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VINCENZO

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MessaggioTitolo: DOMENICA 6 FEBBRAIO 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Feb 06, 2011 10:44 am

DOMENICA 6 FEBBRAIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’ hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace.

Letture:
Is 58,7-10 (La tua luce sorgerà come l’aurora)
Sal 111 (Il giusto risplende come luce)
1Cor 2,1-5 (Vi ho annunciato il mistero di Cristo crocifisso)
Mt 5,13-16 (Voi siete la luce del mondo)

Voi siete il sale della terra… siete la luce del mondo!
Nella celebrazione del nostro Battesimo la Chiesa ci ha fatto dono anche di un cero acceso, che poi i nostri genitori hanno portato a casa come ricordo: è segno visibile della Luce di Cristo, Vivo e Risorto, e segno della sua Luce pasquale, che è Luce che illumina il mondo e ogni uomo sulla terra. Gesù infatti, morendo in Croce per noi e risorgendo, ci ha salvato e ci ha illuminato a tutti con la Luce del suo fulgore eterno. E chi cammina con Lui, per la lunga strada della vita terrena, camminerà nella Luce, verrà illuminato, e sempre di più, da Lui, dal suo Amore ardente e illuminante; ma chi spegne la fede in Lui, spegne anche il fuoco dell’amore e cammina con il mondo gelido dentro l’anima, senza amore, senza calore; e cammina anche nella tenebra esteriore: senza pace, senza speranza. Ricordo che mia madre mi disse un giorno che, quando sono stato battezzato, il sacerdote mi mise in bocca anche un granello di sale… Allora si usava così! Era segno visibile che Cristo è Sapienza eterna del Padre. E ogni cristiano, nel giorno del suo battesimo, viene tutto ben insaporito della Sapienza di Dio e sempre più unito a Gesù Cristo. E chi poi sta e rimane liberamente con Lui diventerà anche sempre più sapiente della Sapienza vera: avrà sempre più il sapore di Dio, del suo divino Amore. Ma chi si allontanerà dalla Fonte viva della Sapienza eterna, diverrà ogni giorno più scuro, orgoglioso, annoiato anche di se stesso, diverrà sempre più carnale, mondano, una persona vuota, insignificante e insipiente. Infatti oggi Gesù ci dice: “Se il sale perde il sapore con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. Fratelli, rimaniamo fedeli al nostro Battesimo! E magari confessandoci spesso per rinnovare la meravigliosa Grazia battesimale in noi, nel nostro cuore, e vedrete che saremo sempre più pieni della Luce di Dio, di Cristo, che è “la Luce del mondo”. E presto risplenderemo come fari accesi in mezzo agli altri fratelli e sorelle che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino. E, tramite noi poi, la Luce di Cristo e del suo Vangelo si irraggerà da per tutto, e sempre di più, all’intorno, portando speranza, amore, pace e gioia a tutti, e anche i loro cuori si accenderanno sempre più della Luce e dell’Amore di Dio, che illuminerà anche altri fratelli della Luce vera, quella che è: Gesù Cristo, che è Via, Verità e Vita nostra. E allora verrà la civiltà dell’amore, sarà il Regno di Dio sulla terra anche il trionfo del Cuore Immacolato di Maria in noi, in tutti! Pace e gioia!
Se metto un grosso cucchiaio di sale nella zuppa, sarà immangiabile. Ce ne vuole solo un pizzico, che basta ad insaporirla. O, senza utilizzare un’immagine, anche se non ci sono che pochi uomini a sopportare con buon umore, bontà e indulgenza le debolezze del loro prossimo (e le loro, in più!), a non essere solo preoccupati di imporsi, di perseguire i propri scopi e i propri interessi, questo pugno di uomini ha la possibilità di cambiare il proprio ambiente, contribuendo a che il nostro mondo resti umano. Il nostro mondo sarebbe povero, inumano e freddo se non ci fossero uomini che danno prova di questa cordialità e di questa generosità spontanee. Essere il sale della terra: siamo abbastanza fiduciosi per credere al carattere contagioso della bontà? O ci accontentiamo di temere il potere contagioso del male? Un pizzico di sale basta a dare gusto a tutto un piatto. Ognuno di noi, anche se si sente isolato, ha la fortuna di poter cambiare il clima che lo circonda! Gesù ci crede capaci: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo! Lo siamo?

Approfondimento del Vangelo (Sale della terra e luce del mondo)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Chiave di lettura delle due parabole: Due domeniche fa abbiamo meditato le otto beatitudini che costituiscono l’inizio del Discorso della Montagna e descrivono le otto porte di entrata nel Regno di Dio, per una vita in comunità (Mt 5,1-12). In questa domenica meditiamo la sequenza (Mt 5,13-16) che presenta due parabole assai conosciute, della luce e del sale, con cui Gesù descrive la missione della comunità. La comunità deve essere sale della terra e luce del mondo. Il sale non esiste per sé, ma per dare sapore al cibo. La luce non esiste per sé, ma per illuminare il cammino. Noi, la nostra comunità, non esistiamo per noi stessi, ma per gli altri e per Dio. Quasi tutte le volte che Gesù vuole comunicare un messaggio importante, ricorre ad una parabola o ad un paragone, estratto dalla vita di ogni giorno. In generale, non spiega le parabole, poiché trattano di cose che tutti conosciamo per esperienza. Una parabola è una provocazione. Gesù provoca gli auditori ad usare la propria esperienza personale per capire il messaggio che lui vuole comunicare. Nel caso del Vangelo di questa domenica, Gesù vuole che ognuno di noi analizzi l’esperienza che ha del sale e della luce per capire la missione di noi cristiani. Ci sarà forse qualcuno in questo mondo che non sa cosa è il sale o cosa è la luce? Gesù parte da due cose assai comuni ed universali per comunicare il suo messaggio.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 5,13: La parabola del sale
- Matteo 5,14-15: La parabola della luce
- Matteo 5,16: Applicazione della parabola della luce

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
- Quale è la parte del testo che più ti ha colpito? Perché?
- In primo luogo, prima di cercare di capire il significato delle parole di Gesù sul sale, cerca di riflettere dentro di te sull’esperienza che hai del sale nella tua vita e cerca di scoprire questo: “Secondo me, il sale a cosa serve?”.
- Partendo poi da questa esperienza personale rispetto al sale, cerca di scoprire il significato delle parole di Gesù per la tua vita e per la vita della comunità e della Chiesa. Sto essendo sale? La nostra comunità sta essendo sale? La Chiesa sta essendo sale?
- Per te, cosa significa la luce nella tua vita? Quale è la tua esperienza della luce?
- Quale è il significato della parabola della luce partendo dall’applicazione che Gesù stesso fa della parabola?

Per coloro che desiderano approfondire il tema:
a) Contesto del discorso di Gesù:
- Contesto letterario. I quattro versetti del vangelo di questa domenica (Mt 5,13-16) si trovano tra le otto beatitudini (Mt 5,1-12) e la spiegazione di come bisogna capire la Legge che fu trasmessa da Mosé (Mt 5,17-19). Poi viene la nuova lettura che Gesù fa dei comandamenti della Legge di Dio (Mt 5,20-48). Gesù chiede di considerare lo scopo della Legge che secondo lui è racchiuso nelle parole: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli!” (Mt 5,48). Gesù ci chiede di imitare Dio! Alla radice di questo nuovo insegnamento di Gesù, si trova la nuova esperienza che lui ha di Dio Padre. Osservando così la Legge, saremo Sale della terra e Luce del mondo.
- Contesto storico. Molti giudei convertiti continuavano ad essere fedeli all’osservanza della legge, così come facevano fin dalla loro infanzia. Pero ora, avendo accettato Gesù come Messia, ed essendo fedeli al contempo agli insegnamenti ricevuti dai loro genitori e dai rabbini, loro stavano tagliandosi fuori dal loro passato ebreo, erano espulsi dalle sinagoghe, dagli antichi maestri e perfino dai loro parenti (Mt 10,21-22). E nella propria comunità cristiana, sentivano dire dai pagani convertiti che la Legge di Mosé era superata e che non era necessario osservarla. Stavano tra due fuochi. Da un lato, gli antichi maestri e compagni che li scomunicavano. Dall’altro i nuovi compagni che li criticavano. Tutto questo causava loro tensioni ed incertezze. L’apertura degli uni criticava la chiusura degli altri e viceversa. Questo conflitto generò una crisi che portò a rinchiudersi ognuno nella propria posizione. Alcuni volevano andare avanti altri volevano mettere la luce sotto il tavolo. E molti si chiedevano: “Ma in definitiva, quale è la nostra missione?” Le parabole del sale e della luce ci aiutano a riflettere sulla missione.
b) Commento del testo:
- Matteo 5,13: La parabola del sale. Usando immagini della vita quotidiana, con parole semplici e dirette, Gesù fa sapere quale è la missione e la ragione d’essere della Comunità: essere sale! In quel tempo, con il caldo che faceva, la gente e gli animali avevano bisogno di mangiare molto sale. Il sale veniva consegnato in grandi blocchi dal fornitore e questi blocchi si mettevano nella piazza per poi essere consumati dalla gente. Il sale che rimaneva cadeva a terra, non serviva più a nulla ed era calpestato da tutti. Gesù evoca questa usanza per chiarire ai discepoli la missione che devono svolgere. Senza il sale non si poteva vivere, ma ciò che rimaneva del sale non serviva a nulla.
- Matteo 5,14-16: La parabola della Luce. Il paragone è ovvio. Nessuno accende una candela per collocarla sotto un moggio. Una città posta in cima ad un monte non riesce a rimanere nascosta. La comunità deve essere luce, deve illuminare. Non deve aver paura di mostrare il bene che fa. Non lo fa per far vedere, ma ciò che fa può e deve essere visto. Il sale non esiste per sé. La luce non esiste per sé. Così deve essere una comunità: non può rinchiudersi in se stessa.
c) Ampliare la visione sulle Beatitudini:
1) Le parabole nel contesto delle comunità dell’epoca. Tra i giudei convertiti c’erano due tendenze. Alcuni pensavano che non era più necessario osservare le leggi dell’Antico Testamento, perché siamo salvi per la fede in Gesù e non per l’osservanza della Legge (Rom 3,21-26). Altri pensavano che loro, essendo giudei, dovevano continuare ad osservare le leggi dell’Antico Testamento (At 15,1-2). In ognuna di queste due tendenze c’erano gruppi più radicali. Dinanzi a questo conflitto, Matteo cerca un equilibrio per unire i due estremi. La comunità deve essere uno spazio dove questo equilibrio si possa raggiungere e possa essere vissuto. La comunità deve essere centro di irradiazione di questo vissuto e mostrare a tutti il vero significato e l’obiettivo della Legge di Dio. La comunità non vuole abolire la legge, ma vuole portarla a compimento! (Mt 5,17). Le comunità non possono andare contro la Legge, né possono chiudersi in se stesse nell’osservanza della legge. Come Gesù, devono fare un passo e mostrare in pratica l’obiettivo che la legge vuole raggiungere, cioè la pratica perfetta dell’amore. Vivendo così saranno “Sale della Terra e Luce del Mondo”.
2) Le varie tendenze nelle comunità dei primi cristiani.
- I farisei non riconobbero in Gesù il Messia ed accettavano solo l’Antico Testamento. Nelle comunità c’erano persone che simpatizzavano con la linea dei farisei (At 15,5).
- Alcuni giudei convertiti accettavano Gesù come Messia, ma non accettavano la libertà di Spirito con cui le comunità vivevano la presenza di Gesù risorto (At 15,1).
- Altri, sia giudei che pagani convertiti, pensavano che con Gesù era giunta la fine dell’Antico Testamento e che, quindi, non era necessario mantenere e leggere i libri dell’Antico Testamento. Da ora in poi, solo Gesù e la vita nello Spirito! Giacomo critica questa tendenza (At 15,21).
- C’erano cristiani che vivevano così pienamente la vita in comunità nella libertà dello Spirito che non consideravano più né la vita di Gesù di Nazaret né l’Antico Testamento. Volevano solo il Cristo dello Spirito! Dicevano: “Gesù è anatema!” (1Cor 12,3).
- La grande preoccupazione del Vangelo di Matteo è quella di mostrare che queste tre unità: (1) l’Antico Testamento (2) Gesù di Nazaret e (3) la vita nello Spirito, non possono essere separate. Le tre fanno parte dello stesso ed unico progetto di Dio e ci comunicano la certezza centrale della fede: Il Dio di Abramo e di Sara è presente nelle comunità grazie alla fede in Gesù di Nazaret.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
V DOMENICA DOPO L’EPIFANIA


Letture:
Is 66,18b-22
Sal 22
Rm 4,13-17
Gv 4,46-54

Và, tuo figlio vive
Mai come oggi il vangelo entra nelle pieghe tragiche, e normali, della nostra esistenza di uomini: il figlio morente, un papà disperato, il grido verso Dio che sembra sempre latitante, che sentiamo lontano soprattutto nel momento della prova. Ho pregato tanto, ma il miracolo non è venuto! Allora: delusione, magari imprecazione, rifiuto della fede. Molto dell’ateismo nasce dal percepire che Dio non è immediatamente utile. Dio non serve! Ma la ribellione è l’unica strada? O c’è altro? Qual è la fede che sa rispondere nella prova, nel dolore e di fronte alla morte? Oggi il vangelo ci parla di una fede che ha ottenuto la vita: “Va’, tuo figlio vive!”. Una fede a due scadenze, sempre buone per Gesù.
Una fede che chiede: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Il primo atto di fede è sentire la propria insufficienza e alzare il grido a Dio nella certezza di avere come interlocutore un Padre. Anzi, un Dio che è venuto come Salvatore, cioè a dare una mano e ad aggiustare qualcosa di rotto che da noi siamo incapaci di risolvere. La preghiera di domanda è la prima anche nel vangelo: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, .. Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone quelli che gliele chiedono” (Mt 7,7-11). Mai Gesù si rifiuta di esprimere la compassione e dare la guarigione quando si trova davanti un cuore semplice che chiede il suo intervento. Anche di fronte ad una fede “interessata” come questa di un papà forse pagano! Una fede che chiede con insistenza. Come quella vedova che andava dal giudice a chiedere giustizia con tale insistenza che alla fine costui disse: “Le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi... E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?” (Lc 18,1-8). Anche con la Cananea (Mt 15,21-28) Gesù sembra porre ostacoli e pareti quasi a far crescere l’attesa e la domanda della donna. Forse anche questo spiega a volte i ritardi di Dio nel soccorrere. La pazienza e la perseveranza è la prima purificazione della nostra fede. Il tutto e subito tradisce più una pretesa che l’accoglienza di un dono. È la magia che vuol piegare Dio a fare quel che vogliamo noi. Gesù aveva condannato questo facile miracolismo quando disse: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo” (Mt 4,7). E quanta fede sbagliata è l’enfasi che anche oggi si pone su una religione dei miracoli e delle guarigioni carismatiche! Chiedere infine con riserva. Riserva a lasciar fare da Dio, che vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me. A Cana di Galilea, fu la Madre di Gesù ad accorgersi che mancava qualcosa di decisivo per la festa di cui nessun altro si era accorto. Allora: chiedere ma con la riserva che Dio sa meglio di noi ciò di cui abbiamo vero bisogno! Del mangiare, del bere, del vestire.. “il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno. Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,32). D’altra parte Dio non entra in casa di nessuno se uno non gli apre la porta. La preghiera è dare libera agibilità di Dio in casa nostra. Agire libero di Dio, che ha fantasia di fare sorprese. Ma “noi sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).
La fede che obbedisce: Gesù oggi esce in un rimprovero: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Un richiamo per dire che forse la fede ha bisogno di uno stadio ulteriore. Altra volta Gesù ebbe a lamentarsi: “Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno se non il segno di Giona il profeta” (Mt 12,39). Segno più che convincente è la sua risurrezione. Su questa si deve basare una fiducia piena che sa credere a lui.. anche senza aver visto (cfr. Gv 20,29). L’esempio è Gesù al Getsemani. Lì sembra toccare la disperazione davanti al silenzio di Dio: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!”. Ma ha la forza cieca di dire: “Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Per questo sì al Padre, Paolo chiama Gesù l’obbediente.., “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Per essere capaci di questa fede matura è necessaria la preghiera: “Entrato nella lotta, pregava più intensamente” (Lc 22,44). Allora “gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo” (Lc 22,43). Cosa che ha più volte ripetuto di fronte alle nostre prove: “Pregate per non entrare in tentazione” (Lc 22,40). Quando la pelle brucia, noi siamo solo capaci di ribellarci: “Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41). Ad ogni messa è appunto reso presente quell’atto di Gesù per venire a sostenere ogni giorno anche in noi quella volontà di abbandono fiducioso in Dio. Ecco, la fede alla fine è abbandono! È il vertice della fede matura. L’ultima parola di Gesù fu: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Senza segni, senza alcuna rete di sicurezza razionale, c’è spazio solo per il salto di fiducia che nasce dall’amore, dal rischio della fiducia piena, quel margine che sta al di là d’ogni calcolo. Così pregava il beato Carlo de Foucauld: “Padre mio, io mi abbandono a te fa di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura, con una confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio”.
“Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia” (Epist.). Cioè sia sentito come dono gratuito dato da Dio e non propria conquista. Forse per questo la fede ultima richiede rischio e spogliazione. È l’unico modo per avere la vita dal Dio della vita. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). La nostra è vita che ci sfugge. Solo ancorata in Gesù trova senso e consistenza, oltre che sbocco d’eternità. Stimiamo questo modo unico di garantirci la vita piena!
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MessaggioTitolo: SABATO 12 FEBBRAIO 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Feb 12, 2011 10:06 am

SABATO 12 FEBBRAIO 2011

SABATO DELLA V SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


Preghiera iniziale: Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione.

Letture:
Gn 3,9-24 (Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo)
Sal 89 (Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione)
Mc 8,1-10 (Mangiarono a sazietà)

Sento compassione per questa folla
Un sentimento nobile di Gesù, pieno di umanità che significa prontezza al servizio ed alla donazione; una volontà a guardare l’altro come se stesso e rinunciare alla sua superiorità per servire l’altro. Un sentimento umano che Gesù mostra nel brano del vangelo di oggi. Il gesto lo rende partecipe dei nostri dolori e delle nostre sofferenze. È umano, nel senso più nobile e concreto del termine, nel riconoscere l’altro che mi sta di fronte come soggetto dell’amore e non come oggetto da sfruttare. È umano perché è la volontà di unire gli uomini in un nuovo legame di solidarietà. Ma è anche divino perché proviene da Dio, è divino perché Gesù rende grazie sui sette pani e sui pochi pesciolini, è divino perché Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, è divino perché ci induce a contemplare con maggior profondità il Mistero di Cristo. È la compassione divina che è il preannuncio della sua Passione. Dio sente le nostre passioni, e ci dona la sua Passione. La sua compassione ha questo doppio movimento. Da Dio all’uomo per assumere tutte le passioni umane e dall’uomo a Dio per partecipare alla Sua Passione. È qui, nella compassione umana-divina che troviamo il valore delle nostre celebrazioni eucaristiche che sono incontro tra Dio e l’uomo; un incontro di amore, di salvezza e di redenzione. Poniamo sull’altare la nostra vita perché possa essere benedetta da Gesù e inserita nel suo progetto di Amore.
Oggi, tra la prima e la seconda lettura, c’è un contrasto. Nella prima leggiamo che l’uomo mangerà il pane con il sudore del suo volto; nella seconda, con la miracolosa moltiplicazione dei pani, la folla affamata si sazia di pane senza aver lavorato. Questo ha un profondo significato: Gesù riparerà completamente i peccati dell’uomo e gli darà accesso alla vera prosperità nella gioia di Dio. Nella narrazione della Genesi vediamo le vere conseguenze del peccato. Il peccato non ci separa soltanto da Dio, ma mette separazione ovunque. L’uomo dà la colpa alla donna: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero...”. Non sono più uniti. E la donna a sua volta cerca qualcuno da accusare: “Che hai fatto?”. “il serpente mi ha ingannato e io ho mangiato”. E sempre un altro che ha peccato. E un comportamento infantile, ma se riflettiamo bene, anche noi facciamo così, troviamo sempre che la responsabilità è di qualcun altro. E ci separiamo. La sofferenza nella volontà di Dio unisce, la gioia vissuta al di fuori della volontà di Dio divide l’uomo dalla donna. L’unità si trova solo nella volontà di Dio, nell’amore di Dio manifestato dalla sua volontà. Se vogliamo unità, amicizia, amore, dobbiamo sempre cercare la volontà di Dio, perché essa è l’unico fondamento dell’unione dei cuori, delle intelligenze e della unità di tutto il nostro essere. Ma in questo racconto biblico non ci sono soltanto cose deplorevoli, esso contiene anche delle promesse, perché Dio già pensa a riparare la rovina causata dal peccato: e nel racconto della caduta c’è già il segno della sua misericordia. Oggi, sabato, leggiamo: “Porrò inimicizia fra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa” e sappiamo che la promessa si è realizzata nella storia di Maria e di Gesù. Gesù, figlio di Maria, ha schiacciato la testa al serpente, e anche Maria ha schiacciato la testa al serpente. E noto che nella traduzione c e una piccola divergenza: nel testo ebraico è il seme della donna, la sua posterità che schiaccia la testa del serpente, mentre nella Volgata è scritto che “essa”, cioè la donna, la schiaccerà, però sono vere tutte e due le affermazioni. E c’è un’altra cosa, che è passata in modo indiretto nel Vangelo di Giovanni, ed è questa: “L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi”. Al Calvario Gesù farà allusione a questo nome, dicendo al discepolo: “Ecco la tua madre!”. La madre di tutti i viventi, di tutti i discepoli, che hanno trovato la vera vita in Cristo, la madre di tutti è Maria, perché è stata solidale, non si è separata dai peccatori, ma ha accettato per loro la sofferenza, come prima di lei aveva fatto il suo figlio Gesù. Gesù fu solidale con tutti i peccatori, “reso in tutto simile ai fratelli”, come dice la lettera agli Ebrei. ~ vero aiuto simile all’uomo, che Dio ha cercato all’inizio della creazione, non è l’uomo per la donna, né la donna per l’uomo, ma Cristo Gesù per entrambi, che si è fatto solidale con i nostri peccati fino alla morte, restaurando così l’unione dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro. Oggi ringraziamo in modo particolare il Signore, che ci fa vedere le conseguenze del peccato per salvarci e che ha ristabilito la dignità della persona umana in Maria e in Gesù.

Lettura del Vangelo: In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano». Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette». Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò. Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.

Riflessione:
- Il testo del vangelo di oggi riporta la seconda moltiplicazione dei pani. Il filo di unione dei diversi episodi di questa parte del vangelo di Marco è l’alimento, il pane. Dopo il banchetto di morte (Mc 6,17-29), viene il banchetto della vita (Mc 6,30-44). Durante la traversata del lago, i discepoli hanno paura, perché non hanno capito nulla del pane moltiplicato nel deserto (Mc 6,51-52). Poi Gesù dichiara puri tutti gli alimenti (Mc 7,1-23). Nella conversazione di Gesù con la donna cananea, i pagani mangiano le briciole che cadono dal tavolo dei figli (Mc 7,24-30). E qui nel vangelo di oggi, Marco racconta la seconda moltiplicazione del pane (Mc 8,1-10).
- Marco 8,1-3: La situazione della gente e la reazione di Gesù. La moltitudine, che si riunisce attorno a Gesù nel deserto, non aveva cibo da mangiare. Gesù chiama i discepoli ed espone loro il problema: “Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano!”. In questa preoccupazione di Gesù spuntano due cose molto importanti: a) La gente dimentica la casa ed il cibo e va dietro a Gesù nel deserto! Segnale, questo, che Gesù destava molta simpatia, fino al punto che la gente gli va dietro nel deserto e rimane con lui tre giorni! b) Gesù non ordina di risolvere il problema. Esprime solo la sua preoccupazione ai discepoli. Sembra un problema senza soluzione.
- Marco 8,4: La reazione dei discepoli: Il primo malinteso. I discepoli pensano dopo ad una soluzione, secondo cui qualcuno doveva portare pane per la gente. Non passa loro per la testa che la soluzione possa venire dalla gente stessa. Dicono: “E come si potrebbe sfamarli qui, nel deserto?”. In altre parole, pensano ad una soluzione tradizionale. Qualcuno deve trovare il denaro, comprare pane e distribuirlo alla gente. Essi stessi percepiscono che, in quel deserto, questa soluzione non è vivibile, ma non vedono altra possibilità per risolvere il problema. Ossia: se Gesù insiste nel non rimandare la gente a casa, non ci sarà soluzione per sfamarla!
- Marco 8,5-7: La soluzione trovata da Gesù. Prima di tutto, chiede quanti pani hanno: “Sette!”. Poi manda la gente a sedersi. Dopo, Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla”. E fece lo stesso con i pesci. Come nella prima moltiplicazione (Mc 6,41), il modo in cui Marco descrive l’atteggiamento di Gesù, ricorda l’Eucaristia. Il messaggio è questo: la partecipazione nell’Eucaristia deve condurci al dono ed alla condivisione del pane con coloro che non hanno pane.
- Marco 8,8-10: Il risultato. Tutti mangeranno, rimarranno sazi e avanzerà pane! Soluzione inattesa, nata all’interno della gente, con i pochi pani che avevano portato! Nella prima moltiplicazione, avanzarono dodici cesti. Qui, sette. Nella prima, servirono per cinque mila persone. Qui per quattro mila. Nella prima c’erano cinque pani e due pesci. Qui, sette pani e qualche pesce.
- Il pericolo dell’ideologia dominante. I discepoli pensavano in un modo, Gesù pensa in un altro modo. Nel modo di pensare dei discepoli spunta l’ideologia dominante, il modo comune di pensare delle persone. Gesù pensa in modo diverso. Non è per il fatto di andare con Gesù e di vivere in una comunità che una persona è già santa e rinnovata. In mezzo ai discepoli, sempre di nuovo, spunta una vecchia mentalità, a causa del “fermento di Erode e dei farisei” (Mc 8,15), cioè, l’ideologia dominante, aveva radici profonde nella vita di quella gente. La conversione richiesta da Gesù è una conversione di fondo. Lui vuole sradicare i vari tipi di “fermento”:
a) il “fermento” della comunità rinchiusa in sé stessa, senza apertura. Gesù risponde: “Chi non è contro è a favore!” (Mc 9,39-40). Per Gesù, ciò che importa non è se la persona faccia parte o meno della comunità, ma se si prodighi o meno nel fare il bene che la comunità deve fare.
b) il “fermento” del gruppo che si considera superiore agli altri. Gesù risponde: “Voi non sapete di quale spirito siete animati” (Lc 9,55).
c) il “fermento” della mentalità di classe e di competitività, che caratterizzava la società dell’Impero Romano e che si infiltrava già nella piccola comunità che stava appena cominciando. Gesù risponde: “Il primo sia l’ultimo” (Mc 9, 35). È il punto su cui insiste di più e il punto più forte della sua testimonianza: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45; Mt 20,28; Gv 13,1-16).
d) il “fermento” della mentalità della cultura dell’epoca che emarginava i piccoli, i bambini. Gesù risponde: “Lasciate che i piccoli vengano a me!” (Mc 10,14). Lui addita i piccoli quali professori degli adulti: “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Lc 18,17).
- Come avveniva al tempo di Gesù, anche oggi la mentalità neoliberale rinasce e spunta nella vita delle comunità e delle famiglie. La lettura del Vangelo, fatta in comunità, può aiutarci a cambiare la vita e la visione e a continuare a convertirci ed essere fedeli al progetto di Gesù.

