì, perché il Cristo risorto assumerà le sembianze dei tuoi fratelli: un ortolano, un viandante, un fantasma, un uomo sulla riva del lago... Quando saprai accogliere la “sfida” di Pilato che penetra i secoli e non accetterai lo scambio proposto (Gv 18,39-40) perché avrai imparato nelle notti dell’abbandono che non puoi barattare la tua vita di brigante, tu che porti indegnamente il suo nome: Bar-Abba, figlio del Padre, con la vita di Gesù, l’unigenito Figlio del Dio vivente, il Signore della vita e della morte... allora griderai anche tu come l’apostolo Tommaso nello stupore della fede: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28), mio Dio e mio tutto, e non tramonterà più all’orizzonte delle tue giornate la bellezza dell’esultanza. La testimonianza della carità è senza dubbio nella vita ecclesiale lo specchio più terso per l’evangelizzazione. È lo strumento che dissoda il terreno perché quando il seme della Parola cade porti frutto abbondante. Non può la buona notizia scegliere altre vie per giungere al cuore degli uomini che quella dell’amore vicendevole, un’esperienza che conduce direttamente alla fonte: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Tutto questo trova verifica nella prima Chiesa: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Il discepolo che ha incontrato e conosciuto Gesù, il discepolo amato, sa che non può parlare di lui e non percorrere le vie che lui ha percorso. «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) Quali parole migliori per dire che la via maestra di ogni evangelizzazione è l’amore gratuito? Cristo è la via per evangelizzare. Cristo è la verità da donare nell’evangelizzazione. Cristo è la vita evangelizzata. Ed è evangelizzazione l’amore con il quale ci ha amati, un amore consegnato senza condizioni, che non si tira indietro ma va avanti fino alla fine fedele a se stesso, a costo di morire su una croce di maledizione, pur di mostrare il volto del Padre quale volto di Amore, un amore che rispetta la libertà dell’uomo, anche quando questa significa rifiuto, disprezzo, aggressione, morte. «La carità cristiana ha in se stessa una grande forza evangelizzatrice. Nella misura in cui sa farsi segno e trasparenza dell’amore di Dio, apre mente e cuore all’annuncio della Parola di verità. Desideroso di autenticità e di concretezza, l’uomo di oggi, come diceva Paolo VI, apprezza di più i testimoni che i maestri, e in genere solo dopo esser stato raggiunto dal segno tangibile della carità si lascia guidare a scoprire la profondità e le esigenze dell’amore di Dio». (CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, in Enchirision CEI, vol. 1-5, EDB, Bologna 1996 n. 24). Motivare e sostenere l’apertura agli altri nel servizio è compito di ogni azione pastorale che voglia evidenziare il rapporto profondo esistente tra fede e carità alla luce del vangelo, e quella nota caratteristica dell’amore cristiano che è la prossimità, il prendersi cura (cfr. Lc 10,34).

Contemplazione: Signore, donaci la tenacia del camminare verso le vette, alla luce dell’unica Parola che salva. Come sorella di sangue, di quel Sangue che ci rende tutti fratelli, io resto qua, accanto alla tomba di ogni morte interiore per incamminarmi come un viandante nei sentieri del non senso e inoltrarmi nei sentieri dell’amicizia e dell’incontro. Voglio oggi condividere la meraviglia dell’amore umano, la gioia delle persone meravigliose che mi vivono accanto non nella periferia della loro esistenza, ma nei loro varchi segreti, lì dove il loro cuore abbraccia l’Assoluto di Dio. Grazie a te, che mi doni il suo volto risorto, per il tuo cuore innamorato della Vita e baciato dall’Eterno. Grazie a te per la tua libertà da esploratore che si immerge negli abissi dell’Essenziale. Dio del deserto che si fa giardino, possa io essere sempre una piccola fiamma accesa nel buio della ricerca umana, un calore che si espande lì dove il gelido vento del male distrugge e distoglie dagli orizzonti della Verità e della Bellezza per narrare al mondo la stupenda avventura dell’amore umano risorto, quell’amore che sa morire per incarnare il sorriso di Dio! Signore, comprendo che l’evangelizzazione esige una profonda spiritualità, autenticità e santità di testimoni, persone mature nella fede, capaci di ritrovarsi insieme per fare della propria esperienza di fede un luogo di incontro e di crescita in un contatto da persona a persona che costruisca relazioni profonde e aperte alla ecclesialità, al mondo, alla storia. E io mi sento ancora inadeguato. In un contesto in cui il susseguirsi repentino di immagini, parole, proposte, progetti, cronache disorienta e quasi ubriaca il pensiero e disperde il sentire, la testimonianza si erge quale parola privilegiata per una sosta di riflessione, per un attimo di ripensamento. Ma se io sono il primo a lasciarmi portar via da quelle immagini, parole, progetti? Di una cosa sono certo, e questo mi conforta. Anche la più bella testimonianza si rivelerebbe a lungo andare impotente, se non fosse illuminata, giustificata, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, presto o tardi ha bisogno di essere annunciata dalla parola di vita. Darò ragione della mia speranza proclamando il tuo nome, il tuo insegnamento, la tua vita, le tue promesse, il tuo mistero di Gesù di Nazareth e Figlio di Dio: penso sia per me la via più semplice per suscitare l’interesse a conoscere e incontrare te, Maestro e Signore, che hai scelto di vivere come figlio dell’uomo per narrare a noi il volto del Padre. Ogni pastorale che oggi si trovi in catene a causa della fede potrà chiedere a te, Dio, che si riapra la porta della predicazione per annunciare il mistero di Cristo, quella predicazione che, quale parola divina, opera in chiunque crede.
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: sabato 4 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Giu 04, 2011 9:26 am

SABATO 4 GIUGNO 2011

SABATO DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA


Preghiera iniziale: O Dio, nostro Padre, disponi sempre al bene i nostri cuori, perché, nel continuo desiderio di elevarci a te, possiamo vivere pienamente il mistero pasquale.

Letture:
At 18,23-28 (Apollo dimostrava attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo)
Sal 46 (Dio è re di tutta la terra)
Gv 16,23-28 (Il Padre vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto)

La forza del Nome
Un giorno gli Apostoli, dopo essere stati ripetutamente testimoni delle preghiere che Gesù faceva spesso durante intere notti, chiesero al loro maestro: “Signore insegnaci a pregare”. Fu allora che sgorgò dal cuore di Cristo la più bella preghiera che mai si sia potuta recitare sulla terra. Più e più volte Gesù tornerà sul tema della preghiera fino a dire di pregare sempre, senza stancarsi. Oggi l’insegnamento di Cristo ci indica in “nome” di chi dobbiamo rivolgere le nostre richieste al Padre nostro che è nei cieli. “In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà”. Egli è il nostro mediatore presso Dio, “abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. Il nome di Cristo sarà usato anche come strumento d’inganno: “Molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno”. Quello stesso nome però darà valore anche alle nostre azioni apparentemente insignificanti: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa”. I suoi sacramenti saranno amministrati nel nome di Gesù: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo». L’annuncio del Vangelo e i prodigi che l’accompagnano avverranno sempre nello stesso nome: “Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». La chiesa di oggi prosegue ancora la sua missione missionaria nel mondo traendo forza dal nome di Cristo. Le nostre preghiere e le nostre azioni ne traggono efficacia e motivo di santificazione. Non mancano purtroppo coloro che bestemmiano e profanano quel nome santo e benedetto.
Gesù continua ad aprirsi con i suoi nei giorni che precedono la passione. Gli piace anticipare le realtà sublimi che otterrà per i suoi attraverso la sua ormai prossima morte e la sua risurrezione. Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, ha reso possibile che ci fosse una sola famiglia nel cielo e sulla terra, la famiglia dei figli di Dio. Il Padre eterno è nostro Padre, il suo regno, la sua casa e la vita divina del Cristo sono anche nostri. “Il Padre - posso dire con Gesù - mi ama”. È in questo nuovo ordine che la preghiera cristiana trova il suo posto. Noi prima non sapevamo chiedere, e non potevamo farlo. Non si tratta di pregare ma “di avere una relazione di amicizia con colui che, noi lo sappiamo, ci ama” (Teresa di Gesù, Vita 8). Noi, prima, non sapevamo domandare e non potevamo farlo. Ma, attualmente, dato che il Padre ci ama e desidera la nostra amicizia, possiamo essere sicuri di essere ascoltati, e di ricevere una grande gioia da quella amorosa comunicazione con lui, che è la preghiera. La nostra preghiera non è soltanto nostra, essa è anche e soprattutto quella di Cristo. Così terminano le preghiere della liturgia e così deve terminare la nostra: per Cristo nostro Signore.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre”.

Riflessione:
- Giovanni 16,23b: I discepoli hanno pieno accesso al Padre. È l’assicurazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli: possono accedere alla paternità di Dio in unione con Lui. La mediazione di Gesù porta i discepoli fino al Padre. È evidente che il ruolo di Gesù non è quello di sostituirsi ai «suoi»: non li assume mediante una funzione d’intercessione, ma li unisce a sé, e in comunione con Lui essi si presentano i loro bisogni e necessità. I discepoli hanno la certezza che Gesù dispone della ricchezza del Padre: «In verità, in verità vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (v. 23b). In tale modalità, vale a dire, in unione con Lui, la richiesta diventa efficace. L’oggetto di qualunque domanda al Padre dev’essere sempre collegato a Gesù, vale a dire, al suo amore e al suo impegno di dare la vita per l’uomo (Gv 10,10). La preghiera rivolta al Padre nel nome di Gesù, in unione a Lui (Gv 14,13; 16,23), è esaudita. Finora i discepoli non hanno chiesto nulla nel nome di Gesù, ma lo potranno fare dopo la sua glorificazione (Gv 14,13s) quando riceveranno lo Spirito che li illuminerà pienamente sulla sua identità (Gv 4,22ss) e creerà l’unione con Lui. I suoi potranno chiedere e ricevere in pienezza di gioia quando passeranno dalla visione sensibile di Lui a quella della fede.
- Giovanni 16,24-25: In Gesù il contatto diretto col Padre. I credenti vengono assunti nel rapporto tra il Figlio e il Padre. In Gv 16,26 Gesù ritorna sul legame prodotto dallo Spirito e che permetterà ai suoi di presentare ogni richiesta al Padre in unione con Lui. Ciò avverrà «in quel giorno». Cosa vuol dire «quel giorno chiederete?». È il giorno in cui verrà dai suoi e comunicherà loro lo Spirito (Gv 20,19.22). È allora che i discepoli, conoscendo il rapporto tra Gesù e il Padre sapranno di essere esauditi. Non occorrerà che Gesù s’interponga fra il Padre e i discepoli per chiedere in loro favorire, non perché è finita la sua mediazione, ma essi avendo creduto nell’incarnazione del Verbo, ed essendo strettamente uniti a Cristo, saranno amati dal Padre come egli ama il Figlio (Gv 17,23.26). In Gesù i discepoli sperimentano il contatto diretto col Padre.
- Giovanni 16,26-27: La preghiera al Padre. Il pregare consiste, allora, nell’andare al Padre attraverso Gesù; rivolgersi al Padre nel nome di Gesù. Un’attenzione particolare merita l’espressione di Gesù al v. 26-27: «e non vi dico che pregherà il Padre per voi: il Padre stesso, infatti, vi ama». L’amore del Padre per i discepoli si fonda sull’adesione dei «suoi» a Gesù sulla fede nella sua provenienza, vale a dire, il riconoscimento di Gesù come dono del Padre. Dopo aver assimilato a sé i discepoli Gesù sembra ritirarsi dalla sua condizione di mediatore ma in realtà permette che solo il Padre ci prenda e ci afferri: «Chiedete ed otterrete perché la vostra gioia sia piena» (v. 24). Inseriti nel rapporto col Padre mediante l’unione in Lui, la nostra gioia è piena e la preghiera è perfetta. Dio offre sempre il suo amore al mondo intero, ma tale amore acquista il senso di reciprocità solo se l’uomo risponde. L’amore è incompleto se non diventa reciproco: finché l’uomo non lo accetta rimane in sospensione. Tuttavia i discepoli lo accettano nel momento in cui amano Gesù e così rendono operativo l’amore del Padre. La preghiera è questo rapporto d’amore. In fondo la storia di ciascuno di noi s’identifica con la storia della sua preghiera, anche quei momenti che non sembrano tali: l’ansia è già preghiera e così la ricerca, l’angoscia…

Per un confronto personale:
- La mia preghiera personale e comunitaria avviene in uno stato di quiete, di pace e di grande tranquillità?
- Quale impegno dedico a crescere nell’amicizia con Gesù? Sei convinto di giungere a una reale identità attraverso la comunione con Lui e nell’amore del prossimo?

Preghiera finale: Dio è re di tutta la terra. Cantate inni con arte. Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo (Sal 46).
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: domenica 5 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Giu 04, 2011 9:30 am

DOMENICA 5 GIUGNO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
ASCENSIONE DEL SIGNORE


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
At 1,1-11 (Fu elevato in alto sotto i loro occhi)
Sal 46 (Ascende il Signore tra canti di gioia)
Ef 1,17-23 (Lo fece sedere alla sua destra nei cieli)
Mt 28,16-20 (A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra)

Cristo ascende al cielo
“Esulti di santa gioia, la tua chiesa, o Padre per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te”. Così ci fa pregare le liturgia in questo giorno solenne. Siamo sollecitati alla gioia, a dare lode a Dio perché Cristo ascende vittorioso e perché anche la nostra umanità è innalzata nella gloria. Il cielo che si riapre per accogliere il Figlio di Dio, si riapre anche per tutti noi. Il primo dei martiri, Santo Stefano, ci confermava in questa visione e in questa Ascensione del Signore al cielo nuova speranza: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Gli apostoli sono testimoni oculari dell’ascensione del Signore. Era stato fissato l’oro un appuntamento in Galilea, dopo che ripetutamente, lo stesso Signore li aveva preventivamente avvertiti della sua prossima dipartita. Il loro cuore aveva sperimentato angoscia e timore a quell’annuncio. Gesù li aveva rassicurati fino a dire loro: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò”. Ciò nonostante alcuni di loro dubitano ancora. Per secoli di storia il cielo era rimasto chiuso agli uomini, quella distanza, stabilita dal peccato, sembrava ormai incolmabile per noi legati alla terra. Gesù deve fugare ogni dubbio e non vuole nemmeno che i suoi rimangano incantati a fissare il cielo che lo sta per avvolgere e nascondere ai loro occhi. Vuole invece che nasca nel cuore di tutti la certezza che egli va a prepararci un posto e che ritornerà a prenderci. Questo è il potere che il Padre gli ha conferito, salire al cielo senza lasciarci orfani, anzi con la reale possibilità di restare con noi sempre fino alla fine dei tempi. La fede degli apostoli, così alimentata, dovrà poi essere annunciata e testimoniata al mondo intero: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Da quel giorno, da quel monte della Galilea, è sorta per il mondo una fede e una fiducia nuova: veramente ci sentiamo innalzati anche noi con Cristo, anche noi abbiamo riscoperto la nostra vera patria, l’ultimo approdo a cui tendere, dopo aver osservato gli insegnamenti di Cristo, nostra via. Ecco perché la Chiesa ci ha invitati tutti a godere di santa gioia, ecco perché cielo e terra hanno ritrovato il punto di congiunzione e gli uomini hanno visto rinascere la migliore speranza.
Il Signore risorto è ritornato nella Galilea pagana. È qui che egli aveva cominciato ad annunciare la conversione e il Vangelo del Regno (cfr. Mt 4,15.17.23). È qui, in questo luogo di frontiera, che egli aveva dato appuntamento ai suoi discepoli, che si erano dispersi quando egli, il pastore, era stato ferito (cfr. Mt 28,8-10). È ritornato sui luoghi dell’inizio, per dare loro la pienezza: il Risorto è la luce decisiva che rischiara tutti coloro che camminano nelle tenebre e nell’ombra della morte. Egli ha convocato i discepoli - in numero di undici - su una montagna, come all’inizio li aveva condotti sulla montagna, quando parlò loro per annunciare la via della felicità del regno dei cieli (cfr. Mt 5,1). Dio ha anche convocato il popolo ai piedi del Sinai quando ha voluto fare di lui la sua “ekklesia” (cfr. Es 19). Il Risorto è su questa montagna in Galilea, che simboleggia l’incontro tra il cielo e la terra, dichiarandosi, solennemente, come colui che ha ricevuto tutta l’autorità nei cieli e sulla terra (cfr. Mt 28,18). Da questa montagna egli invia i discepoli - e in loro, e con loro, noi tutti che li seguiamo lungo la storia - a convocare la Chiesa per riunirla dai quattro punti cardinali del mondo nel regno; nessuno è escluso dalla parola e dalla partecipazione alla vita della famiglia divina: la comunione del battesimo con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (cfr. Mt 28,19-20). Oggi noi, come gli undici discepoli sulla montagna, lo adoriamo e riaffermiamo la nostra obbedienza al suo comando missionario. Egli sembra assente ma è in realtà sempre presente tra di noi (cfr. Mt 28,20). È per questo che si è fatto uomo nel seno della Vergine Madre: per essere l’Emmanuele, il Dio con noi (cfr. Mt 1,23), fino alla fine del mondo.

Andate in tutto il mondo
Il testo: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Una chiave di lettura: Il testo riporta le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Matteo. È come se fosse un testamento, la sua ultima volontà per le comunità, ciò che più lo preoccupava. Nel corso della lettura, cerchiamo di prestare attenzione a ciò che segue: “Su cosa Gesù insiste di più nelle sue ultime parole?”.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Mt 28,16: Indicazione geografica: ritornare in Galilea
- Mt 28,17: Apparizione di Gesù e reazione dei discepoli
- Mt 28,18-20a: Gli ultimi ordini di Gesù
- Mt 28,20b: La grande promessa, fonte di tutta la speranza.

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Qual è il punto che ti ha colpito di più e che ha toccato il tuo cuore?
- Quali sono le informazioni cronologiche e geografiche di questo testo?
- Qual è l’atteggiamento dei discepoli? Qual’è il contenuto delle parole di Gesù ai discepoli?
- In cosa consiste “ogni potere in cielo e in terra” che è stato dato a Gesù?
- Cosa significa “diventare discepola-discepolo” di Gesù?
- In questo contesto, qual è il significato del battesimo “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo?”.
- Qual’è l’evocazione dell’AT che traspare nella promessa “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo?”.