Per un confronto personale:
- Possiamo sempre incorrere in malintesi con amici e nemici. Qual è il malinteso tra Gesù e i discepoli in occasione della moltiplicazione dei pani? Come affronta Gesù questi malintesi? Nella tua casa, con i tuoi vicini o nella comunità, ci sono stati malintesi? Come hai reagito? La tua comunità ha avuto malintesi o conflitti con le autorità civili o ecclesiali? Com’è andata?
- Qual è il fermento che oggi impedisce la realizzazione del vangelo e che deve essere eliminato?

Preghiera finale: Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione. Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio (Sal 89).
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VINCENZO

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MessaggioTitolo: domenica 13 febbraio 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Feb 13, 2011 10:59 am

DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
VI DOMENICA DEL TEMPOI ORDINARIO


Preghiera iniziale: Signore Dio nostro, fa’ che i tuoi fedeli, formati nell’impegno delle buone opere e nell’ascolto della tua parola, ti servano con generosa dedizione liberi da ogni egoismo, e nella comune preghiera a te, nostro Padre, si riconoscano fratelli.

Letture:
Sir 15,16-21 (A nessuno ha comandato di essere empio)
Sal 118 (Beato chi cammina nella legge del Signore)
1Cor 2,6-10 (Dio ha stabilito una sapienza prima dei secoli per la nostra gloria)
Mt 5,17-37 (Così fu detto agli antichi; ma io vi dico)

La Pienezza nell’Amore
Gesù è venuto a dare compimento, non ad abolire, è venuto come dice S. Paolo nella “pienezza dei tempi” . La sua persona, la sua presenza, la sua dottrina nuova è pienezza e compimento. Il percorso del popolo d’Israele, tutto quanto ci viene narrato nel Vecchio Testamento, mira ad un approdo finale, ad una meta, ad una Pasqua temporale ed eterna, che in Gesù si compie, nella vita di ognuno di noi si attua in continuità. Durante il nostro pellegrinaggio siamo però posti, in virtù del dono della libertà e in vista di un premio eterno, dinanzi a scelte che demarcano i confini tra il bene e il male: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male”, ammonisce il Siracide. Il salmista per questo poi proclama: “Beato chi cammina nella legge del Signore”. San Paolo precisa che il cristiano “beato” e fedele alla sua vocazione, non è un sapiente di questo mondo, un furbo, ma è colui che si adorna “della sapienza di Dio”, dono dello Spirito Santo, meritato, promesso e donato a noi dallo stesso Gesù. È proprio in virtù di quello Spirito che Egli può proclamare e proporre un comandamento nuovo, la legge dell’amore. Può dire all’uomo redento e illuminato, “ma Io vi dico”, per indicare comportamenti non più ispirati alla semplice giustizia legale o soltanto all’umana equità! Ora è possibile adempiere il bene non più nel sacro timore della legge, ma con la forza vitale dello Spirito, che ci consente di tendere alla perfezione dell’amore: «Nell’amore, dice l’Apostolo Giovanni, non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore». Ma Gesù ci dice in tono imperativo: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Una perfezione che si ottiene, si misura e si confronta sempre con la gratuità e immensità dei doni di Dio. In questo senso dobbiamo intendere il forte ammonimento: « Se dunque tu presenti l’offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te… va’ prima a riconciliarti con lui». Non è possibile attingere alla fonte dell’amore se noi lo neghiamo al nostro prossimo. S. Giovanni afferma: “Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. Dalla quella stessa fonte divina derivano tutte le nostre scelte e tutti i nostri comportamenti. È lo Spirito che ci rende limpidi, sinceri, leali, che fa del nostro parlare: “Sì, sì”, “No, no” e crea una invalicabile barriera ad ogni raggiro, falsità e inganno.
L’ideale religioso degli Ebrei devoti consisteva nell’osservare la legge, attraverso la quale si realizzava la volontà di Dio. Meditare, adempiere la legge, era per l’Israelita la sua “eredità”, “una lampada per i suoi passi”, suo “rifugio”, la sua “pace” (cfr. Sal 119). Gesù è la pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che «perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge... pienezza della Legge infatti è la carità» (Rm 13,8.10). Ed è anche in questo senso che Gesù è la pienezza di ogni parola che esce dalla bocca di Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Il cristiano è prima di tutto il discepolo di Gesù, non colui che adempie la legge. I farisei erano ossessionati dalla realizzazione letterale e minuziosa della legge; ma ne avevano completamente perso lo spirito. Di qui la parola di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei...”. L’amore non è prima di tutto un sentimento diffuso per fare sempre quello di cui abbiamo voglia, ma al contrario il motore del servizio del prossimo, secondo i disegni divini. Ed è per questo che Gesù enumera sei casi della vita quotidiana in cui si manifesta questo amore concreto: la riconciliazione con il prossimo, non adirarsi, non insultare nessuno, non commettere adulterio neanche nel desiderio, evitare il peccato anche se vi si è affezionati come al proprio occhio o alla propria mano destra, non divorziare da un matrimonio valido... Il contrasto con i criteri che reggono il mondo attuale non potrebbe essere maggiore. Per quali valori i cristiani scommetterebbero? Ancora una volta siamo confortati dalla affermazione di Cristo: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35).

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Riflessione:
- Il Vangelo di oggi insegna come osservare la legge di Dio in modo tale che la sua pratica indichi in cosa consiste il pieno compimento della legge (Mt 5,17-19). Matteo scrive per aiutare le comunità dei giudei convertiti a superare le critiche dei fratelli di razza che li accusavano dicendo: “Voi siete infedeli alla Legge di Mosè”. Gesù stesso era stato accusato di infedeltà alla legge di Dio. Matteo ha la risposta chiarificatrice di Gesù nei riguardi dei suoi accusatori. Così dà una luce per aiutare le comunità a risolvere il loro problema.
- Il testo del vangelo di oggi è collocato in un’unità più grande: Mt 5,20 fino a Mt 5,48. In essa Matteo ci mostra come Gesù interpretava e spiegava la Legge di Dio. Cinque volte ripete la frase: “Avete inteso che fu detto agli antichi, ma io vi dico!” (Mt 5,21.27.33.38.43). Secondo alcuni farisei, Gesù stava eliminando la legge. Ma era esattamente il contrario. Lui diceva: “Non pensate che sono venuto ad abolire la Legge ed i Profeti. Non sono venuto ad abolire, ma a completare” (Mt 5,17). Dinanzi alla Legge di Mosè, Gesù ha un atteggiamento di rottura e di continuità. Rompe con le interpretazioni sbagliate che si rinchiudevano nella prigione della lettera, ma riafferma in modo categorico l’obiettivo ultimo della legge: raggiungere la giustizia maggiore, che è l’Amore. Nelle comunità per le quali Matteo scrive il suo vangelo c’erano opinioni diverse rispetto alla Legge di Mosè. Per alcuni, non aveva più senso, per altri doveva essere osservata fino ai minimi dettagli. Per questo, c’erano molti conflitti e litigi. Alcuni dicevano degli altri che erano imbecilli ed idioti. Matteo cerca di aiutare i due gruppi a capire meglio il vero senso della Legge e presenta alcuni consigli di Gesù per aiutare a affrontare e superare i conflitti che sorgono nel seno della famiglia e nella comunità.
- Gesù guarda da vicino il rapporto uomo-donna nel matrimonio, base fondamentale della convivenza umana. C’era un comandamento che diceva: “Non commettere adulterio”, ed un altro che diceva: “Chi divorzia da sua moglie, deve darle l’atto di divorzio”. Gesù riprende i due comandamenti, dando ad essi un nuovo significato.
- Gesù rilegge il comandamento: “Non spergiurare”. E anche qui supera la lettera, cerca lo spirito della legge e cerca di indicare l’obiettivo ultimo di questo comandamento: raggiungere la trasparenza totale nel rapporto tra persone. Qui vale applicare ciò che abbiamo detto riguardo ai due comandamenti “Non uccidere” e “Non commettere adulterio”. Si tratta di un modo nuovo di interpretare e situare nella pratica la Legge di Mosè, partendo dalla nuova esperienza di Dio Padre/Madre che Gesù ci porta. Lui rilegge la legge partendo dall’intenzione che Dio aveva nel proclamarla, secoli addietro, sul Monte Sinai.
- Matteo 5,17-18: Neppure una iota passerà dalla legge. C’erano varie tendenze nelle comunità dei primi cristiani. Alcune pensavano che non fosse necessario osservare le leggi dell’Antico Testamento, perché siamo salvi per la fede in Gesù e non per l’osservanza della legge (Rom 3,21-26). Altri accettavano Gesù, Messia, ma non accettavano la libertà di Spirito con cui alcune comunità vivevano la presenza di Gesù. Pensavano che essendo giudei dovevano continuare ad osservare le leggi dell’AT (At 15,1.5). Ma c’erano cristiani che vivevano così pienamente nella libertà dello Spirito, che non guardavano più né la vita di Gesù di Nazaret, né l’AT ed arrivavano a dire: “Anatema Gesù!” (1Cor 12,3). Osservando queste tensioni, Matteo cerca un equilibrio tra i due estremi. La comunità deve essere uno spazio dove l’equilibrio può essere raggiunto e vissuto. La risposta data da Gesù a coloro che lo criticavano continuava ad essere ben attuale per le comunità: “Non sono venuto per abolire la legge, ma per dare compimento!”. Le comunità non potevano essere contro la Legge, né potevano rinchiudersi nell’osservanza della legge. Come Gesù, dovevano dare un passo avanti, e dimostrare, nella pratica, qual era l’obiettivo che la legge voleva raggiungere nella vita delle persone, cioè, nella pratica perfetta dell’amore.
- Matteo 5,17-18: Non passerà nemmeno un segno. Ed a coloro che volevano disfarsi di tutta la legge, Matteo ricorda l’altra parola di Gesù: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. La grande preoccupazione del Vangelo di Matteo è mostrare che l’AT, Gesù di Nazaret e la vita nello Spirito non possono essere separati. I tre fanno parte dello stesso ed unico progetto di Dio e ci comunicano la certezza centrale della fede: il Dio di Abramo e di Sara è presente in mezzo alle comunità per la fede in Gesù di Nazaret che ci manda il suo Spirito.
- Matteo 5,20: La vostra giustizia deve superare quella dei farisei. Questo primo verso dà la chiave generale di tutto ciò che segue in Mt 5,20-48. L’evangelista indica alle comunità come devono praticare la giustizia più grande che supera la giustizia degli scribi e dei farisei e che porterà all’osservanza piena della legge. Poi, dopo questa chiave generale sulla giustizia più grande, Matteo cita cinque esempi ben concreti di come praticare la Legge, in modo che la sua osservanza porti alla pratica perfetta dell’amore. Nel primo esempio del vangelo di oggi, Gesù rivela ciò che Dio voleva nel consegnare a Mosè il quinto comandamento: “Non uccidere!”.
- Matteo 5,21-22: Non uccidere. “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio” (Es. 20,13). Per osservare pienamente questo quinto comandamento non basta evitare l’assassinio. Bisogna sradicare da dentro di sé tutto ciò che in un modo o nell’altro possa condurre all’assassinio, per esempio, l’ira, l’odio, il desiderio di vendetta, lo sfruttamento, etc. “chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio”. Ossia, chi si adira contro il fratello, merita già lo stesso castigo di condanna dal tribunale che, secondo l’antica legge, era riservato all’assassino! E Gesù va molto più lontano. Vuole sradicare la radice dell’assassinio: Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Detto con altre parole, osservo veramente il comandamento “Non uccidere” se riesco a togliere dal mio cuore qualsiasi sentimento di ira che porta ad insultare il fratello. Cioè se giungo alla perfezione dell’amore.
- Matteo 5,23-24: Il culto perfetto voluto da Dio. “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono”. Per poter essere accettati da Dio, ed essere uniti a Lui, bisogna riconciliarsi con il fratello, con la sorella. Prima della distruzione del Tempio, nell’anno ‘70, quando i cristiani partecipavano ancora a pellegrinaggi a Gerusalemme per portare le loro offerte sull’altare del Tempio, loro ricordavano sempre questa frase di Gesù. Ora, negli anni 80, nel momento in cui Matteo scrive, il Tempio e l’Altare non esistevano più. La comunità stessa era passata ad essere il Tempio e l’Altare di Dio (1Cor 3,16).
- Matteo 5,25-26: Riconciliare. Uno dei punti su cui maggiormente insiste il vangelo di Matteo è la riconciliazione, poiché nelle comunità di quell’epoca c’erano molte tensioni tra i gruppi con tendenze diverse, senza dialogo. Nessuno voleva cedere dinanzi all’altro. Matteo illumina questa situazione con parole di Gesù sulla riconciliazione che richiedono accoglienza e comprensione. Poiché l’unico peccato che Dio non riesce a perdonare è la nostra mancanza di perdono agli altri (Mt 6,14). Per questo, cerca la riconciliazione, prima che sia troppo tardi!
- L’ideale della giustizia più grande. Per cinque volte, Gesù cita un comandamento o un’usanza dell’antica legge: Non uccidere (Mt 5,21), Non commettere adulterio (Mt 5,27), Non giurare il falso (Mt 5,33), Occhio per occhio, dente per dente Mt 5,38), Amare il prossimo e odiare il nemico (Mt 5,43). E per cinque volte, critica il modo antico di osservare questi comandamenti ed indica un cammino nuovo per raggiungere la giustizia, l’obiettivo della legge (Mt 5,22-26; 5, 28-32; 5,34-37; 5,39-42; 5,44-48). La parola Giustizia è presente sette volte nel Vangelo di Matteo (Mt 3,15; 5,6.10.20; 6,1.33; 21,32). L’ideale religioso dei giudei dell’epoca era “essere giusti davanti a Dio”. I farisei insegnavano: “La persona raggiunge la giustizia davanti a Dio quando osserva tutte le norme della legge in tutti i suoi dettagli!”. Questo insegnamento generava un’oppressione legalistica e produceva molte angosce alle persone di buona volontà, poiché era molto difficile che una persona potesse osservare tutte le norme (Rom 7,21-24). Per questo, Matteo raccoglie parole di Gesù sulla giustizia mostrando che porta a superare la giustizia dei farisei (Mt 5,20). Per Gesù, la giustizia non viene da ciò che faccio per Dio osservando la legge, ma da ciò che Dio fa per me, accogliendomi con amore, come un figlio, una figlia. Il nuovo ideale che Gesù propone è questo: “Essere perfetto come il Padre del cielo è perfetto!” (Mt 5,48). Ciò vuol dire: io sarò giusto davanti a Dio, se cerco di accogliere e perdonare le persone come Dio mi accoglie e mi perdona gratuitamente, malgrado i miei molti difetti e peccati.
- Matteo 5,27-28: Non commettere adulterio. Cosa richiede da noi questo comandamento? L’antica risposta era questa: l’uomo non può dormire con la donna di un altro. Questo lo esigeva la lettera del comandamento. Ma Gesù supera la lettera e dice: “ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. L’obiettivo del comandamento è la fedeltà reciproca tra uomo e donna che assumono insieme la vita insieme, da sposati. E questa fedeltà sarà completa solo se i due sapranno essersi fedeli l’uno all’altra nel pensiero e nel desiderio e sapranno giungere ad una trasparenza totale tra di loro.
- Matteo 5,29-30: Cava l’occhio e taglia la mano. Per illustrare ciò che Gesù ha appena detto, enuncia una parola forte di cui si serve in un’altra occasione quando parlò dello scandalo verso i piccoli (Mt 18,9 e Mc 9,47). Lui dice: “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna”. Ed afferma lo stesso nei riguardi della mano. Queste affermazioni non possono prendersi letteralmente. Indicano una radicalità e la serietà con cui Gesù insiste nell’osservanza di questo comandamento.
- Matteo 5,31-32: La questione del divorzio. All’uomo era permesso dare l’atto di divorzio alla donna. Gesù dirà nel Discorso della Comunità che Mosè lo permise per la durezza di cuore della gente (Mt 19,8). “Ma io vi dico: chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”. Si è discusso molto su questo tema. Basandosi su questa affermazione di Gesù, la chiesa orientale permette il divorzio in caso di “fornicazione”, cioè, di infedeltà. Altri dicono che qui la parola fornicazione traduce un termine aramaico o ebraico zenuth che indicava un matrimonio tra gente della stessa parentela, che era proibito. Non sarebbe un matrimonio valido.
- Matteo 5,33: Fu detto agli antichi: non spergiurare. Le legge dell’AT diceva: “Non spergiurare”. E aggiungeva che la persona deve giurare per il Signore (cfr. Nm 30,2). Nella preghiera dei salmi si dice che può salire sul monte di Yavè e giungere al luogo santo “colui che ha le mani innocenti ed il cuore puro, che non confida negli idoli, non fa giuramento per ingannare” (Sal 24,4). Lo stesso si dice in diversi altri punti dell’AT (Eccle 5,3-4), perché ci si deve poter fidare delle parole dell’altro. Per favorire questa fiducia reciproca, la tradizione aveva inventato l’aiuto del giuramento. Per dare forza alla propria parola, la persona giurava per qualcuno o per qualcosa che era più grande di lui e che avrebbe potuto castigarla se non compiva ciò che aveva promesso. Le cose continuano così fino ad oggi. Sia nella Chiesa come nella società, ci sono momenti ed occasioni che esigono giuramenti solenni da parte delle persone. In fondo, il giuramento, è l’espressione della convinzione secondo cui nessuno può fidarsi completamente della parola dell’altro.
- Matteo 5,34-36: Ma io vi dico: non giurate affatto. Gesù vuole sanare questa deficienza. Non basta “non spergiurare”. Lui va oltre ed afferma: “Ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Giuravano per il cielo e per la terra, per la città di Gerusalemme, per la propria testa. Gesù mostra che tutto ciò è medicina che non guarisce il dolore della mancanza di trasparenze nel rapporto tra le persone. Qual è la soluzione che propone?
- Matteo 5,37: Il vostro parlare sì, sì; no, no. La soluzione che Gesù propone è questa: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. Lui propone un’onestà radicale e totale. Nient’altro. Ciò che tu dici in più, viene dal Maligno. Qui, di nuovo, siamo confrontati ad un obiettivo che rimarrà sempre nella nostra mente e che mai giungeremo a compiere completamente. È un’altra espressione del nuovo ideale di giustizia che Gesù propone: “essere perfetto come il Padre del cielo è perfetto” (Mt 5,48). Gesù sradica qualsiasi tentativo di creare in me la convinzione che mi salvo perché osservo la legge. Nessuno può meritare la grazia di Dio. Perché altrimenti non sarebbe grazia. Osserviamo la Legge, non per meritare la salvezza, ma per ringraziare di cuore l’immensa bontà gratuita di Dio che ci accoglie, perdona e salva senza merito da parte nostra.
- Lasciando da parte l’interpretazione corretta di questa parola, ciò che importa è vedere l’obiettivo ed il senso generale delle affermazioni di Gesù nella nuova lettura che fa dei Dieci Comandamenti. Gesù parla di un ideale che deve stare sempre dinanzi ai miei occhi. L’ideale definitivo è questo: “Essere perfetto come il Padre del cielo è perfetto” (Mt 5,48). Questo ideale vale per tutti i comandamenti rivisti da Gesù. Nella rilettura del comandamento: “Non commettere adulterio”, questo ideale si traduce in trasparenza e onestà tra marito e moglie. Più nessuno può dire: “Sono perfetto come il Padre del cielo è perfetto”. Staremo sempre al di sotto della misura. Non potremo mai meritare il premio perché saremo sempre al di sotto della misura. Ciò che importa è continuare il cammino, volgere lo sguardo verso l’ideale, sempre! Ma, nello stesso tempo, come fece Gesù, dobbiamo accettare le persone con la stessa misericordia con cui Lui accettava le persone e le orientava verso l’ideale. Per questo, certe esigenze giuridiche della Chiesa oggi, come per esempio, non permettere la comunione a persone che vivono in seconde nozze, sembrano andare più d’accordo con l’atteggiamento dei farisei che con quello di Gesù. Nessuno applica letteralmente la spiegazione del comandamento “Non uccidere”, dove Gesù dice che chi dice idiota a suo fratello merita l’inferno (Mt 5,22). Poiché se così fosse, tutti avremmo garantita già l’entrata all’inferno e nessuno si salverebbe. Perché la nostra dottrina usa misure differenti nel caso del quinto e del nono comandamento?

Per un confronto personale:
- Come vedo e vivo la legge di Dio: come orizzonte crescente di luce o come imposizione che delimita la mia libertà?
- Cosa possiamo fare oggi per i fratelli e le sorelle che considerano tutta questa discussione come qualcosa di superato e non attuale? Cosa possiamo imparare da loro?
- Quali sono i conflitti più frequenti nella nostra famiglia? E nella nostra comunità? È facile la riconciliazione nella famiglia e nella comunità? Sì o no? Perché?
- I consigli di Gesù, come possono aiutarmi a migliorare i rapporti nell’ambito della nostra famiglia e della comunità?
- Riesci a vivere l’onestà totale e la trasparenza con le persone dell’altro sesso?
- Come capire l’esigenza “essere perfetto come il Padre celeste è perfetto”?
- Come osservo la legge?
- Ho sperimentato qualche volta nella vita la bontà gratuita di Dio?

Preghiera finale: Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion. Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli (Sal 147).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VI DOMENICA DOPO L'EPIFANIA


Letture:
1Sam 21,2-6a
Sal 42
Eb 4,14-16
Mt 12,9b-21

Non spezzerà una canna già incrinata
Quella di un culto che si apre alla carità, quella di una religione che va oltre il legalismo, quella di un “cristianesimo umano”, è elemento tipico dell’annuncio e della prassi di Gesù, venuto quanto mai a coniugare amore di Dio e del prossimo in una simbiosi indisgiungibile. Con un accento posto sulla compassione, sulla misericordia, sulla comprensione e larghezza di cuore nei confronti della nostra fragilità, che fa dire alla Lettera agli Ebrei: “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”. È l’occasione per rivedere la nostra pratica religiosa se ha i criteri propri dell’insegnamento di Gesù.
Un uomo vale ben più: L’incarnazione è il cuore della nostra fede: un Dio che assume la nostra natura umana, tanto la stima, per esaltarla fino al destino divino. L’uomo è la passione di Dio: “Gloria Dei vivens homo - la soddisfazione di Dio è che l’uomo viva!”, dice sant’Ireneo. Dio anzi ha assunto la nostra vicenda umana, vivendola anche nei suoi risvolti non sempre esaltanti: Dio quindi sa quanto è difficile il mestiere di uomo! “Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”. Sa ben compatire e aiutare: “Accostiamoci con fiducia al trono della grazia”. È questo mistero grandioso che fonda nella Chiesa il valore intoccabile della persona umana e pone il rispetto dell’uomo al di sopra di ogni valore e relazione. Il bene dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini è la formula che misura la bontà di ogni legge che regola la convivenza umana. Da qui oggi la reazione di Gesù di fronte alla meschinità di un atteggiamento religioso che pone la legge sopra la persona: “Ora un uomo vale più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene”, cioè vivere la carità anche a scapito di qualche legge esteriore! “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). In un episodio analogo Gesù ebbe a dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 12,7). Era capitato che i suoi discepoli in giorno di sabato avevano colto delle spighe per mangiarle; subito i farisei furono addosso a Gesù, che difese i suoi, rievocando proprio un analogo episodio capitato a Davide, quando per necessità mangiò pane sacro preso dal tempio (cfr. Lett.): “Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti” (Mt 12,4-5). Quella volta, forse più irritato, Gesù dichiarò: “Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio” (Mt 12,6). È dai tempi dei profeti che il cuore del vero culto gradito a Dio è la carità: “È forse come questo il digiuno che bramo, .. piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere.. Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique.., nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto” (Is 58,5-7). Significativo è l’indicazione dell’evangelista Giovanni che nel posto dell’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena, pone la lavanda dei piedi, invitando quindi a fare memoria di Lui nel gesto sacramentale e in quello della carità. Quanta vita cristiana anche oggi distacca culto e vita, preghiera e carità. Formalismi e pratiche vuote che non fanno piacere a Dio. Senza parlare di chi - come questo farisei - fanno battaglie di retroguardia per formalismi liturgici!
Non spegnerà una fiamma smorta: A commento della guarigione fatta con puntiglio da Gesù di fronte ai farisei intolleranti, l’evangelista apre al discorso della misericordia e della pazienza di Dio che Gesù è venuto a tradurre con i suoi gesti pieni di compassione: “Ecco il mio servo che io ho scelto; porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non avrà fatto trionfare la giustizia”. Discrezione anzitutto, rispetto dei ritmi di ognuno nel cammino di fede, pazienza che sa attendere la conversione, valorizzando anche quei piccoli passi di bene che albergano in ogni uomo, senza scoraggiare o spegnere livelli forse ancora molto iniziali e non standard entro la diversificata appartenenza alla comunità. Quella della comunità dei perfetti è tentazione che trova eco già nel vangelo, quando Gesù richiama alla compresenza del buon grano e della zizzania. “Vuoi che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano” (Mt 13,28-29). Lasciamo a Dio il giudizio, e noi cerchiamo di avere quella tolleranza che ha il cuore stesso di Dio: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Fino alla larghezza di cuore di Dio Padre che dona sempre con gratuità a tutti: “Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e gli ingiusti” (Mt 5,45). Infine giungere a tale discrezione da essere pronti a rinunciare a qualcosa di indifferente o di bene per non creare scandalo ai più deboli. È pensiero di san Paolo di fronte a chi potrebbe scandalizzarsi al mangiare carni offerte agli idoli, ben sapendo che gli idoli sono nessuno: “Se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello” (1Cor 8,13). Ecco: il rispetto dei più deboli fino a rinunciare a qualcosa che per noi era maturazione ormai conseguita. Nella prassi ecclesiale del postconcilio c’è ancora spazio per non esibire libertà di opinione e di “trasgressione” ad alcune forme religiose tradizionali che formano l’abitudine di tanti anziani, cui il cambiare fa pensare a un tradimento. Fuori il caso - naturalmente - per chi si ostina solo in estetismi tradizionalisti!
Recuperiamo però anche un po’ dell’amore così puntiglioso di questi ebrei per la venerazione del sabato. Forse abbiamo bisogno di ritornare, noi cattolici occidentali, a una celebrazione del giorno del Signore che ricuperi spazio per il culto, il riposo e la carità, ora che la cultura neopagana ha fatto del nostro giorno festivo un week-end dispersivo quando non svagato e trasgressivo.
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MessaggioTitolo: sabato 19 febbraio 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Feb 19, 2011 10:23 am

SABATO 19 FEBBRAIO 2011

SABATO DELLA VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Preghiera iniziale: O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora.