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
a) Il contesto del Vangelo di Matteo
- Il vangelo di Matteo, scritto intorno all’anno 85 si dirige ad una comunità di giudei convertiti che vivevano in Siria-Palestina. Stavano attraversando una profonda crisi d’identità, riguardo al loro passato. Dopo aver accettato Gesù come il Messia atteso, avevano continuato a frequentare la sinagoga e ad osservare la legge e le antiche tradizioni. Avevano inoltre una certa affinità con i farisei, e dopo la rivolta dei giudei di Palestina contro Roma (65 a 72), loro ed i farisei erano i due unici gruppi giudaici sopravvissuti alla repressione romana.
- A partire dagli anni 80, questi fratelli giudei, farisei e cristiani, unici sopravvissuti, iniziarono a litigare tra loro per il possesso dell’eredità delle promesse dell’AT. Tutti pretendevano di essere gli eredi. A poco a poco, crebbe la tensione tra di loro, e cominciarono a scomunicarsi mutuamente. I cristiani non potevano più frequentare la sinagoga e rimasero tagliati fuori dal loro passato. Ogni gruppo iniziò ad organizzarsi a modo suo: i farisei nella sinagoga; i cristiani nella chiesa. Ciò aggravò il problema dell’identità delle comunità dei giudei cristiani, poiché sollevava domande molto serie che avevano bisogno di una risposta urgente: “L’eredità delle promesse dell’AT di chi è: della sinagoga o della chiesa? Con chi sta Dio? Chi è veramente il popolo di Dio?”.
- Ora, Matteo scrive il suo vangelo per aiutare queste comunità a superare la crisi e a trovare una risposta ai loro problemi. Il suo vangelo è, prima di tutto, un Vangelo di rivelazione che indica come Gesù sia il vero Messia, il nuovo Mosè, in cui culmina tutta la storia dell’AT con le sue promesse. È anche il Vangelo della consolazione per coloro che si sentivano esclusi e perseguitati dai fratelli giudei. Matteo vuole consolarli ed aiutarli a superare il trauma della rottura. È il Vangelo della nuova pratica, poiché indica il cammino per il quale giungere ad una nuova giustizia, maggiore di quella dei farisei. È il Vangelo dell’apertura, ed indica che la Buona Novella di Dio che Gesù ci porta non può essere nascosta, ma deve essere messa sul candelabro, affinché illumini la vita di tutti i popoli.
b) Commento del testo di Matteo 28,16-20
- Matteo 28,16: Tornando verso Galilea: Fu in Galilea dove tutto ebbe inizio (Mt 4,12). Fu lì che i discepoli udirono la prima chiamata (Mt 4,15) e lì Gesù promise di riunirli, di nuovo, dopo la risurrezione (Mt 26,31). In Luca, Gesù proibisce di uscire da Gerusalemme (At 1,4). In Matteo, l’ordine è di uscire da Gerusalemme e di ritornare in Galilea (Mt 28,7.10). Ogni evangelista ha il suo modo particolare di presentare la persona di Gesù ed il suo progetto. Per Luca, dopo la risurrezione di Gesù, l’annuncio della Buona Novella deve iniziare a Gerusalemme per raggiungere i confini della terra (At 1,8). Per Matteo, l’annuncio inizia nella Galilea dei pagani (Mt 4,15) per prefigurare, così, il passaggio dai giudei verso i pagani. I discepoli dovevano andare verso la montagna che Gesù aveva loro mostrato. La montagna evoca il Monte Sinai, dove si era conclusa la prima Alleanza e dove Mosè ricevette le tavole della Legge di Dio (Es 19 a 24; 34,1-35). Evoca la montagna di Dio, dove il profeta Elia si ritirò per ritrovare il senso della sua missione (1Rs 19,1-18). Evoca inoltre la montagna della Trasfigurazione, dove Mosè ed Elia, cioè, la Legge e i Profeti, appaiono assieme a Gesù, confermando così che lui è il Messia promesso (Mt 17,1-8).
- Matteo 28,17: Alcuni dubitavano: I primi cristiani ebbero molta difficoltà a credere nella Risurrezione. Gli evangelisti insistono nel dire che dubitarono molto e furono increduli nei riguardi della Risurrezione di Gesù (Mc 16,11.13.14; Lc 24,11.21.25.36.41; Gv 20,25). La fede nella risurrezione fu un processo lento e difficile, ma finì per imporsi come la più grande certezza dei cristiani (1Cor 15,3-34).
- Matteo 28,18: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra: La forma passiva del verbo indica che Gesù ricevette la sua autorità dal Padre. In cosa consiste questa autorità? Nell’Apocalisse, l’Agnello (Gesù risorto) ricevette dalla mano di Dio il libro con i sette sigilli (Ap 5,7) e divenne il Signore della storia, colui che deve assumere l’esecuzione del progetto di Dio, descritto nel libro sigillato, e come tale è adorato da tutte le creature (Ap 5,11-14). Con la sua autorità e con il suo potere vince il Dragone, il potere del male (Ap 12,1-9), e cattura la Bestia ed il falso profeta, simboli dell’impero romano (Ap 19,20). Nel Credo della Messa diciamo che Gesù salì al cielo e si sedette alla destra di Dio Padre, divenendo così il Giudice dei vivi e dei morti.
- Matteo 28,19-20a: Le ultime parole di Gesù: tre ordini ai discepoli: Rivestito della suprema autorità, Gesù trasmette tre ordini ai discepoli e a tutti noi: 1) Andate dunque e fate discepoli da tutte le nazioni; 2) battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; 3) insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Andate dunque e fate discepoli da tutte le nazioni: Essere discepolo non è lo stesso che essere alunno. Un discepolo si relaziona con il maestro. Un alunno si relaziona con il professore. Il discepolo vive insieme al maestro 24 ore al giorno; l’alunno riceve lezioni dal professore, alcune ore, e ritorna a casa sua. Il discepolato suppone comunità. Essere alunno suppone trovarsi in una aula per le lezioni. In quel tempo, il discepolato veniva indicato con l’espressione Seguire il maestro. Nella Regola del Carmelitano si dice: Vivere in ossequio a Gesù Cristo. Per i primi cristiani, Seguire Gesù significava tre cose tra loro connesse:
1) Imitare l’esempio del Maestro: Gesù era il modello da imitare e da ricreare nella vita del discepolo e della discepola (Gv 13,13-15). La convivenza giornaliera permetteva un confronto costante. In questa Scuola di Gesù si insegnava un’unica materia: il Regno! E questo Regno si riconosceva nella vita e nella pratica di Gesù.
2) Partecipare al destino del Maestro: Chi seguiva Gesù, doveva impegnarsi come lui a “stare con lui nelle tentazioni” (Lc 22,28), ed anche nella persecuzione (Gv 15,20; Mt 10,24-25).Doveva essere disposto a prendere la croce e a morire con lui (Mc 8,34-35; Gv 11,16).
3) Possedere in sé la vita di Gesù: Dopo la Pasqua, si aggiunse una terza dimensione: “Vivo, ma non sono io che vivo, bensì Cristo che vive in me” (Gl 2,20). I primi cristiani cercarono di identificarsi con Gesù. Si tratta della dimensione mistica della sequela di Gesù, frutto dell’azione dello Spirito.
Battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: La Trinità è la fonte, il destino ed il cammino. Colui che è battezzato nel nome del Padre che ci fu rivelato da Gesù, si impegna a vivere come un fratello nella fraternità. E se Dio è Padre, noi siamo tutti fratelli e sorelle tra di noi. Colui che è battezzato nel nome del Figlio che è Gesù, si impegna ad imitare Gesù e a seguirlo fino alla croce per poter risuscitare con lui. Ed il potere che Gesù ricevette dal Padre è un potere creatore che vince la morte. Colui che è battezzato nel nome dello Spirito Santo che ci fu dato da Gesù nel giorno di Pentecoste, si impegna ad interiorizzare la fraternità e la sequela di Gesù, lasciandosi condurre dallo Spirito che è vivo nella comunità. Insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato: Per noi cristiani Gesù è la Nuova Legge di Dio, proclamata dall’alto della montagna. Gesù è scelto dal Padre come il nuovo Mosè, la cui parola è per noi legge: “Ascoltatelo” (Mt 17,15). Lo Spirito da lui mandato ci ricorderà tutto ciò che egli ci ha insegnato (Gv 14,26; 16,13). L’osservanza della nuova Legge dell’amore viene equilibrata dalla gratuità della presenza di Gesù in mezzo a noi, fino alla fine dei tempi.
- Matteo 28,20b: Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo: Quando Mosè fu inviato a liberare il popolo d’Egitto, ricevette da Dio una certezza, l’unica certezza che offre garanzia totale: “Va, io sarò con te!” (Es 3,12). E questa stessa certezza venne data ai profeti e ad altre persone inviate da Dio per svolgere una missione importante nel progetto di Dio (Gr 1,8; Gdc 6,16). Maria ricevette la stessa certezza quando l’angelo le disse: “Il Signore è con te” (Lc 1,28). Gesù, in persona, è l’espressione viva di questa certezza, perché il suo nome è Emmanuele, Dio con noi (Mt 1,23). Lui sarà con i suoi discepoli, con tutti noi, fino alla fine dei tempi. Qui appare l’autorità di Gesù. Lui controlla il tempo e la storia. Lui è il primo e l’ultimo (Ap 1,17). Prima del primo non esisteva nulla e dopo l’ultimo non viene nulla. Questa certezza dà sostegno alle persone, alimenta la loro fede, sostiene la speranza e genera amore e dono di sé.
c) Illuminando le parole di Gesù: La missione universale delle comunità. Abramo fu chiamato ad essere fonte di benedizione non solo per i suoi propri discendenti, ma per tutte le famiglie della terra (Gn 12,3). Il popolo della schiavitù fu chiamato non solo a restaurare le tribù di Giacobbe, ma anche ad essere luce delle nazioni (Is 49,6; 42,6). Il profeta Amos disse che Dio non solo liberò Israele dall’Egitto, ma anche i filistei da Kaftor e gli aramei da Quir (Am 9,7). Dio, quindi, si occupa e preoccupa sia degli israeliti che dei filistei e degli aramei che erano i maggiori nemici del popolo d’Israele! Il profeta Elia pensava di essere l’unico difensore di Dio (Rs 19,10.14), ma dovette sentirsi dire che, oltre a lui, ce n’erano altri sette mila! (1Re 18,18). Il profeta Giona voleva che Jahvé fosse Dio solo d’Israele, ma dovette riconoscere che lui è il Dio di tutti i popoli, anche degli abitanti di Ninive, i più acerrimi nemici di Israele (Gv 4,1-11). Nel Nuovo Testamento, il discepolo Giovanni voleva Gesù solo per il gruppetto, per la comunità, ma Gesù lo corresse e disse: Chi non è contro di noi, è per noi! (Mc 9,38-40). Alla fine del primo secolo dopo Cristo, le difficoltà e le persecuzioni avrebbero potuto spingere le Comunità cristiane a perdere lo slancio missionario e a chiudersi in se stesse, come se fossero le uniche a difendere i valori del Regno. Ma il vangelo di Matteo, fedele a questa lunga tradizione di apertura verso tutti i popoli, fa sapere che le comunità non possono chiudersi in se stesse. Non possono volere per sé il monopolio dell’azione di Dio nel mondo. Dio non è proprietà delle comunità, le comunità sono proprietà di Jahvé (Es 19,5). Nel mezzo dell’umanità che lotta e resiste contro l’oppressione, le comunità devono essere sale e lievito (Mt 5,13; 13,33). Devono far risuonare nel mondo intero, tra tutte le nazioni, la Buona Novella che Gesù ci ha portato: Dio è presente in mezzo a noi, quello stesso Dio che, dall’esodo, sì impegna a liberare coloro che gridano verso di lui! (Es 3,7-12) È questa la sua missione. Se questo sale perdesse il suo sapore, a cos’altro potrà servire? “Non serve né per la terra né per il concime!” (Lc 14,35).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
DOPO L’ASCENSIONE
VII DI PASQUA


Letture:
At 1,9a.12-14
Sal 132
2Cor 4,1-6
Lc 24,13-35

Noi speravamo
Due discepoli se ne vanno disperati: “Noi speravamo che fosse lui a salvare..”. E Gesù li rincorre per recuperarli alla fede e alla speranza. Riportandoli alla Comunità cristiana. Storia nostra, spesso tra dubbi di fede e delusioni di fronte a un Dio.. che sembra sempre così lontano quando ne sentiamo il bisogno, quando lo invochiamo in una prova della vita! Come, oggi, attuare questo incontro e ritornare a crederlo vivo, vicino, interessato a noi e alla nostra salvezza? Seguiamo i passi che Gesù fa loro compiere per arrivare a riconoscerlo: si tratta della pedagogia di sempre di Gesù che oggi ha affidato alla sua Chiesa. Anzi è proprio nella Chiesa - nella Messa - che Gesù ci viene incontro per dissipare i dubbi e farsi riconoscere vivo e Signore.
In cammino con loro: I discepoli sono delusi, “col volto triste”: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele..”. Anche le nostre attese sono spesso sbagliate, perché ci aspettiamo sempre un Dio vincente, capace di sbaragliare il male, sempre a disposizione al nostro bisogno, capace di risolvere subito i nostri guai..! Di fronte a un Dio “fallito” sulla croce, nasce sempre il dubbio e il sospetto: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Gesù crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). Non è proprio facile la fede dei cristiani, in un mondo come il nostro che crede solo all’efficienza o all’unica “religione” della scienza e della tecnica. Per cui, anche di fronte alla segnalazione dei fatti e degli eventi religiosi, si rimane scettici, o indifferenti, più fiduciosi nei propri pregiudizi che non ricercatori della verità, così come è documentata. “Cose da donne..” si dice qui delle prime testimonianze di quanti sono stati per primi al sepolcro trovato vuoto. Gesù reagisce, e invita a leggere in profondità, “secondo le Scritture” quel fatto della sua morte, oltre l’esegesi storico-critica - si potrebbe dire - per una interpretazione “teologica”, cioè vera: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. È il globale disegno di Dio, espresso nella Bibbia, a spiegare in verità il senso di ogni suo gesto tra noi. Dio si è rivelato in fatti e parole; è la Parola di Dio a dare il giusto spessore ai fatti! Allora il cuore si scalda e la mente si illumina: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. Sboccia allora il desiderio e la preghiera: “Resta con noi..”. Dio si propone, sempre discreto; ma poi tocca a noi aprirgli la porta. “Egli entrò per rimanere con loro”. Il segno per riconoscerlo lo fa lui: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzo e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. È il segno inventato da lui per poter ormai - a tavola - incontrarlo da parte di tutti gli uomini che lo seguono con cuore docile e sincero: “Fate questo in memoria di me!” (Lc 22,19).
Nello spezzare il pane: La messa che celebriamo “in sua memoria”, per suo ordine, è esattamente lo stesso cammino per riconoscerlo e incontrarlo: alla mensa della Parola e del Pane Gesù ci scalda ancora il cuore e si dona a noi, in persona, realmente, fino a una comunione quasi “fisica”. Ogni messa è la vicenda di Emmaus che si ripete o “avviene” per noi entro i segno sacramentali. È nella Chiesa, ogni domenica, che la nostra fede si verifica e si alimenta. L’esperienza personale dei due discepoli viene confermata al loro rientro a Gerusalemme quando si sentono dire: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. La comunità cristiana è partita dal suo essere nel Cenacolo “perseveranti e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui” (Lett.). Lì lo Spirito Santo li ha trasformati inviandoli come apostoli.
Solo dopo questa esperienza di comunione vera con Cristo e coi fratelli credenti, si può uscire di Chiesa capaci di testimonianza e di missionarietà. Scrive di sé san Paolo: “Dio, che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostro cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo”, cioè “lo splendore del glorioso vangelo di Cristo” (Epist.). I discepoli “partirono senza indugio.. e narravano ciò che era accaduto lungo la via”. Può capitare di uscire da messa non proprio entusiasti del vangelo. “Il vangelo rimane velato per gli increduli cui il Dio di questo mondo ha accecato la mente”; appunto la nostra mente distratta dall’aver pensato in chiesa solo alle nostre cose di ogni giorno! Dobbiamo prendere più seriamente la nostra messa festiva: fin dall’inizio è il segno e il luogo che qualifica la comunità cristiana. È invenzione stessa di Gesù. Lui ha fissato il binario per scendere fino a noi e noi risalire a lui, al di là delle nostre soggettive ricerche ed emozioni. “Colui che mangia me vivrà per me” (Gv 6,58), non chi ha qualche vaga idea di Dio o pio sentimento! L’itinerario di Emmaus è paradigmatico e quindi obbligante. Emmaus, come la nostra messa, è catechesi, gesto rituale, testimonianza. Bibbia e Sacramenti, entro una fedele vita ecclesiale, è ancora l’unico strumento di salvezza entro un mondo pagano che ci distoglie da Dio e, con le sette, ci propone attività religiose che snaturano l’opera oggettiva propostaci dall’unico “mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5).
Il cammino dell’uomo - scoraggiato - si intreccia in quello di Gesù che ridà la speranza. Il Risorto c’è sempre, anche oggi, ci rincorre nella nostra confusa ricerca di lui. Il nocciolo, anche per noi, è capire il significato vero della morte - “bisognava che il Cristo patisse” -: non una smentita alla sua missione, ma il vertice, l’espressione più alta del disegno di Dio. Diventa logica anche la risurrezione..: per la sua obbedienza “Dio lo esaltò” (Fil 2,9). Proprio a messa è ripresentato il segno del “corpo spezzato e del sangue sparso” dove “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta” (Canone). “Ma egli sparì dalla loro vista”: anche a noi è lasciato solo il segno, a noi cui va la beatitudine di credere senza aver visto (cfr. Gv 20,29).
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MessaggioTitolo: sabato 11 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Giu 11, 2011 8:53 am

SABATO 11 GIUGNO 2011

SAN BARNABA
APOSTOLO


Preghiera iniziale: O Padre, che hai scelto san Barnaba, pieno di fede e di Spirito Santo, per convertire i popoli pagani, fa’ che sia sempre annunziato fedelmente, con la parola e con le opere, il Vangelo di Cristo, che egli testimoniò con coraggio apostolico.

Letture:
At 11,21-26; 13,1-3 (Era uomo virtuoso e pieno di Spirito Santo e di fede)
Sal 97 (Annunzierò ai fratelli la salvezza del Signore)
Mt 10,7-13 (Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date)

Strada facendo
«Predicate che il Regno di Dio è vicino»: gli Apostoli, oggi è la volta di Barnaba, fedele collaboratore di San Paolo, adempiono la loro missione, guidati e sorretti dalla Spirito Santo. Il loro compito è di dare al mondo un annuncio di salvezza, che hanno ricevuto a loro volta e che, se accolto, sortirà effetti prodigiosi nella vita degli uomini: gli infermi, i malati di lebbra sono guariti, i morti risuscitano, i demoni sono allontanati. Sono in sintesi enunciati gli effetti della grazia divina, che fa di ogni uomo una creatura nuova. È necessario che tale annuncio sia dato nell’assoluta gratuità, sia perché è dono di Dio e non degli uomini, sia perché rifulga e sgorga dall’amore e non può essere in nessun modo barattato con il denaro. L’operaio deve andare sgombro d’ogni umana sicurezza perché egli deve riporre la sua fiducia solo ed esclusivamente in Colui che lo ha inviato. Non può fare affidamento neanche sulla certezza che quanto egli predica sia effettivamente accolto. Anzi, l’apostolo sa bene che andrà incontro all’odio e alle persecuzioni. La storia della Chiesa è ricca di esempi di annunciatori eroici e di martiri in una catena ininterrotta, fino ai nostri giorni. Ogni cristiano, per vocazione, deve diventare un fedele testimone di Cristo e ciò anche quando, o forse soprattutto, il mondo ci ostacola e ci contraddice. Chiediamo al santo apostolo ci ottenga la grazia della fortezza.
Il Signore Gesù rivela il suo cuore in ogni pagina del Vangelo. In quella di oggi, che è un discorso di missione, vediamo la magnanimità del suo cuore. La povertà del Vangelo non è da pensare come “strettezza”, ma come apertura nella fiducia e nella generosità: così testimoniano le parole di Gesù e così l’ha vissuta san Bamaba. Gesù vuole che siamo poveri perché ci vuole liberi e in grado di donare largamente a tutti, per il regno di Dio. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Nella storia di san Barnaba vediamo realizzata questa pagina. Un altro passo degli Atti degli Apostoli racconta che egli, possedendo un campo, lo vendette per darne il ricavato agli Apostoli, mettendo in pratica alla lettera la richiesta di Gesù al giovane ricco: “Vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. La fiducia in Dio che lo spinge a questo gesto si accompagna in lui alla fiducia negli altri. Arrivato ad Antiochia, invece di angustiarsi e preoccuparsi per questi “pagani” appena convertiti al Vangelo, Barnaba ha una reazione aperta, piena di fiducia: “Quando giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò”. Non è un uomo che spegne gli slanci altrui con preoccupazioni di osservanze minuziose, è “virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede” e esorta tutti “a perseverare con cuore risoluto nel Signore”: importante è soprattutto aderire a Cristo. E così “una folla considerevole fu condotta al Signore”. E qui si rivela un altro tratto della sua larghezza di cuore. Invece di riservare a sé il monopolio dell’apostolato in un campo così fecondo, va a Tarso a cercare Saulo: “Trovatolo, lo condusse ad Antiochia”. E quando Paolo diventerà più importante di lui nell’apostolato fra i pagani, di Barnaba si può ripetere quello che gli Atti dicono del suo arrivo ad Antiochia: “Vedendo la grazia del Signore, si rallegrò”. Ma Barnaba non si ferma all’incoraggiamento degli altri. E veramente tutto a disposizione di Cristo, per questo lo Spirito Santo può riservarlo a sé per una missione più universale: l’evangelizzazione di tutte le nazioni. Fiducia e generosità fondate nella vera povertà del cuore: ecco che cosa vediamo splendere nella vita di san Barnaba. Domandiamo al Signore di aiutarci a camminare con gioia sulla stessa via, ad essere cioè persone di benevolenza, di disponibilità, di incoraggiamento per quelli che avviciniamo.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».