Letture:
Eb 11,1-7 (Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio)
Sal 144 (O Dio, voglio benedire il tuo nome in eterno)
Mc 9,2-13 (Fu trasfigurato davanti a loro)

Questo è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!
Nella trasfigurazione appare per un breve tempo la gloria del Signore, una gloria già esistente, ma celata, nella sua fragile carne. Dio Padre chiama Gesù teneramente: “Mio figlio prediletto” che deve essere ascoltato in ogni sua parola da noi, suoi discepoli. Quella temporanea trasfigurazione dovrà sorreggere la fede dei discepoli e convincerli che si possono affidare interamente alle sue mani, dal momento che in quell’uomo dall’apparenza normale, abita la pienezza della divinità. Egli va ascoltato anche se ci parlerà di un cammino difficile o anche della croce. La sofferenza accettata per amore divino diviene salvifica, grazie al sacrificio del Cristo. L’ascolto non risulta facile per noi se poniamo il nostro io al primo posto, se presumiamo di noi stessi, se ci lasciamo affascinare dal chiasso del mondo, se non siamo capaci di trovare tempo e silenzio da donare a Dio per poterlo ascoltare. Dio ci liberi dalle distrazioni e dalle superficialità della nostra vita di oggi.
Ci colma veramente di gioia indicibile e gloriosa come leggiamo prima del Vangelo la splendente visione di Gesù, luce del mondo che tutto illumina e di cui il Padre dice: “Questo è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”. Siamo invitati a fondare tutta la nostra vita sulla fede in Gesù: soltanto per mezzo di essa possiamo essere in relazione col Padre celeste. Il punto più importante di tutta la nostra vita è dunque essere appoggiati sul Signore Gesù, non appoggiarsi su noi stessi, sul niente che ci appartiene, ma rinnegare noi stessi e fondarci su di lui per essere in comunione con Dio, nell’amore vero. Ogni altro atteggiamento è fallace. Se cerchiamo di amare da soli, cioè senza appoggiarci sulla fede in Gesù, il nostro amore è vano, non è autentico; se tendiamo alla perfezione cristiana senza appoggiarci sul Signore Gesù, la nostra perfezione non esiste. “Se vuoi essere perfetto dice Gesù va’, vendi quello che hai...”. Dobbiamo rinunciare ad ogni idea di perfezione nostra, perché la perfezione non è proprietà nostra, l’abbiamo soltanto nella misura in cui siamo in comunione con Gesù, fondati su di lui nella fede. Egli solo è il nostro tesoro, la nostra giustizia, dice san Paolo, la nostra santità. Lui è santo, non noi, e soltanto in unione con lui possiamo essere santi e piacere a Dio. La fede è il segreto di ogni realizzazione buona. Per questo la lettera agli Ebrei vede la fede in ogni pagina dell’Antico Testamento. Anche quando la Bibbia non parla esplicitamente di fede, l’autore sacro vede la fede come fondamento di tutto: fondamento del sacrificio di Abele, fondamento del prodigioso rapimento di Enoch che è figura della risurrezione di Gesù ,fondamento della salvezza di Noè che per fede nella parola di Dio “costruì un’arca a salvezza della sua famiglia”. Tutto è fondato sulla fede e senza di essa nulla ha consistenza. Chiediamo alla Madonna, maestra della fede, madre della fede, di far crescere in noi una fede profonda nel Signore Gesù e che davvero la nostra comunione con lui sia fondamento di ogni nostro pensiero, di ogni nostra azione. La vera abnegazione è proprio questa: rinnegare se stessi per fondarsi sul Signore Gesù. E così in lui ritrovare meravigliosamente tutto.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elìa e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi parla di due fatti legati tra di loro: la Trasfigurazione di Gesù e la questione del ritorno del profeta Elia. In quel tempo, la gente aspettava il ritorno del profeta Elia. Oggi, molta gente sta aspettando il ritorno di Gesù e scrive sui muri della città: Gesù ritornerà! Loro non si rendono conto che Gesù è già venuto ed è presente nella nostra vita. Ogni tanto, come un fulmine repentino, questa presenza di Gesù irrompe e si illumina, trasfigurando la nostra vita.
- La Trasfigurazione di Gesù avviene dopo il primo annuncio della Morte di Gesù (Mc 8,27-30). Questo annuncio aveva frastornato la testa dei discepoli, soprattutto di Pietro (Mc 8,31-33). Loro avevano i piedi in mezzo ai poveri, ma la testa si perdeva nell’ideologia del governo e della religione dell’epoca (Mc 8,15). La croce era un impedimento per credere in Gesù. La trasfigurazione di Gesù aiuterà i discepoli a superare il trauma della Croce.
- Negli anni 70, quando Marco scrive, la Croce continuava ad essere un grande impedimento per i giudei, per accettare Gesù Messia. “La croce è uno scandalo!”, dicevano (1Cor 1,23). Uno degli sforzi maggiori dei primi cristiani consisteva nell’aiutare le persone a percepire che la croce non era né scandalo, né follia, bensì l’espressione del potere e della sapienza di Dio (1Cor 1,22-31). Marco contribuisce a questo tentativo. Si serve dei testi e delle figure dell’Antico Testamento per descrivere la Trasfigurazione. Indica così che Gesù vede la realizzazione delle profezie e che la Croce era un cammino verso la Gloria.
- Marco 9,2-4: Gesù cambia aspetto. Gesù sale verso un’alta montagna. Luca dice che vi sale per pregare (Lc 9,28). Lassù, Gesù appare nella gloria dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni. Insieme a lui appaiono Mosè ed Elia. La montagna alta è evocazione del Monte Sinai, dove, nel passato, Dio aveva manifestato la sua volontà alla gente, consegnando la legge. Le vesti bianche ricordano Mosè sfolgorante quando parla con Dio sulla Montagna e ne riceve la legge (cfr. Es 34,29-35). Elia e Mosè, le due maggiori autorità dell’Antico Testamento, parlano con Gesù. Mosè rappresenta la Legge, Elia, la profezia. Luca informa della conversazione sull’ “esodo di Gesù”, cioè, la Morte di Gesù a Gerusalemme (Lc 9,31). È chiaro quindi che l’Antico Testamento, sia la Legge che la profezia, insegnavano già che per il Messia Servo il cammino della gloria doveva passare per la croce.
- Marco 9,5-6: A Pietro piace, ma non capisce. A Pietro piace e vuole assicurarsi il momento gradevole sulla Montagna. Lui si offre a costruire tre tende. Marco dice che Pietro aveva paura, senza sapere ciò che stava dicendo, e Luca aggiunge che i discepoli avevano sonno (Lc 9,32). Sono come noi: avevano difficoltà a capire la Croce!
- Marco 9,7-9: La voce dal cielo chiarisce i fatti. Quando Gesù è avvolto dalla gloria, una voce dice: “Questo è il Figlio mio prediletto! Ascoltatelo!” L’espressione “Figlio prediletto” ricorda la figura del Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cfr. Is 42,1). L’espressione “Ascoltatelo!” ricorda la profezia che prometteva la venuta di un nuovo Mosè (cfr. Dt 18,15). In Gesù, le profezie dell’Antico Testamento si stanno compiendo. I discepoli non possono più dubitare. Gesù è veramente il Messia glorioso che loro desiderano, ma il cammino verso la gloria passa per la croce, secondo quanto annunciato nella profezia del Servo (Is 53,3-9). La gloria della Trasfigurazione lo prova. Mosè ed Elia lo confermano. Il Padre lo garantisce. Gesù l’accetta. Alla fine, Marco dice che, dopo la visione, i discepoli videro solo Gesù e nessun altro. D’ora in poi, Gesù è l’unica rivelazione di Dio per noi! Gesù, e Lui solo, è la chiave per capire tutto l’Antico Testamento.
- Marco 9,9-10: Saper mantenere il silenzio. Gesù chiede ai discepoli di non dire nulla a nessuno fino a che Lui non risusciti dai morti, ma i discepoli non lo capiscono. Infatti non capiscono il significato della Croce che lega la sofferenza alla risurrezione. La Croce di Gesù è la prova che la vita è più forte della morte.
- Marco 9,11-13: Il ritorno del profeta Elia. Il profeta Malachia aveva annunciato che Elia doveva ritornare per preparare il cammino del Messia (Ml 3,23-24). Lo stesso annuncio si trova nel libro dell’Ecclesiastico (Eccli 48,10). E allora, Gesù come poteva essere il Messia, se Elia non era ancora ritornato? Per questo, i discepoli chiesero: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” (9,11). La risposta di Gesù è chiara: “Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui” (9, 13). Gesù stava parlando di Giovanni Battista che fu ucciso da Erode (Mt 17,13).

Per un confronto personale:
- La tua fede in Gesù ti ha regalato qualche momento di trasfigurazione e di intensa gioia? Questi momenti di gioia come ti danno forza nelle ore di difficoltà?
- Come trasfigurare, oggi, sia la vita personale e familiare, che la vita comunitaria?

Preghiera finale: Felice l’uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia. Egli non vacillerà in eterno: il giusto sarà sempre ricordato (Sal 111).
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MessaggioTitolo: domenica 20 febbraio 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Feb 20, 2011 9:49 am

DOMENICA 20 FEBBRAIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Preghiera iniziale: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Letture:
Lv 19,1-2.17-18 (Ama il tuo prossimo come te stesso)
Sal 102 (Il Signore è buono e grande nell’amore)
1Cor 3,16-23 (Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio)
Mt 5,38-48 (Amate i vostri nemici)

Dal patto d’alleanza alle perfezione evangelica
L’evento più importante e decisivo della nostra storia è sicuramente la scoperta dell’Unico Dio, quella che ci ha consentito di comprendere al meglio la sua identità e di riflesso, la nostra divina somiglianza. Il monoteismo ha segnato profondamente il percorso dell’uomo. Per noi credenti questo è avvenuto in forza della rivelazione: l’Onnipotente si è fatto conoscere, ha parlato con accenti umani, e l’uomo ha scoperto la sua vera origine e la verità del suo essere. Per rafforzare questa conoscenza, dopo l’annebbiamento del peccato, il Creatore e Signore, infinitamente amabile, ha stretto un patto di alleanza con la sua creatura ferita dal peccato. Ha chiesto poi all’uomo la fedeltà, come via al ritorno nella casa paterna. Ha implorato l’uomo: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo”. Ha ribadito per questo la sua legge e i suoi divini comandamenti da osservare nella totale fedeltà. Ha proclamato ancora il suo primato assoluto e indiscutibile: “Io sono il Signore”. San Paolo ci svela gli effetti mirabili della nuova ed eterna alleanza sgorgata da Cristo Gesù: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. Ci viene indicata una nuova appartenenza, una più elevata somiglianza, siamo figli di Dio, e una nuova più sublime dignità. Da questa consapevolezza scaturisce il nostro vero ed autentico valore, valore della nostra anima irrorata dalla Luce divina e il valore anche del nostro corpo, che diventando tempio dello Spirito si arricchisce di una divina sacralità. Da questa realtà altamente teologica si deduce la bellezza della castità e il valore della consacrazione verginale e del celibato sacerdotale. Gesù nel vangelo odierno inizia col l’affermare: “Ma io vi dico …”. Annuncia la novità evangelica, la perfezione non più come scrupolosa osservanza della legge, sostenuta dal timore, ma sorretta, illuminata e guidata dall’amore. Un amore che non può più essere negato neanche al nemico, memori di essere stati noi per primi perdonati, redenti e amati benché peccatori. Perché irrorati di grazia, illuminati dallo Spirito e deificati in Cristo possiamo sperare di poter adempiere il comando del Signore: “Siate voi dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste”.
Gesù Cristo, Dio-con-noi e umanità nuova, insegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore, la nuova legge del Vangelo che sostituisce per sempre la legge pagana del vecchio uomo: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Il nostro spirito trema sentendo le esigenze di questo nuovo comandamento. Non è forse più facile aggredire chi ci aggredisce e amare chi ci ama? Forse è a questo che ci spingerebbero i nostri sensi, è questa la voce dell’anima umiliata non ancora raggiunta dalla luce del Dio di Gesù Cristo, del solo vero Dio. Ecco perché l’amore di carità è un precetto insolito, che apre ad un nuovo orizzonte antropologico la civiltà antica e ogni civiltà umana possibile. Visto da questo orizzonte, l’uomo, ogni uomo, appare creato a immagine e somiglianza di Dio e non più formato secondo una natura disuguale e arbitraria, come invece credevano i pagani. Liberato dai suoi peccati grazie all’azione redentrice di Cristo e rinnovato dall’azione dello Spirito, l’uomo, ogni uomo, è il tempio in cui risplende lo Spirito di Dio. Dio ama l’uomo per se stesso, a tal punto che consegna alla morte suo Figlio. Dal momento che Dio ci ama in questo modo e ci ha fatti partecipi del suo amore, noi non possiamo che perdonare il nostro prossimo e aiutarlo perché viva e si sviluppi.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi fa parte di una piccola unità letteraria che va da Mt 5,17 fino a Mt 5,48, in cui si descrive come passare dall’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20) alla nuova giustizia del Regno di Dio (Mt 5,48). Descrive come salire sulla Montagna delle Beatitudini, da dove Gesù annunciò la nuova Legge dell’Amore. Il grande desiderio dei farisei era vivere nella giustizia, essere giusti dinanzi a Dio. E questo è anche il desiderio di tutti noi. Giusto è colui o colei che riesce a vivere dove Dio vuole che viva. I farisei si sforzavano di raggiungere la giustizia mediante la stretta osservanza della Legge. Pensavano che con il loro sforzo potevano arrivare a stare dove Dio li voleva. Gesù prende posizione nei confronti di questa pratica e annuncia la nuova giustizia che deve superare la giustizia dei farisei (Mt 5,20). Nel vangelo di oggi stiamo giungendo quasi alla cima della montagna. Manca poco. La cima è descritta in una frase: “Siate perfetti come il vostro Padre celestiale è perfetto” (Mt 5,48), che mediteremo nel vangelo di domani. Vediamo da vicino questo ultimo grado che ci manca per giungere alla cima della montagna, di cui San Giovanni della Croce dice: “Qui regnano il silenzio e l’amore”.
- Nel vangelo di oggi raggiungiamo la cima della Montagna delle Beatitudini, dove Gesù proclamò la Legge del Regno di Dio, il cui ideale si riassume in questa frase lapidaria: “Siate perfetti come vostro Padre del cielo è perfetto” (Mt 5,48). Gesù stava correggendo la Legge di Dio! Cinque volte di seguito aveva già affermato: “Fu detto, ma io vi dico!” (Mt 5,21.27,31.33.38). Era un segno di molto coraggio da parte sua, in pubblico, davanti a tutta la gente riunita, correggere il tesoro più sacro della gente, la radice della loro identità, che era la Legge di Dio. Gesù vuole comunicare un modo nuovo di guardare e praticare la Legge di Dio. La chiave per poter attingere questo nuovo sguardo è l’affermazione: “Siate perfetti come vostro Padre del cielo è perfetto”. Mai nessuno potrà arrivare a dire: “Oggi sono stato perfetto come il Padre del cielo è perfetto!”. Stiamo sempre al di sotto della misura che Gesù ci ha posto dinanzi. Forse è per questo che Lui ci ha posto dinanzi un ideale impossibile da raggiungere per noi mortali?
- Matteo 5,38: Occhio per occhio, dente per dente. Gesù cita un testo dell’Antica legge dicendo: “Avete inteso che è stato detto: Occhio per occhio, dente per dente!”. Abbreviò il testo, perché il testo intero diceva: “Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, colpo per colpo” (Es 21,23-25). Come nei casi precedenti, anche qui Gesù fa una rilettura completamente nuova. Il principio “occhio per occhio, dente per dente” si trovava alla radice dell’interpretazione che gli scribi facevano della legge. Questo principio deve essere sovvertito, perché perverte e distrugge il rapporto tra le persone e con Dio.
- Matteo 5,39a: Non restituire il male con il male. Gesù afferma esattamente il contrario: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio”. Dinanzi a una violenza ricevuta, la nostra reazione naturale è pagare l’altro con la stessa moneta. La vendetta chiede “occhio per occhio, dente per dente”. Gesù chiede di restituire il male non con il male, ma con il bene. Perché se non sappiamo superare la violenza ricevuta, la spirale di violenza occuperà tutto e non sapremo più cosa fare. Lamech diceva: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gen 4,24). E fu proprio per questa terribile vendetta che tutto è finito nella confusione della Torre di Babele (Gen 11,1-9). Fedele all’insegnamento di Gesù, Paolo scrive nella lettera ai Romani: “Non rendete a nessuno male per male; la vostra preoccupazione sia fare il bene a tutti gli uomini. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12,17-21). Per poter avere questo atteggiamento è necessario avere molta fede nella possibilità di recupero che ha l’essere umano. Come fare questo in pratica? Gesù offre quattro esempi concreti.
- Matteo 5,39b-42: I quattro esempi per superare la spirale di violenza. Gesù dice: “anzi (a) se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; (b) e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. (d) E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. (e) Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” (Mt 5,40-42). Come capire queste quattro affermazioni? Gesù stesso ci offre un aiuto per aiutarci a capirle. Quando il soldato gli colpì la guancia, lui non gli porse l’altra. Anzi, reagì con energia: “Se ho parlato male, dimostrami dove è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Gesù non insegna ad essere passivi. San Paolo crede che ripagando il male con il bene “tu ammasserai carboni ardenti sul capo dell’altro” (Rm 12,20). Questa fede nella possibilità di recupero dell’essere umano è possibile solo partendo dalla radice che nasce dalla gratuità totale dell’amore creatore che Dio ci mostra nella vita e negli atteggiamenti di Gesù.
- Matteo 5,43-45: Fu detto: Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico. In questa frase Gesù spiega la mentalità con cui gli scribi spiegavano la legge; mentalità che nasceva dalle divisioni tra giudei e non giudei, tra prossimo e non prossimo, tra santo e peccatore, tra puro e impuro, etc. Gesù ordina di sovvertire questo preteso ordine di divisioni interessate. Ordina di superare le divisioni. “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano perché siate figli del Padre vostro che sta nei cieli e che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. E qui attingiamo alla fonte da cui sgorga la novità del Regno. Questa fonte è proprio Dio, riconosciuto come Padre, che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Gesù vuole che imitiamo questo Dio: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (5,48). È imitando questo Dio che creiamo una società giusta, radicalmente nuova.
- Matteo 5,46-48: Essere perfetti come il Padre celeste è perfetto. Tutto si riassume nell’imitare Dio: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. (Mt 5,43-48). L’amore è principio e fine di tutto. Non c’è prova di maggiore amore che dar la vita per il fratello (Gv 15,13). Gesù imitò il Padre e rivelò il suo amore. Ogni gesto, ogni parola di Gesù, dalla nascita fino all’ora della morte in croce, era un’espressione di questo amore creatore che non dipende dal presente che riceve, né discrimina l’altro per ragioni di razza, sesso, religione o classe sociale, ma che nasce da un voler bene completamente gratuito. Fu un crescendo continuo, dalla nascita fino alla morte in Croce.
- La manifestazione piena dell’amore creatore in Gesù. Fu quando in Croce lui offrì il perdono al soldato che lo torturava e lo uccideva. Il soldato, impiegato dell’impero, mise il polso di Gesù sul braccio della croce, pose un chiodo e cominciò a battere. Dette diversi colpi. Il sangue cadeva a fiotti. Il corpo di Gesù si ritorceva dal dolore. Il soldato, mercenario ignorante, ignaro di ciò che stava facendo e di ciò che stava succedendo attorno a lui, continuava a battere come se fosse un chiodo nella parete per appendere un quadro. In quel momento Gesù rivolge al Padre questa preghiera: “Padre, perdonali. Perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Malgrado tutta la volontà degli uomini, la disumanità non riuscì a spegnere in Gesù l’umanità. Loro lo prendono, lo deridono, gli sputano sul volto, lo beffeggiano, fanno di lui un re pagliaccio con una corona di spine sulla testa, lo flagellano, lo torturano, lo fanno andare per le strade come se fosse un criminale, deve ascoltare gli insulti delle autorità religiose, sul calvario lo lasceranno completamente nudo alla vista di tutti e di tutte. Ma il veleno della disumanità non riesce a raggiungere la fonte di umanità che sgorgava dal cuore di Gesù. L’acqua che sgorgava dal di dentro era più forte del veleno di fuori, volendo di nuovo contaminare tutto. Guardando quel soldato ignorante, Gesù sentì compassione per il soldato e pregò per lui e per tutti: “Padre, perdona!”. Ed aggiunse perfino una scusa: “Sono ignoranti. Non sanno ciò che stanno facendo!”. Davanti al Padre, Gesù si fa solidale con coloro che lo torturano e lo maltrattano. Come il fratello che vede i suoi fratelli assassini dinanzi al giudice e lui, vittima dei propri fratelli, dice al giudice: “Sai sono i miei fratelli. Sono ignoranti. Perdonali. Miglioreranno!”. Era come se Gesù avesse paura che la minima rabbia contro l’uomo potesse spegnere in lui il resto di umanità che ancora esisteva. Questo incredibile gesto di umanità e di fede nella possibilità di recupero di quel soldato è stata la maggiore rivelazione d’amore di Dio. Gesù poté morire: “Tutto è consumato!”. E inclinando il capo, rese lo spirito (Gv 19,30). Compiendo così la profezia del Servo Sofferente (Is 53).

Per un confronto personale:
- Hai sentito dentro di te qualche volta una rabbia così grande da voler applicare la vendetta “occhio per occhio, dente per dente”? Cosa hai fatto per superarla?
- La convivenza comunitaria oggi nella Chiesa favorisce in noi l’amore creatore che Gesù suggerisce nel vangelo di oggi?
- Qual è il motivo più profondo dello sforzo che compi per osservare la Legge di Dio: meritare la salvezza o ringraziare la bontà immensa di Dio che ti ha creato, ti mantiene in vita e ti salva?
- Quale significato dai alla frase “essere perfetto come il Padre del cielo è perfetto”?

Preghiera finale: Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento. Ascolta la voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché ti prego, Signore (Sal 5).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
VII DOMENICA DOPO L’EPIFANIA


Letture:
Is 64,3b-8
Sal 102
Fil 2,1-5
Mt 9,27-35

Non si è mai vista una cosa simile
A partire dall’Epifania si sono susseguiti in queste domeniche i “segni” della potenza di Gesù che, dopo il Battesimo al Giordano, ha iniziato il suo ministero “percorrendo tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità”. Sono liturgie della meraviglia di fronte all’espandersi della signoria divina sopra le nostre infermità umane. Ne fa eco lo stupore di Isaia: “Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio abbia fatto tanto per chi confida in lui” (Lett.). Rievocando questi gesti di Gesù, scopriamo la permanente premura del Padre che - tramite lo Spirito - giunge ancora oggi a toccare la nostra debolezza per risanarla, entro i sacramenti cui ogni domenica partecipiamo. Saperli vedere e accogliere, rappresenta tutto il contenuto della fede che ci è richiesta. Ma si può anche ciudre gli occhi e non vedere!
Lo stupore: “Le folle, prese da stupore, dicevano: Non si è mai visto una cosa simile in Israele!”. Gesù attualizza con i suoi segni un amore antico e fedele di Dio per il suo popolo. Premura del tutto gratuita, fondata su un’altrettanto gratuita elezione: “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani” (Lett.). Il Salmo 102 oggi ci fa dichiarare: “Il Signore è buono e grande nell’amore. Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. Perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere”. Una tenerezza di Dio che necessariamente si traduce in perdono e misericordia: “Signore, non adirarti, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo” (Lett.). Dovremmo ricordare sempre questo cuore di Dio, premuroso, nelle nostre solitudini! La prima guarigione è per due ciechi. “Lo seguirono gridando: Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”. Poi, più raccolti in casa, li sollecita oltre la vista fisica: “Credete che io possa fare questo?”, cioè una fede che veda l’agire di Dio in quella guarigione. “Avvenga per voi secondo la vostra fede”. Segno, quella cecità, dell’altra cecità che non riconosce Dio, cioè della fede che scopre l’amore salvifico di Dio. Dal battesimo siamo “illuminati”, partecipi della vita divina che dentro di noi - azione dello Spirito - ci fa’ chiamare Dio col nome di Abba! (cfr. Gal 4,6). La fede è la strada sicura. Gesù è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Un giorno disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Luce su Dio e il suo disegno; luce sull’uomo, la sua identità e il suo destino. L’altro gesto è la liberazione di un indemoniato. La radice di ogni rifiuto a Dio sta in questa signoria di satana sulla nostra libertà. Gesù viene a liberarci da questa schiavitù. Era muto, fu fatto parlare: “Dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare”. Nel rito del nostro battesimo si rinnovano ancora questi due gesti di Gesù a indicare una liberazione e una apertura al mistero di Dio per divenirne testimoni con la parola e con la vita: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”. Sono appunto i sacramenti della Chiesa che ora attualizzano quei gesti di Gesù a salvezza dell’uomo credente.
Il rifiuto: Di fronte ai segni compiuti da Gesù si può anche chiudere gli occhi e non vederli, rifiutarli anzi in nome di un pregiudizio che blocca il cuore a vedervi l’azione di Dio. Oggi “i farisei dicevano: Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni”. Gesù allora replicò: “Se Satana scaccia Satana, è diviso in se stesso; come dunque il suo regno potrà restare in piedi? Ma se io scaccio i demoni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Mt 1226.28). È un travisamento che ha irritato molto Gesù; parlò allora di un peccato imperdonabile: “Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata. A chi parlerà contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chi parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo né in quello futuro” (Mt 12,31-32). È il peccato di chi chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. Anche davanti al prodigio evidente del cieco nato guarito da Gesù si sono dispiegate posizioni diverse a secondo della predisposizione d’animo di ciascun spettatore. I Giudei inciampano nel pregiudizio del sabato: “Quest’uomo non viene da Dio perché non osserva il sabato” (Gv 9,16). E ancora: “Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia” (Gv 11,29). I genitori del cieco sono diffidenti per paura: “Come ora ci veda non lo sappiamo. Chiedetelo a lui!” (Gv 11,20). Il cieco guarito non ha pregiudizi; il suo è l’atteggiamento sincero che non chiude gli occhi davanti alla realtà: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla” (Gv 11,32-33). Da qui la condanna forte di Gesù contro ogni presunzione di .. saperla alla lunga: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro, peccato rimane” (Gv 11,41). Proprio qui Gesù aveva rievocato pagine pesanti dei profeti: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi” (Gv 11,39). Mi viene in mente una parola spesso ripetuta dal card. Biffi: “È inutile correr dietro agli intellettuali.., difficilmente crederanno, perché il vangelo è fatto per i piccoli”. Del resto di Gesù era stato detto: “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Dal che si deduce che la fede dipende non dall’evidenza, ma da una iniziale apertura (oltre il razionalismo) e da una accettazione delle strade scelte da Dio per giungere fino a noi: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,31).
La fede si attinge e matura nella Chiesa. Paolo esorta ad essere lì dentro “unanimi e concordi, senza rivalità e vanagloria” (Epist.). Più che per discussioni, è per rivalità di interessi o presunzioni di meriti e posizioni di prestigio che nascono separazioni e divisioni, e quindi crisi di fede e di pratica religiosa. Ma più profondamente si diventa ciechi quando non c’è più limpidità morale: “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvage. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate” (Gv 3,19-20).
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MessaggioTitolo: sabato 26 febbraio 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Feb 26, 2011 9:51 am

SABATO 26 FEBBRAIO 2011

SABATO DELLA VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
(ANNO DISPARI)


Preghiera iniziale: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere.