Riflessione:
- Oggi è la festa di san Barnaba. Il vangelo parla degli insegnamenti di Gesù ai discepoli su come annunciare la Buona Novella del Regno alle “pecore perdute di Israele” (Mt 10,6). Loro devono: a) guarire i malati, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni (v.8); b) annunciare gratuitamente ciò che gratuitamente ricevono (v.8); c) non procurarsi oro, né sandali, né bastone, né bisaccia, né due tuniche (v.9); d) cercarsi una casa dove poter esser accolti fino al termine di una missione (v.11); e) essere portatori di pace (v.13).
- Al tempo di Gesù c’erano vari movimenti che, come lui, erano alla ricerca di una nuova maniera di vivere e convivere, per esempio, Giovanni Battista, i farisei, esseni ed altri. Molti di loro formavano comunità di discepoli (Gv 1,35; Lc 11,1; At 19,3) ed avevano i loro missionari (Mt 23,15). Però c’era una grande differenza! I farisei, per esempio, quando andavano in missione, erano prevenuti. Pensavano che non potevano fidarsi degli alimenti della gente, perché non sempre erano ritualmente “puri”. Per questo, portavano bisaccia e denaro per poter occuparsi loro stessi di ciò che mangiavano. Cosi, le osservanze della Legge della purezza, invece di aiutare a superare le divisioni, indebolivano ancora di più il vissuto dei valori comunitari. La proposta di Gesù è diversa. Il suo metodo traspare nei consigli che lui dà agli apostoli quando li manda in missione. Per mezzo delle istruzioni, cerca di rinnovare e riorganizzare le comunità di Galilea in modo che fossero di nuovo un’espressione dell’Alleanza, una mostra del Regno di Dio.
- Matteo 10,7: L’annuncio della vicinanza del Regno. Gesù invita i discepoli ad annunciare la Buona Novella. Loro devono dire: “Il Regno dei cieli è vicino!”. Cosa vuol dire che il Regno è vicino? Non significa una vicinanza nel tempo, nel senso che basta aspettare un poco di tempo e dopo il Regno verrà. “Il Regno è vicino” significa che già è alla portata della gente, già “è in mezzo a voi” (Lc 17,21). È bene acquisire uno sguardo nuovo, per poter percepire la sua presenza o prossimità. La venuta del Regno non è frutto della nostra osservanza, come volevano i farisei, ma si rende presente, gratuitamente, nelle azioni che Gesù raccomanda agli apostoli: guarire i malati, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni.
- Matteo 10,8: Guarire, risuscitare, purificare, scacciare. Malati, morti, lebbrosi, posseduti erano gli esclusi dalla convivenza, ed erano esclusi in nome di Dio. Non potevano partecipare alla vita comunitaria. Gesù ordina di accogliere queste persone, di includerle. Il Regno di Dio si rende presente in questi gesti di accoglienza e di inclusione. In questi gesti di gratuità umana si nota l’amore gratuito di Dio che ricostruisce la convivenza umana e ricuce i rapporti interpersonali.
- Matteo 10,9-10: Non portare nulla. Al contrario degli altri missionari, gli apostoli non possono portare nulla: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento”. L’unica cosa che potete e dovete portare è la Pace (Mt 10,13). Ciò significa che devono fidarsi dell’ospitalità e della condivisione della gente. Perché il discepolo che non porta nulla con sé e porta la pace, indica che ha fiducia nella gente. Crede che sarà ricevuto, e la gente si sente valorizzata, apprezzata e confermata. L’operaio ha diritto al suo alimento. Facendo questo, il discepolo critica le leggi di esclusione e riscatta gli antichi valori della condivisione e della convivenza comunitaria.
- Matteo 10,11-13: Vivere insieme ed integrarsi in comunità. Giungendo a un luogo, i discepoli devono scegliere una casa di pace e lì devono rimanere fino alla fine. Non devono passare da una casa all’altra, bensì vivere lì stabilmente. Devono divenire membri della comunità e lavorare per la pace, cioè per ricostruire i rapporti umani che favoriscono la Pace. Per mezzo di questa pratica, loro riscattano un’antica tradizione della gente, criticano la cultura di accumulazione, tipica della politica dell’impero romano ed annunciano un nuovo modello di convivenza.
- Riassunto: le azioni raccomandate da Gesù per l’annuncio del Regno sono queste: accogliere gli esclusi, fidarsi dell’ospitalità, spingere alla condivisione, vivere stabilmente e in modo pacifico. Se questo avviene, allora possiamo e dobbiamo gridare ai quattro venti: Il Regno è tra di noi! Annunciare il Regno non consiste in primo luogo nell’insegnare verità e dottrine, catechismo o diritto canonico, ma portare le persone ad una nuova maniera di vivere e convivere, una nuova maniera di pensare e di agire partendo dalla Buona Novella, portata da Gesù: Dio è Padre e Madre, e quindi tutti siamo fratelli e sorelle.

Per un confronto personale
- Perché tutti questi atteggiamenti raccomandati da Gesù sono segni del Regno di Dio in mezzo a noi?
- Come fare oggi ciò che Gesù ci chiede: “Non portare bisaccia”, “Non passare di casa in casa”?

11 giugno: San Barnaba, Apostolo
Biografia: Nato nell’isola di Cipro, fu tra i primi fedeli di Gerusalemme; predicò ad Antiochia e fu compagno di san Paolo nel suo primo viaggio apostolico. Fu presente al Concilio di Gerusalemme. Ritornato in patria, vi predicò il vangelo e vi morì.

Dagli scritti
Dai «Trattati sul vangelo di Matteo» di san Cromazio, vescovo
«Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,14-15). Il Signore ha chiamato i suoi discepoli «sale della terra», perché hanno dato sapore, per mezzo della sapienza celeste, ai cuori degli uomini resi insipidi dal diavolo. Ora li chiama anche «luce del mondo» perché, illuminati da lui stesso che é la luce vera ed eterna, sono diventati, a loro volta, luce che splende nelle tenebre. Egli é il sole di giustizia. Molto giustamente quindi chiama luce del mondo anche i suoi discepoli, in quanto, per mezzo loro, come attraverso raggi splendenti, ha illuminato tutta la terra con la luce della sua verità. Diffondendo la luce della verità, essi hanno tolto le tenebre dell’errore dai cuori degli uomini. Anche noi siamo stati illuminati per mezzo di loro, così da trasformarci da tenebre in luce, come dice l’Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore: comportatevi come figli della luce» (Ef 5,8). E ancora: Voi non siete figli della notte e delle tenebre, ma figli della luce del giorno (cfr. 1Ts 5,5). Ben a ragione quindi anche a san Giovanni ha lasciato scritto nella sua lettera: «Dio è luce» (1Gv 1,5) e chi rimane in Dio si trova nella luce. Poiché dunque ci rallegriamo di essere stati liberati dalle tenebre dell’errore, é logico che quali figli della luce dobbiamo camminare sempre in essa. Per questo l’Apostolo dice ancora: Risplendente come astri in questo mondo, attenendovi fedelmente alla parola di vita (cfr. Fil 2,15-16). Se non faremo questo, noi nasconderemo e oscureremo con il velo della nostra infedeltà, a danno nostro e degli altri, quella luce che splende a utilità di tutti. Sappiamo infatti, e lo abbiamo anche letto, che quel servo invece di portare in banca il talento ricevuto per guadagnarsi il cielo aveva preferito nasconderlo, e così fu colpito da giusto castigo. Quella lucerna spirituale che è stata accesa perché ne usiamo a nostra salvezza, deve sempre risplendere in noi. Abbiamo a nostra disposizione la lucerna dei comandamenti di Dio e della grazia spirituale, di cui David dice: Il tuo comandamento é lucerna ai miei piedi e luce nei miei sentieri (cfr. Sal 118,105). Di questa parla anche Salomone quando afferma: Il comando della legge é come una lucerna (cfr. Pro 6,23). Non, dobbiamo quindi tener nascosta questa lucerna della legge e della fede. Dobbiamo anzi tenerla alta nella Chiesa, come sopra un candelabro, affinché sia di salvezza a molti, perché noi stessi ci confortiamo alla luce della stessa verità e tutti i credenti ne siano illuminati.

Preghiera finale: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo (Sal 97).
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MessaggioTitolo: domenica 12 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Giu 12, 2011 8:32 am

DOMENICA 12 GIUGNO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
DOMENICA DI PENTECOSTE


Il periodo di cinquanta giorni del tempo pasquale si conclude con la domenica di Pentecoste, nella quale si commemora il dono dello Spirito Santo agli Apostoli, i primordi della Chiesa e l’inizio della sua missione a tutti i popoli, le lingue e le nazioni. È bene celebrare in forma protratta la Messa della vigilia, con le letture e le orazioni proposte nei libri liturgici. Questa messa non ha carattere battesimale, come nella Vigilia pasquale, ma di più intensa preghiera sull’esempio degli Apostoli e dei discepoli, che erano, insieme a Maria, madre di Gesù, uniti nella preghiera in attesa della effusione dello Spirito Santo.

Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture (messa del giorno):
At 2,1-11 (Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare)
Sal 103 (Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra)
1Cor 12,3b-7.12-13 (Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo)
Gv 20,19-23 (Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi)

Irrorati dallo Spirito
Nelle nostre lezioni di catechesi siamo soliti elencare sette doni dello Spirito Santo e abbiamo imparato anche a nominarli: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio. Sappiamo che sono molto di più perché il dono dello Spirito sgorga dall’essenza stessa di Dio, che è Amore. È più facile scrutarne gli effetti salutari che produce in noi. È più facile leggere la storia della Chiesa e costatare come sin dal principio, lo Spirito promesso e donato da Gesù, è il motore potente che ha spinto la Chiesa, pur tra mille difficoltà e dure persecuzioni, ad espandersi ovunque nel mondo, ad essere sacramento di salvezza, luce per tutti gli uomini, forza dei martiri e fermento di santità. Ci stupisce e ci affascina quello Spirito Santo per le prodigiose trasformazioni che ha operato ed opera ancora nel cuore degli uomini. Ci innamora la santità eroica di tanti e tante che per quello stesso Spirito ora noi ammiriamo come nostri modelli e veneriamo come nostri intercessori. Non cessa di abbagliare il mondo la santità, la saggezza, la sapienza del beato Giovanni Paolo II o di tanti santi che lui ha proclamato tali. Nella nostra stessa vita quotidiana dal giorno del nostro battesimo, quante volte abbiamo goduto di quella energia santa, di quelle interiori illuminazioni che hanno dato senso e vigore a tutta la nostra vita e ci hanno reso autori di bene per noi e per gli altri. Non abbiamo anche noi goduto tante volte di quel filtro purissimo che ci unisce a Dio e ci fa scoprire e vivere la vera fraternità? Dovremmo, così edotti dalla storia, come persone e come Chiesa, rifugiarci spesso con la Madre celeste nel Cenacolo e metterci in attesa di una rinnovata Pentecoste. Invochiamolo lo Spirito Santo perché venga su di noi e ci irrori con i suoi tanti doni.
Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi. Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono. Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante - e non contro - la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei gesti della vita cristiana. Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa! Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere esercitata con misericordie con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.

Approfondimento del Vangelo (La missione della comunità. “La pace sia con voi”. Il dono dello Spirito)
Il testo: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Chiave di lettura: I discepoli erano riuniti, e le porte erano ben chiuse. Avevano paura dei giudei. Improvvisamente, Gesù si pone in mezzo a loro e dice: “La pace sia con voi!”. Dopo aver mostrato loro le mani ed il costato dice di nuovo: “La pace sia con voi! Come il Padre mi ha inviato, anche io vi invio!”. E subito comunica loro il dono dello Spirito in modo che possano perdonare i peccati e riconciliare le persone tra di loro e con Dio. Riconciliare e costruire la pace! Ecco una missione che hanno ricevuto e che perdura fino ad oggi. Oggi giorno ciò che più manca all’umanità è la pace: rifare i pezzi della vita disintegrati, ricostruire i rapporti umani, rotte a causa delle ingiustizie che si commettono e per tanti altri motivi. Gesù insiste nella pace, e lo ripete varie volte! Nel corso della lettura del breve testo del vangelo di questa domenica di Pentecoste, cerchiamo di essere attenti agli atteggiamenti sia di Gesù che dei discepoli, ed alle parole di Gesù che pronuncia con tanta solennità.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Giovanni 20,19-20: La descrizione dell’esperienza delle risurrezione
- Giovanni 20,21: L’invio: “Come il Padre mi ha inviato, io vi invio”
- Giovanni 20,22: Il dono dello Spirito
- Giovanni 20,23: Il potere di perdonare i peccati

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione:
a) Cosa ti ha colpito maggiormente nella descrizione dell’esperienza della resurrezione?
b) Quali sono le caratteristiche della Missione che i discepoli ricevono?
c) Quali sono le caratteristiche dell’azione dello Spirito Santo che Gesù ci comunica?
d) Quale importanza ha tutto questo per la vita della nostra comunità oggi?
e) Gesù insiste: “La pace sia con voi!”. Quali passi devo fare per aiutare a ricostruire la pace ed i rapporti rotti tra le persone?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il tema
a) Il contesto in cui fu scritto il vangelo di Giovanni: Il testo del Vangelo di Giovanni è come un tessuto molto bello, fatto con tre fili di diverso colore. I tre fili sono così bene combinati tra di loro che non sempre è possibile di vedere quando si passa da un filo all’altro. (i) Il primo filo sono i fatti della vita di Gesù, occorsi negli anni trenta in Palestina, conservati nella memoria del Discepolo Amato e di tante altre testimonianze (1 Gv 1,1-4). (ii) Il secondo filo sono i fatti della vita delle comunità. A partire dalla loro fede in Gesù e convinte della presenza di lui in mezzo a loro, le comunità illuminavano la loro vita con le parole ed i gesti di Gesù. Ciò influisce nella descrizione dei fatti. Per esempio, il conflitto delle comunità con i farisei verso la fine del primo secolo indica il modo in cui vengono descritti i conflitti di Gesù con i farisei. (iii) Il terzo filo sono i commenti fatti dall’evangelista. In certi passaggi, quasi non si percepisce quando Gesù cessa di parlare ed il redattore inizia a tessere i suoi commenti. (Gv 2,22; 3,16-21; 7,39; 12,37-43; 20,30-31).
b) Commento del testo:
- Giovanni 20,19-20: Una descrizione dell’esperienza della risurrezione. Gesù si rende presente nella comunità. Nemmeno le porte chiuse gli impediscono di stare in mezzo a coloro che non lo riconosco. Perfino oggi è così! Quando siamo riuniti, anche se tutte le porte sono chiuse, Gesù è in mezzo a noi! Ed anche oggi, la prima parola di Gesù, sarà sempre: “La pace sia con voi!”. Lui mostra i segni della passione nelle mani e sul costato. Il risorto è il crocifisso! Il Gesù che è con noi nella comunità non è un Gesù glorioso che non ha nulla in comune con la vita della gente. Ma è lo stesso Gesù che è venuto su questa terra e che ha i segni della sua passione. Ed oggi questi stessi segni si trovano nelle sofferenze della gente. Sono i segni della fame, della tortura, delle guerre, delle malattie, della violenza, dell’ingiustizia. Tanti segni! E nelle persone che reagiscono e lottano per la vita Gesù risuscita e si rende presente in mezzo a noi.
- Giovanni 20,21: L’invio: “Come il Padre mi ha inviato, anche io vi invio!”. Da questo Gesù crocifisso e risorto noi riceviamo la missione, la stessa che Lui ricevette dal Padre. Ed anche per noi Lui ripete: “La pace sia con voi!”. La ripetizione ribadisce l’importanza della pace. Costruire la pace fa parte della missione. La Pace che Gesù ci lascia significa molto di più che assenza di guerra. Significa costruire un ambiente umano armonioso, in cui le persone possano essere loro stesse, con tutto il necessario per vivere, e dove possano viverre felici ed in pace. In una parola, vuol dire costruire una comunità secondo la comunità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
- Giovanni 20,22: Gesù comunica il dono dello Spirito. Gesù alitò e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”. Ed è quindi con l’aiuto dello Spirito Santo che noi possiamo svolgere la missione che lui ci affida. Nel Vangelo di Giovanni, la risurrezione (Pasqua) e l’effusione dello Spirito (Pentecoste) sono una stessa cosa. Tutto avviene nello stesso momento.
- Giovanni 20,23: Gesù comunica il potere di perdonare i peccati. Il punto centrale della missione di pace si trova nella riconciliazione, nel tentativo di superare le barriere che ci separano: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. Ora questo potere di riconciliare e di perdonare viene dato ai discepoli. Nel Vangelo di Matteo, questo stesso potere viene dato anche a Pietro (Mt 16,19) ed alle comunità (Mt 18,18). Una comunità senza perdono e senza riconciliazione non è una comunità cristiana.
c) Approfondimento:
- L’azione dello Spirito Santo nel Vangelo di Giovanni. La lingua ebraica usa la stessa parola per dire vento e spirito. Il vento ha in sé una meta, una direzione: vento del Nord, vento del Sud. Così pure lo Spirito di Dio (il vento di Dio) ha in sè una meta, un progetto, che si manifesta in molti modi nelle opere che lo Spirito di Dio compie nella creazione, nella storia e, soprattutto, in Gesù. La grande promessa dello Spirito si rende presente nei profeti: la vista delle ossa secche che si rivestono di vita grazie alla forza dello Spirito di Dio (Ez 37,1-14); l’effusione dello Spirito di Dio su tutte le genti (Gl 3,1-5); la visione del Messia Servo che sarà unto dallo Spirito per ristabilire il diritto sulla terra e per annunciare la Buona Novella ai poveri (Is 11,1-9; 42,1; 44,1-3; 61,1-3). I profeti intravedono un futuro in cui il popolo di Dio rinasce grazie all’effusione dello Spirito (Ez 36,26-27; Sl 51,12; cfr. Is 32,15-20). Nel vangelo di Giovanni queste profezie si compiono in Gesù. Come avvenne nella creazione (Gen 1,1), così lo Spirito apparve e discese su Gesù “sotto forma di una colomba venuta dal cielo” (Gv 1,32). È l’inizio della nuova creazione! Gesù pronuncia le parole di Dio e ci comunica lo Spirito, in abbondanza (Gv 3,34). Le sue parole sono Spirito e vita (Gv 6,63). Quando Gesù si congeda, dice che avrebbe inviato un altro consolatore, un altro difensore che avrebbe lasciato con noi. È lo Spirito Santo (Gv 14,16-17). Per la sua passione, morte e risurrezione, Gesù conquista per noi il dono dello Spirito. Quando apparve agli apostoli, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo!” (Gv 20,22). Il primo effetto dell’azione dello Spirito Santo in noi è la riconciliazione: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,23). Mediante il battesimo tutti noi riceviamo questo stesso Spirito di Gesù (Gv 1,33). Lo Spirito è come l’acqua che sgorga dal di dentro delle persone che credono in Gesù (Gv 7,37-39; 4,14). Lo Spirito ci viene dato per poter ricordare e capire il significato pieno delle parole di Gesù (Gv 14,26; 16,12-13). Animati dallo Spirito di Gesù possiamo adorare Dio in qualsiasi luogo (Gv 4,23-24). Qui si vive la libertà dello Spirito. “Dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è la libertà”, conferma San Paolo (2Cor 3,17).
- Shalom: la costruzione della pace. Nel vangelo di Giovanni, il primo incontro tra Gesù Risorto ed i suoi discepoli è marcato dal saluto: “La pace sia con voi!”. La pace che Gesù ci dona è diversa dalla Pax Romana, costruita dall’Impero Romano (Gv 14,27). Pace nella Bibbia (shalom), è una parola ricca di un profondo significato. Significa integrità della persona davanti a Dio ed agli altri. Significa anche vita piena, felice, abbondante (Gv 10,10). La pace è segnale di presenza di Dio, perché il nostro Dio è un Dio di pace “Javhé è Pace” (Ger 6,24). “Che la Pace di Dio sia con voi!” (Rm 15,33). Per questo la proposta di pace di Dio produce reazioni violente. Come dice il salmo: “Da molto tempo dimoro con coloro che odiano la pace. Sono a favore della pace, ma quando dico ‘Pace’ loro gridano ‘Guerra!’(Sl 121,6-7). La pace che Gesù ci dona è segnale di “spada” (Mt 10,34). Suppone persecuzioni per le comunità. E Gesù stesso ci annuncia tribolazioni. (Gv 16,33). É necessario avere fiducia, lottare, operare, perseverare nello Spirito in modo che un giorno trionfi la pace di Dio. In quel giorno “amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si abbracceranno” (Sl 85,11). Ed allora, “il Regno di Dio sarà giustizia, pace ed allegria, e saranno questi i frutti dello Spirito Santo” (Rm 14,17) e “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28).

Dagli scritti
Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo
La missione dello Spirito Santo
Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). È questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso dicesse anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo. Luca narra che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accorto, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformano il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio. Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paraclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita senza la «Pioggia» mandata liberamente dall’alto. Il lavacro battesimale con l’azione dello Spirito Santo ci ha unificati tutti nell’anima e nel corpo in quell’unità che preserva dalla morte. Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11,2). Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il Paraclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10,18). Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato. Il Signore affida allo Spirito santo quell’uomo incappato nei ladri, cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore (Lib. 3,17, 1-3; SC 34,302-306).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
PENTECOSTE
SOLENNITÀ DEL SIGNORE


Letture:
At 2,1-11
Sal 103
1Cor 12,1-11
Gv 14,15-20

Un altro Paraclito
“Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio.. perché noi ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà!, Padre!” (Gal 4,4-6). Al colmo del disegno di Dio sta il nostro inserimento nel giro della famiglia di Dio per l’opera dello Spirito Santo che ci fa “figli nel Figlio”, cioè come il Figlio. Lo Spirito costruisce in noi il “Santo”, cioè la vita divina, che inizia col battesimo, cresce con l’azione interiore di “trasfigurazione”, e si completa con la risurrezione della carne. L’insieme dei santificati forma il “Sacro”, cioè la Chiesa, il luogo dove direttamente lo Spirito agisce attraverso i ministeri, i carismi e soprattutto nell’Eucaristia.
Il santo: La promessa di Gesù: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”. È lo Spirito Santo, col battesimo, a “innestarci” in Cristo, quasi tralci sulla vite, dalla quale ricevere la linfa' che nutre la vita divina. La linfa è appunto “lo Spirito del Figlio suo”. “Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). L’affermazione di Gesù è esplicita: “Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, quello che è nato dallo Spirito è spirito” (Gv 3,5-6). Lo Spirito - “lo Spirito della verità” - è costitutivo della nostra fede: “Nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anàtema!; e nessuno può dire: Gesù è Signore!, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (Epist.). Questo Spirito - dice Gesù - “rimane presso di voi e sarà in voi”, e opera per la nostra trasformazione col “rivestirci di Cristo” (cfr. Rm 13,14). Scrive san Paolo: “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18). Lo Spirito sostiene i nostri atti, innerva le nostre capacità con la sua grazia, fino a procurare una inabitazione permanente di Dio nel cuore del credente, come aveva promesso Gesù: “Se uno mi ama.. il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Avverte san Paolo: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1Cor 3,16), cioè “abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,22). Alla fine questo Spirito, “che è Signore e dà la vita” non potrà che portare a compimento la sua opera in noi con la risurrezione della carne: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). È necessario conoscere di più la parte decisiva che lo Spirito Santo ha nella nostra esistenza cristiana e la sua permanente iniziativa, per non porvi ostacoli: “Non spegnete lo Spirito” (1Ts 5,19). Per questo san Paolo prega perché “il Padre vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito” (Ef 3,16).
Il sacro: In quel giorno di Pentecoste a Gerusalemme “lingue come di fuoco si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (Lett.). La Chiesa esplode, per la forza dello Spirito, e corre “fino ai confini della terra” (At 1,8). In questa comunità Dio ha collocato gli strumenti che, per l’efficacia dello Spirito, portano, come in un fiume che attraversa la storia, gli elementi decisivi per la salvezza di tutti gli uomini: il ministero apostolico, la Parola di Dio, l’Eucaristia e gli altri sacramenti. È il deposito del “Sacro”, non contaminabile dalla soggettività del ministro che lo gestisce. Si dice: operano “ex opere operato”. La Chiesa, dice Paolo, è il Corpo di Cristo, dove a ogni membro è affidato un dono da mettere alla utilità comune: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (Epist.). Sono diverse le membra di un corpo, ma tutte cooperano al bene di tutto l’organismo. Una unità - o comunione - che non è uniformità, ma coordinamento di una multiforme ricchezza. “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, .. diverse attività, .. ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (Epist.). Si dice appunto che lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. In particolare, è opera dello Spirito “fare” l’Eucaristia e, attraverso questa, “fare” la Chiesa. Lo ripetiamo ogni giorno nella messa: “Padre, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore (Canone II). Ma lo Spirito trasforma i doni offerti in vista di giungere a trasformare gli offerenti. Prosegue il Canone II: “A noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. In altre parole, si passa dal corpo sacramentale di Cristo al corpo ecclesiale mediante il divenire eucaristico. Così dall’Eucaristia si fa la Chiesa: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,17).
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). Come si fa a sapere che si è guidati dallo Spirito? Basta verificarne i frutti. “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Vi è anche la controprova: “La carne ha desideri contrari allo Spirito. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,17.19-21).
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MessaggioTitolo: sabato 18 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Giu 18, 2011 9:18 am

SABATO 18 GIUGNO 2011

SABATO DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Letture:
2Cor 12,1-10 (Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze)
Sal 33 (Gustate e vedete com’è buono il Signore)
Mt 6,24-34 (Non preoccupatevi del domani)

C’è la provvidenza!
Il mondo e le sue attrattive o Dio; è l’esigenza di una scelta radicale, sgorga dalla coerenza e dalla fede che il cristiano vuole professare e vivere. «Non potete servire a due padroni». Ci sono nella nostra vita compromessi irrealizzabili, anche se spesso siamo tentati di attuarli. Certamente il Signore non disconosce l’importanza del nutrimento, del vestire e di quanto serve alla vita di ogni giorno. Vuole farci comprendere però che non è questo che dà il vero senso alla vita e vuole metterci in guardia da quegli eccessivi affanni che inutilmente ci affliggono e da quell’attaccamento alle cose che ci procura solo amare delusioni. Vuole far rinascere in noi la fede nel Dio provvido, che ai nostri giorni sembra quasi scomparsa. Sollecitandoci alla preghiera ci ricorda Gesù che il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glie lo chiediamo. Ci sollecita perciò a guardare con intelligenza spirituale gli uccelli de cielo, che, non ammassano nei granai, pure sono nutriti dal Padre celeste, perché gioiscono di poco… e i gigli del campo che provvidenzialmente si adornano di tutta la loro splendida bellezza. La conclusione è di quelle che dovrebbero entrare pienamente nel programma di vita di ogni cristiano: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Capita invece che proprio perché colpevolmente privi di beni spirituali, ci attacchiamo ai surrogati del mondo. Si tratta di spiritualizzare la nostra vita per imparare a cogliere i valori che davvero possono essere fonte della nostra gioia.
Se ci mettiamo alla sua scuola, la Madonna ci insegnerà l’umiltà e l’abbandono. Maria ha fatto perfettamente quanto dice Paolo a proposito della sua debolezza: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo”. Maria ha accettato la sua situazione di debolezza, di piccolezza e ne è stata felice perché l’ha vista come motivo di una particolare attenzione di Dio: “il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Come è difficile, di solito, essere contenti della propria sorte umile, nascosta, oscura! E come è difficile l’umiltà quando si hanno motivi di vanto! San Paolo avvertiva il pericolo della superbia “per la grandezza delle rivelazioni”; Maria, salutata dall’angelo “piena di grazia”, rimane tranquilla, contenta, abbandonata in pace alla volontà di Dio, preoccupata solo di lui. E quando Dio la vuole madre di un figlio condannato alla morte di croce come bestemmiatore, la sofferenza non fa cambiare il suo atteggiamento interiore: segue Gesù con adesione piena al disegno divino, in pace, con fiducia, fino al Calvario. Domandiamo a lei che ci aiuti ad essere umili, fiduciosi, contenti della volontà del Signore in ogni concreta situazione.

Lettura del Vangelo: In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro (Mt 6,24) e il nostro rapporto con la Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). I consigli dati da Gesù suscitano varie domande di difficile risposta. Per esempio, come capire oggi l’affermazione: “Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24)? Come capire la raccomandazione di non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito(Mt 6,25)?
- Matteo 6,24: Non potete servire Dio e mammona. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona”. Ognuno dovrà fare la propria scelta. Dovrà chiedersi: “Chi pongo al primo posto nella mia vita. Dio o il denaro?”. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, bensì di una scelta di vita ben concreta che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.
- Matteo 6,25: Gesù critica la preoccupazione eccessiva per il mangiare e il bere. Questa critica di Gesù causa fino ai nostri giorni molto spavento nella gente, perché la grande preoccupazione di tutti i genitori è come procurarsi cibo e vestiti per i figli. Il motivo della critica è che la vita vale più del cibo e il corpo vale più del vestito. Per chiarire la sua critica, Gesù presenta due parabole: i passeri e i fiori.
- Matteo 6,26-27: La parabola degli uccelli: la vita vale più del cibo. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Non seminano, non raccolgono, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. “Non contate voi, forse, più di loro!”. Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della vita delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.
- Matteo 6,28-30: La parabola dei gigli: il corpo vale più del vestito. Gesù chiede di guardare i fiori, i gigli del campo. Con che eleganza e bellezza Dio li veste! “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, non farà assai più per voi, gente di poca fede!”. Gesù dice di guardare le cose della natura, perché così vedendo i fiori e il campo, la gente ricordi la missione che abbiamo: lottare per il Regno e creare una convivenza nuova che possa garantire il cibo e il vestito per tutti.
- Matteo 6,31-32: Non essere come i pagani. Gesù riprende e critica la preoccupazione eccessiva per il cibo, la bevanda e il vestito. E conclude: “Di queste cose si preoccupano i pagani!”. Ci deve essere una differenza nella vita di coloro che hanno fede in Gesù e di coloro che non hanno fede in Gesù. Coloro che hanno fede in Gesù condividono con lui l’esperienza della gratuità di Dio Padre, Abba. Questa esperienza di paternità deve rivoluzionare la convivenza. Deve generare una vita comunitaria che sia fraterna, seme di una nuova società.
- Matteo 6,33-34: Il Regno al primo posto. Gesù indica due criteri: “Cercare prima il Regno di Dio” e “Non preoccuparsi per il domani”. Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia significa cercare di fare la volontà di Dio e lasciare regnare Dio nella nostra vita. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna e giusta. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare.
- Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Il Regno di Dio deve stare al centro di tutte le nostre preoccupazioni. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona si sente responsabile dell’altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori, perché per Gesù la Provvidenza Divina passa attraverso l’organizzazione fraterna. Preoccuparsi del Regno e della sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi di accettare Dio Padre ed essere fratello e sorella degli altri. Dinanzi all’impoverimento crescente causato dal neoliberalismo economico, la forma concreta che il vangelo ci presenta e grazie alla quale i poveri potranno vivere è la solidarietà e l’organizzazione.
- Un coltello affilato in mano ad un bambino può essere un’arma mortale. Un coltello affilato in mano ad una persona appesa ad una corda è l’arma che salva. Così sono le parole di Gesù sulla Provvidenza Divina. Sarebbe antievangelico dire ad un padre disoccupato, povero, con otto figli, e moglie malata: “Non ti preoccupare del cibo e delle bevande! Perché preoccuparsi del vestito e della salute?” (Mt 6,25.28). Questo possiamo dirlo solo quando noi stessi, imitando Gesù, ci organizziamo tra di noi per condividere, garantendo così al fratello la possibilità di sopravvivere. Altrimenti, siamo come i tre amici di Giobbe che, per difendere Dio, raccontavano menzogne sulla vita umana (Giobbe 1-3,7). Sarebbe come ingannare un orfano e un amico (Giobbe 1-7). In bocca al sistema dei ricchi, queste parole posso essere un’arma mortale contro i poveri. In bocca al povero, possono essere uno sbocco reale e concreto per una convivenza migliore, più giusta e fraterna.

Per un confronto personale
- Cosa intendo io per Provvidenza Divina? Ho fiducia nella Provvidenza Divina?
- Noi cristiani abbiamo la missione di dare un’espressione concreta a ciò che portiamo dentro. Qual è l’espressione che stiamo dando alla nostra fiducia nella Provvidenza Divina?

Preghiera finale: Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore (Sal 118).
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MessaggioTitolo: domenica 19 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Giu 19, 2011 10:05 am

DOMENICA 19 GIUGNO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
SANTISSIMA TRINITÀ


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
Es 34,4-6. 8-9 (Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso)
Sal: Dn 3,52-56 (A te la lode e la gloria nei secoli)
2Cor 13,11-13 (La grazia di Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo)
Gv 3,16-18 (Dio ha mandato il Figlio suo perché il mondo sia salvato per mezzo di lui)

L’unico Dio in tre persone
In Dio sono perfette sia l’unità che la Trinità. Dio è unico nell’unità di una sola natura e trino nelle persone. Siamo di fronte al mistero. I misteri di Dio ci si svelano nella misura in cui siamo capaci, accogliendo i doni di grazia e lasciandoci illuminare dallo stesso Spirito, di viverli ed incarnarli in noi. San Giovanni ci dice che Dio è amore, ma aggiunge che per amore egli ha dato la vita per noi e non esiste amore più grande di questo. Se osserviamo i suoi comandamenti, se diventa continua e crescente la nostra comunione con il Padre, con il Figlio Gesù Cristo e con lo Spirito Santo, allora la Trinità beata viene a noi e prende dimora presso di noi. San Paolo lo diceva ai primi cristiani: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi». È vero che esiste un limite invalicabile oltre il quale la mente umana non può vedere, ma è anche vero che Dio non pone ostacoli alla sua conoscenza, non pone limite alcuno al suo amore. Siamo noi a perdere di vista le realtà del cielo perché invischiati nelle cose della terra o offuscati dal male. Il peccato è la vera barriera che noi costruiamo verso Dio Uno e Trino. L’esperienza cristiana ci dice che la fedeltà di Dio non viene mai meno, neanche quando la nostra naufraga penosamente. Egli vuole rivelarsi e farsi conoscere per essere da noi riconosciuto ed amato. Egli non solo nella scrittura sacra si rivela, ma meglio e ancor più nella vita di ogni giorno, nella storia del mondo ed in particolare in quella della Chiesa. Splende nei suoi santi la gloria della Trinità. Nella nostra redenzione viene esaltato l’amore misericordioso. Nei travagli e nelle vittorie della Chiesa splende la luce dello Spirito Santo, che la rende martire ma invincibile. Nella comunione fraterna concretamente espressa la Trinità trova la migliore espressione. Quello che perfettamente vive nei cieli si trasferisce per noi sul nostro mondo.
Spesso ci si immagina un “Dio” lontano, astratto, ridotto quasi a un sistema di idee contorte o semplicissime, ma inesplicabili. Soprattutto quando ci si accosta alla dottrina della Trinità, si ha l’impressione di essere di fronte a una sciarada beffarda. E invece. E invece, l’essere concretissimo di Dio è comunione che liberamente si effonde. Anzi, ci chiama a varcare la soglia della sua vita intima e beatificante. Non riusciamo a capire perché Dio si sia interessato di noi: più di quanto, forse, noi ci interessiamo a noi stessi. Proprio mentre eravamo peccatori, il Padre ha mandato il suo Figlio per offrirci la vita nuova nello Spirito. Liberamente. Per amore. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Cristo non si impone. Non costringe ad accettarlo. Si consegna alla nostra decisione. È questa la vertigine della vita umana. Possiamo passare accanto al Signore Gesù che muore e risorge, senza degnarlo di uno sguardo nemmeno distratto. E, tuttavia, non possiamo fare in modo che egli non esista come il Dio fatto uomo che perdona e salva. “Chi non crede è già stato condannato”. Ma se ci apriamo alla sua dilezione... Allora Cristo si rivela come colui che ha suscitato in noi tutte le attese più radicali. E colma a dismisura queste attese. È la redenzione. È la grazia. È lo Spirito che abita in noi e ci conforma al Signore Gesù. La vita nuova, che ci viene donata, apparirà in tutta la sua gloria oltre il tempo. Inizia qui, ed è la “vita eterna”.

Approfondimento del Vangelo (Così Dio ha amato il mondo)
Il testo: In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Una chiave di lettura: Questi pochi versetti fanno parte di una riflessione dell’evangelista Giovanni (Gv 3,16-21), in cui spiega alle sue comunità della fine del primo secolo il significato del dialogo tra Gesù e Nicodemo (Gv 3,1-15). In questo dialogo, Nicodemo non riesce a seguire il pensiero di Gesù. E la stessa cosa accadeva alle comunità. Alcune di esse, prigioniere dei criteri del passato, non capivano la novità che Gesù aveva portato. Il nostro testo (Gv 3,16-18) è un aiuto per superare questa difficoltà. Anche la Chiesa ha scelto la lettura di questi tre versetti per la festa della Santissima Trinità. Ed in effetti, costituiscono una chiave importante per rivelare l’importanza del mistero del Dio Trino nella nostra vita. Nel fare la lettura, cerchiamo di tener presente nella mente e nel cuore che, in questo testo, Dio è il Padre, il Figlio è Gesù e l’amore è lo Spirito Santo. Per questo, non cerchiamo di penetrare nel mistero. Fermiamoci, facciamo silenzio ed ammiriamo!

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Gv 3,16: Afferma che l’amore salvifico di Dio si manifesta nel dono del Figlio
- Gv 3,17: La volontà di Dio è salvare e non condannare
- Gv 3,18: L’esigenza divina è avere da parte nostra il coraggio di credere in questo amore