Letture:
Sir 17,1-13 (Dio formò l’uomo a sua immagine)
Sal 102 (L’amore del Signore è per sempre)
Mc 10,13-16 (Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso)

Il fascino dell’innocenza
Soltanto attraverso il dono della autorivelazione di Dio, ci è stato concesso di comprendere al meglio la sua in scrutabile grandezza e il significato più profondo della nostra somiglianza a Lui. Il Siracide ci ricorda la primitiva bellezza e il travaglio del male che si è insinuato nella nostra esistenza dopo il peccato. Abbiamo perso l’innocenza e la primordiale innocenza. Bellezza e innocenza che Gesù invece scorge più nitida nei bambini che accorrono a Lui. Egli deve rimproverare lo zelo inopportuno egli Apostoli, che cercano di allontanarli nel timore che la loro vivacità potesse essere di disturbo al Maestro. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso».E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva. Viene spontaneo ai nostri giorni invocare con tutta la nostra fede che Gesù ripeta il suo gesto benedicente su tutti i bambini del mondo. Che siano cancellate per sempre le violenze fisiche e spirituali che vengono perpetrate nei loro confronti. Gesù dice con insolita severità: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!».
La prima lettura di oggi esalta la grandezza dell’uomo: “Secondo la sua natura il Signore li rivestì di forza e a sua immagine li formò... Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro perché ragionassero, li riempì di dottrina e di intelligenza e indicò loro anche il bene e il male”. E, ciò che è più prezioso: “Stabilì con loro un’alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti”. Parla, evidentemente, dell’alleanza con Mosè e della legge delle due tavole. Quanto più possiamo ora ammirare la bontà divina, pensando all’alleanza nuova conclusa nel sangue di Cristo e alla legge nuova scritta nei nostri cuori, che ci fa vivere nello Spirito Santo da figli di Dio! Nel Vangelo, a quest’uomo così grande per i doni di Dio, Gesù ripete più volte l’invito a diventare “come un bambino”: è la condizione per entrare nel regno del Padre. E per diventare “bambini” abbiamo una via: essere figli di Maria, che è stata piccola ed è stata contenta di esserlo: “il mio spirito esulta in Dio, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. È difficile essere contenti dei propri limiti! Il segreto è essere umili e magnanimi, per questo Maria ha potuto parlare per sé di grandezza e di umiltà. Maria è stata adulta nella fede, ha usato, come dice il Siracide, il discernimento per ragionare: all’Angelo annunciante ha fatto domande essenziali per risposte precise. Ed è stata piccola, docile e fiduciosa nell’abbandonarsi a Dio. Leggiamo ancora nel Siracide: “Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue opere”. E Maria nella visita ad Elisabetta ha cantato le lodi del Signore: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome”. Ringraziamo il Signore di averci dato in Maria un modello e una madre che ci aiuta a capire la necessità della piccolezza evangelica e a crescere in essa per ricevere le grazie divine.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.

Riflessione:
- Il vangelo dell’altro ieri indicava i consigli di Gesù sulla relazione degli adulti con i piccoli e gli esclusi (Mc 9,41-50). Il vangelo di ieri indicava i consigli sulla relazione tra uomo e donna, marito e moglie (Mc 10,1-12). Il vangelo di oggi indica i consigli sulla relazione tra genitori e figli. Con i piccoli e gli esclusi Gesù chiedeva la massima accoglienza. Nella relazione uomo-donna, chiedeva la massima uguaglianza. Ora, con i figli e le loro madri, chiede la massima tenerezza.
- Marco 10,13-16: Ricevere il Regno come un bambino. Portavano i bambini da Gesù, affinché lui li toccasse. I discepoli volevano impedirglielo. Perché? Il testo non lo dice. Forse perché secondo le norme rituali dell’epoca, i bambini piccoli con le loro mamme, vivevano quasi costantemente dell’impurità legale. Toccarli voleva dire diventare impuri! Se loro toccavano Gesù, lui diventava impuro! Ma Gesù non si scomoda con queste norme rituali della purezza legale. Corregge i discepoli ed accoglie le madri con i bambini. Li tocca, li abbraccia dicendo: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”. E commenta: “In verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non entrerà in esso”. E poi Gesù abbraccia i bambini e li benedice, mettendo la mano su di loro. Cosa significa questa frase?
a) I bambini ricevono tutto dai genitori. Loro non riescono a meritare ciò che ricevono, ma vivono di amore gratuito.
b) I genitori ricevono i figli come un dono di Dio e li curano con tutto l’amore possibile. La preoccupazione dei genitori non è di dominare i figli, ma di amarli, educarli in modo che crescano e si realizzino!
- Un segno del Regno: Accogliere i piccoli e gli esclusi. Ci sono molti segni della presenza attuante del Regno nella vita e nell’attività di Gesù. Una di esse è il modo di accogliere i bambini ed i piccoli. Oltre all’episodio del vangelo di oggi, ci sono altri momenti di accoglienza ai piccoli e bambini:
a) Accogliere e non scandalizzare. Una delle parole più dure di Gesù è contro coloro che causano scandalo nei piccoli, cioè, che sono il motivo per cui i piccoli non credono più in Dio. Per loro è meglio avere una mola al collo ed essere gettati nel fondo del mare (Mc 9,42; Lc 17,2; Mt 18,6).
b) Identificarsi con i piccoli. Gesù abbraccia i piccoli e si identica con essi. Chi riceve un bambino “riceve me” (Mc 9,37). “Ed ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
c) Diventare come bambini. Gesù chiede ai discepoli di diventare come bambini ed accettare il Regno come loro. Altrimenti non è possibile entrare nel Regno (Mc 10,15; Mt 18,3; Lc 9,46-48). Rende i bambini professori degli adulti! E ciò non è una cosa normale. Generalmente facciamo il contrario.
d) Difendere il diritto che i bambini hanno di gridare. Quando Gesù, entrando nel Tempio, rovescia i tavoli dei cambiavalute, sono i bambini coloro che più gridano: “Osanna al figlio di Davide!” (Mt 21,15). Criticati dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, Gesù li difende ed in sua difesa invoca le Scritture (Mt 21,16).
e) Essere grati per il Regno presente nei piccoli. La gioia di Gesù è grande, quando percepisce che i bambini, i piccoli, capiscono le cose del Regno che lui annunciava alla gente. “Padre, io ti ringrazio!” (Mt 11,25-26) Gesù riconosce che i piccoli capiscono meglio dei dottori le cose del Regno!
f) Accogliere e curare. Sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura o risuscita: la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42), la figlia della donna cananea (Mc 7,29-30), il figlio della vedova di Naim (Lc 7, 14-15), il ragazzo epilettico (Mc 9,25-26), il figlio del Centurione (Lc 7,9-10), il figlio del funzionario pubblico (Gv 4,50), il bambino con i cinque pani ed i due pesci (Gv 6,9).

Per un confronto personale
- Nella nostra società e nella nostra comunità, chi sono i piccoli e gli esclusi? Come li accogliamo?
- Nella mia vita, cosa ho imparato dai bambini sul Regno di Dio?

Preghiera finale: Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; ascolta la mia voce quando t’invoco. Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera (Sal 140).
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MessaggioTitolo: domenica 27 febbraio 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Feb 27, 2011 10:33 am

DOMENICA 27 FEBBRAIO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Preghiera iniziale: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Letture:
Is 49,14-15 (Io non ti dimenticherò mai)
Sal 61 (Solo in Dio riposa l’anima mia)
1Cor 4,1-5 (Il Signore manifesterà le intenzioni dei cuori)
Mt 6,24-34 (Non preoccupatevi del domani)

Io non ti dimenticherò mai!
Dio è amore! Non possono mancare in Lui quelle intensissime e divine tenerezze che noi attribuiamo di preferenza alle nostre buone mamme. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Non è soltanto una splendida dichiarazione di amore: tutta la storia della salvezza è la conferma di questo amore viscerale di Dio per le sue creature. Egli è il Dio fedele lento all’ira e grande nell’amore. Egli perdona, Egli è la mia misericordia, dice un salmista! Egli attende con impazienza il figlio che si è perduto; non vede l’ora di dargli il suo abbraccio e riaverlo come figlio. Egli manda i suoi a compiere e perpetuare la sua missione nel mondo. Sono i suoi servi e i suoi amministratori dai quali esige assoluta fedeltà perché Egli per primo è fedele. Egli è per tutti il Dio provvido. Con l’esistenza ci ha dato nel nostro meraviglioso abitat anche tutto il necessario per vivere senza troppi affanni il tempo e prepararci all’eternità. Nella preghiera che Egli ci ha insegnato ci invita a chiedere il pane quotidiano, che per noi non significa soltanto il necessario al nostro corpo, ma anche quanto ci nutre nell’anima; la sua Parola e il Pane di vita. Per questo ci insegna ad essere sapienti, saper discernere cioè i veri valori: quelli del tempo e quelli dell’eternità. Ci dice: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perchè il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”. Ci siamo costruito le nostre umane sicurezze e abbiamo spento in noi la fede nella divina Provvidenza. Sono nate le ingordigie, gli affanni, le inquietudini e tutto ciò che scaturisce da questo. Dobbiamo riscoprire e tornare a vivere nella fede in Dio e immergerci ancora nel suo amore per acquietare i nostri animi e sopire i nostri appetiti smodati. Dio ci illumini!
Gesù ci invita a fare una scelta. Egli lo fa spesso con un vigore estremo. Noi abbiamo capito bene che il regno di Dio è incompatibile con il regno del denaro. In quel regno non si vende nulla. La vita è gratuita, come l’aria, come l’acqua (Is 55,1; Ap 21,6), l’acqua soprattutto, senza la quale non c’è vita. E colui che ha ricevuto gratuitamente, deve dare gratuitamente (Mt 10,8). In questo regno, invece, tutto si compra. La prudenza raccomanda di essere previdenti e rapaci. Bisogna preparare l’avvenire, poiché è incerto. Ma l’avvenire ci sfugge. Esso appartiene a Dio. Fare la scelta del regno di Dio, scegliere di servire Dio escludendo ogni altro padrone, significa anche rimettersi a lui per l’avvenire: avere fede in Dio, al punto di non preoccuparsi per l’avvenire. È la nostra ricchezza, il nostro tesoro (Mt 13,44). È più sicuro per noi che tutto l’oro del mondo. Avere dell’oro da parte è un modo di assicurare il proprio avvenire. Ma un avvenire sulla terra, cioè a breve termine. L’avvenire di cui parliamo è grande come l’eternità. Su questo avvenire non abbiamo nessuna presa. Poco importa. Dio stesso se ne preoccupa per noi. Gesù si incarica di “prepararci un posto” (Gv 14,2). Il nostro avvenire è in buone mani. È sicuro. Perché farci tante preoccupazioni? Questo atto di fiducia, che Gesù esige, è anche una lezione di saggezza. Troppo spesso, con il pretesto di preparare l’avvenire, noi non viviamo più. Gesù è un maestro, non di noncuranza, ma di pacifica serenità.

Lettura del Vangelo: In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro (Mt 6,24) e il nostro rapporto con la Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). I consigli dati da Gesù suscitano varie domande di difficile risposta. Per esempio, come capire oggi l’affermazione: “Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24)? Come capire la raccomandazione di non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito(Mt 6,25)?
- Matteo 6,24: Non potete servire Dio e mammona. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona”. Ognuno dovrà fare la propria scelta. Dovrà chiedersi: “Chi pongo al primo posto nella mia vita. Dio o il denaro?”. Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, bensì di una scelta di vita ben concreta che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.
- Matteo 6,25: Gesù critica la preoccupazione eccessiva per il mangiare e il bere. Questa critica di Gesù causa fino ai nostri giorni molto spavento nella gente, perché la grande preoccupazione di tutti i genitori è come procurarsi cibo e vestiti per i figli. Il motivo della critica è che la vita vale più del cibo e il corpo vale più del vestito. Per chiarire la sua critica, Gesù presenta due parabole: i passeri e i fiori.
- Matteo 6,26-27: La parabola degli uccelli: la vita vale più del cibo. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Non seminano, non raccolgono, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. “Non contate voi, forse, più di loro!”. Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della vita delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.
- Matteo 6,28-30: La parabola dei gigli: il corpo vale più del vestito. Gesù chiede di guardare i fiori, i gigli del campo. Con che eleganza e bellezza Dio li veste! “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, non farà assai più per voi, gente di poca fede!”. Gesù dice di guardare le cose della natura, perché così vedendo i fiori e il campo, la gente ricordi la missione che abbiamo: lottare per il Regno e creare una convivenza nuova che possa garantire il cibo e il vestito per tutti.
- Matteo 6,31-32: Non essere come i pagani. Gesù riprende e critica la preoccupazione eccessiva per il cibo, la bevanda e il vestito. E conclude: “Di queste cose si preoccupano i pagani!”. Ci deve essere una differenza nella vita di coloro che hanno fede in Gesù e di coloro che non hanno fede in Gesù. Coloro che hanno fede in Gesù condividono con lui l’esperienza della gratuità di Dio Padre, Abba. Questa esperienza di paternità deve rivoluzionare la convivenza. Deve generare una vita comunitaria che sia fraterna, seme di una nuova società.
- Matteo 6,33-34: Il Regno al primo posto. Gesù indica due criteri: “Cercare prima il Regno di Dio” e “Non preoccuparsi per il domani”. Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia significa cercare di fare la volontà di Dio e lasciare regnare Dio nella nostra vita. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna e giusta. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare.
- Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Il Regno di Dio deve stare al centro di tutte le nostre preoccupazioni. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona si sente responsabile dell’altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori, perché per Gesù la Provvidenza Divina passa attraverso l’organizzazione fraterna. Preoccuparsi del Regno e della sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi di accettare Dio Padre ed essere fratello e sorella degli altri. Dinanzi all’impoverimento crescente causato dal neoliberalismo economico, la forma concreta che il vangelo ci presenta e grazie alla quale i poveri potranno vivere è la solidarietà e l’organizzazione.
- Un coltello affilato in mano ad un bambino può essere un’arma mortale. Un coltello affilato in mano ad una persona appesa ad una corda è l’arma che salva. Così sono le parole di Gesù sulla Provvidenza Divina. Sarebbe antievangelico dire ad un padre disoccupato, povero, con otto figli, e moglie malata: “Non ti preoccupare del cibo e delle bevande! Perché preoccuparsi del vestito e della salute?” (Mt 6,25.28). Questo possiamo dirlo solo quando noi stessi, imitando Gesù, ci organizziamo tra di noi per condividere, garantendo così al fratello la possibilità di sopravvivere. Altrimenti, siamo come i tre amici di Giobbe che, per difendere Dio, raccontavano menzogne sulla vita umana (Giobbe 1-3,7). Sarebbe come ingannare un orfano e un amico (Giobbe 1-7). In bocca al sistema dei ricchi, queste parole posso essere un’arma mortale contro i poveri. In bocca al povero, possono essere uno sbocco reale e concreto per una convivenza migliore, più giusta e fraterna.

Per un confronto personale
- Cosa intendo io per Provvidenza Divina? Ho fiducia nella Provvidenza Divina?
- Noi cristiani abbiamo la missione di dare un’espressione concreta a ciò che portiamo dentro. Qual è l’espressione che stiamo dando alla nostra fiducia nella Provvidenza Divina?

Preghiera finale: Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore (Sal 118).

RITO AMBROSIANO
ANNO A
PENULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA


Letture:
Bar 1,15a;2,9-15°
Sal 105
Rm 7,1-6°
Gv 8,1-11

Gesù e l’adultera
Oggi prolificano le separazioni tra coniugi, persino - si direbbe - quasi una moda. Eppure è un male pesante, per chi si divide, per i figli abbandonati, ma anche di fronte a Dio che lo considera sempre un venir meno ad un suo disegno oggettivo sull’uomo e la donna che si sono promessi fedeltà. Eppure, di fronte a un tradimento, la scelta non è un incolparsi reciprocamente e dividersi: questo lo fanno tutti i pagani. Per Gesù la prima parola è il perdono. perdono reciproco, perché tutti possono sbagliare; perdono di Dio perché “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). C’è di mezzo qui un modo diverso di concepire l’atteggiamento di Dio nei confronti del peccato: oggi egli scadenza la sua giustizia al ritmo della misericordia. Al perdono precede la sua clemenza. Per questo è detto: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).
Come il Padre Vostro: Noi abbiamo di Dio una concezione del tutto sbagliata - il sospetto di Dio è l’eredità del peccato -; proiettiamo in lui la nostra idea di giustizia che a volte sfiora la vendetta. E comunque sempre una punizione: hai infranto la legge, paga! Non che civilmente non si esiga questa giustizia retributiva, e magari una deterrenza. Ma il cuore di Dio è diverso. “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò a te nella mia ira” (Os 11,8-9). Già i profeti avevano richiamato “le viscere di misericordia” che Dio ha nei confronti del suo popolo: “Non è un figlio carissimo per me Efraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio, me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza” (Ger 31,20). Gesù venne principalmente a svelarci la larghezza di cuore di questo Dio “che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45). Ha scandalizzato il Battista, ha sconcertato i discepoli stessi, ha irritato i farisei un Gesù che siede a tavola coi peccatori, che accoglie tutti con cuore aperto, fino a dichiarare: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mt 9,12-13). Anzi, propriamente, la soddisfazione di Dio è il perdono: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Sant’Ambrogio ha quella stupenda parola in finale del suo commento alla creazione: “Non leggo che Dio si sia riposato quando creò il cielo e la terra; leggo che si è riposato quando creò l’uomo perché finalmente aveva trovato uno cui potesse perdonare”. Così qui Gesù con la donna adultera: “Nessuno ti ha condannato? Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”. Il peccato c’è e Gesù lo riconosce; ma il suo perdono è per dare fiducia e forza a riprendere una vita retta e a dare valore ad una conversione. Dio dà sempre una possibilità. Sempre sant’Ambrogio dice: “Non è santo chi non pecca mai, ma chi, una volta che è caduto, si rialza”. Il punto esatto della santità sta nel ricominciare sempre da capo, con la piena consapevolezza che la misericordia di Dio precede il pentimento! Sant’Agostino termina il commento a questo episodio col dire: “Relicti sunt duo - Sono rimasti solo in due, dopo che tutti si erano allontanati: misera et misericordia - la donna adultera e Gesù-misericordia!”.
Siate Misericordiosi: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Una parola fulminante, che ha cambiato completamente la situazione. “Tutti hanno peccato - dice Paolo - e sono privi della gloria di Dio” (Rm 3,23). La coscienza di essere peccatori e bisognosi che Dio chiuda un occhio e due su di noi, ci rende meno giudici implacabili nei confronti degli altri. Nessuno arriva mai a corrispondere pienamente al dono di Dio: in questo consiste il nostro sentirci sempre peccatori, e quindi invocare il suo perdono: “Noi abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio, verso i tuoi comandamenti. Allontana da noi la tua collera” (Lett.). Ad ogni incontro con Dio la Chiesa ci invita all’atto penitenziale e, soprattutto, caldeggia il sacramento della Riconciliazione, dove il perdono di Dio è esplicito e rassicurante, perché tiene la garanzia di un suo mandato: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” (Gv 20,23). Quel perdono di Dio ha un fondamento nel gesto riconciliatore di Cristo: lui “è l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). La nostra vita ha potuto cambiare grazie proprio alla redenzione di Cristo: “Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati per servire secondo lo Spirito, che è nuovo” (Epist.). Certamente si richiede pentimento, ma l’efficacia della rinnovata comunione con Dio è frutto della sua grazia e del sacramento. Se non causa, certo verifica del nostro ritorno a Dio è prolungare la sua gratuita misericordia ai nostri fratelli. “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12), ci ha insegnato a pregare Gesù. “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli, perdonerà anche a voi” (Mt 6,14). Non c’è rivelazione più efficace del cuore misericordioso di Dio se non un sincero perdono offerto a chi meno se l’aspetta: è dire che Dio perdona proprio tutti. Non c’è peccato che Dio non perdoni a chi glielo domanda con cuore pentito. L’offesa più grande che gli si può fare è quella di dubitare del perdono di Dio.
Il tema dell’adulterio ricorre nella Bibbia quale definizione profonda del peccato dell’uomo. Osea ne ha scritto rivelando lo sconcerto di Dio di fronte al tradimento del suo popolo: “Accusate vostra madre - dice il Signore rivolto a Gerusalemme - accusatela perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito! La loro madre, infatti, si è prostituita, perché ha detto: Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande” (2,4.7). Quanti tradimenti anche per noi, che poniamo nel consumismo tutta la nostra salvezza, sostituendo i supermercati alle chiese, di domenica! Ma proprio in quella vicenda di Osea alla fine si dice: “Va’ ancora, ama la tua donna adultera, come il Signore ama i figli di Israele” (Os 3,1), cioè perdonala come io perdono al mio popolo! Il peccato è questione di cuore, di tradimento di un amore che noi .. facciamo tanta fatica a capire!
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MessaggioTitolo: sabato 5 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Mar 05, 2011 8:38 am

SABATO 5 MARZO 2011

SABATO DELLA VIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO DISPARI


Letture:
Sir 51,17-27 (Onorerò chi mi ha concesso la sapienza)
Sal 18 (I precetti del Signore fanno gioire il cuore)
Mc 11,27-33 (Con quale autorità fai queste cose?)

Lo Spirito e la Sapienza
Termina il libro del Siracide tessendo un elogio della sapienza, che l’autore ha intensamente desiderato e invocato con costanza e fervore. L’ha cercata “sino alla fine” e dice di averla trovata “nella purezza”. Ne ha ricevuto grandi benefici. Non è deluso della sua ricerca. Egli anticipa in qualche modo la dottrina dello Spirito Santo che sarà dato da Gesù risorto alla chiesa sin dal suo sorgere come dono e viatico per espletare la sua missione nel mondo. In questa luce comprendiamo anche quale potrebbe essere la risposta alla domanda degli scribi e gli anziani. L’autorità di Cristo nei confronti del tempio, sia quello antico fatto di mura, sia il tempio nuovo che è la sua stessa persona, sgorga dalla sua natura divina e dalla sua missione di redentore del mondo. Gesù dirà alla Samaritana: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Il tempio è diventato una spelonca di ladri, un mercato è stato profanato. Dio non c’è più in quel luogo. Pochi anni e sarà distrutto. Su quei ruderi, dopo la Pentecoste, sorgerà la chiesa nuova dello Spirito. Allora e soltanto allora sarà chiaro a tutti donde viene l’autorità di Cristo. Quei scribi ed anziani non potevano capire che la suprema autorità divina si esprime nel dono della vita e si rivela in pienezza alla luce della croce.
Troviamo, nel brano di Vangelo di oggi, i capi del popolo di Gerusalemme (“i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani”) che fanno domande a Gesù con cattiva disposizione verso di lui. La controinterrogazione di Gesù li mette in imbarazzo: non hanno accettato il battesimo di Giovanni, non cercano con purezza di cuore nemmeno Gesù, in fondo cercano il proprio vantaggio, non la verità. Per questo concludono: “Non sappiamo”. Non hanno trovato la sapienza! Maria invece ci è modello nella ricerca della sapienza, perché in lei c’è la pura ricerca della volontà di Dio. Anche lei ha posto una domanda all’Angelo dell’annunciazione: “Come è possibile? Non conosco uomo”, ma non è una domanda cattiva, non è una richiesta di segni: è domanda di semplice chiarificazione. Dio accetta sempre queste domande, e la risposta ci giunge attraverso molta preghiera. Anche qui la Madonna ci è maestra: “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Luca lo dice dopo gli eventi prodigiosi della nascita e lo ripete dopo il ritrovamento di Gesù al tempio. Pure allora Maria fa una domanda, e non capisce subito la risposta di Gesù: “Essi non compresero le sue parole”, ma l’atteggiamento della madre è lo stesso: “Serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Approfondiamo questa parola misteriosa, ricca di contenuti e che ci fa pensare alla Madonna soavemente ricercante la sapienza sul disegno di Dio, che le si svela a poco a poco e al quale aderisce con tutta se stessa. Chiediamo al Signore, per intercessione di Maria, la grazia di seguirla in questo cammino sicuro dell’umiltà che l’ha resa madre del Verbo. Così potremo condurre altri sulla stessa via, per aprirli all’abbondanza delle grazie divine.
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MessaggioTitolo: domenica 6 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Mar 06, 2011 10:51 am

DOMENICA 6 MARZO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
IX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Orazione iniziale: O Dio, che edifichi la nostra vita sulla roccia della tua parola, fa’ che essa diventi il fondamento dei nostri giudizi e delle nostre scelte, perché non siamo travolti dai venti delle opinioni umane, ma resistiamo saldi nella fede.

Letture:
Dt 11,18.26-28.32 (Io pongo davanti a voi benedizione e maledizione)
Sal 30 (Sei tu, Signore, per me una roccia di rifugio)
Rm 3,21-25a.28 (L’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge)
Mt 7,21-27 (La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia)

Non chi dice Signore, Signore
Il Signore, dopo l’esperienza del peccato che ha causato il disorientamento nelle nostre scelte, per bocca di Mosè pone dinanzi a noi il bene e il male, la benedizione e la maledizione. Ci sollecita, perché ne siamo capaci, a fare scelte conformi alla sua santissima volontà, l’unica fonte da cui possiamo trarre il vero benessere. San Paolo sollecita e alimenta continuamente la nostra fede, quel dono divino di luce interiore che ci smuove alla fiducia e ci rende consapevoli che tutto dobbiamo attenderci da quell’eterno sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati al Padre. È ancora la fede e la fiducia che possono rendere valida e feconda la nostra preghiera, che non può esaurirsi in formule e vuote proclamazioni: “Non chi dice Signore, Signore …”. La preghiera vera fonda la nostra vita sulla salda roccia che è Cristo stesso. Ci rende capaci di conformarci alla sua santissima volontà e di restare saldi nella fede, nella speranza e nella carità. La furia delle tempeste che imperversano sulla casa sono l’immagine eloquente delle inevitabili prove della vita e delle continue tentazioni del nemico che vorrebbero far crollare per sempre nel male la nostra esistenza. È da sapienti quindi porre solide fondamenta al nostro edificio spirituale, ne va dimezzo la vita nel tempo e la vita nell’eternità. Sappiamo e vediamo in continuità cosa significa il crollo della casa costruita sulla sabbia: è la perdita irreparabile di ogni bene; è la distruzione dei preziosi bene che Dio stesso ci ha donato; è l’inferno, il buio tetro dove spira soltanto l’odio e alligna soltanto il male e la perfidia. Dio ci scampi e liberi.
In questo brano del Vangelo riconosciamo due parti. Nella prima Gesù ci dice che non farà nessuna distinzione fra gli uomini: non è perché avremo detto: “Signore, Signore”, profetato e compiuto miracoli nel suo nome che saremo riconosciuti da lui in quel giorno, ma solo perché avremo fatto la volontà del Padre, proprio come lui. La volontà del Padre è che noi ascoltiamo e crediamo colui che egli ha inviato, perché soltanto con la fede in Gesù Cristo riceveremo la giustizia di Dio, come ci suggerisce la seconda lettura. Se non avremo fede, invece, ascolteremo questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”. Nella seconda parte Gesù dice che noi possiamo reagire in due modi diversi alle sue parole. Dobbiamo capire che questo discorso, insieme a quello della montagna, è una sintesi del suo insegnamento; infatti la giustizia, l’elemosina, la preghiera, l’abbandonarsi fra le braccia della Provvidenza costituiscono la regola d’oro del suo insegnamento: “Fate agli altri quello che vorreste facessero a voi”, regola che Giovanni ci trasmetterà in questo modo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Noi possiamo mettere in pratica le parole di Gesù e, in questo caso, costruiamo sulla roccia, appoggiandoci non sulle nostre forze o sulle nostre opere, ma su Cristo. “Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Cor 3,11). Ma possiamo anche non mettere in pratica le sue parole e allora costruiamo sulla sabbia, votandoci a soccombere alle prime difficoltà. Possa Gesù Cristo essere sempre per noi una roccia e un baluardo dove essere al riparo.

Approfondimento del Vangelo (Colui che vuole fare la volontà del Padre, deve ascoltare la parola di Gesù e metterla in pratica)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

Chiave di lettura: Il testo propostoci dalla liturgia odierna, chiude il discorso evangelico di Gesù, che si apre con le beatitudini (Mt 5,1-12). Gesù “vedendo le folle... salì sulla montagna e, messosi a sedere... li ammaestrava” (Mt 5,1-2). Dopo aver annunziato e inaugurato i tempi nuovi della conversione in vista del regno dei cieli che è vicino (Mt 4,17), Gesù presenta un programma completo di uno stile nuovo di vita fondato sulla sua persona: È lui la “buona novella del regno” (Mt 4,23) su cui si fondano i tempi nuovi. In questo testo particolare del settimo capitolo Gesù ribadisce che ci si entra nel regno dei cieli consapevolmente scegliendo i valori di questo regno con decisione e responsabilità. Una decisione che si traduce in opere che sono riconoscibili: le opere dei “figli di Dio” (Mt 5,9). Gesù allude qui, non tanto alle opere esterne o manifestazioni straordinarie, ma ririfersice sopratutto al fondamento di ogni vita di discepolato: il fare “la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). Ci sono tanti infatti che profetizzano nel nome di Gesù, scacciano i demoni e compiono prodigi nell’impegno di evangelizzazione (Mt 7,22). Ma Gesù non li riconosce in quanto sono “operatori di iniquità” (Mt 7,23). Le parole di sdegno rivolte a questi sono forti e terribili in quanto Gesù dichiara apertamente: “non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me” (Mt 5,23). Sono frasi che ci ricordano le parole del Buon Pastore, nel vangelo di Giovanni: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14). Qui si mette in risalto il Gesù che non si lascia prendere in giro, egli Giudice Giusto sa chi gli appartiene o meno! Nel vangelo di Giovanni, troviamo lo stesso tema per esempio in riferimento a Giuda Iscariota e alla scelta dei dodici: “Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.” (Gv 6,70); “Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno.” (Gv 13,18); “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.” (Gv 15,16). Un tema questo che è comune anche nell’Antico Testamento. Lo troviamo per esempio in Osea in relazione al popolo di Dio che nonostante abbia “rigettato il bene” grida: “Mio Dio, noi d’Israele ti conosciamo!” (Os 8,2-3). Le parabole delle dieci vergini (Mt 25,11-12; Lc 13,25), delle due case (Lc 6,46) ci parlano di questo. Ma anche alcuni brani degli Atti e delle lettere Paoline ci fanno notare questa realtà (At 8,9-13, 18-23; 2Ti 3,8-9, 1Co 4,20; Fl 3,7-9;) esistente già nella chiesa primitiva: cioè la presenza di coloro che ministrano in nome di Gesù, ma effettivamente sono operatori di iniquità, disubbidenti alla volontà di Dio (Eb 4,6) e allora sono estranei al regno. Da questo l’esortazione di Paolo ai discepoli di vivere: “con semplicità di spirito, non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo” (Ef 6,6). Gesù riconosce solo come suoi, coloro che fanno la volontà del Padre suo (Mt 12,50; 21,29-31; Mc 3,35), perché anche lui si riconosce da questo (Gv 7,17). Egli mette i suoi discepoli in guardia dai falsi profeti “i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro son lupi rapaci” (Mt 7,15). In questo testo (Mt 7,22) il termine “profetato” si riferisce al ministero dell’insegnamento autorevole, fatto nel nome di Gesù, in seno alla comunità cristiana. A questo si riferisce anche Paolo in 1Cor 12,28 e Ef 4,11. Questo è uno dei doni, insieme all’esorcismo e alla manifestazione di altri prodigi, che contribuisce all’edificazione della Chiesa agevolando la proclamazione della buona novella. Perciò è un dono, questo, come ogni altro dono, che porta con se grande responsabilità. Gli “operatori di iniquità”, anche se dotati di questi doni, recano danno e rovina all’edificio della Chiesa (casa di Dio) con la loro ipocrisia. Forse è questo anche il senso della parabola di Gesù sulle due case costruite, una sulla sabbia e l’altra sulla roccia. Perciò l’importante non è il tanto affannarsi ma il costruirsi sopra la Parola di Dio, mettendola in pratica con docilità e carità, perché senza la carità che ci unisce a Dio e alla sua volontà non siamo nulla e nulla ci giova (1Cor 13,1-13). “Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà” (1Cor 13,8). Solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).

Alcune domande, per orientare la riflessione meditativa e l’attualizzazione.
- Leggi attentamente il testo del vangelo e la chiave di lettura. Trova sulla Bibbia tutte le citazioni dei testi paralleli. Puoi trovare anche altri che ti aiutano a capire e approfondire il testo di Matteo.
- Sottolinea quello che ti ha colpito nei testi e nella chiave di lettura.
- Quale pensi sia il messaggio principale di Gesù in questo suo discorso?
- Il vangelo ci racconta che “quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento” (Mt 7,28). è questa anche la tua reazione? Perché?
- Le folle notavano che Gesù “insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7,29). Cosa pensi abbiano intuito le folle? Ha questo a che fare con la coerenza dello stile di vita di Gesù con il suo messaggio?
- Come puoi contribuire all’edificazione della Chiesa?

Orazione finale (Mettiti in silenzio e accogli le parole di Gesù nel tuo cuore. Praticando queste parole, finirai per trasformarti in Lui). Concludi la tua preghiera con il Salmo 30: In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia. Tendi a me il tuo orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi. Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto, salvami per la tua misericordia. Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
DOMENICA ULTIMA DOPO L’EPIFANIA
DETTA “DEL PERDONO”


Letture:
Os 1,9a;2,7a.b-10
Sal 102
Rm 8,1-4
Lc 15,11-32

Il Figlio prodigo
Affinità e consanguineità esprimo le relazioni più intime nell’esperienza di ogni uomo e di ogni donna. Tali le categorie usate dal linguaggio biblico per tradurre l’intimità con Dio di ogni anima credente. Se da una parte si esprime la libera, personale, intima relazione d’amore, dall’altra, con la categoria della consanguineità si mette in luce il rapporto d’essere (ontologico), di partecipazione concreta alla natura stessa di Dio. Ambedue queste formule dicono il fondamento incancellabile del cuore grande di Dio che si esprime nella misericordia e nel perdono.
Affinità: La vicenda di Osea è esemplare. Quest’uomo aveva sposata una donna cui voleva molto bene. Da lei aveva avuto tre bei bambini. Dopo dieci anni di matrimonio, questa donna lascia il marito a va con altri amanti. Osea rimane sconcertato. Dio interviene allora proprio a questo punto, inviandolo come suo profeta a raccontare la sua angoscia di marito tradito, quale angoscia e sconcerto di Dio stesso di fronte al tradimento del suo popolo. “La loro madre ha detto: Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande” (Lett.). Non facciamo anche noi così? Va bene il Padreterno; ma.. quel che conta è il mio stipendio, la mia pensione, i dané...: questa è la mia salvezza e la mia vita! E quanti tradimenti nella nostra vicenda anche di credenti! Lasciamo stare la sufficienza balorda della cultura pagana!
“Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli” (Lett.). L’amore premuroso di Dio si traduce in qualche intralcio, in qualche prova per scoraggiare l’andare sbagliato dell’uomo; anzi nella Bibbia è richiamata spesso la gelosia di questo amante tradito che è Dio. È l’esperienza del proprio fallimento che apre gli occhi sul fallimento cui andiamo incontro col peccato. Allora soltanto ci si ravvede e .. si comincia a ragionare: “Allora dirà: Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso” (Lett.). Non vedo altra motivazione di tante catastrofi che capitano improvvise nel nostro mondo, se non come.. una punta di spillo che sgonfia il pallone di tanta superbia e supponenza nei confronti di Dio! E Dio è pronto al perdono: “Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento e d’oro, che hanno usato per Baal”. Quanto benessere.. sciupato spesso contro Dio! Da qui l’iniziativa, paziente e testarda, di Dio che vuol recuperare: “Perciò, ecco, la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Solo liberato dall’ingordigia del consumismo.., o provato nella sofferenza, l’uomo riesce ancora a percepire il richiamo di Dio. Allora scoppia il sogno di Dio, mai scoraggiato: “Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza. E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio!”. Nostalgico questo Dio, che si rifà al primo amore! Pronto a dimenticare tutto: “Ti farò mia sposa per sempre.. nell’amore e nella benevolenza, nella fedeltà, e tu conoscerai il Signore” (Lett.). Per la Bibbia il peccato è un adulterio, ma che Dio è sempre disponibile a perdonare e dimenticare!
Consaguineità: Con l’incarnazione Dio s’è fatto nostro consanguineo, chiamandoci ad essere figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo, così che “quello che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato” (Epist.). Resi cioè ancora capaci di fedeltà perché riconciliati da Cristo quale fratello maggiore, che a nome nostro e per noi “ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi” (Epist.). La radice di tale efficacia dell’atto di Cristo, è la connessione battesimale che ci ha fatti “figli nel Figlio”. Una consanguineità che ha fatto di lui “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Oggi, “il vangelo del vangelo”, ci presenta l’immagine più commovente del cuore di Dio come Padre. Anzi, cuore di Dio come cuore tenero di madre, che non si rassegna veder lontano da casa il proprio figlio. È esperienza comune da noi: di fronte anche al figlio più discolo, una madre non le resta che dire: Che vuoi farci.. o massal o manteglill! Dio non ha altra scelta che quella del perdono e della misericordia. Pronto sempre a far festa “perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Stupenda è l’immagine del padre che “quando era ancora lontano, lo vide e ne ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”, dimentico di tutto! Perdono, a due condizioni. Il pentimento, magari anche imperfetto: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza.. Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te”. Seconda condizione: nessuna pretesa di giustizia o di ricompensa per il bene fatto, assieme ad un cuore da adattare alla larghezza del cuore stesso di Dio. “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). Gesù ha condizionato in qualche modo la sincerità del nostro pentimento con questa larghezza di cuore da usare con gli altri: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15). È l’insegnamento che ci viene dal rimprovero verso il figlio maggiore.
Consanguineità e affinità è affare di cuore. Sposo e Padre: una esperienza d’amore comprensibile ad ogni uomo; ed anche capace di farci intuire la larghezza di cuore. “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli..” (Mt 7,11). Ma anche esperienza - per lo più - di sofferenza. Chi ama soffre, per l’incorrispondenza, l’incomprensione.., i tradimenti. Il nostro è un Dio che soffre.. per amore. E quanto!
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MessaggioTitolo: 9 MARZO 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyMer Mar 09, 2011 10:25 am

MERCOLEDÌ 9 MARZO 2011

MERCOLEDÌ DELLE CENERI


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Gl 2,12-18 (Laceratevi il cuore e non le vesti)
Sal 50 (Perdonaci, Signore: abbiamo peccato)
2Cor 5,20 - 6,2 (Riconciliatevi con Dio. Ecco ora il momento favorevole)
Mt 6,1-6.16-18 (Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà)

Dio al centro della mia vita
Incomincia oggi il cammino di Quaresima. Un tempo favorevole, propizio che dura quaranta giorni. La sua mèta è la Pasqua: un memoriale che rinnova la grazia della passione e della morte del Signore. E’ un tempo di penitenza, che vuole dire conversione e combattimento contro lo spirito del male. E’ anche un tempo che invita a ritornare al Signore con tutto il cuore, con digiuni e preghiere. Ecco, il tempo della salvezza, ovvero della riconciliazione con Dio, è giunto. Il Vangelo odierno ci indica quale deve essere il nostro atteggiamento e insiste sulla rettitudine interiore, dandoci anche il mezzo per crescere in questa purificazione di intenzioni: l’intimità con il Padre. Il Vangelo è davvero bellissimo e dovremmo leggerlo spesso perché ci dice anche qual’era l’orientamento stesso del Signore Gesù, che “non faceva niente per essere ammirato dagli uomini ma viveva nell’intimità del Padre suo. L’evangelista Matteo ci presenta tre esempi: dell’elemosina, della preghiera, del digiuno e mette in evidenzia in tutti e tre una tentazione comune, direi normale. Quando facciamo qualcosa di bene, subito nasce in noi il desiderio di essere stimati per questa buona azione, di essere ammirati: di avere cioè la ricompensa, una ricompensa falsa però perché è la gloria umana, la nostra soddisfazione, il nostro piacere. E questo ci rinchiude in noi stessi, mentre contemporaneamente ci porta fuori di noi, perché viviamo proiettati verso quello che gli altri pensano di noi, lodano ammìrano in noi. Il Signore ci chiede di fare il bene perché è Bene e perché Dio è Dio e ci dà anche il modo per vivere così: vivere in rapporto col Padre. Per fare il bene noi abbiamo bisogno di vivere nell’amore di qualcuno. Se viviamo nell’amore del Padre, nel segreto, con il Padre, il bene lo faremo in modo perfetto. Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto, dove solo il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta. Certo, le cose esteriori sono importanti ma dobbiamo sempre sceglierle e vivere alla presenza di Dio. Se possiamo fare poco, facciamo nella preghiera, nella mortificazione, nella carità fraterna quel poco che possiamo fare, umilmente, sinceramente davanti a Dio; così saremo degni della ricompensa che il Signore Gesù ci ha promesso da parte del Padre suo e Padre nostro.
Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intensificazione dell’istruzione dei catecumeni, che dovevano essere battezzati durante la Veglia pasquale, apre ora il tempo salutare della Quaresima. Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo. Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.

Approfondimento del Vangelo (Il significato della preghiera, dell’elemosina e del digiuno. Come trascorrere bene il tempo della Quaresima)
Il testo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Chiave di lettura: Il vangelo di questo mercoledì delle Ceneri è tratto dal Discorso della Montagna e vuole offrirci un aiuto per farci capire come praticare le tre opere di pietà: preghiera, elemosina e digiuno e come passare bene il tempo della quaresima. Il modo di svolgere queste tre opere è cambiato lungo i secoli, secondo la cultura e i costumi dei popoli e la salute delle persone. Oggi le persone più anziane ricordano il digiuno severo ed obbligatorio di quaranta giorni durante tutta la quaresima. Malgrado i cambiamenti nel modo di praticare le opere di pietà, rimane l’obbligo umano e cristiano (1) di condividere i nostri beni con i poveri (elemosina), (2) di vivere in contatto con il Creatore (preghiera) e (3) di sapere controllare il nostro impeto ed i nostri desideri (digiuno). Le parole di Gesù che meditiamo possono far sorgere in noi la creatività necessaria per trovare nuove forme per vivere queste tre pratiche così importanti della vita cristiana.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Matteo 6,1: La chiave generale per capire l’insegnamento che segue
- Matteo 6,2: Come non fare elemosina
- Matteo 6,3-4: Come fare elemosina
- Matteo 6,5: Come non pregare
- Matteo 6,6: Come pregare
- Matteo 6,16: Come non fare digiuno
- Matteo 6,17-18: Como fare digiuno

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Qual è il punto del testo che più ti ha colpito o che ti è più piaciuto?
b) Come capire l’avvertenza iniziale fatta da Gesù?
c) Cosa critica e cosa insegna Gesù sull’elemosina? Fai un riassunto per te.
d) Cosa critica e cosa insegna Gesù sulla preghiera? Fai un riassunto per te.
e) Cosa critica e cosa insegna Gesù sul digiuno? Fai un riassunto per te.

Per coloro che vorrebbero approfondire maggiormente il tema
a) Contesto: Gesù parla di tre cose: l’elemosina (Mt 6,1-6), la preghiera (Mt 6,5—15) ed il digiuno (Mt 6,16-18). Erano le tre opere di pietà dei giudei. Gesù critica il fatto che pratichino la pietà per essere visti dagli uomini (Mt 6,1). Non permette che la pratica della giustizia e della pietà venga usata come un mezzo per la promozione sociale nella comunità (Mt 6,2.5.16). Nelle parole di Gesù appare un nuovo tipo di relazione con Dio che si dischiude per noi. Lui dice: “Tuo Padre che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,4). “Vostro Padre conosce le vostre necessità prima ancora di chiedergli qualcosa” (Mt 6,8). “Se perdonate agli uomini i loro delitti, anche il vostro Padre celeste vi perdonerà” (Mt 6,14). Gesù ci offre un nuovo cammino di accesso al cuore di Dio. La meditazione delle sue parole riguardo alle opere di pietà potrà aiutarci a scoprire questo nuovo cammino.
b) Commento del testo:
- Matteo 6,1: La chiave generale per capire l’insegnamento che segue. Gesù dice: Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere visti da loro; altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei cieli. La giustizia di cui parla Gesù consiste nel raggiungere il luogo dove Dio ci vuole. Il cammino per giungere lì è espresso nella Legge di Dio. Gesù avvisa del fatto che non si deve osservare la legge per essere elogiati dagli uomini. Prima aveva detto: “Se la vostra giustizia non supera la giustizia dei dottori della legge e dei farisei, voi non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 5,26). Nel leggere questa frase non dobbiamo pensare solo ai farisei del tempo di Gesù, ma soprattutto al fariseo che dorme in ciascuno di noi. Se Giuseppe, sposo di Maria, avesse seguito la giustizia della legge dei farisei, avrebbe dovuto denunciare Maria. Ma lui era “giusto” (Mt 1,19), possedeva già la nuova giustizia annunciata da Gesù. Per questo, trasgredì l’antica legge e salvò la vita di Maria e di Gesù. La nuova giustizia annunciata da Gesù riposa su un’altra base, scaturisce da un’altra sorgente. Dobbiamo costruire la nostra sicurezza dal di dentro, non in ciò che noi facciamo per Dio, ma in quello che Dio fa per noi. È questa la chiave generale per capire l’insegnamento di Gesù sulle opere di pietà. In ciò che segue, Matteo applica questo principio generale alla pratica dell’elemosina, della preghiera e del digiuno. Dal punto di vista didattico, prima dice come non deve essere, e poi subito insegna come deve essere.
- Matteo 6,2: Come non fare l’elemosina. Il modo sbagliato, sia allora come oggi, di fare l’elemosina è quello di usare un modo vistoso, per essere riconosciuti ed acclamati dagli altri. Spesso sui banchi delle chiese si vedono scritte queste parole: “Dono della famiglia tale”. In televisione, ai politici piace mostrarsi come grandi benefattori dell’umanità nelle inaugurazioni di opere pubbliche al servizio della comunità. Gesù dice: Coloro che così agiscono, hanno già ricevuto la loro ricompensa.
- Matteo 6,3-4: Come fare l’elemosina. Il modo corretto di fare elemosina è questo: “Che la mano sinistra non sappia ciò che sta facendo la destra!” Ossia devo fare l’elemosina in modo tale che nemmeno io devo avere la sensazione di star facendo una cosa buona, che merita una ricompensa da parte di Dio ed elogio da parte degli altri. L’elemosina è un obbligo. È una forma di condividere qualcosa che tengo, con coloro che non hanno nulla. In una famiglia, ciò che è di uno è di tutti. Gesù elogia l’esempio della vedova che dava persino ciò che gli era necessario (Mc 12,44).
- Matteo 6,5: Come non pregare. Parlando del modo sbagliato di pregare, Gesù menziona alcuni usi e costumi strani di quell’epoca. Quando veniva suonata la trombetta per la preghiera del mattino, di mezzogiorno e del pomeriggio, c’era gente che cercava di trovarsi in mezzo alla strada per pregare solennemente con le braccia aperte facendosi così vedere da tutti ed essere considerata, così, gente pia. Altri nella sinagoga, assumevano atteggiamenti stravaganti, per attirare l’attenzione delle comunità.
- Matteo 6,6: Come pregare. Per non lasciarne dubbi, Gesù esagera su come pregare. Dice che bisogna pregare, in segreto, solo davanti a Dio Padre. Nessuno ti vedrà. Anzi, forse, per gli altri, tu sarai una persona che non prega. Non importa! Anche di Gesù lo dissero: “Non è di Dio!”. E questo perché Gesù pregava molto di notte e non gli importava l’opinione degli altri. Ciò che importa è avere la coscienza in pace ed avere la certezza che Dio è il Padre che mi accoglie, e non a partire da ciò che io faccio per Dio o a partire dalla soddisfazione che cerco nel fatto che altri mi apprezzano come una persona pia e che prega.
- Matteo 6,16: Come non fare digiuno. Gesù critica le pratiche sbagliate del digiuno. C’era gente che si rattristava nel volto, non si lavava, usava vestiti stracciati, non si pettinava, in modo che tutti potessero vedere che stava digiunando, ed in modo perfetto.
- Matteo 6,17-18: Come fare il digiuno. Gesù raccomanda il contrario: Quando tu digiuni, spargi profumo sulla tua testa, lavati il viso, in modo che nessuno capisca che tu stai facendo digiuno, ma solo tuo Padre che è nei cieli.
- Come dicevamo prima, si tratta di un cammino nuovo di accesso al cuore di Dio che si apre davanti a noi. Gesù, per assicurarci interiormente, non chiede ciò che noi facciamo per Dio, bensì ciò che Dio fa per noi. L’elemosina, la preghiera ed il digiuno non sono soldi per comprare il favore di Dio, ma sono la risposta di gratitudine all’amore ricevuto e sperimentato.
c) Ampliando l’informazione:
1) Il contesto più ampio del Vangelo di Matteo: Il vangelo di Matteo è stato scritto per una comunità di giudei convertiti che stavano attraversando una crisi profonda di identità, con rapporto al loro passato. Dopo essersi convertiti a Gesù, avevano continuato a vivere secondo le loro antiche tradizioni e frequentavano le sinagoghe, insieme a parenti ed amici, come prima. Ma soffrivano a causa di una forte pressione da parte degli amici giudei che non accettavano Gesù come il Messia. Questa tensione aumentò dopo l’anno 70 dC. Quando, nel 66 dC, scoppiò la rivolta dei giudei contro Roma, due gruppi non vollero partecipare, il gruppo dei farisei ed il gruppo dei giudei cristiani. Ambedue i gruppi sostenevano che andare contro Roma non aveva nulla a che fare con la venuta del messia, come altri sostenevano. Dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani nel ‘70, gli altri gruppi giudei scomparvero tutti. E rimasero solo i farisei e i giudei cristiani. Ambedue i gruppi pretendevano di essere gli eredi delle promesse dei profeti e, per questo, aumentava la tensione tra i fratelli, a causa dell’eredità. I farisei riorganizzarono il resto del popolo e presero posizione sempre di più contro i cristiani, che finirono per essere scomunicati dalle sinagoghe. Questa scomunica riaccese tutto il problema dell’identità. Ora i cristiani erano in modo ufficiale e formale separati dal popolo delle promesse. Non potevano frequentare più le loro sinagoghe, i loro rabbini. E loro si chiedevano: Chi è il vero popolo di Dio: loro o noi? Con che sta Dio? Gesù è veramente il Messia? Matteo, quindi, scrive il suo vangelo (1) per questo gruppo di cristiani, come un vangelo di consolazione per coloro che erano stati scomunicati e perseguitati dai giudei; aiutandoli a superare il trauma della rottura; (2) come un vangelo di rivelazione, mostrando che Gesù è il vero Messia, il nuovo Mosè, che compie le promesse; (3) come vangelo della nuova pratica, mostrando come devono fare per arrivare alla vera giustizia, maggiore della giustizia dei farisei.
2) Una chiave per il Discorso della Montagna:
- Il Discorso della Montagna è il primo dei cinque discorsi del vangelo di Matteo. Descrive le condizione che permettono ad una persona di poter entrare nel Regno di Dio: la porta di entrata, la nuova lettura della legge, il modo nuovo di vedere e praticare le opere di pietà; il modo nuovo di vivere in comunità. In una parola, nel Discorso della Montagna, Gesù comunica il modo nuovo di guardare le cose della Vita e del Regno. Si tratta di una divisione che serve da chiave di lettura:
- Mt 5,1-16: La Porta di entrata
a) Mt 5,1-10: Le otto Beatitudini aiutano a percepire dove il regno è già presente (Mt tra i poveri ed i perseguitati) e dove starà tra breve (Mt tra gli altri sei gruppi).
b) Mt 5,12-16: Gesù dirige parole di consolazione ai discepoli ed avvisa: colui che vive le beatitudini sarà perseguitato (Mt 5,11-12), ma la sua vita avrà un senso, un significato, perché sarà sale della terra (Mt 5,13) e luce del mondo (Mt 5,14-16).
- Mt 5,17-a-6,18: La nuova relazione con Dio: Una nuova Giustizia
a) Mt 5,17-48: La nuova giustizia deve superare la giustizia dei farisei. Gesù radicalizza la legge, cioè, la conduce alla sua radice, al suo obiettivo principale ed ultimo che è servire la vita, la giustizia, l’amore e la verità. I comandamenti della legge indicano un nuovo cammino di vita, evitato dai farisei (Mt 5,17-20). Subito Gesù presenta vari esempi di come devono essere capiti i comandamenti della Legge di Dio data da Mosè: anticamente vi è stato detto, ma io vi dico (Mt 5,21-48).
b) Mt 6,1-18: La nuova giustizia non deve cercare ricompensa o merito (È il vangelo di questo Mercoledì della Ceneri)
- Mt 6,19-34: Il nuovo rapporto con i beni della terra: una nuova visione della creazione: Affronta i bisogni primari della vita: alimento, vestiti, casa, salute. È la parte della vita che produce più angoscia nelle persone. Gesù insegna come rapportarsi ai beni materiali ed alle ricchezze della terra: non accumulare beni (Mt 6,19-21), non guardare il mondo con sguardo afflitto (Mt 6,22-23), non servire Dio ed il denaro nello stesso tempo (Mt 6,24), non preoccuparsi di ciò che mangiamo e beviamo (Mt 6,23-34).
- Mt 7,1-29: Il nuovo rapporto con le persone: una nuova vita in comunità: Non cercare la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello (Mt 7,1-5); non gettare le perle ai porci (Mt 7,6); non aver paura di chiedere le cose a Dio (Mt 7,7-11); la regola d’oro (Mt 7,12); scegliere il cammino stretto e difficile (Mt 7,13-14); fare attenzione ai falsi profeti (Mt 7,15-20); non solo parlare ma agire (Mt 7,21-23); la comunità costruita su questa base resterà in piedi malgrado la tempesta (Mt 7,24-27). Il risultato di queste parole è una nuova coscienza dinanzi agli scribi ed ai dottori (Mt 7,28-29).

Rito ambrosiano: Nel rito ambrosiano, in cui la Quaresima è posticipata di quattro giorni e inizia la domenica immediatamente successiva (e in cui pertanto il carnevale termina con il “sabato grasso”), l’imposizione delle ceneri avviene o in quella stessa prima domenica di Quaresima oppure, preferibilmente, il lunedì seguente. Il giorno di digiuno e astinenza viene invece posticipato al primo venerdì di Quaresima. Mentre la tradizione popolare meneghina fa risalire il proprio carnevale prolungato, o “carnevalone”, a un “ritardo” annunciato dal vescovo di Milano sant’Ambrogio, impegnato in un pellegrinaggio, nel tornare in città per celebrare i riti quaresimali, in realtà tale differenziazione cronologica dipende da un consolidato e più antico computo dei quaranta giorni della Quaresima, conservato peraltro anche nel rito bizantino.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
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MessaggioTitolo: sabato 12 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Mar 12, 2011 9:51 am

SABATO 12 MARZO 2011

SABATO DOPO LE CENERI


Preghiera iniziale: Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente, la debolezza dei tuoi figli, e a nostra protezione e difesa stendi il tuo braccio invincibile.