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto ti è piaciuto di più o quale ti ha maggiormente colpito?
b) Guardando bene questo testo così corto, quali sono le parole chiave ricorrenti?
c) Qual’è l’esperienza centrale dell’evangelista e delle comunità, che traspare dal testo?
d) Cosa ci dice il testo sull’amore di Dio?
e) Cosa ci dice il testo su Gesù?
f) Cosa afferma il testo sul mondo?
g) Cosa mi svela il testo di me?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
a) Il contesto in cui appaiono le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: Nicodemo era un dottore che aveva la pretesa di conoscere le cose di Dio. Osservava Gesù con il libretto della legge di Mosè in mano per vedere se concordava con la novità annunciata da Gesù. Nella conversazione, Gesù fa percepire a Nicodemo (e a tutti noi) che l’unico modo in cui qualcuno può capire le cose di Dio è nascendo di nuovo! Oggi succede la stessa cosa. Molte volte, siamo come Nicodemo: accettiamo solo ciò che va d’accordo con le nostre idee. Il resto lo rifiutiamo considerandolo contrario alla tradizione. Ma non tutti sono così. Ci sono persone che si lasciano sorprendere dai fatti e che non hanno paura di dire: “Nasci di nuovo!”. Nel raccogliere le parole di Gesù l’evangelista ha davanti agli occhi la situazione delle comunità della fine del primo secolo, ed è per loro che scrive. I dubbi di Nicodemo erano anche quelli delle comunità. E così la risposta di Gesù era anche una risposta per le comunità. Molto probabilmente, la conversazione tra Gesù e Nicodemo faceva parte della catechesi battesimale, poiché il testo dice che le persone devono rinascere dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3,6). Nel breve commento che presentiamo, focalizzeremo le parole chiave che appaiono nel testo e che sono parole centrali nel vangelo di San Giovanni. Ci servono come chiave di lettura di tutto il vangelo.
b) Commento del testo:
- Giovanni 3,16: Amare è darsi per amore: La parola amore indica, innanzitutto, un’esperienza profonda di relazione tra diverse persone. Racchiude un insieme di sentimenti e valori quali l’allegria, la tristezza, la sofferenza, la crescita, la rinuncia, il dono di sé, la realizzazione, la donazione, l’impegno, la vita, la morte, ecc. Nell’AT questo insieme di valori e sentimenti viene riassunto nella parola hesed, che, nelle nostre Bibbie, generalmente, viene tradotto con carità, misericordia, fedeltà o amore. Nel NT, Gesù rivelò questo amore di Dio nei suoi incontri con le persone. Lo rivelò con sentimenti di amicizia, di tenerezza, come, per esempio, nella sua relazione con la famiglia di Marta a Betania: “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro”. Piange dinanzi alla tomba di Lazzaro (Gv 11,5.33-36). Gesù affronta la sua missione come una manifestazione d’amore: “dopo aver amato i suoi,. .. li amò sino alla fine” (Gv 13,1). In questo amore Gesù manifesta la sua profonda identità con il Padre: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi!” (Gv 15,9). E lui ci dice: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati!” (Gv 15,12). Giovanni così definisce l’amore: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16). Per le comunità non c’era altro comandamento all’infuori di questo: “comportarsi come Gesù si è comportato” (1Gv 2,6). Chi vive l’amore e lo manifesta nelle sue parole e nei suoi atteggiamenti, diventa Discepola Amata, Discepolo Amato.
- Giovanni 3,17: Amò il mondo e si donò per salvare il mondo: La parola “mondo” si trova 78 volte nel vangelo di Giovanni, e con diversi significati. In primo luogo, “mondo” può significare la terra, lo spazio abitato dagli esseri umani (Gv 11,9; 21,25) o l’universo creato (17,5.24). Qui nel nostro testo, “mondo” significa le persone che abitano questa terra, tutta l’umanità, amata da Dio, che per essa dona il suo Figlio unigenito (cfr. Gv 1,9; 4,42; 6,14; 8,12). Può anche significare un gruppo numeroso di persone, nel senso di “tutto il mondo” (Gv 12,19; 14,27). Ma nel Vangelo di Giovanni, “mondo” significa, soprattutto, quella parte dell’umanità che si oppone a Gesù e diventa suo “avversario” o “oppositore” (Gv 7,4.7; 8,23.26; 9,39; 12,25). Questo “mondo”, contrario alla pratica liberatrice di Gesù, è dominato dall’Avversario, Satana, chiamato anche “principe del mondo” (14,30; 16,11), che perseguita ed uccide le comunità fedeli (16,33), creando una situazione di ingiustizia, di oppressione, mantenuta da coloro che sono al potere, dai dirigenti sia dell’impero che della sinagoga. Essi praticano l’ingiustizia usando a questo scopo il nome di Dio stesso (16,2). La speranza che il vangelo di Giovanni comunica alle comunità è che Gesù vincerà il principe di questo mondo (12,31). Lui è più forte del “mondo”. “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (16,33).
- Giovanni 3,18: Il Figlio Unigenito di Dio che si dona per noi: Uno dei titoli più antichi e più belli, che i primi cristiani scelsero per descrivere la missione di Gesù è quello di “Difensore”. In lingua ebraica dicevano Goêl. Questo termine indicava il parente più prossimo, il fratello più anziano, che doveva riscattare i suoi fratelli, minacciati di perdere i loro beni (cfr. Lv 25,23-55). Quando all’epoca della prigionia di Babilonia, tutto il popolo, anche il parente più prossimo, perdette ogni cosa, lì Dio stesso divenne il Goêl del suo popolo. Lo riscattò dalla schiavitù. Nel Nuovo Testamento, è Gesù il figlio unigenito, il primogenito, il parente più prossimo, che divenne il nostro Goêl. Questo termine o titolo riceve traduzioni diverse: salvatore, redentore, liberatore, avvocato, fratello maggiore, consolatore, ed altre (cfr. Lc 2,11; Gv 4,42; At 5,31 ecc). Gesù assunse la difesa ed il riscatto della sua famiglia, del suo popolo. Si dette del tutto, completamente, affinché noi, suoi fratelli e sorelle, potessimo nuovamente vivere in fraternità. Fu questo il servizio che egli rese a tutti noi. Fu così che si compì la profezia di Isaia che annunciava la venuta del Messia Servo. E lui stesso diceva: “Il Figlio dell’Uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto (goêl) per molti” (Mc 10,45). Paolo esprime questa scoperta nella frase seguente: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me!” (Gl 2,20).
c) Il mistero della Trinità negli scritti di Giovanni:
- La fede nella Santissima Trinità è la fonte ed il destino del nostro credo. Tutto ciò che oggi affermiamo con tanta chiarezza riguardo alla Santissima Trinità lo troviamo nel Nuovo Testamento. E vi è racchiuso sotto forma di seme che venne aprendosi, lungo i secoli. Dei quattro evangelisti, Giovanni è colui che ci aiuta maggiormente a comprendere il mistero di Dio Trino. Giovanni sottolinea l’unità profonda tra il Padre ed il Figlio. La missione del Figlio è quella di rivelare l’amore del Padre (Gv 17,6-8). Gesù arriva a proclamare: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Tra Gesù ed il Padre c’è un’unità così intensa che colui che vede il volto dell’uno vede anche quello dell’altro. E rivelando il Padre, Gesù comunica uno spirito nuovo “lo Spirito di Verità che procede dal Padre” (Gv 15,26). A richiesta del Figlio (Gv 14,16), il Padre invia ad ognuno di noi questo nuovo Spirito affinché rimanga con noi. Questo Spirito, che ci viene dal Padre (Gv 14,16) e dal Figlio (Gv 16,7-8), comunica la profonda unità esistente tra il Padre ed il Figlio (Gv 15,26-27). I cristiani guardavano l’unità in Dio per potere capire l’unità che doveva esistere tra di loro (Gv 13,34-35; 17,21). Oggi diciamo: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nell’Apocalisse si dice: Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra (Ap 1,4-5). Con questi nomi, Giovanni dice ciò che è e che le comunità pensavano e speravano nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Vediamo:
- Il Nome del Padre: Alfa e Omega, È - Era- Viene, Onnipotente. Alfa e Omega. Per noi sarebbe A e Z. (cfr. Is 44,6; Ap 1,17). Dio è all’inizio ed alla fine della storia. Non c’è posto per un altro Dio! I cristiani non accettavano la pretesa dell’impero romano che divinizzava l’imperatore. Nulla di quanto succede nella vita può essere interpretato come una semplice fatalità, fuori della provvidenza amorosa di questo nostro Dio. È, Era, Viene (Ap 1,4.8; 4,8). Il nostro Dio non è un Dio distante. È stato con noi nel passato, è con noi nel presente, sarà con noi nel futuro. Egli conduce la storia, è dentro la storia, cammina con il popolo. Una storia di Dio è la storia del suo popolo. Onnipotente. Era un titolo imperiale dei re dopo Alessandro Magno. Per i cristiani, il vero re è Dio. Questo titolo esprime il potere creatore con cui Dio conduce il suo popolo. Il titolo rafforza la certezza della vittoria e ci spinge a cantare, fin d’ora, la gioia del Nuovo Cielo e della Nuova Terra (Ap 21,2).
- Il Nome del Figlio: Testimone fedele, Primogenito dei morti, Principe dei re della terra. Testimone fedele: Testimone è lo stesso che martire. Gesù ebbe il coraggio di testimoniare la Buona Novella di Dio Padre. Fu fedele fino alla morte, e la risposta di Dio fu la risurrezione (Fl 2,9; Hb 5,7). Primogenito tra i morti: Primogenito è come dire fratello maggiore (Cl 1,18). Gesù è il primo che risuscita. La sua vittoria sulla morte avverrà con tutti noi, suoi fratelli e sorelle! Principe dei re della terra: Era un titolo che la propaganda ufficiale dava all’Imperatore di Roma. I cristiani davano questo titolo a Gesù. Credere in Gesù era un atto di ribellione contro l’impero e la sua ideologia. Questi tre titoli vengono dal salmo messianico 89, dove il messia è chiamato Testimone fedele (S 89,38), Primogenito (S 89,28), l’Altissimo sui re della terra (S 89,28). I primi cristiani si ispiravano alla Bibbia per formulare la dottrina.
- Il Nome dello Spirito Santo: Sette lampade, Sette occhi, Sette spiriti. Sette Lampade: Nell’Ap 4,5, si dice che i sette spiriti sono le sette lampade di fuoco che ardono davanti al Trono di Dio. Sono sette perché rappresentano la pienezza dell’azione di Dio nel mondo. Sono lampade di fuoco, perché simbolizzano l’azione dello Spirito che illumina, disseta e purifica (At 2,1). Stanno davanti al Trono, perché sempre pronte a rispondere a qualsiasi richiesta di Dio. Sette Occhi: Nell’Ap 5,6, si dice che l’Agnello ha “sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra”. Che bella immagine! Basta guardare l’Agnello e, vedere lo Spirito che agisce lì dove lui guarda, poiché il suo occhio è lo Spirito. E lui guarda sempre verso di noi! Sette Spiriti: I sette evocano i sette doni dello Spirito di cui parla il profeta Isaia e che andranno a riposare sul Messia (Is 11,2-3). Questa profezia si realizza in Gesù. I sette Spiriti sono, nello stesso tempo, di Dio e di Gesù. La stessa identificazione dello Spirito con Gesù appare alla fine delle sette lettere. È Gesù che parla nella lettera, ed alla fine di ogni lettera si dice: Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Gesù parla, lo Spirito parla. È la stessa cosa.

Dagli scritti
Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo
Luce, splendore e grazia della Trinità
Non sarebbe cosa inutile ricercare l’antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale. La nostra fede é questa: la Trinità santa e perfetta é quella che é distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma é tutta potenza creatrice e forza operativa. Una é la sua natura, identica a se stessa. Uno é il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, é mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che é al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed é in tutte le cose (cfr. Ef 4,6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo. L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo é lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo é il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo é Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,6). Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito é in noi, é anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi é anche il Padre, e così si realizza quanto é detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Dove infatti vi é la luce, là vi é anche lo splendore; e dove vi é lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia. Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13,3). Infatti la grazia é il dono che viene dato nella Trinità, é concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito (Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26,594-595.599).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
I DOMENICA DOPO PENTECOSTE
SANTISSIMA TRINITÀ - SOLENNITÀ DEL SIGNORE


Letture:
Es 3,1-15
Sal 67
Rm 8,14-17
Gv 16,12-15

Il Dio cristiano
Il problema di Dio è ineludibile, sia per spiegare l’origine di cose che non abbiamo fatto noi (compresa la nostra stessa persona), sia per avere un’idea, o una speranza, sul nostro futuro. Davvero solo la morte e l’annientamento ci aspettano? Come soffocare l’anelito di vita che possediamo? C’è o non c’è? E chi è, cosa fa per noi? Buono, dicono: ma quando ci aiuta? Giusto, dicono: ma il male dilaga! Promessa di vita, dicono: ma qui si muore tutti! Allora? “Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?”, grida l’Innominato nel suo tormento (Promessi Sposi, XXIII) È necessario guardarci dentro e raccogliere almeno quello che finora si è accertato di lui. Forse è molto di più di quello che sospettiamo. Globalmente si potrebbe dire che sì l’uomo cerca Dio, ma ben prima e più vistosamente Dio ha cercato l’uomo.
Dio: “Io sono colui che sono!”, proclama Dio a Mosè: principio e pienezza dell’essere, insondabile e Altro da ciò che noi siamo. Tutta la ricerca filosofica vi ha tentato un approccio; al “Dio ignoto” (At 17,23) tutti gli uomini hanno consacrato nel cuore un altare, fino a convincersi che “egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6). È a partire dalle sue opere che si arriva a conoscere l’autore: “Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). Una logica compagina il creato (logos), tanto che la si può esprimere in formule matematiche; una finalizzazione guida l’evoluzione, e chiaramente un salto di qualità caratterizza la novità dello “spirito” quando si tratta dell’uomo. Il creato postula un ordinatore intelligente ed esclude la casualità. Bisogna però non arrivare ad “amare di più le creature che il creatore” (Sap 13,3) come ha fatto l’antica idolatria, o - come è l’ateismo di oggi - sentirsi padroni del mondo perché se ne può avere qualche piccolo dominio con la scienza e la tecnica. Dio s’è offerto un giorno a guidare questa ricerca e approfondirla. Il Dio lontano s’è presentato come un Dio vicino: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto.. conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo” (Lett.). Tutta la vicenda di Israele è un graduale esporsi di Dio sulla nostra storia umana per rivelare il suo volto vero e il suo cuore premuroso, “lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). S’è fatto un popolo, una famiglia, una sua “proprietà particolare.., un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,5-6) in cui, dalla liberazione dell’esodo fino alla promessa di un futuro Messia, ha alimentato un’alleanza che nei profeti si colora di un rapporto sponsale vivo e appassionato (cfr. Cantico dei Cantici). Il Concilio Vaticano II volendo riassumere questa lunga “conversazione” tra Dio e gli uomini ha scritto: “Con questa rivelazione Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (DV 2). Dio si rivela per comunicarsi; fino al giorno in cui - “pienezza del tempo” (Gal 4,4) - ha voluto rivelarsi in carne ed ossa nell’uomo Gesù per unire la nostra umanità alla sua divinità e realizzare il suo sogno che “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2). Da che Dio s’è fatto vedere col suo vero volto, non c’è più spazio per altre ipotesi.
Trinità: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). Proprio l’evento dell’Incarnazione caratterizza il Dio cristiano: il Figlio di Dio che si fa uomo rivela una fecondità eterna nel “seno del Padre”, e quindi un Dio che eternamente ama. “Dio è amore” (1Gv 4,8), ha scritto san Giovanni che conosceva le confidenze del cuore di Gesù. C’è allora in Dio un Amante, un Amato e l’Amore che li unisce, tanto vivo da essere una Persona. È lo Spirito Santo. Così spiega sant’Agostino la Trinità. Dio è uno, ma non è un single, bensì una famiglia di Tre Persone: talmente in sintonia quale riflesso non solo di una libera comunione d’amore ma anche di una medesima sostanza e natura. Ci fa professare oggi il prefazio: “Tu con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio e un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza”. A partecipare a questa famiglia siamo destinati mediante il coinvolgimento che opera lo Spirito Santo già da oggi mediante il battesimo: “Voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre! E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Epist.). È il sogno così affascinante che Gesù ci ha lasciato come testamento: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Non ospiti ma partecipi a pieno titolo di Casa Trinità per una comunione piena alla vita (“natura”) divina: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2). Oggi allora non abbiamo che da lasciarci lavorare dallo Spirito, l’operaio di Dio che lavora in noi: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Epist.). È lui che ci fa capire come qualcosa di significativo e decisivo tutto quanto Gesù ci ha detto: “Quando verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Il Padre ha dato tutto al Figlio, e il Figlio lo comunica a noi tramite lo Spirito: “Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che (lo Spirito) prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. È tutta la Trinità a muoversi per noi: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Gerusalemme si dice la città dei tre monoteismi: Ebrei, Cristiani e Musulmani adorano l’unico Dio. Ma ben diversa è l’immagine di questo unico Dio. Quello dell’Islam è il Dio ipotizzato dagli uomini, potremmo dire, il Dio dei filosofi (con qualche tratto di “rivelazione” preso dalla Bibbia). Un’idea di Dio quindi ancora primitiva. Quello degli Ebrei è il Dio di una rivelazione iniziale, una preparazione alla rivelazione piena; quindi un Dio monco. È Gesù che ci ha rivelato la vita vera della privacy divina, il volto completo quindi di un Dio - che si fa fatica anche a spiegare appunto perché non inventato da noi. Pur nel rispetto di tutti, è necessaria una chiarezza!
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MessaggioTitolo: 24 giugno - satività san giovanni   LECTIO - Pagina 7 EmptyVen Giu 24, 2011 8:31 am

VENERDÌ 24 GIUGNO 2011

NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA


Raccogliamoci in preghiera (Preghiera del Card. Mercier allo Spirito Santo): O Dio, che hai istruito i tuoi fedeli, illuminando i loro cuori con la luce dello Spirito Santo, concedi a noi di avere nello stesso Spirito il gusto del bene e di godere sempre del suo conforto. Gloria, adorazione, amore, benedizione a te eterno divino Spirito, che ci hai portato sulla terra il Salvatore delle anime nostre. E gloria e onore al Suo adorabilissimo cuore che ci ama di infinito amore. O Spirito Santo, anima dell’anima mia, io Ti adoro: illuminami, guidami, fortificami, consolami, insegnami ciò che devo fare, dammi i tuoi ordini. Ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada: fammi solo conoscere la tua Volontà.

Letture:
Is 49,1-6 (Ti renderò luce delle nazioni)
Sal 138 (Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda)
At 13,22-26 (Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo)
Lc 1,57-66.80 (Giovanni è il suo nome)

Camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia
Dio si serve degli uomini; con noi e per noi realizza i suoi piani di salvezza. Sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Egli sa rendere fecondo ciò che è sterile e aprire la bocca ai muti. Intreccia le sue con le nostre storie affinché ciò che egli vuole si compia in cielo e sulla terra. Rende feconda la vergine Maria affinché generi il Salvatore del Mondo, ma concede la maternità anche ad Elisabetta, sterile e avanti negli anni. Predispone un incontro tra le due mamme e i rispettivi nascituri e già sgorga la gioia messianica! È riconosciuta la Madre del Signore e il futuro battezzatore freme e sussulta di gioia nel grembo della madre sua. È lo stesso angelo ad annunciare a Zaccaria i motivi della gioia: “Elisabetta ti darà un figlio… Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita”. Il suo compito sarà quello di preparare la via al Signore affinché Egli trovi un popolo ben disposto. Umanamente parlando, dato l’evolversi degli eventi e la sorte toccata a Cristo e allo stesso Giovanni Battista, potremmo anche concludere che la sua missione sia fallita. Ciò però eventualmente nulla toglie alla fedeltà del Precursore e interviene a sciogliere ogni dubbio il magnifico elogio che Cristo stesso ne tesse. Al più potremmo con migliore saggezza, concludere che la missione che Dio ci affida va sempre vista e valutata nel contesto di un ben più ampio progetto di salvezza e solo in quella luce assume la sua vera dimensione il suo pieno valore. Egli, infatti, precede e annuncia il Messia, l’Agnello di Dio, ma poi sa che deve farsi da parte e lasciare spazio a Colui dinanzi al quale egli si prostra e non si sente degno neanche di sciogliergli i legacci dei sandali. Lo precederà anche nel martirio: pagherà con la vita la sua coerenza e la sua incrollabile fermezza, ignaro delle prepotenze dei grandi e delle losche trame di due donne. Così egli concluderà la sua missione, alla stessa maniera di Cristo; così lo vediamo brillare nella chiesa come ultimo dei profeti dell’Antico Testamento e il primo dei tempi messianici.
Per bocca del profeta Dio annunciò: “Per voi... cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla” (Ml 3,20). L’inno di Zaccaria è il mirabile sviluppo di questa profezia. Quando, obbedendo all’ingiunzione dell’angelo, diede a suo figlio il nome di Giovanni (che significa: Dio è misericordioso), avendo fornito la prova di una fede senza indugi e senza riserve, la sua pena finì. E, avendo ritrovato la parola, Zaccaria cantò un inno di riconoscenza contenente tutta la speranza del popolo eletto. La prima parte, in forma di salmo, è una lode a Dio per le opere da lui compiute per la salvezza. La seconda parte è un canto in onore della nascita di Giovanni e una profezia sulla sua futura missione di profeta dell’Altissimo. Giovanni sarà l’annunciatore della misericordia divina, che si manifesta nel perdono concesso da Dio ai peccatori. La prova più meravigliosa di questa pietà divina sarà il Messia che apparirà sulla terra come il sole nascente. Un sole che strapperà alle tenebre i pagani immersi nelle eresie e nella depravazione morale, rivelando loro la vera fede, mentre, al popolo eletto, che conosceva già il vero Dio, concederà la pace. L’inno di Zaccaria sulla misericordia divina può diventare la nostra preghiera quotidiana.

Approfondimento del Vangelo (Nascita del Precursore del Signore)
Il testo: Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Chiave di lettura: Questo brano del vangelo fa parte dei così detti racconti dell’infanzia di Gesù. In modo particolare questo testo segue la scena della visitazione di Maria “nella casa di Zaccaria” (Lc 1,40) dopo l’evento dell’annunciazione dell’angelo messaggero della nuova creazione. L’annunciazione infatti inaugura gioiosamente il compimento delle promesse di Dio al suo popolo (Lc 1,26-38). La gioia dei tempi nuovi, che ha riempito Maria, inonda adesso il cuore di Elisabetta. Essa gioisce dell’annuncio portato da Maria (Lc 1,41). Maria d’altronde “magnifica il Signore” (Lc 1,46) perché ha operato in lei grandi cose, come ha operato grandi prodigi per il suo popolo bisognoso di salvezza. L’espressione “si compì il tempo” ci ricorda che questa realtà non colpisce soltanto Elisabetta partoriente, ma rivela anche qualcosa del progetto di Dio. San Paolo infatti ci dice che quando il tempo fu compiuto, Dio mandò il suo Unigenito “nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” di Dio (Gal 4,4). Nel vangelo Gesù parla infatti del compimento dei tempi, specialmente nel vangelo di Giovanni. Due di questi istanti sono le nozze di Cana (Gv 2,1-12) e l’agonia sulla croce dove Gesù proclama che “tutto è compiuto” (Gv 19,30). Nel compimento dei tempi Gesù inaugura un’era di salvezza. La nascita di Giovanni Battista inaugura questo tempo di salvezza. Egli, infatti, all’arrivo del Messia esulta e sussulta di gioia nel grembo di Elisabetta sua madre (Lc 1,44). Più tardi egli definirà se stesso come l’amico dello sposo (Gesù) che esulta e gioisce per l’avvenimento delle nozze con la sua sposa, la Chiesa (Gv 3,29). Il figlio non si chiamerà per suo padre Zaccaria ma Giovanni. Zaccaria ci ricorda che Dio non dimentica il suo popolo. Il suo nome infatti significa “Dio ricorda”. Suo figlio, adesso non potrà essere chiamato “Dio ricorda”, perché le promesse di Dio stavano compiendosi. La missione profetica di Giovanni deve indicare la misericordia di Dio. Egli infatti si chiamerà Johanan, cioè “Dio è misericordia”. Questa misericordia si manifesta nella visita al popolo, proprio “come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un tempo” (Lc 1,67-70). Il nome indica perciò l’identità e la missione del nascituro. Zaccaria scriverà il nome di suo figlio su una tavoletta perché tutti potessero vedere con meraviglia (Lc 1,63). Questa tavola fa eco ad un’altra iscrizione, scritta da Pilato per essere appesa alla croce di Gesù. Questa iscrizione rivelava l’identità e la missione del crocifisso: “Gesù nazareno re dei Giudei” (Gv 19,19). Anche questa scritta provocò la meraviglia di coloro che stavano a Gerusalemme per la festa. In tutto Giovanni è precursore di Cristo. Già dalla sua nascita e infanzia egli punta a Cristo. “Chi sarà mai questo bambino?”. Egli è “la voce che grida nel deserto” (Gv 1,23), incitando tutti a preparare le vie del Signore. Non è lui il Messia (Gv 1,20), ma lo indica con la sua predicazione e soprattutto con il suo stile di vita di ascesi nel deserto. Egli intanto “cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc 1,80).