Letture:
Is 58,9-14 (Se aprirai il tuo cuore all’affamato, brillerà fra le tenebre la tua luce)
Sal 85 (Mostrami, Signore, la tua via)
Lc 5,27-32 (Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano)

Il banchetto del peccatore
Non si può digiunare quando lo sposo è con noi, abbiamo sentito ieri. La sua presenza, il suo intervento nella vita di Levi, un pubblicano disprezzato da tutti, ha significato la sua conversione. Il banchetto organizzato per il Signore nella sua casa è un momento di festa e di doverosa gratitudine. Gesù è intervenuto come medico a sanare una vita e s’intravede già in tutto ciò un preannuncio della Pasqua, un annuncio del suo sacrificio sulla croce e contemporaneamente la gioia della risurrezione dal peccato per un povero pubblicano. Levi è un vero risorto, perché strappato dalla schiavitù del peccato e rinato a vita nuova. Vengono così infrante le barriere che i scribi e i farisei, chiusi nel loro falso puritanismo, avevano eretto verso il mondo degli impuri e dei peccatori. Gesù invece viene a convincerci che la sua missione privilegia proprio i malati e i peccatori, tutti noi che in questo periodo di confronto e di conversione veniamo a scoprire, con più evidenza, le nostre umane debolezze, che ci abbatterebbero se la speranza della redenzione e del perdono si spegnesse in noi. Ci convinciamo ulteriormente che, pur venendo dalla triste esperienza del peccato, stiamo per sperimentare ancora in noi i frutti della redenzione e vediamo ravvivata la fede, la certezza di una vita nuova in Cristo. Possiamo già approntare i primi preparativi per il banchetto e per le festa, ci separano solo quaranta giorni dalla Pasqua. Anche in padre misericordioso, al ritorno del figlio perduto, gli corse incontro, lo baciò e, dopo averlo rivestito degli abiti migliori, fece preparare per lui un grande banchetto.
Questo passo del Vangelo ci mostra la conversione che Gesù aspetta da ciascuno di noi, ed è molto dolce: si tratta di riconoscerci peccatori, e di andare a lui come al nostro Salvatore; si tratta di riconoscerci malati e di andare a lui come al nostro medico... La peggiore cosa che possa capitarci è di crederci “giusti”, cioè di essere contenti di noi stessi, di non avere nulla da rimproverarci: perché noi ci allontaneremmo irrimediabilmente, per questo semplice fatto, dal nostro Dio di misericordia. Ma quando ci consideriamo peccatori, possiamo entrare subito nel cuore di Gesù. Gesù non aspetta che siamo perfetti per invitarci a seguirlo. Ci chiama sapendo benissimo che siamo poveri peccatori, molto deboli. Egli potrà lasciarci per tutta la vita molti difetti esteriori; ciò che importa è che il fondo del nostro cuore resti unito a lui. I nostri peccati non saranno mai un ostacolo alla nostra unione con Dio, se noi saremo dei poveri peccatori, cioè dei peccatori penitenti, umili, che si affidano alla misericordia di Dio e non alle proprie forze. È a questa conversione d’amore e di umiltà, a questo incontro con il nostro Salvatore, che siamo tutti invitati durante la Quaresima. Tutti abbiamo bisogno di conversione e di guarigione, e Gesù ci prende così come siamo. Con lo stesso sguardo di misericordia dobbiamo guardare ogni nostro fratello, senza mai scandalizzarci, come il primogenito nella parabola del figliol prodigo, dei tesori di tenerezza che nostro Padre impiega per i suoi figli più perduti.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

Riflessione:
- Il Vangelo di oggi presenta lo stesso tema su cui abbiamo riflettuto a Gennaio nel vangelo di Marco (Mc 2,13-17). Solo che questa volta ne parla il Vangelo di Luca ed il testo è ben più corto, concentrando l’attenzione sulla scena principale che è la chiamata e la conversione di Levi e la conversione che ciò implica per noi che stiamo entrando in quaresima.
- Gesù chiama un peccatore ad essere suo discepolo. Gesù chiama Levi, un pubblicano, e costui, immediatamente, lascia tutto, segue Gesù ed entra a far parte del gruppo dei discepoli. Subito Luca dice che Levi ha preparato un grande banchetto nella sua casa. Nel Vangelo di Marco, sembrava che il banchetto fosse in casa di Gesù. Ciò che importa è l’insistenza nella comunione di Gesù con i peccatori, attorno al tavolo, cosa proibita.
- Gesù non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Il gesto di Gesù produsse rabbia tra le autorità religiose. Era proibito sedersi a tavola con pubblicani e peccatori, poiché sedersi a tavola con qualcuno voleva dire trattarlo da fratello! Con il suo modo di fare, Gesù stava accogliendo gli esclusi e li stava trattando da fratelli della stessa famiglia di Dio. Invece di parlare direttamente con Gesù, gli scribi dei farisei parlano con i discepoli: Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? E Gesù risponde: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi!”. La coscienza della sua missione aiuta Gesù a trovare la risposta e ad indicare il cammino per l’annuncio della Buona Novella di Dio. Lui è venuto per riunire la gente dispersa, per reintegrare coloro che erano stati esclusi, per rivelare che Dio non è un giudice severo che condanna e respinge, bensì un Padre/Madre che accoglie ed abbraccia.

Per un confronto personale:
- Gesù accoglie ed include le persone. Qual è il mio atteggiamento?
- Il gesto di Gesù rivela l’esperienza che ha di Dio Padre. Qual è l’immagine di Dio di cui sono portatore/portatrice verso gli altri mediante il mio comportamento?

Preghiera finale: Signore, tendi l’orecchio, rispondimi, perché io sono povero e infelice. Custodiscimi perché sono fedele; tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera (Sal 85).
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MessaggioTitolo: domenica 13 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Mar 13, 2011 10:15 am

DOMENICA 13 MARZO


RITO ROMANO
ANNO A
I DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché Egli ci aiuti a leggere la Bibbia nello stesso modo in cui Tu l’hai letta ai discepoli lungo la strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Te lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci ha rivelato il Padre e inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
Gn 2,7-9; 3, 1-7 (La creazione dei progenitori e il loro peccato)
Sal 50 (Perdonaci, Signore: abbiamo peccato)
Rm 5,12-19; forma breve: Rm 5,12.17-19 (Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia)
Mt 4, 1-11 (Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato)

Cristo Gesù ha vinto il mondo!
Da Adamo fino ad oggi, l’uomo, capace di intendere e di volere perché fatto somigliante a Dio suo creatore, è soggetto alla prova, alla tentazione e di conseguenza al pericolo di peccare. La seduzione originaria, la più forte è sempre quella di spezzare ogni vincolo di dipendenza dal nostro Creatore nella illusione di poter così godere la pienezza della libertà e diventare come Lui. Ora invece sappiamo bene quello che ci è accaduto e ci accade: ci siamo ritrovati disorientati, spauriti e nudi, fuori dell’ambito dell’amore, fuori del paradiso terrestre. Il maligno continua a fare la sua parte: vuole ancora indurci al male per condurci nel suo regno di odio e di morte eterna. Egli è dichiarato nemico di Dio, nemico dell’uomo, nemico della vita e di tutto ciò che è bene e bello. Il suo obiettivo è quello di distruggere, di annientare l’opera di Dio, cominciando proprio dell’uomo. Gesù, nuovo Adamo, prima di iniziare la sua missione, si sottopone volontariamente alle più violente tentazioni nella desolazione del deserto, dopo un lungo ed estenuante digiuno. Satana fa appello alla divinità di Gesù e alla sua onnipotenza sollecitandolo a cambiare le pietre in pane. Gesù in vero moltiplicherà i pani, ma non a suo uso e consumo e non come spettacolarizzazione delle sue virtù divine. Non si lascia sedurre dall’eventuale possesso dei beni terreni colui che ne è l’autore supremo: tutto ciò che esiste è stato farro per mezzo di Cristo! Egli, Verbo, Parola e Verità non cade nel tranello di una falsa interpretazione della scrittura sacra. Gli angeli accorrono sì a servirlo, ma non a trattenerlo da un gesto folle come quello di gettarsi dal pinnacolo del tempio. A ben riflettere le tentazioni di Gesù sono il prototipo di tutte le nostre tentazioni. Egli permette che satana lo tenti affinché la sua vittoria diventi la nostra vittoria sul male. Egli sta già iniziando in modo palese la sua opera di redentore dell’uomo. “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo”, ho vinto il male del mondo vuole dirci il Signore. Quante volte il dilagare del male, gli eventi catastrofici ci vorrebbero convincere di essere sopraffatti e perdenti o ancor peggio di attribuire al buon Dio ciò che opera del Maligno, al quale noi abbiamo spalancate le porte e dato ogni potere! Quante volte il male che si annida nei nostri cuori, vorrebbe fare della nostra vita una tomba! E’ vero, è spesso difficile trovare un senso, una luce in ciò che succede intorno (persino dentro) a noi. Eppure Gesu’ insiste con la sua folle promessa. Sentendo il suo Spirito in noi forse possiamo tentare di accendere un lumino di senso nel mondo che ci circonda. Questa è la luce vera che lo stesso Cristo ci ha donato, questa luce dobbiamo spargere nel mondo di oggi.
Gesù viene presentato come il nuovo Adamo che, contrariamente al primo, resiste alla tentazione. Ma egli è anche il rappresentante del nuovo Israele che, contrariamente al popolo di Dio durante la traversata del deserto che durò quarant’anni, rimette radicalmente la sua vita nelle mani di Dio - mentre il popolo regolarmente rifiutava di essere condotto da Dio. In ognuno dei tre tentativi di seduzione, si tratta della fiducia in Dio. Si dice, nel Deuteronomio (Dt 6,4): “Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Significa esigere che Dio sia il solo ad essere amato da Israele, il solo di cui fidarsi. Ciò significa anche rinunciare alla propria potenza, a “diventare come Dio” (Gen 3,5). A tre riprese, Satana tenta Gesù a servirsi del suo potere: della sua facoltà di fare miracoli (v. 3), della potenza della sua fede che pretenderebbe obbligare Dio (v. 6), della dominazione del mondo sottomettendosi a Satana e al suo governo di violenza (v. 9). Gesù resiste perché Dio è nel cuore della sua esistenza, perché egli vive grazie alla sua parola (v. 4), perché egli ha talmente fiducia in lui che non vuole attentare alla sua sovranità né alla sua libertà (v. 7), perché egli sa di essere impegnato esclusivamente a servirlo (v. 10).

Approfondimento del Vangelo (L’incontro di Gesù con Satana nel deserto)
Il testo: In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Una chiave di lettura: Leggiamo questo testo che descrive le tentazioni di Gesù, che sono le tentazioni di tutti gli esseri umani. Durante la lettura, prestiamo attenzione alla seguente domanda: quali sono le tentazioni, dove e come avvengono, come sono affrontate da Gesù?

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Mt 4,1-2: La situazione dove e da dove nasce la tentazione: deserto, spirito, digiuno e fame
- Mt 4,3-4: La tentazione del pane
- Mt 4,5-7: La tentazione del prestigio
- Mt 4,8-11: La tentazione del potere

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Quali furono le tentazioni? Cosa hanno a che vedere lo Spirito, il deserto, il digiuno e la fame con le tentazioni di Gesù?
- La parola tentazione cosa ci suggerisce oggi? In che modo essa si manifesta nel mio quotidiano?
- Tentatore o satana è sempre colui, colei o quella cosa che ci allontana o ci devia dal cammino di Dio. È possibile che io sia già stato satana per qualcuno, come Pietro fu satana per Gesù?
- Lo Spirito conduce Gesù nel deserto per essere tentato dal diavolo. Questo evoca le tentazioni del popolo nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Cosa vuole suggerire e insegnare Matteo con questa evocazione delle tentazioni del popolo nel deserto?
- Il demonio usa la Bibbia per tentare Gesù. Gesù usa la stessa Bibbia per vincere la tentazione! La Bibbia serve per tutto? Come e con quale finalità uso la Bibbia?
- La tentazione del pane. Come parlare di Dio a chi ha abbondanza di tutto? Come parlare di Dio a chi sente la fame?
- La tentazione del prestigio. Prestigio della scienza, del denaro, della condotta morale irreprensibile, della bella figura, del nome, dell’onore. Questa appare nella mia vita?
- La tentazione del potere. Là dove due persone si incontrano, sorge una relazione di potere. Come uso il potere che mi tocca nella vita: nella famiglia, nella comunità, nella società, nel mio quartiere? Soccombo alla tentazione?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento: Gesù fu tentato. Matteo rende comprensibili le tentazioni: tentazione del pane, tentazione del prestigio, tentazione del potere. Si tratta di diverse forme di speranza messianica che, in quel tempo, esistevano in mezzo ai popoli. Il Messia glorioso che, come un nuovo Mosè, nutrirebbe il popolo nel deserto: “comanda a queste pietre di trasformarsi in pane!”. Il Messia sconosciuto che repentinamente si imporrebbe a tutti per mezzo di un gesto spettacolare nel Tempio: “gettati giù di qui!”. Il Messia nazionalista che verrebbe a dominare il mondo: “Tutte queste cose io ti darò!”. Nell’Antico Testamento, tentazioni identiche fanno cadere il popolo nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto (Dt 8,3; 6,16; Dt 6.13). Gesù rifà la storia. Lui resiste alla tentazione di pervertire il piano di Dio per adattarlo ai suoi interessi umani del momento. Tentatore o satana è tutto ciò che ci devia dal piano di Dio. Pietro fu satana per Gesù (Mt 16,23). La tentazione fu constante nella vita di Gesù. Essa lo accompagnò dall’inizio sino alla fine, dal battesimo fino alla morte sulla croce. Poiché, nella misura in cui l’annunzio della Buona Novella del Regno si dilagava in mezzo al popolo, cresceva la pressione su Gesù per adattarsi alle aspettative messianiche del popolo ed essere il messia che gli altri desideravano e volevano: “messia glorioso e nazionalista”, “messia re”, “messia sommo sacerdote”, “messia giudice”, “messia guerriero”, “messia dottore della legge”. La lettera agli Ebrei dice: “Lui è stato provato in tutto a somiglianza di noi, salvo il peccato” (Eb 4,15). Ma la tentazione non è mai riuscita a deviare Gesù dalla sua missione. Lui continuava irreprensibile sul cammino del “Messia Servo”, annunziato dal profeta Isaia e atteso soprattutto dai poveri del popolo, gli anawim. Al riguardo, Gesù non ha avuto paura di provocare conflitti, né con le autorità né con le persone più care. Tutti quelli che tentavano di deviarlo dal cammino ricevevano risposte dure e reazioni inattese:
- Pietro tentò di allontanarlo dal cammino della Croce: “Non sia mai vero, Signore; questo non t’avverrà mai!” (Mt 16,22). E dovette sentire: “Va’ via da me, Satana!” (Mc 8,33).
- I parenti, per primi, volevano portalo a casa. Pensavano che lui fosse impazzito (Mc 3,21), ma ascoltarono le parole dure che sembravano una rottura (Mc 3,33). Quando poi Gesù ricevette fama, volevano che lui si mostrasse di più in pubblico e stesse a Gerusalemme, il capoluogo (Gv 7,3-4). Ancora una volta, Gesù rispose mostrando che vi era una differenza radicale tra la sua proposta e la loro (Gv 7,6-7).
- I suoi genitori si lamentavano: “Figlio, perché ci hai fatto questo?” (Lc 2,48). Ed ebbero come risposta: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio?” (Lc 2,49).
- Gli apostoli contenti della pubblicità che Gesù aveva acquistato in mezzo al popolo volevano che lui si volgesse loro: “Tutti ti cercano!” (Mc 1,37). Ma ricevettero un rifiuto: “Andiamo altrove, per i villaggi e le città vicine, affinché predichi anche là; poiché per questo io son venuto!” (Mc 1,38).
- Giovanni Battista voleva forzare Gesù ad essere un “messia giudice severo” (Lc 3,9; Mt 3,7-12; Mt 11,3). Gesù rimandò Giovanni alle profezie perché le mettesse a confronto con i fatti: “Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete!” (Mt 11,4-6 e Is 29,18-19; 35,5-6; 61,1).
- Il popolo, vedendo il segno della moltiplicazione dei pani nel deserto, concluse: “Questi è certamente il profeta che deve apparire sulla terra!” (Gv 6,14). Loro si organizzarono per forzare Gesù ad essere il “messia re” (Gv 6,15), ma Gesù si rifugio’ nella montagna per stare con il Padre nella solitudine.
- Nell’ora della prigione, l’ora delle tenebre (Lc 22,53), appare la tentazione di essere il “messia guerriero”. Ma Gesù dice: “Riponi la tua spada al suo posto!” (Mt 26,52) e “Pregate per non cadere in tentazione” (Lc 22,40.46).

Gesù era orientato dalla Parola di Dio e in essa trovava luce e nutrimento. È soprattutto la profezia del Servo, annunziata da Isaia (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,3-9; 52,13-53,12), che lo anima e gli da il coraggio di proseguire. Nel battesimo e nella trasfigurazione lui riceve dal Padre la conferma del suo cammino, la sua missione. La voce dal cielo ripete le parole con cui la profezia di Isaia presenta il Servo di Jahvè al popolo: “Questo è il mio Figlio diletto: ascoltatelo!” (Mc 1,11; 9,6). Gesù definì la sua missione con queste parole: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire a dare la sua vita per la redenzione di molti!” (Mt 20,28; Mc 10,45). È la lezione che imparò da sua madre, poiché lei aveva detto all’angelo: “Ecco l’ancella del Signore; si faccia di me secondo la tua parola!” (Lc 1,38). Orientandosi sulla Parola di Dio per approfondire la coscienza della sua missione e cercando forza nella preghiera, Gesù affrontava le tentazioni. Inserito in mezzo ai poveri, agli anawim, è unito al Padre, fedele ad entrambe, gli resisteva e seguiva la strada del Messia Servo, il cammino di servizio al popolo (Mt 20,28).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto capire meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
I DOMENICA DI QUARESIMA


Letture:
Is 58,4b-12b
Sal 102
2Cor 5,18-6,2
Mt 4,1-11

Le tentazioni di Gesù
All’inizio del suo ministero Gesù si ferma a riflettere quale tipo di missione s’aspetti Dio Padre da lui. S’accorge che le attese di Dio sono diverse da quelle degli uomini, sia del popolo d’Israele sia di ognuno di noi anche oggi. Poste all’inizio di questa quaresima, le tentazioni di Gesù e le sue risposte costituiscono una contestazione alle nostre attese riguardo a Dio e, più profondamente, all’idea che abbiamo di Dio. Proprio questo significa la verifica quaresimale del nostro battesimo, per giungere a Pasqua con una sua ratifica più vera e più.. gioiosa!
Non solo di pane: Israele nel deserto era preoccupato del cibo e della sussistenza. Il Signore gli aveva provveduto con la manna, con la carne delle quaglie, con l’acqua scaturita dalla roccia. Ma assieme - ogni volta - aveva affiancato il richiamo alla fedeltà all’Alleanza, all’obbedienza alla Legge data da Mosè, perché in questa adesione stava la sua sopravvivenza come popolo di Dio. Gesù, nuovo e fedele Israele, rivive le medesime tentazioni: “Di’ che queste pietre diventino pane”; ma sceglie non di fermarsi alla preoccupazione del solo pane materiale, ma di aprirsi alla parola di Dio: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Altrove dirà: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Anche noi siamo continuamente tentati di rinchiuderci alla sola ricerca del benessere materiale e del consumismo e riporre nella salute del corpo, nello sviluppo economico e tecnico tutta la nostra attesa e la nostra sicurezza. Ma - ricorda il Signore - ben più grande è la tua fame, o uomo, ben più profondo è il tuo bisogno interiore, e quindi ben più alta è la tua riuscita e soddisfazione. Apriti a Dio, alla sua Parola, al suo disegno, perché sei fatto per Dio, per il cielo, non per la terra. “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (sant’Agostino).
Non metterai alla prova il Signore: Israele nel deserto, pur aiutato da Dio, sovente mormorava contro di Lui. Un giorno era senz’acqua, ricorse a Mosè con tale violenza che questi si spaventò. Gli chiesero in modo radicale: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”. Dio, pur non negando la sua Provvidenza, metteva un po’ alla prova il suo popolo con qualche rischio, perché desiderava si fidasse di Lui anche nei momenti della prova. Dio non vuol essere il tappabuchi del momento, che corre a soddisfare ogni nostro bisogno o capriccio. Questo si chiama “religione”,... non “fede”! Gesù anche lui è tentato di usare della propria potenza divina per il successo della sua missione. “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. Gesù risponde a satana: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”, cioè non pretendere miracoli, sta al suo disegno, fidati di Lui. Lui stesso ci insegnerà a pregare: “Sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10). Nella sua missione di Messia non usò mai del suo potere divino per ottenere successo o per sbaragliare i nemici, né al Getsemani né sulla croce, dove anzi disse: “È compiuto!” (Gv 19,30). Una docilità al Padre fino alla morte. Anche noi siamo tentati di usare Dio per i nostri interessi, per le nostre mire e i nostri programmi. Molta parte della religiosità contemporanea sta deviando verso forme meschine di magia e superstizione, con le quali vuol carpire il potere o il segreto di Dio per il proprio tornaconto. Nello stesso errore finisce anche molta nostra religiosità, quando si ferma al proprio interesse e non si fida di Dio, o abbandona le sue vie quando le trova diverse dalle proprie. Non capita di dire anche noi: Mi è accaduta questa malattia, questa disgrazia...: il Signore c’è o non c’è? Aver fede è credere che Dio vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me. Val la pena di lasciar fare da lui, senza imporgli nostri schemi e ritmi.
Il Signore, tuo Dio, adorerai: Israele s’aspettava da sempre un Messia che fosse un re potente, capace di sbaragliare i nemici e fare di questo popolo una potenza vasta quanto il mondo intero. Più di una volta il Signore aveva castigato questa presunzione, col costringerlo all’esilio, con la distruzione di Gerusalemme, con la perdita d’ogni autonomia politica. Ancora al tempo di Gesù l’aspettativa era per una rivoluzione politica e per una liberazione dal giogo romano. Per questo Gesù fu sempre prudente nel rivelare la sua missione di Messia. Forse anche Gesù poté sentire il fascino del successo e del potere; satana gli mostrò tutti i regni della terra e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” - “Il Signore, tuo Dio, adorerai, rispose Gesù, a lui solo renderai culto”. Non ci deve essere alcuna idolatria né del potere né del prestigio né del possesso. Io, Gesù, non sono venuto a conquistare il mondo con le armi, ma con l’amore. La missione di Gesù è in tutt’altra linea: “Il mio Regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Egli sapeva che l’immagine vera del Messia l’aveva data Isaia rievocando il Servo Sofferente che si sacrifica per la salvezza di tutti. Quanta idolatria del potere e del prestigio c’è in noi uomini: idoli ai quali sacrifichiamo tutto! Tutte le guerre, tutte le divisioni, tutte le violenze nascono proprio da questa idolatria. Anche all’interno della nostra vita di Chiesa, quanto è facile privilegiare strumenti di potere, mire di espansione, privilegi e puntelli umani, invece della povertà in spirito che è il fidarsi di Dio e dei suoi metodi!
Per questo le scelte operate da Gesù rivelano qualcosa del disegno di Dio, qualcosa del suo atteggiamento e del suo modo specifico di intervenire nella storia, rivelano un volto proprio e sorprendente di Dio ben diverso da come ce l’aspettiamo. È un Dio che non vuol imporsi con miracoli per manifestare la sua onnipotenza vincente. È un Dio che non vuol usare la sua forza e il suo prestigio per interessi personali. Al contrario, è un Dio che segue il cammino della croce per mostrare il dono di sé. Si apre la Quaresima. Il vero digiuno - ci dice oggi Isaia - è giustizia e carità. Più profondamente, Paolo ci invita a lasciarsi “riconciliare” da Dio. È opera si di una iniziale nostra apertura la conversione; ma è soprattutto opera della Grazia e dei sacramenti. Più spazio alla Parola di Dio, e alla preghiera.
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MessaggioTitolo: sabato 19 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Mar 19, 2011 10:06 am

SABATO 19 MARZO 2011

SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE
SPOSO DELLA BEATA VERGINE MARIA


Orazione iniziale: Spirito che aleggi sulle acque, calma in noi le dissonanze, i flutti inquieti, il rumore delle parole, i turbini di vanità, e fa sorgere nel silenzio la Parola che ci ricrea. Spirito che in un sospiro sussurri al nostro spirito il Nome del Padre, vieni a radunare tutti i nostri desideri, falli crescere in fascio di luce che sia risposta alla tua luce, la Parola del Giorno nuovo. Spirito di Dio, linfa d’amore dell’albero immenso su cui ci innesti, che tutti i nostri fratelli ci appaiano come un dono nel grande Corpo in cui matura la Parola di comunione (Frère Pierre-Yves di Taizé).

Letture (rito romano):
2Sam 7,4-5.12-14.16 (Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre)
Sal 88 (In eterno durerà la sua discendenza)
Rm 4,13.16-18.22 (Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza)
Mt 1,16.18-21.24 (Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore);
oppure Lc 2,41-51 (Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo)

Letture (Rito ambrosiano):
Sir 44,23h-45,2a.3d-5d
Sal 15
Eb 11,1-2.7-9.13c.39-12,2b
Mt 2,19-23

Giuseppe, uomo giusto
San Giuseppe è presentato, nel Nuovo Testamento, con pochi ma essenziali tratti. Come personaggio, nei testi sacri, non dice neanche una parola e a lui ne sono riservate poche, ma molto profonde. Giuseppe è chiamato, dall’Evangelista ispirato, «uomo giusto»: un uomo di Dio. Il vangelo odierno (e scegliamo il brano alternativo, quello di Luca), ce lo presenta in un momento particolare della vita di Cristo, ancora adolescente e smarrito. L’apprensione che traspare dal testo sacro, rivela il suo amore di padre e la fedeltà al suo compito e al suo ruolo speciale, di custode della Santa famiglia, ricevuti per volere divino. Anche questo ci aiuta a comprendere il significato reale della definizione della sua giustizia, del suo essere giusto agli occhi di Dio e a quelli degli uomini. Le continue manifestazioni angeliche sono la testimonianza di un rapporto diretto e privilegiato con Dio. Le sue decisioni dipendono da questo rapporto. La sua giustizia non è semplice e severa applicazione di alcune leggi prescritte; egli sa guardare gli avvenimenti da molti punti di vista: alla fine sceglie la visuale di Dio. La sua giustizia è l’applicazione della misericordia, è l’affidamento completo ai progetti divini – anche se sembrano arcani e misteriosi. È uomo giusto perché non àpplica solo criteri terreni ma anche altre prospettive. Parte però sempre valutando serenamente quello che gli accade e pone al primo posto gli affetti familiari. Davanti ad avvenimenti che avrebbero sicuramente sconvolto qualsiasi uomo, San Giuseppe non fugge mai dalle sue responsabilità di sposo prima e padre poi: non rinuncia al suo ruolo di guida terrena – anche esegesi frettolose lo vogliono confinare ad un ruolo secondario nell’economia della Salvezza di Cristo. Tanti insegnamenti invece abbiamo dal suo comportamento, apparentemente dimesso, ma risoluto, dal suo saper giudicare le cose e le persone, della sua fiducia infinita in Dio e nelle persone a lui vicine. Possiamo capire da dove deriva tutto? Possiamo avere anche noi un insegnamento da quest’uomo giusto? È frutto, senz’altro di una preghiera costante, profonda e mai interrotta!

Approfondimento del Vangelo (Giuseppe, sposo di Maria, la Madre di Gesù)
Il testo (Mt 1,16.18-21.24): Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

Momenti di silenzio: perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Chiave di lettura: Il brano del vangelo di oggi è tratto dal primo capitolo del vangelo di Matteo che fa parte della sezione riguardante il concepimento, la nascita e l’infanzia di Gesù. Il centro di tutto il racconto è la persona di Gesù alla quale si costeggiano tutti gli eventi e le persone menzionate nel racconto. Si deve tenere presente che l’Evangelo rivela una teologia della storia di Gesù, perciò accostandoci alla Parola di Dio ne dobbiamo cogliere il messaggio nascosto sotto i veli del racconto senza perderci, come saggiamente ci ammonisce Paolo, «in questioni sciocche», guardandoci «dalle genealogie, dalle questioni e dalle contese intorno alla legge, perché sono cose inutili e vane» (Tt 3,9). Effettivamente, questo testo si collega alla genealogia di Gesù, che Matteo compone con l’intento di sottolineare la successione dinastica di Gesù, il salvatore del suo popolo (Mt 1,21). A Gesù vengono conferiti tutti i diritti ereditari della stirpe davidica, da «Giuseppe, figlio di Davide» (Mt 1,20; Lc 2,4-5) suo padre legale. Per il mondo biblico e ebraico la paternità legale bastava a conferire tutti i diritti della stirpe in questione (cfr. la legge del levirato e di adozione Dt 25,5ss). Perciò, subito dall’inizio della genealogia, Gesù viene designato come «Cristo figlio di Davide» (Mt 1,1) cioè l’unto del Signore figlio di Davide, con il quale si compiranno tutte le promesse di Dio a Davide suo servo (2Sam 7,1-16; 2Cr 7,18; 2Cr 21,7; Sal 89,30). Perciò Matteo aggiunge al racconto della genealogia e del concepimento di Gesù la profezia di Isaia: «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,21-23; Is 7,14). Soffermandoci, per così dire, sulla realtà spirituale dell’adozione, possiamo riferirci al fatto che il popolo eletto possiede «la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse» perché «essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli» (Rm 9,4). Ma anche noi, il popolo nuovo di Dio in Cristo riceviamo l’adozione a figli perché «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). è questa la salvezza che ci ha portato Gesù. Cristo «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21) perché egli è il «Dio con noi» (Mt 1,23) che ci rende figli adottivi di Dio.Gesù nasce da «Maria promessa sposa di Giuseppe» (Mt 1,18a) che «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18b). Matteo non ci da il racconto dell’annunciazione come fa Luca (Lc 1,26-38), ma struttura il racconto dal punto di vista dell’esperienza di Giuseppe, l’uomo giusto. La Bibbia ci rivela che Dio ama i suoi giusti e molte volte li sceglie per una missione importante, li protegge e non li accomuna con gli empi (Gen 18,23ss). Nell’Antico Testamento troviamo molti personaggi che sono ritenuti giusti. Pensiamo a Noè «uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei» (Gen 6,9). Oppure Ioas che «fece ciò che è giusto agli occhi del Signore» (2Re 12,3). Un’idea costante nella Bibbia è il «sogno» come luogo privilegiato dove Dio fa conoscere i suoi progetti e disegni, e alcune volte rivela il futuro. Ben conosciuti sono i sogni di Giacobbe a Betel (Gen 28,10ss) e Giuseppe suo figlio come pure quelle del coppiere e del panettiere imprigionati in Egitto con lui, (Gen 37,5ss; Gn 40,5ss) e i sogni del Faraone che rivelavano i futuri anni di prosperità e di carestia (Gen 41,1ss). A Giuseppe appare «in sogno un angelo del Signore» (Mt 1,20) per rivelargli il disegno di Dio. Nei vangeli dell’infanzia appare spesso l’angelo del Signore come messaggero celeste (Mt 1,20.24; 2,13.19; Lc 1,11; 2,9) e anche in altre occasioni questa figura appare per rasserenare, rivelare il progetto di Dio, guarire, liberare dalla schiavitù (cfr. Mt 28,2; Gv 5,4; At 5,19; 8,26; 12,7.23). Molte sono le referenze all’angelo del Signore anche nell’Antico Testamento dove originariamente rappresentava il Signore stesso che guida e protegge il suo popolo essendogli vicino (cfr. Gen 16,7-16; 22,12; 24,7; Es 3,2; 23,20; Tb 5,4).

Domande per orientare la meditazione e attualizzazione:
- Che cosa ti ha colpito in questo brano? Perché?
- Nella chiave di lettura, abbiamo dato ampio spazio ad alcuni termini (adozione, angelo, sogno, giusto). Quali sentimenti e pensieri hanno suscitato nel tuo cuore? Che rilevanza possono avere per il tuo cammino di maturazione spirituale?
- Quale pensi sia il messaggio centrale del brano evangelico?

Il testo (Lc 2,41-51): I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso.

Riflessione:
- La dinamica del racconto. All’inizio c’è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell’osservanza della legge. Un angoscioso incidente – Gesù dodicenne si perde – offre l’occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v. 47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L’evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv. 39-40) e con quest’ultimo motivo (vv. 51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.
- Dio come il Padre suo (v. 51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio. Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell’obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo. La risposta ai genitori che l’hanno cercato e l’hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell’identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v. 50).
- La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all’attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v. 52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un’attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall’ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.

Per un confronto personale:
- I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?
- Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?

Preghiera finale: A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione, ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua Santissima sposa. Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata vergine Maria, Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, guarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore: e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Amen.

19 marzo: San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria

Biografia: Sposo di colei che sarebbe stata Madre del Verbo fatto carne, Giuseppe è stato prescelto come “guardiano della parola”. Eppure non ci è giunta nessuna sua parola: ha servito in silenzio, obbedendo al Verbo, a lui rivelato dagli angeli in sogno, e, in seguito, nella realtà, dalle parole e dalla vita stessa di Gesù. Anche il suo consenso, come quello di Maria, esigeva una totale sottomissione dello spirito e della volontà. Giuseppe ha creduto a quello che Dio ha detto; ha fatto quello che Dio ha detto. La sua vocazione è stata di dare a Gesù tutto ciò che può dare un padre umano: l’amore, la protezione, il nome, una casa. La sua obbedienza a Dio comprendeva l’obbedienza all’autorità legale. E fu proprio essa a far sì che andasse con la giovane sposa a Betlemme e a determinare, quindi, il luogo dell’Incarnazione. Dio fatto uomo fu iscritto sul registro del censimento, voluto da Cesare Augusto, come figlio di Giuseppe. Più tardi, la gioia di ritrovare Gesù nel Tempio in Giuseppe fu diminuita dal suo rendersi conto che il Bambino doveva compiere una missione per il suo vero Padre: egli era soltanto il padre adottivo. Ma, accettando la volontà del Padre, Giuseppe diventò più simile al Padre, e Dio, il Figlio, gli fu sottomesso. Il Verbo, con lui al momento della sua morte, donò la vita per Giuseppe e per tutta l’umanità. La vita di Giuseppe fu offerta al Verbo, mentre la sola parola che egli affida a noi è la sua vita.

Martirologio: Solennità di San Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote
Il fedele nutrizio e custode
Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall’eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25,21). Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l’uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza. Infatti egli segna la conclusione dell’Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscenza aveva loro promesso. Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell’altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l’ha portata al massimo della perfezione. Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell’uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito. Ricordati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen (Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7,16.27-30).


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MessaggioTitolo: domenica 20 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Mar 20, 2011 10:15 am

DOMENICA 20 MARZO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
II DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: O Dio che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per divenire coeredi della sua vita immortale.

Letture:
Gn 12,1-4 (Vocazione di Abramo, padre del popolo di Dio)
Sal 32 (Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo)
2Tm 1,8-10 (Dio ci chiama e ci illumina)
Mt 17,1-9 (Il suo volto brillò come il sole)

Trasfigurato sul monte
È gioiosa e rassicurante la splendida teofanìa che oggi la Chiesa ci invita a contemplare insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni. Ci sono richieste alcune condizioni: dobbiamo essere presi e condotti sul monte da Gesù. È impossibile infatti pretendere di vedere Dio dai bassifondi della nostra povera umanità. Si richiede una assunzione ed una illuminazione previa. C’è poi un ordine solenne già scandito dall’Alto nel Giordano che viene ripetuto per noi: «Ascoltàtelo». Sì, è urgente ascoltare ora più che mai perché quanto dobbiamo ascoltare, totalmente ci coinvolge ed è duro e quasi incomprensibile per noi. Colui che è stato proclamato dal Padre celeste «Figlio mio prediletto», ora sta per subire una assurda condanna. Egli stesso va parlando di croce e di morte gettando lo scompiglio nel cuore e nella mente dei suoi apostoli e dei suoi discepoli. Per capire la croce bisogna almeno sorseggiare la gloria. Per capire il vero significato di un volto sfigurato e di un corpo martoriato bisogna contemplarlo splendente di luce divina ed emanante indicibile gioia. È una testimonianza che non serve soltanto ai tre fortunati testimoni, ma ad ognuno di noi che sperimentiamo nel cammino della nostra vita l’esperienza del dolore, delle nostre croci e di tutti i limiti umani. Illuminati dalla fede e dal bagliore divino che emana dalla persona di Gesù, dobbiamo in modo stabile e definitivo accostare i due monti importanti che indicano la mèta della nostra esistenza: il Tabor e il Gòlgota. Non potremmo raggiungere la vetta del primo senza aver faticosamente scalato prima il secondo. Comprendiamo in questa prospettiva cosa comporti l’impegno della salita, della sequela e dell’ascolto. È il modo concreto di dare il nostro pieno ed incondizionato assenso al Signore. Facciamo veramente nostro il suo invito: «Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». Il Tabor e il Gòlgota sono la via della salvezza. La stessa croce non ci spaventa più se la vediamo già spoglia e luminosa, trasformata in albero di vita. Occorre però creare una migliore sintonia tra la Parola di Dio e il nostro mondo chiassoso e distratto. Ci si sta operando ed affannando per nascondere e cancellare la croce da ogni esperienza umana. L’uomo del terzo millennio sta cercando invano di costruire dei piccoli Tabor di fatue trasfigurazioni e di cancellare e spianare i “gòlgota” del dolore e della sofferenza. Il risultato evidente è un grande disorientamento. Senza le debite ascese ci si cala nel deserto piatto e senza strade. E lì… il silenzio e di tomba!
Nelle Scritture, la montagna è sempre il luogo della rivelazione. Sono gli uomini come Mosè (Es 19) e Elia (1Re 19) che Dio incontra. Si racconta anche che il volto di Mosè venne trasfigurato da quell’incontro: “Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore” (Es 34,29). La magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della parola di Dio. Gesù si mette a brillare come il sole sotto gli occhi di tre discepoli: questo lo individua come colui che è l’ultimo a rivelare Dio, come colui che oltrepassa tutti i suoi predecessori. Ciò è sottolineato ancor più dal fatto che Mosè ed Elia appaiono e si intrattengono con lui. Essi rappresentano la legge e i profeti, cioè la rivelazione divina prima di Gesù. Gesù è l’ultima manifestazione di Dio. È quello che dimostra la nube luminosa - luogo della presenza divina (come in Es 19) - da dove una voce designa Gesù come il servitore regale di Dio (combinazione del salmo 2,7 e di Isaia 42,1). A ciò si aggiunge, in riferimento a Deuteronomio 18,15, l’esortazione ad ascoltare Gesù, ad ascoltare soprattutto il suo insegnamento morale.

Approfondimento del Vangelo (La trasfigurazione di Gesù)
Il testo: In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Momenti di silenzio perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Chiave di lettura: Il vangelo secondo Matteo insiste sulla venuta del regno dei cieli. Perciò quello di Matteo è il vangelo della Chiesa, cioè del popolo di Dio guidato dal suo capo e maestro Gesù il Cristo. Il testo che racconta l’evento della trasfigurazione fa parte di una sezione del vangelo nella quale, l’evangelista sviluppa il tema dell’inizio della venuta del regno in un gruppo di discepoli che a poco a poco costituirà il corpo della Chiesa. Il racconto della trasfigurazione lo troviamo in tutti i sinottici (Mc 9,2-8; Lc 9,28-36), e troviamo anche un riferimento a questo evento nella seconda lettera di Pietro (2Pt 1,16-18). Il testo di Matteo (17,1-9) però presenta alcune diversità. Il racconto si trova subito dopo il primo annunzio della passione e l’enunciazione delle condizioni necessarie nel sequela christi e anche l’evento della glorificazione del Figlio dell’uomo nella gloria del Padre (Mt 16,21-28). Prima della glorificazione, Gesù deve andare a Gerusalemme per il compimento del mistero pasquale, cioè: passione, morte e risurrezione (Mt 16,21). Coloro che desiderano e vogliono seguire Gesù devono rinnegare se stessi prendendo anche loro la croce per poi seguire il maestro (Mt 16,24). Solo cosi si potrà partecipare alla sua gloria: «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Coloro che non accettano l’evento della croce nella vita di Cristo e allora nel programma del sequela, sono considerati da Gesù «satana», perché non pensano «secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23). L’espressione che Gesù rivolge a Pietro: «lungi da me satana!» (Mt 16,23) ci ricorda una simile espressione usata da Gesù nella parabola del giudizio finale «quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria» (Mt 25,31-46): «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41). Questa maledizione è rivolta a coloro che non riconoscono il Signore e perciò non fanno parte del suo regno. Segue poi il racconto della trasfigurazione (Mt 17,1-9) con la domanda sulla venuta di Elia e la guarigione dell’epilettico indemoniato (Mt 17,20-21). Dopo questi eventi Gesù per la seconda volta annuncia la sua passione (Mt 17,22) e nella questione sul pagamento della tassa per i bisogni del tempio, Gesù gioca con le parole sulla realtà della figliolanza (Mt 17,24-27). Nella trasfigurazione il Padre dichiara che Gesù è «il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Anche noi in lui noi siamo figli del medesimo Padre (Mt 5,45; Mt 17,25-26). Gesù allora si presenta a noi come guida nel cammino verso il regno. Nel racconto della trasfigurazione Gesù è presentato come il nuovo Mosè che incontra Dio «su un alto monte» (Mt 17,1) nella «nuvola luminosa» (Mt 17,5) con il volto che brilla (Mt 17,2). Anche Mosè incontra Dio nella nube sul monte Sinai (Es 24,15-18), con il volto luminoso (Es 34,29-35). Anche Elia incontra il Signore sull’Horeb, il monte di Dio (1Re 19,9-13). Come per l’evento del Sinai (Es 19;20; 33-34), anche qui nella trasfigurazione c’è la rivelazione della nuova legge: Ascoltare il Figlio prediletto nel quale Dio Padre si compiace (Mt 17 5). Questa nuova legge, data da Dio sul Tabor per mezzo del nuovo Mosè, ci ricorda quello che disse il Patriarca nel libro del Deuteronomio: «Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto» (Dt 18,15). In questo testo della trasfigurazione, più importante della legge, della quale Gesù è il compimento (perciò dopo la visione gli apostoli «non videro più nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,7), si mette in rilievo la rivelazione da parte del Padre che proclama la filiazione divina di Gesù Cristo. Oltre a questa proclamazione nella trasfigurazione, l’identità del Figlio viene proclamata per altre due volte nel vangelo di Matteo: all’inizio e alla fine. Dopo il battesimo di Gesù nel Giordano, una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17); e quando Gesù muore in croce, il centurione esclama parole di rivelazione e di fede: «Davvero costui era il Figlio di Dio!» (Mt 27,54). Inoltre, questa proclamazione del Padre rivela Gesù come il servo del Signore, preannunciato da Isaia «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio» (Is 42,1). La scoperta dell’identità del Figlio, suscita nei tre testimoni il timore di Dio, prostrandosi con la faccia a terra (Mt 17 6). Già all’inizio del vangelo, nella nascita di Gesù, i Magi «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11). Una reazione simile la troviamo anche nel vangelo di Giovanni, dopo l’auto rivelazione del Signore, nel racconto dell’arresto di Gesù al Getsemani: «Disse loro Gesù: “Sono io!” [...] Appena disse: “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra» (Gv 18,5-6). Anche nell’Apocalisse, Giovanni «rapito in estasi» (Ap 1,10), vede «uno simile a figlio di uomo [...] il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza» (Apoc 1,12-16), e a causa di tale visione cade ai suoi piedi come morto (Apoc 1,17). L’Apostolo in Rm 14,11 e Fil 2,10 proclamerà che davanti al Signore, «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre». Questa visione è strettamente legata al mistero della Pasqua, sembra una apparizione di Gesù risorto in tutta la sua gloria, è una reannunciazione della vita futura. Per questo motivo «discendendo dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,9).

Alcune domande:
- Ti sei mai chiesto chi è la persona di Gesù? La tua visione dell’identità di Gesù combacia a questa proclamazione nella trasfigurazione?
- Che significato ha per la tua vita la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio?
- Gesù non si capisce senza il mistero pasquale della passione, morte e risurrezione. Che senso ha per te questo mistero? Come lo vivi quotidianamente?

Contemplazione: “In tua beltà a contemplarci andiamo”. Vuol significare: Comportiamoci in maniera tale da arrivare a specchiarci nella tua bellezza per mezzo della pratica dell’amore, vale a dire: siamo simili nella bellezza e sia la tua bellezza tale che, mirandoci scambievolmente, io appaia a te nella tua bellezza e tu mi veda in essa, il che avverrà trasformandomi nella tua bellezza. Così io vedrò te nella tua bellezza e tu me nella tua bellezza, e tu ti vedrai in me nella tua bellezza ed io mi vedrò in te nella tua bellezza. Che io sembri te nella tua bellezza e tu sembri me nella tua bellezza e la mia bellezza sia la tua e la tua sia la mia, così io sarò te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezza poiché la tua stessa bellezza sarà la mia (Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, 35/3).

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
La legge fu data per mezzo di Mosé, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
Il Signore manifesta la sua gloria alla presenza di molti testimoni e fa risplendere quel corpo, che gli è comune con tutti gli uomini, di tanto splendore, che la sua faccia diventa simile al fulgore del sole e le sue vesti uguagliano il candore della neve. Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo. Ma, secondo un disegno non meno previdente, egli dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa, perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato soggetto, e perché anche le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria, che era brillata nel Capo. Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,43). La stessa cosa affermava anche l’apostolo Paolo dicendo: «Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18). In un altro passo dice ancora: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3,3.4). Ma, per confermare gli apostoli nella fede e per portarli ad una conoscenza perfetta, si ebbe in quel miracolo un altro insegnamento. Infatti Mosé ed Elia, cioè la legge e i profeti, apparvero a parlare con il Signore, perché in quella presenza di cinque persone di adempisse esattamente quanto è detto: «Ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni» (Mt 18,16). Che cosa c’è di più stabile, di più saldo di questa parola, alla cui proclamazione si uniscono in perfetto accordo le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento e, con la dottrina evangelica, concorrono i documenti delle antiche testimonianze? Le pagine dell’uno e dell’altro Testamento si trovano vicendevolmente concordi, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo viene rivelato dallo splendore della gloria presente. Perché, come dice san Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosé, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). In lui si sono compiute le promesse delle figure profetiche e ha trovato attuazione il senso dei precetti legali: la sua presenza dimostra vere le profezie e la grazia rende possibile l’osservanza dei comandamenti. All’annunzio del Vangelo si rinvigorisca dunque la fede di voi tutti, e nessuno si vergogni della croce di Cristo, per mezzo della quale è stato redento il mondo. Nessuno esiti a soffrire per la giustizia, nessuno dubiti di ricevere la ricompensa promessa, perché attraverso la fatica si passa al riposo e attraverso la morte si giunge alla vita. Avendo egli assunto le debolezze della nostra condizione, anche noi, se persevereremo nella confessione e nell’amore di lui, riporteremo la sua stessa vittoria e conseguiremo il premio promesso. Quindi, sia per osservare i comandamenti, sia per sopportare le contrarietà, risuoni sempre alle nostre orecchie la voce del Padre, che dice: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5) (Disc. 51,3-4.8; PL 54,310-311.313).

Preghiera finale: Godiamo l’un l’altro, Amato, in tua beltà a contemplarci andiamo, sul monte e la collina, dove acqua pura sgorga; dove è più folto dentro penetriamo (Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, 35).

RITO AMBROSIANO
ANNA A
DOMENICA DELLA SAMARITANA
II DOMENICA DI QUARESIMA


Letture:
Es 20,2-24
Sal 18
Ef 1,15-23
Gv 4,5-42

Se tu conoscessi il dono di Dio
L’itinerario quaresimale ambrosiano è tipicamente una catechesi battesimale, un cammino per la scelta di Cristo. Al centro dei vangeli di queste domeniche sta sempre la parola forte di Gesù che esprime la sua identità: “IO SONO”, a partire da situazioni e domande esistenziali: la sete, la libertà, la luce, la vita... Oggi Gesù si presenta come l’acqua viva che disseta pienamente l’uomo, oltre ogni suo sogno: “fino alla vita eterna”. Emblematica è la figura di una donna che va in cerca di soddisfazioni (tipo di ogni amore ..!) e ne rimane delusa. Ben più grande è la sete dell’uomo: “noi abbiamo cisterne piene di crepe”, dice Geremia (cfr. 2,13). Gesù è il solo e unico Salvatore: “Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. Questa è la scelta del battesimo.
L’itinerario: Interessante è il cammino che Gesù fa compiere alla donna perché giunga alla fede. Si presenta stanco (..di ricercare noi!) ed è già là ad attenderci! “Dammi da bere”. Sua è sempre l’iniziativa. Sua è la delicatezza di coinvolgerci, anzi di sembrare d’aver bisogno di noi. Anche la Madonna a Lourdes disse a Bernadette: “Volete farmi il piacere di venire qui..!”, quasi sia Dio a chiedere all’uomo il piacere di essere amato e salvato! Trova l’uomo supponente: “Non hai un secchio”. Io ho la scienza, la tecnologia e il progresso.., io so quel che mi disseta! È l’orgoglio (o l’illusione) dell’autosufficienza del mondo pagano, il vero e profondo peccato dell’uomo di sempre. “Se tu conoscessi.., e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!”. La nostra tragedia è che non conosciamo il Dono di Dio, non abbiamo mai preso lui sul serio, quasi sia un optional per anime pie, o .. per bambini della prima Comunione! Invece è qualcosa di decisivo per la vita. “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno”. Tutte le esperienze umane anche le più fortunate non riempiono il cuore. Anzi il Dono di Dio supera ogni aspettativa: “L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”, perché - senza averne spesso chiara coscienza - siamo fatti per l’infinità, per la totalità, per l’eternità. Se conoscessimo quest’acqua, saremmo noi a cercarla. Si lamentava Agostino: “Tardi ti ho conosciuto”, dopo aver girato molte botteghe in cerca di ciò che lo poteva saziare. Quest’acqua viva è un tesoro e una perla così preziosa che merita ogni sacrificio pur di possederla (cfr. Mt 13,44ss). Noi invece andiamo a mendicare altre acque, magari i maghi.., o le sette! “Signore, dammi quest’acqua..!”. Dove si trova questa salvezza? Certamente nella storia, perché “la salvezza viene dai Giudei” e nell’evento di Gesù di Nazaret, con i fatti da lui compiuti nella terra di Israele. Ormai però è superato ogni dove, perché IO SONO (cioè Jahvè) è qui: “Sono io, che parlo a te”! Il Messia sono io. Gesù è il pozzo che dà acqua per la vita eterna. La Chiesa, con i suoi sacramenti, è la contemporaneità di Cristo per ogni generazione di uomini che lo cercano con cuore sincero.
Il dono: Il Dono di Dio per gli ebrei era la Torah. Lo richiama la prima lettura con i dieci comandamenti. Gesù è “venuto non ad abolire ma a dare pieno compimento” (Mt5,17). La vera novità però della religione portata da Cristo è lo Spirito, “perché Dio è spirito”. Lo Spirito Santo ricevuto nel battesimo ci fa e ci fa vivere da figli di Dio. L’acqua è segno dello Spirito. Dichiarò solennemente un giorno Gesù: “Se qualcuno ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grambo sgorgheranno fiumi d’acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,37-39). Paolo dice: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!” (Rm 8,15). È tutta qui la specifica novità della nostra fede: ci pone davanti a Dio come figli in un atteggiamento di serena fiducia e confidenza. “Lo Spirito stesso, assieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rm 8,16). Si tratta non di nostre ipotesi mitizzate, ma vero coinvolgimento nelle relazioni divine per l’opera dello stesso Spirito. Ormai questa è la nuova legge e la nuova forza dell’agire: “perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato” (Rm 8,2). È la vera e autentica religione: “Viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. “In spirito e... verità”, significa con cuore di figli e con la forza dello Spirito. Questo stesso stile deve avere la preghiera del cristiano. “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili: perché egli intercede per i santi secondo i desideri di Dio” (Rm 8,26-27). Con tutto il rispetto per ogni forma personale di preghiera sincera - e di ogni forma sincera di culto a Dio - qui ci troviamo però oggettivamente avvantaggiati, perché è Dio stesso a pregare nel nostro cuore per noi e con noi! È lo Spirito a farci capire e gustare il dono di Dio. Oggi Paolo invoca per noi questa illuminazione divina: “Illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore” (Epist.).
I campi già biondeggiano, pronti per la mietitura. È uno sguardo d’ottimismo quello suggerito da Gesù. Sembra non sia poca e non proprio così indisposta la gente che aspetta di conoscere il vangelo. Ripeteva Gesù che “la messe è molta”: il bisogno profondo di Dio c’è ancora e abbondante! Sono gli operai che sono pochi. Gesù ha seminato e semina sempre; tocca agli apostoli, a noi, continuarne la sua opera e fare il raccolto. La samaritana finisce per divenire apostola, con successo, perché ha saputo portare a Gesù tutto il suo intero paese!
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MessaggioTitolo: 25 marzo - annunciazione   LECTIO - Pagina 6 EmptyVen Mar 25, 2011 1:09 pm

VENERDÌ 25 MARZO 2011

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE
SOLENNITÀ


Orazione iniziale: Padre misericordioso, manda anche a me, in questo tempo santo della preghiera e dell’ascolto della tua Parola, l’angelo santo, perché possa ricevere l’annuncio della salvezza e, aprendo il cuore, possa offrire il mio sì all’Amore. Manda su di me, ti prego, il tuo Spirito santo, quale ombra che mi avvolge, quale potenza che mi colma. Fin da adesso, o Padre, io non voglio dirti altro che il mio “Sì!”; dirti: “Eccomi, sono qui per te. Fa’ di me ciò che ti piace”. Amen.