Domande per orientare la meditazione e l’attualizzazione
- Cosa ti ha colpito in questo brano e nella riflessione?
- Giovanni si identifica come l’amico dello sposo. Secondo te, che significato ha questa immagine?
- La chiesa ha sempre visto in Giovanni Battista il suo tipo. Egli è colui che prepara la strada del Signore. Ha questo una rilevanza per la nostra vita quotidiana?

Benediciamo il Signore con Zaccaria
«Benedetto il Signore Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge
per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

24 giugno: Natività di San Giovanni Battista
Martirologio: Natività di san Giovanni Battista, Precursore del Signore, e figlio dei santi Zaccaria ed Elisabetta, il quale fu ripieno di Spirito santo, mentre era ancora nel seno di sua madre.

Dagli scritti
Dai discorsi di sant’Agostino, vescovo
La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede. Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all’arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l’accaduto per spiegare l’immagine della realtà. Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola. Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1,19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1,23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1,1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.
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MessaggioTitolo: sabato 25 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptySab Giu 25, 2011 9:22 am

SABATO 26 GIUGNO 2011

SABATO DELLA XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.

Letture:
Gn 18,1-15 (C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Tornerò da te e Sara avrà un figlio)
Sal: Lc 1 (Il Signore si è ricordato della sua misericordia)
Mt 8,5-17 (Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe)

Signore non sono degno… ma se vuoi…
La fede del centurione, che non è ebreo, sorprende Gesù che nel suo popolo non trova una “fede così grande”. E infatti i lontani entreranno nel regno di Dio, i vicini ne saranno esclusi a motivo della loro incredulità, infedeltà. Potremmo essere anche noi gli esclusi se, ricevuto l’annunzio del Vangelo, l’abbiamo rifiutato poi nella vita concreta. Quanto a Gesù che guarisce il servo del centurione e altri infermi, appare come il Servo di Dio, che si addossa le infermità dell’uomo e le guarisce. In profilo vediamo la passione del Signore, il suo servizio che redime l’uomo, dai mali terreni ma soprattutto dal peccato. Ogni volta che partecipiamo alla messa, prima della comunione, ripetiamo le stesse parole del centurione. “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato. Infatti mai saremo degni della dignità divina. Ma è la sua parola, anzi il Verbo, la Parola - Gesù che ci ha reso degni, nonostante la nostra indegnità di poter ospitare Dio nel nostro cuore.
La prima lettura che la liturgia ci propone oggi ci dà una lezione di ospitalità e mette in luce il valore profondo che Dio le attribuisce. Abramo “nell’ora più calda del giorno”, riposa tranquillo all’ingresso della tenda. Certamente non avrebbe nessuna voglia di scomodarsi. Eppure “appena li vide dice la Bibbia a proposito dei tre ospiti giunti in modo misterioso corse loro incontro, si prostrò fino a terra...”. E li supplica di fermarsi presso di lui “per un boccone di pane”. Per lui è bello accogliere questi uomini che non ha mai visto, e si dà premurosamente da fare, dà ordini a Sara e serve loro un pasto generoso. E la più squisita ospitalità: premurosa, modesta, generosa. E la narrazione ci dice che è il Signore stesso che Abramo accoglie e rifocilla e che, prima di allontanarsi da lui, gli promette un figlio, contro ogni possibilità umana. Ma “c’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?”. L’ospitalità, valore sommamente coltivato in Oriente, ha in Abramo il suo modello religioso e diventa, nel Nuovo Testamento, un valore cristiano, al quale Gesù promette una grande ricompensa: “Chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto”. L’autore della lettera agli Ebrei esorta i cristiani: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli Angeli senza saperlo” (13,2). E san Benedetto, con stupenda concisione, scrive nella sua Regola: “Hospes venit, Christus venit”. Accogliere gli altri ci dà la certezza di ricevere Cristo stesso. E c’è, per dire così, la più grande delle “accoglienze”: ricevere Gesù, come egli vuol essere ricevuto. Marta si era data un gran daffare per ricevere Gesù, ma fu Maria ad accoglierlo come egli desiderava: lei che, seduta ai suoi piedi, ascoltava la sua parola. Gesù può anche voler essere accolto in un modo ancora più profondo: accogliendo nella nostra carne le sue sofferenze, a favore della sua Chiesa, per completare la sua opera di redenzione, come scrive Paolo ai Colossesi. Domandiamogli la grazia di essere pronti ad accoglierlo sempre come egli vuole, con riconoscenza e umiltà. Allora egli cenerà con noi, e noi con lui.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: Va’!, ed egli va; e a un altro: Vieni!, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo!, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.

Riflessione
- Il vangelo di oggi continua la descrizione delle attività di Gesù per indicare come metteva in pratica la Legge di Dio, proclamata sulla Montagna delle Beatitudini. Dopo la guarigione del lebbroso del vangelo di ieri (Mt 8,1-4), ora segue la descrizione di altre guarigioni.
- Matteo 8,5-7: La richiesta del centurione e la risposta di Gesù. Analizzando i testi del vangelo, è sempre bene fare attenzione ai piccoli dettagli. Il centurione è un pagano, uno straniero. Non chiede nulla, informa soltanto Gesù dicendo che il suo impiegato sta male e che soffre terribilmente. Dietro questo atteggiamento della gente nei confronti di Gesù, c’è la convinzione che non era necessario chiedere le cose a Gesù. Bastava comunicargli il problema. E Gesù avrebbe fatto il resto. Atteggiamento di fiducia illimitata! Infatti, la reazione di Gesù è immediata: “Io verrò e lo curerò!”.
- Matteo 8,8: La reazione del centurione. Il centurione non aspettava un gesto così immediato e così generoso. Non si aspetta che Gesù vada fino a casa sua. E partendo dalla sua esperienza di ‘capo’ trae un esempio per esprimere la fede e la fiducia che aveva in Gesù. Gli dice: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Questa reazione di uno straniero dinanzi a Gesù rivela qual era l’opinione della gente nei riguardi di Gesù. Gesù era una persona in cui potevano aver fiducia e che non avrebbe allontanato colui o colei che fosse ricorso/a a lui per rivelargli i suoi problemi. È questa l’immagine di Gesù che il vangelo di Matteo comunica fino ad oggi a noi che lo leggiamo nel XXI secolo.
- Matteo 8,10-13: Il commento di Gesù. L’ufficiale rimase ammirato dalla reazione di Gesù e Gesù rimase ammirato dalla reazione dell’ufficiale: “In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande”. E Gesù prevedeva già ciò che stava accadendo quando Matteo scrisse il vangelo: “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. Il messaggio di Gesù, la nuova Legge di Dio proclamata dall’alto della Montagna delle Beatitudini è una risposta ai desideri più profondi del cuore umano. I pagani sinceri ed onesti come il centurione e tanti altri venuti da Oriente o da Occidente, percepiscono in Gesù la risposta alle loro ansie e la accolgono. Il messaggio di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né un rito o un insieme di norme, ma un’esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano desidera. Se oggi molti si allontanano dalla chiesa o cercano altre religioni, la colpa non è sempre la loro, ma può essere la nostra, perché non sappiamo vivere né irradiare il messaggio di Gesù.
- Matteo 8,14-15: La guarigione della suocera di Pietro. Gesù entra in casa di Pietro e sana sua suocera. Lei era malata. Nella seconda metà del primo secolo, quando Matteo scrive, l’espressione “Casa di Pietro” evocava la Chiesa, costruita sulla roccia che era Pietro. Gesù entra in questa casa e salva la suocera di Pietro: “Le toccò la mano e la febbre scomparve. Poi ella si alzò e si mise a servirlo”. Il verbo usato in greco è diakonew, servire. Una donna diventa diaconessa in Casa di Pietro. Era ciò che stava avvenendo nelle comunità di quel tempo. Nella lettera ai Romani, Paolo menziona la diaconessa Febe della comunità di Cencreia (Rom 16,1). Abbiamo molto da imparare dai primi cristiani.
- Matteo 8,16-17: La realizzazione della profezia di Isaia. Matteo dice che “giunta la notte”, portarono da Gesù molte persone che erano possedute dal demonio. Perché solo di notte? Perché nel vangelo di Marco, da cui Matteo trae la sua informazione, si trattava di un giorno di sabato (Mc 1,21), ed il sabato terminava nel momento in cui spuntava in cielo la prima stella. Allora la gente poteva uscire dalla casa, caricarsi del peso e portare i malati fino a Gesù. E “Gesù, con la sua parola, scacciava gli spiriti e guariva tutti i malati!”. Usando un testo di Isaia, Matteo illumina il significato di questo gesto di Gesù: Perché si compisse quello che era stato detto. Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori”. In questo modo, Matteo insegna che Gesù era il Messia-Servo, annunciato da Isaia (Is 53,4; cfr. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Matteo faceva ciò che fanno oggi le nostre comunità: usa la Bibbia per illuminare ed interpretare gli eventi e scoprire la presenza della parola creatrice di Dio.

Per un confronto personale
- Paragona l’immagine che hai di Dio con quella del centurione e della gente, che seguiva Gesù.
- La Buona Novella di Gesù non è, in primo luogo, una dottrina o una morale, né è un rito o un insieme di norme, ma è un’ esperienza profonda di Dio che risponde a ciò che il cuore umano anela. La Buona Novella, come si ripercuote in te, nella tua vita e nel tuo cuore?

Preghiera finale: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato (Sal 33).
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MessaggioTitolo: domenica 26 giugno 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyDom Giu 26, 2011 10:54 am

DOMENICA 26 GIUGNO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
CORPUS DOMINI


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Dt 8,2-3.14-16 (Ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto)
Sal 147 (Loda il Signore, Gerusalemme)
1Cor 10,16-17 (Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo)
Gv 6,51-58 (La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda)

Il pane di vita
Gesù Eucaristia oggi esce trionfalmente dai tabernacoli e dalle chiese per essere portato trionfalmente in processione per le strade del mondo: Così la chiesa mossa dalla fede e dalla devozione dei fedeli vuole percepire ancora più intensamente, viva e pulsante la presenza del Cristo, come quando percorreva duemila anni fa le strade della Palestina. Ci piace sapere e percepire anche con i nostri sensi, che Egli cammina ancora con noi, sta concretamente attuando la solenne promessa di restare vivo ed operante con noi sino alla fine dei tempi. Oggi vogliamo farlo immergere di nuovo nel cuore del mondo per fargli sentire da vicino l’urgenza della sua rinnovata presenza tra noi. È sicuramente anche il canto della gratitudine e della lode della Chiesa militante, dei pellegrini della terra, che lo seguono imploranti e devoti. È anche una presa di coscienza di tutto il cammino che ci ha fatto percorrere dal deserto delle nostre povertà, dalla condizione servile, nutrendoci di Pane e d’amore e riscattandoci a prezzo del suo sangue. Da quell’ostia consacrata, da quella prima misteriosa cena, sgorga come un memoriale, la nostra comunione con Cristo e la vera fraternità tra gli uomini. Quel pane di vita spezzato e moltiplicato sugli altari del mondo, sfama ancora la fame più acuta dell’umanità. È garanzia d’immortalità, è recupero pieno della dignità filiale, è fonte inesauribile d’amore divino che si riversa nel cuore dell’uomo. Non bisognerebbe attendere la solennità annuale odierna per ricordarci di queste verità: per troppo tempo Gesù rimane forzatamente recluso negli angusti tabernacoli delle nostre chiese. Egli chiede di abitare tra gli uomini, di vivere in comunione con ciascuno di noi, di condividere la nostra esistenza per rinvigorirla, per nobilitarla, per condurla all’approdo finale, alla mensa di Dio. Seguiamolo nelle nostre processioni, anzi, facciamoGli vedere le nostre strade, le nostre case, apriamo i cancelli, le finestre. Facciamolo rientrare nella vita dei nostri paesi perché sia Lui, vivo e presente, il centro della nostra vita.
Oggi festeggiamo il sacramento dell’Eucaristia che il Signore ci ha lasciato come segno della sua presenza, della sua realtà corporale, del suo sacrificio sulla croce e della vita eterna di cui ci ha reso partecipi. Gesù ce ne parla in termini di corpo e di cibo. La realtà del dono del Padre alla nostra umanità si esprime, dall’inizio alla fine, sotto forma di corpo. Si tratta dapprima della realtà carnale del corpo fatto di carne e sangue, che soffre e muore sulla croce. È questo corpo ferito che risorge e che Gesù dà da vedere e da toccare agli apostoli. Ma Gesù non si ferma qui. Suo corpo è anche la Chiesa (Col 1,18), corpo mistico di cui Cristo è la testa. Ed è infine questo corpo sacramentale che nutre coloro che lo mangiano: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo!” (Mt 26,26). Già i primi cristiani paragonarono il corpo spezzato di Cristo al grano, macinato in farina per diventare pane, dopo essere stato mischiato all’acqua della vita e passato nel fuoco dello Spirito. Questo pane spirituale, fatto dal grano del campo che è Gesù (Gv 15,1), divenendo, come il vino dell’Eucaristia, nostro cibo, nutre in noi la vita divina, che è vita eterna. E Gesù, ancora una volta, afferma: “Io sono”. Qui dice: “Io sono il pane”. Gesù costituisce il solo nutrimento che possa dare la vita divina. Chi non mangia di questo pane non avrà la vita in lui (Gv 6,53). Ecco perché noi celebriamo oggi la realtà umana e divina del Verbo fatto carne e anche quella del corpo risorto; ed ecco perché ci dà davvero quanto promesso. Attraverso lui, siamo concretamente in comunione con il nostro Dio. Bisogna essere presenti alla sua presenza reale.

Approfondimento del Vangelo (Gesù è il Pane della Vita. “Chi mangia questo pane vivrà in eterno!”)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Chiave di lettura: Nella ricorrenza della festa del Corpo e Sangue di Cristo, meditiamo sulla parte finale del lungo discorso del Pane di Vita. Mediante questo discorso, il vangelo di Giovanni ci aiuta a capire il significato profondo della moltiplicazione dei pani e dell’Eucaristia. Nel corso della lettura, cercheremo di essere attenti alle parole di Gesù che aiutano la gente a capire il segnale del Pane di Vita.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Giovanni 6,51: L’affermazione iniziale che riassume tutto
- Giovanni 6,52: La reazione contraria dei Giudei
- Giovanni 6,53-54: La risposta di Gesù afferma di nuovo quanto detto prima
- Giovanni 6,55-58: Gesù trae le conclusioni per la vita

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale parte del testo ha attirato maggiormente la mia attenzione? Perché?
b) Quante volte, nel testo, si usa la parola vita e che ci dice della vita?
c) Gesù dice: “Il sono il pane vivo disceso dal cielo”. Cosa significa questo? Cercate una risposta nel testo.
d) Cosa ci dice questo testo sulla persona di Gesù: titoli, funzioni, ecc?
e) In quale modo questo testo ci aiuta a capire meglio il significato dell’Eucaristia?

Per coloro che desiderano approfondire il discorso del Pane di Vita
a) Contesto in cui il nostro testo si colloca nel discorso del Pane di Vita: Il discorso del Pane di Vita (Gv 6,22-71) è una sequenza di sette brevi dialoghi tra Gesù e le persone che si trovavano con lui dopo la moltiplicazione dei pani. Gesù cerca di aprire gli occhi della gente, facendo loro capire che non basta lottare per il pane materiale. La lotta quotidiana per il pane materiale non va alla radice se non è accompagnata da una mistica. Non solo di pane vive l’essere umano! (Dt 8,3) I sette brevi dialoghi sono una catechesi molto bella che spiega alla gente il significato profondo della moltiplicazione dei pani e dell’Eucaristia. Lungo tutto il dialogo appaiono le esigenze che il vissuto della fede in Gesù traccia per la nostra vita. La gente reagisce. Rimane colpita dalle parole di Gesù. Ma Gesù non cede, non cambia le sue esigenze. Per questo, molti lo abbandonano. Fino ad oggi succede la stessa cosa: quando il vangelo comincia ad esigere un impegno, molta gente lo abbandona. Nella misura in cui il discorso di Gesù va avanti, meno gente rimane attorno a lui. Alla fine rimangono solo i dodici e Gesù non può confidare nemmeno in loro! Ecco la sequenza dei sette dialoghi che compongono il lungo discorso del Pane di Vita:
1) Giovanni 6,22-27: 1º Dialogo: La gente cerca Gesù perché vuole più pane
2) Giovanni 6,28-33: 2º Dialogo: Gesù chiede alla gente di lavorare per il vero pane
3) Giovanni 6,34-40: 3º Dialogo: Il pane vero è fare la volontà di Dio
4) Giovanni 6,41-51: 4º Dialogo: Chi si apre a Dio accetta Gesù e la sua proposta
5) Giovanni 6,52-58: 5º Dialogo: Carne e sangue: espressione della vita e del dono totale
6) Giovanni 6,59-66: 6º Dialogo: Senza la luce dello Spirito queste parole non si capiscono
7) Giovanni 6,67-71: 7º Dialogo: Confessione di Pietro
b) Commento sui sette dialoghi che compongono il discorso del Pane di Vita: L’anno 2005 è l’anno dell’Eucaristia. Per questo, invece di commentare solamente gli otto versetti del Vangelo di questa Domenica (Giovanni 6,51-58), si è pensato di dare una chiave generale per capire i sette brevi dialoghi che compongono tutto il discorso. Una visione globale dell’insieme aiuterà a capire meglio il significato e la portata degli otto versetti del testo liturgico di questo giorno del Corpus Christi.
1) 1º Dialogo - Giovanni 6,22-27: La gente cerca Gesù perché vuole più pane. La gente vede il miracolo, ma non capisce che si tratta di un segno di qualcosa di più grande e di più profondo. Si ferma alla superficie del fatto, nella distribuzione del cibo. Cerca il pane di vita, ma solo per il corpo. Secondo la gente, Gesù fa qualcosa che Mosè aveva già fatto nel passato: dare alimento a tutti. E la gente voleva che il passato si ripetesse. Ma Gesù chiede alla gente di fare un passo in più. Non affaticarsi per il pane che perisce, ma procurarsi anche il cibo che non perisce. Questo nuovo cibo che non perisce dà la vita che dura per sempre.
2) 2º Dialogo - Giovanni 6,28-33: Gesù chiede alla gente di procurarsi il pane vero. La gente chiede: Cosa bisogna fare per realizzare l’opera di Dio? E Gesù risponde: Credere nell’inviato di Dio! Cioè, credere in Gesù. E la gente reagisce: Dacci una segnale per capire che sei veramente l’inviato di Dio. I nostri padri hanno mangiato la manna che fu dato loro da Mosé! Secondo la gente, Mosè è e continua ad essere il grande leader, a cui credere. Se Gesù vuole che la gente creda in lui deve compiere un segnale più grande di quello compiuto da Mosè. Gesù risponde che il pane dato da Mosè non era il vero pane, perché non garantiva la vita di nessuno. Tutti morirono nel deserto. Il pane vero di Dio è quello che vince la morte e dà la vita! Gesù cerca di aiutare la gente a liberarsi dagli schemi del passato. Per Gesù, la fedeltà al passato non significa rinchiudersi nelle cose del passato e rifiutare il rinnovamento. La fedeltà al passato vuol dire accettare ciò che è nuovo che è frutto del seme piantato nel passato.
3) 3º Dialogo - Giovanni 6,34-40: Il pane vero è fare la volontà di Dio. La gente chiede: Signore dacci sempre questo pane! Pensavano che Gesù stesse parlando di un pane speciale. Allora, Gesù risponde chiaramente: “Io sono il pane di vita!”. Mangiare il pane del cielo è lo stesso che credere in Gesù ed accettare il cammino che lui ha insegnato, cioè: “Mio cibo è fare la volontà del Padre che è nei cieli!” (Gv 4,34). Questo è il vero alimento che sostenta la persona, che ci dà per sempre una vita nuova. È seme garantito di resurrezione!
4) 4º Dialogo - Giovanni 6,41-51: Chi si apre a Dio accetta Gesù e la sua proposta. Il discorso diventa più esigente. Ora sono i Giudei, cioè, i leaders del popolo, che mormorano: “Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come può dire che è sceso dal cielo?”. Loro si credevano capaci di conoscere e di riconoscere le cose che vengono da Dio. Ma si sbagliavano. Se fossero veramente aperti alle cose di Dio, sentirebbero in loro l’impulso di Dio che li attrae verso Gesù e riconoscerebbero che Gesù viene da Dio (Gv 6,45). Nella celebrazione della Pasqua, i Giudei ricordavano il pane del deserto. Gesù li aiuta a dare un passo in più. Chi celebra la Pasqua ricordando solo il pane che i padri mangiarono nel deserto, morirà come tutti loro! Il vero senso della Pasqua non è quello di ricordare la manna che nel passato cadde dal cielo, bensì accettare Gesù Pane di Vita che è sceso dal cielo e seguire il cammino da lui tracciato. Non vuol dire mangiare la carne dell’agnello pasquale, ma la carne di Gesù, che è sceso dal cielo per dare la vita al mondo!
5) 5º Dialogo - Giovanni 6,52-58: Carne e sangue: espressione della vita e del dono totale. I Giudei reagiscono: “Come può quest’uomo darci da mangiare la sua carne?”. Loro non capivano queste parole di Gesù, perché il rispetto profondo verso la vita esigeva che fin dai tempi dell’Antico Testamento fosse proibito mangiare il sangue, perché il sangue era segnale di vita (Dt 12,16.23; At 15.29). Inoltre si era vicini alla Pasqua e tra pochi giorni tutti avrebbero mangiato la carne ed il sangue dell’agnello pasquale nella celebrazione della notte di Pasqua. Presero letteralmente le parole di Gesù, per questo non capivano. Mangiare la carne di Gesù significava accettare Gesù come il nuovo Agnello Pasquale, il sui sangue li avrebbe liberati dalla schiavitù. Bere il sangue di Gesù significava assimilare la stessa maniera di vivere che ha segnato la vita di Gesù. Ciò che dà vita non è celebrare la manna del passato, bensì mangiare questo nuovo pane che è Gesù, la sua carne ed il suo sangue. Partecipando alla Cena Eucaristica, assimiliamo la sua vita, la sua donazione, la sua dedizione.
6) 6º Dialogo - Giovanni 6,59-66: Senza la luce dello Spirito non si capiscono queste parole. Qui termina il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Molti discepoli pensavano: Gesù sta andando troppo oltre! Sta ponendo fine alla celebrazione della Pasqua! Sta occupando il posto centrale della nostra religione! Per questo molta gente si allontanò dalla comunità e non seguiva più Gesù. Gesù reagisce dicendo: “É lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita”. Non dobbiamo prendere letteralmente le cose che dice. Solo con l’aiuto della luce dello Spirito Santo è possibile capire il senso pieno di tutto ciò che Gesù disse (Gv 14,25-26; 16,12-13).
7) 7º Dialogo - Gv 6,67-71: Confessione di Pietro. Alla fine rimasero solo i dodici. Gesù dice loro: “Forse anche voi volte andarvene!” Per Gesù l’importante non è il numero della gente attorno a lui. Non cambia il discorso quando il messaggio non piace. Gesù parla per rivelare il Padre e non per piacere a chi che sia. Preferisce rimanere solo, più che essere accompagnato da persone che non si impegnano con il progetto del Padre. La risposta di Pietro è bella: “Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”. Pur senza capire tutto, Pietro accetta Gesù e crede in lui. Malgrado tutti i suoi limiti, Pietro non è come Nicodemo che voleva vedere tutto chiaramente, a conferma della sue proprie idee. Ma anche fra i dodici c’erano persone che non accettavano la proposta di Gesù.
c) Approfondimento: Eucaristia e Nuovo Esodo. Nel descrivere la moltiplicazione dei pani, Gesù che cammina sulle acque ed il discorso del Pane di Vita, il Vangelo di Giovanni suggerisce un parallelo con l’Esodo. Questo parallelo insegna che mediante l’Eucaristia si compie un nuovo Esodo. L’Eucaristia ci aiuta a vivere nello stato permanente dell’Esodo:
1) La moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15): Gesù ha davanti a sé una moltitudine affamata e la sfida di garantire il pane a tutti. Anche Mosè affrontò questa sfida lungo l’itineranza del popolo per il deserto (Es 16,1-35; Num 11,18-23). Dopo aver mangiato, la gente saziata riconosce in Gesù il nuovo Mosè, il “Profeta che deve venire nel mondo” (Gv 6,14), secondo quanto annunciato nella Legge dell’Alleanza (Dt 18,15-22).
2) Gesù cammina sul mare (Gv 6,16-21): Nell’Esodo, il popolo è itinerante per ottenere la libertà ed affronta e vince il mare (Es 14,22). Anche Gesù, come Mosè, domina e vince il mare, impedisce che la barca dei suoi discepoli sia inghiottita dalle onde, e fa in modo che giungano salvi sull’altra riva.
3) Il discorso sul pane di vita (Gv 6,22-58): Il discorso evoca il capitolo 16 del libro dell’Esodo che descrive la storia della manna. Quando Gesù parla di “un alimento che non perisce” (Gv 6,27), sta ricordando la manna che perisce e che va a male (Es 16,20). I Giudei “mormorando” contro Gesù (Gv 6,41), fanno la stessa cosa che gli Israeliti nel deserto, che dubitavano della presenza di Dio con loro lungo la traversata (Es 16,2; 17,3; Num 11,1). I Giudei dubitavano della presenza di Dio in Gesù di Nazaret (Gv 6,42). Gesù è la vera manna che ci dà vita per sempre.

Dagli scritti
Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa
O prezioso e meraviglioso convito!
L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, déi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino. O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà é più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti. Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione. Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L’Eucaristia é il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini (Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4).

Sequenza (proclamata dopo la seconda lettura)
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell’agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
II DOMENICA DOPO PENTECOSTE
CORPUS DOMINI


Letture:
Sir 17,1-4.6-11b.12-14
Sal 103
Rm 1,22-25.28-32
Mt 5,2.43-48

Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
Festa del “Corpus Domini”, festa del “Corpo e Sangue di Cristo”, cioè della Persona di Gesù che nell’Eucaristia si rende presente e si comunica all’uomo credente. Dio ha voluto come scavalcare lo spazio tra cielo e terra per rendersi presente visibilmente tra noi nell’uomo Gesù di Nazaret. Ha voluto scavalcare anche il tempo per rendersi contemporaneo ad ogni uomo, vestendosi dei segni del pane e del vino. Noi cristiani crediamo che nell’Eucaristia è realmente e personalmente presente Gesù Cristo, con tutta la pienezza della sua opera messianica, e con la volontà di comunicarsi a noi come alimento e forza di comunione. Che cosa ci comunica? Qual è il contenuto di questo dono? Studiamo con attenzione la parola del vangelo.
La vita eterna: Oggi Gesù è esplicito e categorico: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Anzi: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. La vita: questo è il problema! La vita che scavalchi la morte, questo è l’unico vero bisogno di noi uomini. Quello che produciamo noi è un pane che nutre fino alla morte; Cristo è il pane per l’eternità, la “medicina di immortalità” (sant’Ignazio d’Antiochia). Non si tratta di immortalità generica, ma di risurrezione della carne, di pienezza di vita in ogni sua dimensione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Davanti alla tomba di Lazzaro Gesù l’aveva promesso: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,26). Questo avviene, perché la vita in senso pieno ce l’ha solo Lui: “Io sono la vita”, ripeteva spesso Gesù. La fonte della vita è Dio, creatore di ogni cosa; ora questa vita l’ha data al Figlio: “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26); e dal Figlio raggiunge ogni altra creatura: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui hanno consistenza” (Col 1,16-17). Per questo Gesù dichiara: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”, ossia per mezzo di me e in comunione con me, fonte e fine della esistenza di ogni uomo. Questo è il primo punto da chiarire. Fare la comunione non è un lusso per pie anime sentimentali che sentono più di altre calore per Gesù. È questione di vita o di morte, di vita per sempre o di morte per sempre. La vita non viene da noi ma da Dio. Il senso della morte fisica alla fine è questo: farci toccare con mano la nostra insufficienza. La prima lettura rievoca l’esperienza di precarietà provata da Israele nel deserto dove Dio lo educava a capire che dipendeva da Lui per la sopravvivenza. “Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. In mezzo al benessere di oggi e all’orgoglio della nostra capacità tecnologica è facile pensare che ci si possa saziare del nostro consumismo, disprezzando Dio e il suo dono. Tuttavia l’invito è a “Non dimenticare il Signore tuo Dio...”, l’unico che ci può condurre alla pienezza di vita; e a invocare con umiltà: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
La Comunione con Dio: Ciò che caratterizzerà - nella forma di un possesso pieno - quella vita eterna, è la comunione con Dio, la partecipazione alla sua stessa vita intima nella Trinità. Gesù espresse così il sogno di Dio sull’uomo: “Che tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me e io in te. Siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). Quella comunione oggi ci è anticipata, quel rapporto personale con Dio oggi è reso possibile proprio tramite un singolare rapporto d’intimità con Gesù nell’Eucaristia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Altrove Gesù aveva usato un’altra immagine: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” (Gv 15,5). Il cuore del credente diviene luogo della dimora di Dio, fonte della sua serenità e della sua forza: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). A noi è richiesta la fede, l’accettazione di Gesù come “il pane vivo disceso dal cielo”: accettare Gesù come proveniente da Dio, come l’unico autorizzato tramite per la scoperta e la comunione con Dio, costituisce tutta la nostra fortuna (o salvezza): “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv17,3). Quando si chiedeva a Gesù: Che cosa dobbiamo fare per salvarci?, rispondeva: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). “Procuratevi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna. Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,27.33). “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame e chi crede in me non avrà mai sete” (Gv 6,35). Oltre alla fede c’è qualcos’altro da fare: mangiare! Nel breve brano di oggi è ripetuto ben otto volte. Cristo ha voluto comunicarsi attraverso un segno, un gesto rituale, che esprimesse da parte nostra il bisogno di fame e amicizia che abbiamo di Lui. Lo richiama anche san Paolo: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”. Alla fede va aggiunto il sacramento: qualcosa come un legame fisico - pur nella simbologia del rito - che ci mette in contatto con la persona reale di Gesù. Ricevere la comunione è il modo più pieno per avere il contatto con Dio - non senza la fede, ma ben oltre la fede. È l’opera di Dio che ci assimila a Sé, più che la nostra buona volontà; è nutrendoci di Lui che veniamo divinizzati! Cediamo a ciò che Dio ha inventato per prenderci il cuore, perché possiamo dire come Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Abbiamo ancora una parola da sottolineare: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. L’Eucaristia ha anche un aspetto sociale decisivo. Scrive san Paolo: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. L’Eucaristia fa la Chiesa: raduna gli uomini in unità tra loro unendoli tutti allo stesso Dio. Si tratta di mangiare, cioè di unirsi al cuore di Uno che “ha dato la vita per i suoi amici”, Cristo pane spezzato sulla croce per noi. Come non caricarci allora ogni volta più della sua carità e passione per l’uomo? È dall’Eucaristia che sgorga tutta la forza dell’amore gratuito, capace di essere il cemento d’unità del genere umano. Fare la comunione tutte le domeniche, o tutti i giorni, è l’unico antidoto a non far esplodere i nostri egoismi e le nostre violenze, che tanto dividono e amareggiano la vita. “Beati davvero gli invitati alla cena del Signore!”.
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MessaggioTitolo: 29 giugno 2011 - santi pietro e paolo   LECTIO - Pagina 7 EmptyMer Giu 29, 2011 8:34 am

MERCOLEDÌ 29 GIUGNO 2011

SANTI PIETRO E PAOLO
APOSTOLI


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture (messa del giorno):
At 12,1-11 (Ora so veramente che il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode)
Sal 33 (Il Signore mi ha liberato da ogni paura)
2Tm 4,6-8.17.18 (Ora mi resta soltanto la corona di giustizia)
Mt 16,13-19 (Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli)

Le colonne della Chiesa
La liturgia di questa festa ci sollecita a riflettere sulla fedeltà e sulla testimonianza delle due colonne portanti della Chiesa. Ci mostra Pietro con le chiavi del regno, primo e principe degli apostoli. Ascoltiamo la sua confessione che ormai ci appartiene come seguaci della stessa fede. Percepiamo con gioia l’origine della nostra appartenenza a Cristo, la fonte da cui abbiamo sorbito lo stesso credo, l’impegno che ci pone a nostra volta come testimoni. È anche il giorno della gratitudine a Dio, a Cristo Gesù e ai suoi apostoli, i fattori della Chiesa, nostra madre. Ci viene da ripercorrere la storia della Chiesa fino ai nostri giorni per rivivere un percorso dove le umane fragilità sono state come spente dalla forza dello Spirito. Siamo certi di poggiare ancora sulla roccia che è Cristo stesso e sulla Pietra che è il romano pontefice. Le porte degli inferi, anche quando hanno infierito con violenza contro di noi, non hanno prevalso. La promessa di Cristo si è realizzata in pienezza. La storia di Pietro, prima debole, spavaldo e pauroso, poi intrepido assertore della verità e martire come Cristo per testimoniare la propria fedeltà, è diventato sostanzialmente la storia della nostra Chiesa e di tanti cristiani. È stato determinate in questo faticoso percorso l’apporto di Paolo, il convertito sulla via di Damasco, l’Apostolo delle genti. Egli per primo ha valicato i confini del mondo ebraico per rivolgere il messaggio della salvezza ai pagani, a tutti noi che da quel mondo proveniamo. La seconda lettura d’oggi risuona come un gioioso testamento che Paolo confida al suo amico e collaboratore Timoteo: “io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione”. Vedere sparso in offerta il proprio sangue è la suprema aspirazione dell’Apostolo, dopo le dure fatiche del suo intensissimo apostolato. Egli brama il martirio per essere totalmente assimilato a Cristo e dare così la suprema testimonianza di fedeltà e d’amore. Ambedue in modo diverso tracciano il cammino della Chiesa e di ciascuno di noi: anche noi deboli come Pietro, prima della Pentecoste, ma anche noi irrorati dallo stesso Spirito. Noi pure forse lontani coma Paolo, ma poi folgorati dalla grazia. Chi sa se anche noi siamo disposti e realmente pronti a dare la vita per Cristo? Per capire l’azione e insieme la bellezza della narrazione del Vangelo, bisogna considerare il suo sfondo geografico. Cesarea di Filippo si estendeva ai piedi del monte Ermon. Una delle grotte era dedicata al dio Pan e alle ninfe. Sulla sommità di una rupe, Erode aveva fatto costruire un tempio in onore di Cesare Augusto, mentre Filippo, suo figlio, aveva ingrandito questa località dandole il nome di Cesarea. Venerare un idolo e un uomo dagli Ebrei era considerato un’opera satanica, e perciò la grotta era considerata l’ingresso del regno di Satana: l’inferno. Ci si aspettava che, un giorno o l’altro, gli abissi infernali scuotessero questa rupe e inghiottissero il tempio sacrilego. In questo luogo spaventoso, si svolse un dialogo fra Gesù, il Figlio del Dio vivente, e Simone, il figlio di Giona. Gesù parla di un’altra pietra sulla quale edificherà un altro tempio, la Chiesa di Dio. Nessuna potenza infernale potrà mai prevalere su di essa. Simone, in quanto responsabile e guardiano, ne riceve le chiavi, e così il potere di legare e di sciogliere, cioè l’autorità dell’insegnamento e il governo della Chiesa. Grazie a ciò, Simone ne è diventato la pietra visibile, che assicura alla Chiesa ordine, unità e forza. La Chiesa non potrà essere vinta né da Satana né dalla morte, poiché Cristo vive ed opera in essa. Ogni papa è il Pietro della propria epoca.

Approfondimento del Vangelo (Tu sei Pietra)
Il testo: In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Una chiave di lettura: Il testo liturgico della festa dei santi Pietro e Paolo è preso dal Vangelo di Matteo: 16,13-19. Nel commento che facciamo includiamo anche i versetti 20-23. Perché nell’insieme del testo, dai versetti 13 a 23, Gesù rivolgendosi a Pietro per due volte lo chiama “pietra”. Una volta pietra di fondamento (Mt 16,18) e una volta pietra di inciampo (Mt 16,23). Le due affermazioni si completano mutuamente. Durante la lettura del testo è bene fare attenzione agli atteggiamenti di Pietro e alle parole solenni, che Gesù gli rivolge in due occasioni.

Una divisione del testo per aiutare nella lettura:
- 13-14: Gesù vuole sapere le opinioni del popolo al suo riguardo.
- 15-16: Gesù interpella i discepoli e Pietro confessa: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio!”
- 17-20: Risposta solenne di Gesù a Pietro (frase centrale della festa di oggi).
- 21-22: Gesù chiarifica il significato di Messia, ma Pietro reagisce e non accetta.
- 22-23: Risposta solenne di Gesù a Pietro.

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Quale punto ha richiamato di più la mia attenzione?
b) Quali sono le opinioni del popolo su Gesù? Cosa pensano Pietro e i discepoli su Gesù?
c) Chi è Gesù per me? Chi sono io per Gesù?
d) Pietro è pietra in due modi: quali?
e) Che tipo di pietra è la nostra comunità?
f) Nel testo appaiono molte opinioni su Gesù e varie maniere di presentare la fede. Oggi pure esistono molte opinioni differenti su Gesù. Quali opinioni sono conosciute dalla nostra comunità? Quale missione risulta da tutto questo per noi?

Una chiave di lettura per coloro che desiderano approfondire meglio il tema.
1) Il contenuto: Nelle parti narrative del suo Vangelo, Matteo usa seguire l’ordine del Vangelo di Marco. Talvolta egli cita un’altra fonte nota a lui e a Luca. Poche volte presenta informazioni proprie che appaiono solo nel suo vangelo, come è il caso del vangelo di oggi. Questo testo, con il dialogo fra Gesù e Pietro, riceve interpretazioni diverse, perfino opposte nelle varie chiese cristiane. Nella chiesa cattolica costituisce il fondamento del primato di Pietro. Senza diminuire affatto l’importanza di questo testo, conviene situarlo nel contesto del Vangelo di Matteo, nel quale, in altri testi, le stesse qualità conferite a Pietro sono attribuite quasi tutte anche ad altre persone. Non sono una esclusiva di Pietro.
2) Commento del testo:
a) Matteo:16,13-16: Le opinioni del popolo e dei discepoli nei riguardi di Gesù. Gesù vuole sapere l’opinione del popolo nei suoi riguardi. Le risposte sono le più varie: Giovanni Battista, Elia, Geremia, uno dei profeti. Quando Gesù interroga sulla opinione dei discepoli stessi, Pietro a nome di tutti dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” Questa risposta di Pietro non è nuova. Anteriormente, dopo il cammino sulle acque, già gli altri discepoli avevano fatto una simile professione di fede: “Veramente tu sei il Figlio di Dio!” (Mt 14,33). È il riconoscimento che in Gesù si realizzano le profezie dell’Antico Testamento. Nel Vangelo di Giovanni la stessa professione di fede è fatta da Marta: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che è venuto nel mondo” (Gv 11,27).
b) Matteo: 16,17: La risposta di Gesù a Pietro: Beato te, Pietro! Gesù proclama “beato”, Pietro, perché ha ricevuto una rivelazione dal Padre. Anche qui la risposta di Gesù non è nuova. Anteriormente Gesù aveva fatto una identica proclamazione di beatitudine ai discepoli perché vedevano e udivano cose che nessuno prima conosceva (Mt 13,16), e aveva lodato il Padre perché aveva rivelato il Figlio ai piccoli e non ai sapienti (Mt 11,25). Pietro è uno dei piccoli ai quali il Padre si rivela. La percezione della presenza di Dio in Gesù non “viene dalla carne né dal sangue”, ossia non è frutto di studio né è merito di uno sforzo umano, ma è un dono che Dio concede a chi vuole.
c) Matteo: 16,18-20: Le qualifiche di Pietro: Essere pietra di fondamento e prendere possesso delle chiavi del Regno.
i) Essere Pietra: Pietro deve essere pietra, cioè deve essere fondamento fermo per la chiesa, tanto che essa possa resistere contro gli assalti delle porte degli inferi. Con queste parole di Gesù a Pietro, Matteo incoraggia le comunità sofferenti e perseguitate della Siria e della Palestina, che vedevano in Pietro la leadership che le aveva segnate dall’origine. Nonostante fossero deboli e perseguitate, esse hanno un fondamento solido, garantito dalle parole di Gesù. In quel tempo le comunità coltivavano un legame affettivo molto forte con i capi che avevano dato origine alla comunità. Così le comunità della Siria e della Palestina coltivavano il loro legame con la persona di Pietro. Quelle della Grecia, con la persona di Paolo. Alcune comunità dell’Asia con la persona del Discepolo amato e altre con la persona di Giovanni dell’Apocalisse. Una identificazione con questi leader delle loro origini le aiutava a coltivare meglio la propria identità e spiritualità. Ma poteva anche essere motivo di conflitto, come nel caso della comunità di Corinto (1Cor 1,11-12). Essere pietra come fondamento della fede evoca la parola di Dio al popolo in esilio di Babilonia: “Voi che cercate Dio e siete in cerca di giustizia, guardate alla roccia dalla quale siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai” (Is 51,1-2). Applicata a Pietro, questa qualità di pietra-fondamento indica un nuovo inizio del popolo di Dio.
ii) Le chiavi del Regno: Pietro riceve le chiavi del Regno per legare e sciogliere, cioè per riconciliare tra loro e con Dio. Lo stesso potere di legare e sciogliere è dato alle comunità (Mt 18,8) e ai discepoli (Gv 20,23). Uno dei punti sui quali il Vangelo di Matteo più insiste è la riconciliazione e il perdono (Mt 5,7.23-24.38-42.44-48; 6,14-15; 18,15-35). Il fatto è che negli anni 80 e 90, là in Siria c’erano molte tensioni nelle comunità e divisioni nelle famiglie a causa della fede in Gesù. Alcuni lo accettavano come Messia e altri no, e ciò era fonte di molti contrasti e conflitti. Matteo insiste sulla riconciliazione. La riconciliazione era e continua ad essere uno dei compiti più importanti dei coordinatori e delle coordinatrici delle comunità. Imitando Pietro, devono legare e sciogliere, cioè operare perché vi sia riconciliazione, accettazione mutua, costruzione della vera fraternità.
iii) La Chiesa: la parola Chiesa, in greco ekklesia, appare 105 volte nel Nuovo Testamento, quasi esclusivamente negli Atti e nelle Lettere. Solamente tre volte nei Vangeli, e solo in Matteo. La parola significa “assemblea convocata” o “assemblea scelta”. Essa indica il popolo che si raduna convocato dalla Parola di Dio, e cerca di vivere il messaggio del Regno che Gesù ci ha portato. La Chiesa o la comunità non è il Regno, ma uno strumento e un segno del Regno. Il Regno è più grande. Nella Chiesa, nella comunità, deve o dovrebbe apparire agli occhi di tutti quello che accade quando un gruppo umano lascia Dio regnare e prendere possesso della sua vita.
d) Matteo: 16,21-22: Gesù completa quello che manca nella risposta di Pietro, e questo reagisce e non accetta. Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” Conforme all’ideologia dominante del tempo, egli immaginava un Messia glorioso. Gesù lo corregge: “È necessario che il Messia soffra e sia ucciso in Gerusalemme”. Dicendo “è necessario”, egli indica che la sofferenza già era prevista nelle profezie (Is 53, 2-8). Se i discepoli accettano Gesù come Messia e Figlio di Dio, devono accettarlo anche come Messia Servo che va a morire. Non solo il trionfo della gloria ma anche il cammino della croce! Ma Pietro non accetta la correzione di Gesù e cerca di dissuaderlo.
e) Matteo: 16,23: La risposta di Gesù a Pietro: pietra di inciampo. La risposta di Gesù è sorprendente: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” Satana è colui che ci allontana dal cammino che Dio ha tracciato per noi. Letteralmente, Gesù dice: “Fermati dietro di me!” (vada retro! In latino). Pietro voleva prendere la guida e indicare la direzione del cammino. Gesù dice: “Dietro a me!” Chi indica la direzione e il ritmo non è Pietro ma Gesù. Il discepolo deve seguire il maestro. Deve vivere in conversione permanente. La parola di Gesù era anche un messaggio a tutti coloro che guidavano le comunità. Essi devono “seguire” Gesù e non possono mettersi davanti come Pietro voleva fare. Non solo essi o esse che possono indicare la direzione o lo stile. Al contrario, come Pietro, invece di pietra di sostegno, possono diventare pietra di inciampo. Così erano alcuni leader delle comunità al tempo di Matteo. C’erano delle ambiguità. Così può succedere tra noi oggi!
3) Ampliando le informazioni dei vangeli su Pietro: Un ritratto di San Pietro. Pietro da pescatore di pesci si trasformò in pescatore di uomini (Mc 1,7). Era sposato (Mc 1,30). Uomo buono, molto umano. Era portato naturalmente a fare il capo tra i dodici primi discepoli di Gesù. Gesù rispettò questa tendenza naturale e fece di Pietro l’animatore della sua prima comunità (Gv 21,17). Prima di entrare nella comunità di Gesù, Pietro si chiamava Simone bar Jona (Mt 16,17), Simone figlio di Giona. Gesù gli diede il soprannome di Cefa o Pietra, che poi diviene Pietro (Lc 6,14). Per natura, Pietro poteva essere tutto, meno che pietra. Era coraggioso nel parlare, ma nell’ora del pericolo si lasciava prendere dalla paura e fuggiva. Per esempio, quella volta quando Gesù arrivò camminando sopra le acque, Pietro chiese: “Gesù, posso anch’io venire da te sulle acque?” Gesù gli rispose: “Vieni, Pietro!” Pietro scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque. Ma quando giunse un’onda più alta del solito, s’impaurì, cominciò ad affondare e gridò: “Salvami, Signore!” Gesù lo afferrò e lo salvò (Mt 14,28-31). Nell’ultima cena, Pietro disse a Gesù: “Io non ti rinnegherò mai, Signore!” (Mc 14,31); ma poche ore dopo, nel palazzo del sommo sacerdote, davanti ad una serva, quando Gesù gia era stato arrestato, Pietro negò con giuramento di avere legami con Gesù (Mc 14,66-72). Nell’orto degli olivi, quando Gesù fu arrestato, egli giunse perfino a sguainare la spada (Gv 18,10), ma poi fuggì, lasciando Gesù solo (Mc 14,50). Per natura Pietro non era pietra! Eppure, questo Pietro così debole e tanto umano, tanto eguale a noi, diventò pietra, perché Gesù ha pregato per lui dicendo: “Pietro, io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32). Per questo, Gesù poteva dire: “Tu sei Pietra e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Gesù lo aiutò ad essere pietra. Dopo la risurrezione, in Galilea, Gesù apparve a Pietro e gli domandò due volte: “Pietro mi ami?” E Pietro rispose due volte: “Signore, tu sai che io ti amo” (Gv 21,15.16). Quando Gesù fece la stessa domanda per la terza volta, Pietro rimase addolorato. Deve essersi ricordato di averlo rinnegato tre volte. Alla terza domanda, egli rispose: “Signore, tu sai tutto! Tu sai che ti amo!” E fu in quel momento che Gesù gli affidò la cura delle sue pecore, dicendo: “Pietro, pasci le mie pecorelle!” (Gv 21,17). Con l’aiuto di Gesù la fermezza della pietra andava crescendo in Pietro e si rivelò nel giorno di Pentecoste. Nel giorno di Pentecoste, dopo la discesa dello Spirito santo, Pietro aprì la porta della sala, dove stavano tutti riuniti, a porte chiuse per paura dei giudei (Gv 20,19), infuse coraggio e cominciò ad annunciare la Buona Novella di Gesù al popolo (At 2,14-40). E non si fermò più! Per causa di questo annuncio coraggioso della risurrezione, fu arrestato (At 4,3). Nell’interrogatorio gli fu proibito di annunciare la buona novella (At 4,18), ma Pietro non obbedì alla proibizione. Egli diceva: “Noi pensiamo che dobbiamo obbedire più a Dio che agli uomini!” (At 4,19; 5,29). Fu arrestato di nuovo (At 5,18.26). Fu fustigato (At 5,40). Ma egli disse: “Grazie tante. Ma noi continueremo!” (cfr At 5,42). La tradizione narra che, alla fine della vita, quando era a Roma, Pietro ebbe ancora un momento di paura. Ma poi tornò sui suoi passi; fu arrestato e condannato alla morte di croce. Egli chiese però di essere crocifisso a testa in giù. Pensava che non era degno di morire allo stesso modo del maestro Gesù. Pietro fu fedele a se stesso fino alla fine!

29 giugno: Santi Pietro e Paolo, Apostoli
Biografia: Il culto dei grandi Apostoli, Pietro e Paolo, risale alle origini stesse della Chiesa: essi ne furono sempre i protettori e le guide. Roma deve loro la sua vera grandezza; l’azione provvidenziale di Dio ve li ha condotti entrambi per fare della capitale dell’impero, santificata dal loro martirio, il centro del mondo cristiano. S. Pietro subì il martirio sotto Nerone nel 66 o 67. Fu sepolto sulla collina del Vaticano dove scavi recenti hanno rinvenuto la sua tomba sull’area stessa della basilica costruita in suo onore da Costantino. S. Paolo fu decapitato sulla via Ostiense, là dove s’innalza la basilica che porta il suo nome. Nel corse dei secoli, il popolo cristiano non ha mai cessato di recarsi in pellegrinaggio alle tombe dei due grandi apostoli. Già nel II e III secolo ci si recava a Roma per rafforzare la propria fede al contatto della Chiesa romana, per constatarne la sua apostolicità, per paragonare la sua dottrina infallibile con quella delle altre chiese, per onorare la memoria di S. Pietro e di S Paolo. La Messa del 29 giugno esprime la fiducia della Chiesa nell’intercessione di “coloro per i quali essa ha ricevuto le primizie della fede”(orazione). Essa mette particolarmente in rilievo le prerogative di Pietro,(Vangelo), la protezione speciale di Dio sulla sua persona; e i cristiani sanno, quando cantano il “Tu es Petrus”, che le prerogative del principe degli apostoli sono passate ai Papi, successori di Pietro sulla cattedra di Roma, come pure sono sicuri della provvidenza tutta particolare di Dio, che fino alla fine del mondo assisterà il Vicario di Cristo.

Martirologio: A Roma il natale dei santi Apostoli Pietro e Paolo, i quali patirono nello stesso anno e nello stesso giorno, sotto Nerone Imperatore. Il primo di questi, nella medesima Città, crocifisso col capo rivolto verso la terra, e sepolto nel Vaticano presso la via Trionfale, è celebrato con venerazione da tutto il mondo; l’altro, decapitato e sepolto sulla via Ostiense, è venerato con pari onore.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18,5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa. Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16,18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Fglio del Dio vivente» (Mt 16,16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo. Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed é stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chievi del regno dei cieli» (Mt 16,19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli é la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che é stato affidato a tutti. È ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che é stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro é il primo degli apostoli. Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione é stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore. E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro. Un solo giorno é consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
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MessaggioTitolo: venerdì 1° luglio 2011   LECTIO - Pagina 7 EmptyVen Lug 01, 2011 8:53 am

VENERDÌ 1° LUGLIO 2011

SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ
SOLENNITÀ


Preghiera iniziale: O Padre, che nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai la gioia di celebrare le grandi opere del tuo amore per noi, fa’ che da questa fonte inesauribile attingiamo l’abbondanza dei tuoi doni.

Letture:
Dt 7,6-11 (Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti)
Sal 102 (L’amore del Signore è per sempre)
1Gv 4,7-16 (Dio ci ha amati)
Mt 11,25-30 (Io sono mite e umile di cuore)

Dov’è il tuo tesoro?
Tutto ciò che ci appaga o crediamo che ci appaghi, finiamo per amarlo e, quando riteniamo di aver trovato il bene migliore, quello diventa il nostro tesoro, che si annida poi nelle profondità del nostro spirito, ma quante illusioni, quante delusioni! Quanti falsi tesori che si dissolvono in un batter d’occhio e tramutano il momentaneo godimento in amara tristezza. Il Signore conosce bene questa umana eventualità e per questo ci ammonisce a non accumulare falsi tesori sulla terra. «Quae sursun sunt sapite» - ci insegna San Paolo: «cercate (gustate) le cose di lassù», eleviamo cioè il nostro spirito verso i beni che non periscono, che durano oltre il tempo e non riguardano solo il nostro corpo e le vicende che viviamo su questa terra, ma rimangono sempre integri e diventano fonte di felicità eterna. L’uomo d’oggi è spesso prostrato, avvinto e disorientato dai beni di consumo, che sono proposti con la migliore seduzione pubblicitaria come motivi di benessere e di felicità. Occorre saggezza e divina sapienza per sapersi difendere da questi continui assalti. Avere sempre la vera purezza dell’anima, l’occhio dell’anima che ne è lo specchio. O siamo illuminati dallo Spirito e di conseguenza tutto vediamo nella sua luce, o il nostro sguardo diventa tenebroso, cioè sempre orientato verso il buio e il male con tutte le sue brutture.
Nella festività del Sacro Cuore, ricordiamo quanto nostro Signore sia “cordiale”: il suo cuore dolce e umile è sensibile alle nostre difficoltà e alle nostre fatiche, alle nostre angosce e alle nostre paure. Una tale compassione da parte di un altro essere umano ci dà conforto, ma noi abbiamo bisogno di qualcosa di più. Abbiamo bisogno della redenzione, della guarigione, cioè, dalle nostre sofferenze e della trasformazione delle nostre volontà, che rimangono, come del resto le nostre risorse, molto al di qua delle esigenze poste dalla nostra esistenza. Ecco che il Vangelo ci libera, perché il cuore di Gesù, il cuore di colui che è Dio, è “sacro”. Gesù, così mite e umile, afferma che la sua conoscenza del Padre è unica e che la sovranità conferitagli dal Padre è totale. Il Pantokrator, il Signore di ogni cosa, ha un cuore: è l’amore che governa il sole e gli astri. In questo senso, la festività di oggi realizza i sogni di molte culture e le speranze istintive di molte anime. Offre infatti la promessa che tutto andrà bene e che ogni cosa sarà ben governata. L’intelligenza onnipotente che creò il mondo ha la forza di un cuore che ama questo mondo.

Lettura del Vangelo: In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Riflessione:
- Oggi celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù. Nel vangelo ascoltiamo l’invito di Gesù: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Il vangelo mostra la tenerezza con cui Gesù accoglie i piccoli. Lui voleva che i poveri trovassero in lui riposo e pace.
- Il contesto dei capitoli 11 e 12 di Matteo. Questo contesto sottolinea e mette in rilievo il fatto che i poveri sono gli unici a capire ed accettare la sapienza del Regno. Molta gente non capiva questa preferenza di Gesù verso i poveri e gli esclusi.
a) Giovanni Battista, che guardava Gesù con gli occhi del passato, rimase nel dubbio (Mt 11,1-15).
b) La gente che guardava Gesù con finalità interessata, non fu capace di capirlo (Mt 11,16-19).
c) Le grandi città attorno al lago, che ascoltarono la predicazione di Gesù e ne videro i miracoli, non vollero aprirsi al suo messaggio (Mt 11,20-24).
d) I sapienti e i dottori, che giudicavano tutto a partire dalla loro propria scienza, non furono capaci di capire la predicazione di Gesù (Mt 11,25).
e) Nemmeno i parenti lo capivano (Mt 12,46-50).
f) Solo i piccoli lo capivano ed accettavano la Buona Novella del Regno (Mt 11,25-30).
g) Gli altri vogliono il sacrificio, ma Gesù vuole misericordia (Mt 12,1-8).
h) La reazione contro Gesù spinse i farisei a volerlo uccidere (Mt 12,9-14).
i) Loro dicevano Gesù di Belzebù (Mt 12,22-32).
j) Ma Gesù non si gira indietro. Continua ad assumere la missione di Servo, descritta nelle profezie (Mt 12,15-21). Per questo, fu perseguitato e condannato a morte.
- Matteo 11,25-26: Solo i piccoli capiscono ed accettano la Buona Novella del regno. Gesù rivolge al Padre una preghiera: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te!”. I sapienti, i dottori di quell’epoca, avevano creato una serie di leggi che imponevano alla gente in nome di Dio. Loro pensavano che Dio esigeva dalla gente queste osservanze. Ma la legge dell’amore, portata da Gesù, diceva il contrario. Ciò che importa non è quello che noi facciamo per Dio, bensì ciò che Dio, nel suo grande amore, fa per noi! La gente capiva le parole di Gesù e si riempiva di gioia. I sapienti pensavano che Gesù non aveva ragione. Non potevano capire questo insegnamento che modificava il rapporto della gente con Dio.
- Matteo 11,27: L’origine della nuova Legge: il Figlio conosce il Padre. Gesù, il Figlio, conosce il Padre. Sa ciò che il Padre voleva quando, secoli prima, consegnò la Legge a Mosè. Ciò che il Padre ci vuole dire, lo consegnò a Gesù, e Gesù lo rivelò ai piccoli, perché loro si aprivano al suo messaggio. Anche oggi, Gesù continua ad insegnare molte cose ai poveri e ai piccoli. I sapienti e gli intelligenti fanno bene a diventare alunni dei piccoli!
- Matteo 11,28-30: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Gesù invita tutti coloro che sono stanchi a trovare in lui riposo. È la gente che vive stanca sotto il peso delle imposizioni e delle osservanze che la legge della purezza esigono. E dice: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Molte volte questa frase è stata manipolata per chiedere alla gente di essere sottomessa, passiva. Ciò che Gesù vuol dire è il contrario. Chiede alla gente di lasciare da parte i professori di religione dell’epoca, di staccarsene e di cominciare ad imparare da lui, da Gesù, che è “mite ed umile di cuore”. Gesù non fa come gli scribi che si esaltano nella loro scienza, ma è come la gente che vive umiliata e sfruttata. Gesù, il nuovo maestro, sa per esperienza ciò che succede nel cuore della gente e ciò che la gente soffre.
- L’invito della Sapienza Divina a tutti coloro che la cercano. Gesù invita tutti coloro che sono schiacciati dal peso delle osservanze della legge a trovare in lui riposo, poiché lui è mite ed umile di cuore, capace di dare sollievo e di consolare la gente che soffre, che si sente stanca ed abbattuta (Mt 11,25-30). In questo invito risuonano le parole così belle di Isaia che consolava la gente in esilio (Is 55,1-3). Questo invito è legato alla Sapienza Divina, che invita le persone all’incontro con lei (Eccli 24,19), dicendo “le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere” (Pro 3,17). E aggiunge: “La Sapienza esalta i suoi figli e si prende cura di quanti la cercano. Chi la ama, ama la vita, quanti la cercano solleciti saranno ricolmi di gioia” (Eccli 4,11-12). Questo invito rivela una caratteristica molto importante del volto femminile di Dio: la tenerezza e l’accoglienza che consola, che dà vita alle persone e le porta a sentirsi bene. Gesù è il riparo ed il seno materno che il Padre offre alla gente stanca (cfr. Is 66,10-13).

Per un confronto personale
- Cosa ti produce tensione e cosa ti dà pace? Per te, vivere in comunità è fonte di pace o di tensione?
- Queste parole di Gesù come possono aiutare la nostra comunità ad essere un luogo di riposo per le nostre vite?

Preghiera finale: Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe (Sal 102).
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