Letture (sia rito romano che rito ambrosiano):
Is 7,10-14 (Ecco, la vergine concepirà)
Sal 39 (Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà)
Eb 10,4-10 (Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà)
Lc 1,26-38 (Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce)

Ti saluto, o Maria!
Ci torna spontaneo quest’oggi il ricordo del primo peccato. Facciamo memoria della triste situazione che ha coinvolto l’umanità intera, lontana da Dio e priva di grazia. Ci giunge come un annuncio di gioia il saluto che l’Angelo porge a Maria, lo sentiamo anche nostro. Una umile fanciulla viene finalmente definita «Piena di grazia». Fa parte anche lei della nostra povera umanità peccatrice, ma il Signore, l’ha purificata, prima del suo concepimento, con il suo amore e ha voluto che fosse immacolata, senza peccato. L’ha adombrata con la forza del suo Spirito. Così quel dialogo ininterrotto, con cui il Signore ha cercato, sin dalle nostre origini, di ristabilire invano una comunione, ora finalmente trova un cuore limpido, una vergine senza macchia, la nuova Eva, docile e pronta all’ascolto. Le parole dell’Angelo risuonano nei nostri cuori come preannuncio di redenzione e segno visibile della fedeltà di Dio; specchiandoci in Maria riappare sulla nostra terra una innocenza macchiata, uno splendore perduto, una bellezza antica ora meglio esaltata. Lei, l’umile ancella del Signore, sarà resa feconda dallo Spirito Santo e, restando sempre vergine, diventerà la madre di Cristo, la madre di Dio, la madre nostra. Ciò che era stato promesso ora si realizza in pienezza: il Verbo si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi. È un progetto di amore, pensato e voluto da Dio, ma affidato alla risposta di una donna. Dopo le parole rassicuranti dell’Angelo, ascoltiamo il sì di Maria, che si fonde con quello dello stesso del Signore. Dopo il no del peccato, dopo i tanti no alle proposte divine di salvezza, finalmente l’umanità, per bocca di Maria, fa sentire pieno e gioioso il proprio assenso al Signore. Un sì che la legherà intimamente, con la forza dello Spirito, al Padre e al suo Figlio: Maria rifulge così nello splendore della Trinità beata. Un amore sponsale unisce Cielo e terra, è un amore fecondo, che sgorga dal cuore stesso di Dio, è un amore purissimo con cui la vergine accoglie nel suo grembo il Figlio di Dio. Con lo stesso amore la Madre adempirà, fino ai piedi della croce, la sua missione e resterà fedele alla sua piena professione di completa disponibilità: «Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me secondo la tua parola». L’ascolto, l’umiltà, la disponibilità senza riserve fino all’eroismo della croce, sono le virtù di Maria, per sua intercessione che siano anche nostre.
Maria di Nazaret aveva scelto una vita di dono totale a Dio, come vergine. Ma Dio decise altrimenti. Ciò che colpisce, nell’Annunciazione, è che una “religione pura” esige un dialogo vivente e costante fra Dio e ogni uomo. Qui Dio ha pronunciato la sua ultima Parola a Maria, perché si compissero le parole che, nella storia di Israele, erano state dette ad Abramo, a Mosé e ai profeti. Essi avevano ascoltato e obbedito; lasciarono entrare nella loro vita la Parola di Dio, la fecero parlare nelle loro azioni e la resero feconda nel loro destino. I profeti sostituirono alle loro proprie idee la Parola di Dio; anche Maria lasciò che la Parola di Dio si sostituisse a quelle che erano le sue convinzioni religiose. Di fronte alla profondità e all’estensione di questa nuova Parola, Maria “rimase turbata”. L’avvicinarsi del Dio infinito deve sempre turbare profondamente la creatura, anche se, come Maria, è “piena di grazia”. Assolutamente straordinario è poi che questo Dio non solo si avvicina a Maria, ma le offre il proprio Figlio eterno perché divenga il suo Figlio. Come è possibile che il “Figlio dell’Altissimo” diventi suo Figlio? “Lo Spirito Santo scenderà su di te”. Come scese sul caos, in occasione della creazione, lo Spirito Santo scenderà su Maria e il risultato sarà una nuova creazione. L’albero appassito della storia fiorirà di nuovo. “Maria disse: Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Nell’Annunciazione si ha il tipo di dialogo che il Padre del nostro Signore Gesù Cristo vorrebbe avere con ciascuno di noi. L’esperienza di Maria a Nazaret sottolinea questa verità per tutto il popolo di Dio. Il suo “sì” in risposta all’offerta divina e il cambiamento drammatico di vita che ne sarebbe seguito, mostrano che la venuta di Dio in mezzo a noi esige un cambiamento radicale. Ma, cosa più importante, l’Annunciazione a Maria ci pone di fronte ad una grande verità: ognuno di noi ha avuto un’“annunciazione” personale. Sto esagerando? No di certo. Se esaminate la vostra vita passata, troverete un’esperienza che è stata decisiva; forse non ebbe allora conseguenze immediate, o almeno non vi sembrò, ma, ripensandoci adesso, vi accorgete che è stata fondamentale, sia essa la scuola che avete frequentato, un libro che avete letto, un discorso che avete ascoltato, una frase delle Scritture che vi ha colpito, gli amici a cui vi siete sentiti uniti o un ritiro che avete fatto. Era il Dio di Maria di Nazaret che si annunciava a voi. Voi avete dunque avuto una “vostra” annunciazione. E se non avete risposto “sì”, o se avete pronunciato soltanto un “sì” timido? Basta riconoscere l’annunciazione ora e cercare di recuperare il tempo perduto vivendo per Dio e per gli altri. “Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Approfondimento del Vangelo (L’alleanza di Dio con l’uomo. Il sì di Maria ed il nostro sì)
Il testo: In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Per inserire il brano nel suo contesto: Il brano dell’annunciazione ci conduce dal tempio, spazio sacro per eccellenza, alla casa, all’intimità dell’incontro personale di Dio con la sua creatura; ci conduce dentro noi stessi, nel più profondo del nostro essere e della nostra storia, là dove solo Dio può giungere e toccarci. L’annuncio della nascita di Giovanni Battista aveva dischiuso il grembo sterile di Elisabetta, sconfiggendo l’assoluta impotenza dell’uomo e trasformandola in capacità di operare insieme a Dio. L’annuncio della nascita di Gesù, invece, bussa alla porta del grembo fruttifero della “Riempita di Grazia” e attende risposta: è Dio che aspetta il nostro sì, per poter operare ogni cosa.

Per aiutare nella lettura del brano:
- vv. 26-27: Questi primi due versetti ci collocano nel tempo e nello spazio sacri dell’avvenimento che meditiamo e che riviviamo in noi: siamo nel sesto mese dal concepimento di Giovanni Battista e siamo a Nazareth, città della Galilea, territorio dei lontani e degli impuri. Qui è sceso Dio, per parlare a una vergine, per parlare al nostro cuore. Ci vengono presentati i personaggi di questa vicenda sconvolgente: Gabriele, l’inviato di Dio, una giovane donna di nome Maria e il suo fidanzato Giuseppe, della casa regale di Davide. Anche noi siamo accolti in questa presenza, siamo chiamati ad entrare nel mistero.
- vv. 28-29: Sono le primissime battute del dialogo di Dio con la sua creatura. Poche parole, appena un soffio, ma parole onnipotenti, che turbano il cuore, che mettono profondamente in discussione la vita, i piani, le attese umane. L’angelo annuncia la gioia, la grazia e la presenza di Dio; Maria rimane turbata e si domanda da dove mai possa giungere a lei tutto questo. Da dove una gioia così? Come una grazia tanto ampia da cambiare perfino l’essere?
- vv. 30-33: Questi sono i versetti centrali del brano: è l’esplosione dell’annuncio, la manifestazione del dono di Dio, della sua onnipotenza nella vita dell’uomo. Gabriele, il forte, parla di Gesù: l’eterno re, il Salvatore, il Dio fatto bambino, l’onnipotente umile. Parla di Maria, del suo grembo, della sua vita che è stata scelta per dare ingresso e accoglienza a Dio in questo mondo e in ogni altra vita. Dio comincia, già qui, a farsi vicino, a bussare. Sta in piedi, attende, presso la porta del cuore di Maria; ma già anche qui, a casa nostra, presso il nostro cuore...
- v. 34: Maria, davanti alla proposta di Dio, si lascia mettere a nudo, si lascia leggere fino in fondo. Dice di sé, rivela il suo cuore, i suoi desideri. Sa che per Dio l’impossibile è realizzabile, non mette in dubbio, non indurisce il cuore e la mente, non fa calcoli; vuole solo disporsi pienamente, aprirsi, lasciarsi raggiungere da quel tocco umanamente impossibile, ma già scritto, già realizzato in Dio. Pone davanti a Lui, con un gesto di purissima povertà, la sua verginità, il suo non conoscere uomo; è una consegna piena, assoluta, traboccante fede e abbandono. È già la premessa del sì.
- vv. 35-37: Dio, umilissimo, risponde; l’onnipotenza si piega sulla fragilità di questa donna, che siamo ognuno di noi. Il dialogo continua, l’alleanza cresce e si rafforza. Dio rivela il come, parla dello Spirito santo, della sua ombra fecondante, che non viola, non spezza, ma conserva intatta. Parla dell’esperienza umana di Elisabetta, rivela un altro impossibile divenuto possibile; quasi una garanzia, una sicurezza. E poi l’ultima parola, davanti alla quale bisogna scegliere: dire sì o dire no, credere o dubitare, sciogliersi o indurirsi, aprire la porta o chiuderla. “Nulla è impossibile a Dio”.
- v. 38: Questo ultimo versetto sembra racchiudere un infinito. Maria dice il suo “Eccomi”, si apre, si spalanca a Dio e avviene l’incontro, l’unione per sempre. Dio entra nell’uomo e l’uomo diventa luogo di Dio: sono le Nozze più sublimi che si possano mai realizzare su questa terra. Eppure il vangelo si chiude con una parola quasi triste, dura: Maria rimane sola, l’angelo se ne va. Resta, però, il sì detto a Dio e la sua Presenza; resta la Vita vera.

Un momento di silenzio orante: Ho letto e ascoltato le parole del vangelo, le ho trattenute sulle mie labbra e nel mio cuore, ma desidero ancora lasciarle risuonare dentro di me. Mi pongo in silenzio, cerco di fare spazio, di aprire il mio grembo per accogliere questa Presenza d’amore, che viene a me e bussa, annunciandomi gioia, grazia, alleanza, vita nuova. Ascolto il mio cuore, il mio respiro, lo spazio interiore del mio essere... Dio è qui, alla porta, e chiede asilo, proprio a me, alla mia povera vita.

Alcune domande:
a) L’annuncio di Dio, il suo angelo, entra anche nella mia vita, davanti a me e mi parla. Sono pronto a riceverlo, a fargli spazio, ad ascoltarlo con attenzione? Chissà quante volte è già successo questo, quante volte sono stato scelto e visitato, senza che io vi facessi attenzione. Oggi, però, è diverso; lo sento che Lui è qui, che mi ha trovato, che mi sta parlando al cuore. Cosa decido di fare? Rimango o fuggo via? Mi metto le cuffie del CD player? Accendo il PC? Mando un SMS a qualcuno? Oppure apro la porta e mi siedo proprio davanti a Lui, faccia a faccia con Lui?
b) Subito ricevo un annuncio sconcertante; Dio mi parla di gioia, di grazia, di presenza. Tutte cose che io sto cercando da tanto tempo, da sempre. Chi potrà mai farmi felice veramente? Chi potrà salvarmi dalla solitudine con la sua presenza guaritrice? Mi raggiunge, come un tuono, il ricordo di tutti i miei tentativi falliti di trovare felicità. L’amore, il divertimento, lo sport a livello agonistico, la velocità, il look, l’impiego importante... Sento nell’anima l’amarezza di tutte queste illusioni. Per un po’ funzionava, poi crollava tutto. Oggi, qui, il Signore mi sta proponendo una gioia diversa, una grazia piena, una presenza assoluta. Solo Lui può fare questo, può dire queste parole con verità. Decido di fidarmi, di fare il salto sull’altra sponda, la sua? Voglio fidarmi della sua felicità, della sua presenza?
c) È bastato poco, appena un movimento del cuore, dell’essere; Lui già se ne è accorto. Già mi sta ricolmando di luce e di amore. Mi dice: “Hai trovato grazia ai miei occhi”. Dunque io piaccio a Dio? Lui mi trova piacevole, amabile? Sì, è proprio così. Perché non ci ho mai voluto credere prima? Perché non gli ho mai dato ascolto? Mi ritrovo davanti agli occhi, in questo momento, tutta la mia stoltezza e la mia cocciutaggine; credevo di dover trovare questo amore, questa accoglienza presso qualcun altro, cercavo la persona giusta per me, che, finalmente, mi facesse sentire amabile, importante, degno. Mi sbagliavo. Prima devo fare questa esperienza: sentire che io sono importante, unico, desiderabile per Dio. Mi lascio raggiungere fino in fondo da questa Parola; mi ripeto all’infinito che io ho trovato grazia presso Dio, come Maria. Grazie, Signore! Leggo Esodo 33,12-17.
d) Ora mi viene detto che da me nascerà vita nuova, che il grembo della mia esistenza sarà fecondato e abitato, che da me uscirà Gesù. Sono cose grosse, che mi superano, mi confondono, mi fanno smarrire. Dico anch’io, insieme a Maria: “Come è possibile?”. Sento, però, che in me, questa parola, è carica di incredulità, di spavento, mentre in Lei era traboccante di disponibilità. Io ho paura, io non credo fino in fondo. Eppure il Signore Gesù vuole venire in questo mondo anche attraverso di me; vuole raggiungere i miei fratelli passando attraverso i sentieri della mia vita, del mio essere. Potrò sbarrargli la strada? Potrò respingerlo, tenerlo lontano? Potrò cancellarlo dalla mia storia, dalla mia vita? No, non posso e non voglio farlo. Signore, ti prego, aiutami! E vieni; nasci in me, nasci ancora da me!
e) Da solo non posso fare nulla, però, questo è chiaro; ho bisogno anch’io dello Spirito del Signore. La sua ombra, la sua forza, il suo fuoco scendano su di me e prendano possesso di me, di tutto ciò che sono. Mi fermo un attimo, comincio a pregare nel profondo del mio cuore, invoco e chiamo lo Spirito Santo; ripenso ad altri passi della Scrittura in cui la sua azione compare con potenza. Mi faccio come le acque primordiali, sulle quali aleggiava lo Spirito di Dio e vennero trasformate in vita rigogliosa (Gen 1,2); mi faccio come le acque del mare Rosso, che furono accarezzate dal vento di Dio per tutta la notte e alla fine si aprirono per il passaggio del popolo (Es 14,21); mi faccio come il cuore e le mani di Davide, che, sotto l’impulso dello Spirito, suonava l’arpa in modo tale da cacciare il male dall’anima di Saul (1Sam 16,23); mi faccio come il servo del Signore, sul quale discese e rimase lo Spirito di Dio (Is 61,1); mi faccio come le ossa aride disperse sulla pianura, che furono rianimate dal tocco dello Spirito (Ez 37,5); mi faccio come Maria, che si lasciò avvolgere dall’ombra dell’Amore e della misericordia e divenne madre di Gesù, madre di ogni uomo. Anch’io ripeto che nulla è impossibile per Dio; Lui può fare tutto questo, anche in me, oggi, qui.

Una chiave di lettura: Ho pregato, ho ruminato la parola, ho cercato di essere attento alla voce d’amore del Signore, ho aperto il mio cuore. Mi sento scaldato da questa esperienza, mi sento in compagnia di Lui, non più solo. Però vorrei tentare di compiere un ulteriore passaggio; vorrei mettermi a scavare con le mani in questo tesoro della sua Parola, per trovare ancora luce, ancora gemme preziose. Metto in opera anche il mio intelletto, cerco di raccogliere materiale per la mia meditazione, per il lavoro di analisi, di ascolto. Credo che anche questo sia nutrimento buono, che mi può aiutare per la conversione. Vorrei tentare di stare più attento ad alcune parole importanti e forti che risuonano in questo brano del vangelo.
- Gioisci! È davvero strano questo saluto di Dio alla sua creatura; sembra inspiegabile e forse senza senso. Eppure già da secoli risuonava sulle pagine delle divine Scritture e quindi anche sulle labbra del popolo ebraico. Gioisci, rallegrati, esulta! Più volte i profeti avevano ripetuto questo soffio del respiro di Dio, avevano gridato questo silenzioso battito del suo cuore per il suo popolo, il suo resto. Lo leggo in Gioele: “Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore..." (2,21-23); in Sofonia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna” (3,14); in Zaccaria: “Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te, oracolo del Signore” (2,14). Lo leggo e lo riascolto, oggi, pronunciato anche sul mio cuore, sulla mia vita; anche a me viene annunciata una gioia, una felicità nuova, mai vissuta prima. Riscopro le grandi cose che il Signore ha fatto per me; sperimento la liberazione che viene dal suo perdono: io non sono più condannato, ma graziato, per sempre; vivo l’esperienza della presenza del Signore accanto a me, in me. Sì, Lui è venuto ad abitare in mezzo a noi; Lui sta di nuovo piantando la sua tenda nella terra del mio cuore, della mia esistenza. Signore, come dice il salmo, tu gioisci delle tue creature (Sal 104,31); e anch’io gioisco in te, grazie a te; la mia gioia è in te (Sal 104,34).
- Il Signore è con te. Questa parola così semplice, così luminosa, detta dall’angelo a Maria, sprigiona una forza onnipotente; mi rendo conto che basterebbe, da sola, a salvarmi la vita, a risollevarmi da qualunque caduta e abbassamento, da qualunque smarrimento. Il fatto che Lui, il mio Signore, è con me, mi tiene in vita, mi rende coraggioso, mi dà fiducia per continuare ad esserci. Se io sono, è perché Lui è con me. Chissà se anche per me può valere l’esperienza che la Scrittura racconta riguardo a Isacco, al quale è capitata la cosa più bella che si possa augurare a un uomo che crede in Dio e lo ama: un giorno venne da lui Abimelech con i suoi uomini dicendogli: “Abbiamo visto che il Signore è con te” (Gen 26,28) e chiedendo di diventare amici, di stringere alleanza. Vorrei che anche di me si potesse dire la stessa cosa; vorrei poter manifestare che il Signore davvero è con me, dentro la mia vita, nei miei desideri, nei miei affetti, nelle mie scelte e azioni; vorrei che altri potessero incontrarlo attraverso di me. Forse, per questo, è necessario che io assorba di più la sua presenza, che io mangi e beva di Lui. Mi metto alla scuola della Scrittura, leggo e rileggo alcuni passi in cui la voce del Signore mi ripete questa verità e, mentre Lui parla, io vengo cambiato, vengo sempre più abitato. “Rimani in questo paese e io sarò con te e ti benedirò” (Gen 26,3). “Poi il Signore comunicò i suoi ordini a Giosuè, figlio di Nun, e gli disse: Sii forte e fatti animo, poiché tu introdurrai gli Israeliti nel paese, che ho giurato di dar loro, e io sarò con te” (Dt 31,23). “Combatteranno contro di te ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti” (Ger 15,20). “L’angelo del Signore apparve a Gedeone e gli disse: Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!” (Gdc 6,12). “In quella notte gli apparve il Signore e disse: Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere perché io sono con te. Ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore di Abramo, mio servo” (Gen 26,24). “Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho detto” (Gen 28,15). “Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa” (Is 41,10)
- Non temere. La Bibbia trabocca di questo annuncio pieno di tenerezza; quasi come un fiume di misericordia questa parola percorre tutti i libri sacri, dalla Genesi fino all’Apocalisse. È il Padre che ripete ai suoi figli di non avere paura, perché Lui è con loro, non li abbandona, non li dimentica, non li lascia in potere dei nemici. È come una dichiarazione d’amore che Dio fa all’uomo, a ognuno di noi; è un pegno di fedeltà che passa di mano in mano, da cuore a cuore, e giunge fino a noi. Abramo ha udito questa parola e dopo di lui suo figlio Isacco, poi i patriarchi, Mosè, Giosuè, Davide, Salomone e, insieme a loro, Geremia e tutti i profeti. Nessuno è escluso da questo abbraccio di salvezza che il Padre offre ai suoi figli, anche quelli più lontani, più ribelli. Maria sa ascoltare in profondità questa parola e sa credervi con fede piena, con assoluto abbandono; Lei ascolta e crede, accoglie e vive anche per noi. Lei è la donna forte e coraggiosa che si apre alla venuta di Dio, lasciando cadere tutte le paure, le incredulità, le chiusure. Lei ripete questo annuncio di Dio dentro la nostra vita e ci invita a credere con Lei.
- Hai trovato grazia. “Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi...”. Questa è la preghiera che sgorga più e più volte dalle labbra e dal cuore di uomini e donne che cercano rifugio presso il Signore; di loro ci è raccontato nella Scrittura, li incontriamo al bivio delle nostre stesse strade, quando non sappiamo bene dove andare, quando ci sentiamo braccati dalla solitudine o dalla tentazione, quando viviamo gli abbandoni, i tradimenti, le sconfitte pesanti delle nostre esistenze. Quando non abbiamo più nessuno e non riusciamo a ritrovare neppure noi stessi, allora anche noi, come loro, ci troviamo a pregare ripetendo quelle stesse parole: “Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi...”. Chissà quante volte le abbiamo ripetute, anche solo in silenzio. Ma oggi, qui, in questo brano evangelico così semplice, veniamo preceduti, siamo accolti in anticipo; non abbiamo più bisogno di supplicare, perché già abbiamo trovato tutto quello che da sempre stavamo cercando e molto di più. Abbiamo ricevuto gratuitamente, siamo stati colmati e ora non possiamo che traboccare.
- Nulla è impossibile a Dio. Sono giunto quasi al termine di questo percorso fortissimo di grazia e di liberazione; vengo ora raggiunto da una parola che mi scuote fin nel più profondo. La mia fede è messa al vaglio; il Signore mi prova, mi scruta, saggia il mio cuore. Ciò che l’angelo afferma qui, davanti a Maria, era già stato proclamato più volte nell’Antico Testamento; ora è raggiunta la pienezza, ora tutti gli impossibili vengono realizzati: Dio si fa uomo; il Signore diventa amico, fratello; il lontano è vicinissimo. E io, anch’io, piccolo e povero, sono fatto partecipe di questa immensità di dono, di grazia; mi viene detto che anche nella mia vita l’impossibile diventa possibile. Devo solo credere, solo dare il mio assenso. Ma questo significa lasciarmi sconquassare dalla potenza di Dio; consegnarmi a Lui, che mi cambia, mi libera, mi rinnova. Nemmeno questo è impossibile. Sì, io posso rinascere oggi, in questo momento, per grazia della sua voce che mi ha parlato, che mi ha raggiunto fino al punto più profondo del cuore. Cerco e trascrivo i passi della Scrittura che ripetono questa verità. E mentre li riscrivo, mentre li rileggo e li pronuncio adagio, mangiando ogni parola, ciò che essi dicono avviene ancora in me... Genesi 18,14; Giobbe 42,2; Geremia 32,17; Geremia 32,27; Zaccaria 8,6; Matteo 19,26; Luca 18,27.
- Eccomi. E ora non posso fuggire, né sottrarmi alla conclusione. Sapevo fin dall’inizio che proprio qui, dentro questa parola, così piccola, eppure così piena, così definitiva, Dio mi stava aspettando. L’appuntamento dell’amore, dell’alleanza fra Lui e me era fissato precisamente su questa parola, appena un soffio della voce, appena un bacio. Rimango sconvolto dalla ricchezza di presenza che sento in questo “Eccomi!”; non devo sforzarmi molto per ricordare le innumerevoli volte in cui Dio stesso per primo l’ha pronunciato, l’ha ripetuto. Lui è l’Eccomi fatto persona, fatto fedeltà assoluta, incancellabile. Dovrei solo mettermi sulla sua onda, solo trovare le sue impronte nella polvere della mia povertà, del mio deserto; dovrei solo accogliere questo suo amore infinito che non ha mai smesso di cercarmi, di starmi appresso, di camminare con me, dovunque io sia andato. L’Eccomi è già stato detto e vissuto, è già vero. Quanti prima di me e quanti anche oggi, insieme a me! No, non sono solo. Faccio ancora silenzio, mi pongo ancora in ascolto, prima di rispondere...
“Eccomi eccomi!” (Is 65,1) ripete Dio; “Eccomi, sono la serva del Signore” risponde Maria; “Ecco, io vengo per fare la tua volontà” (Sal 39,8) dice Cristo...

Dagli scritti
Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa
Il mistero della nostra riconciliazione
Dalla Maestà divina fu assunta l’umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l’altro, ad essa soggetto. Vera integra e perfetta fu la natura nella quale è nato da Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c’è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità. Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall’uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe. Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l’umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l’invisibile e mortale il creatore e il signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell’uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l’unico e medesimo Salvatore. Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e signore dell’universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte. Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l’umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina. Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l’uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l’altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l’umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l’altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l’umanità non abbandona la natura propria della specie. Non ci stancheremo di ripeterlo: L’unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell’uomo. È Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1). È uomo, perché: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) (Lett. 28 a Flaviano, 3-4; PL 54,763-767).

Orazione finale: Padre mio, tu sei sceso fino a me, mi hai raggiunto, mi hai toccato il cuore, mi hai parlato, promettendomi gioia, presenza, salvezza. Nella grazia dello Spirito santo, che mi ha coperto con la sua ombra, anch'io, insieme a Maria, ho potuto dirti il mio sì, l'Eccomi della mia vita per te. E ora non mi resta che la forza della tua promessa, la tua verità: "Concepirai e darai alla luce Gesù". Signore, ecco davanti a te il grembo aperto della mia vita, del mio essere, di tutto ciò che sono e che: ogni cosa io pongo in te, nel tuo cuore. Tu entra, vieni, scendi ancora, ti prego e fecondami, rendimi generatore di Cristo in questo mondo. L'amore che io ricevo da te, in misura traboccante, trovi la sua pienezza e la sua verità nel raggiungere i fratelli e le sorelle che tu poni accanto a me. Il nostro incontro, o Padre, sia aperto, sia dono per tutti; sia Gesù, il Salvatore. Amen.
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MessaggioTitolo: sabato 26 marzo 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Mar 26, 2011 9:50 am

SABATO 26 MARZO 2011

SABATO DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora.

Letture:
Mic 7,14-15.18-20 (Il nostro Dio viene a salvarci)
Sal 102 (Misericordioso e pietoso è il Signore)
Lc 15,1-3.11-32 (Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita)

La festa del perdono
È bello in questo tempo di quaresima, in cui siamo particolarmente sollecitati alla conversione e al ritorno a Dio, ascoltare ancora una volta, una delle più affascinanti parabole che Gesù ci ha lasciato. Sulla scia del figlio pentito, che torna tra le braccia del Padre, si muove ancora la nostra povera umanità peccatrice. Il percorso è già segnato. Ci capita di cadere nell’assurdo di pretendere da lui la nostra parte di eredità, di reclamare solo per noi la libertà che egli ci ha donato, ci capita di subire la nausea del vero bene e di stancarci di Dio e della sua casa. Gli spazzi del mondo ci attraggono, l’idea di una libertà assoluta, che prescinda da ogni dipendenza, e che sia priva di ogni norma ci seduce, il poter spendere senza limiti pare ci adorni di un grande potere e così perpetriamo le nostre fughe. Il Signore ci mostra in anticipo i precipizi che ci si parano dinanzi e dentro cui andremo a gemere. Per nostra fortuna però anche quando abbiamo tutto sperperato malamente e ci ritroviamo spogli di ogni bene, umiliati a grugnire con i porci, i morsi della fame del vero bene e del pane buono della casa paterna, la nostalgia delle braccia amorose del Padre, che ci avevano già stretto nell’innocenza, ci pulsano salutarmene dentro a suggerirci un pentimento ed un ritorno. I sensi di colpa però premono come macigni e dire «mi alzerò» e già preludio di grazia. Pensare onestamente di poter essere almeno annoverato tra gli ultimi degli schiavi della casa paterna, è già timido germoglio di speranza. Intraprendere il duro e lungo cammino verso casa, stremati dalla fame e dall’improba fatica del male, è come già intravedere i primi bagliori del bene perduto. Ciò che non si osa sperare è proprio ciò che avviene: il peso della croce se l’assume Cristo stesso e così egli agevola il cammino, il Padre l’attende a braccia aperte, per stringerlo a se con rinnovato ed cresciuto amore, per farlo rinascere con un abito nuovo alla vita della grazia. Poi la grande festa finale, solo in parte guastata dal comportamento del fratello maggiore: anche per chi rimane sempre fedele a Dio, è obiettivamente difficile comprendere la festa del ritorno per chi non ha sperimentato la misericordia e il perdono. Si finisce per soffrire proprio per le meravigliose sorprese che Dio riserva al peccatore pentito. Suscita stupore e invidia l’accoglienza riservata al fratello scellerato. Pare che certi giusti siano più propensi ad affermare e pretendere la giustizia che a comprendere l’amore. Dio invece sa coniugare splendidamente le due virtù.
Oggi Gesù dice una parabola per ciascuno di noi: noi tutti siamo quel figlio che il peccato ha allontanato dal Padre, e che deve ritrovare, ogni giorno più direttamente, il cammino della sua casa, il cammino del suo cuore. La conversione è esattamente questo: questo viaggio, questo percorso che consiste nell’abbandonare il nostro peccato e la miseria nella quale esso ci ha gettati per andare verso il Padre. Ciò che ci sconvolge in questa parabola, e la realtà la sorpassa di molto, è il vedere che di fatto il nostro Padre ci attende da sempre. Siamo noi ad averlo lasciato, ma lui, lui non ci lascia mai. Egli è “commosso” non appena ci vede tornare a lui. Talvolta saremmo tentati di dubitare del suo perdono, pensando che la nostra colpa sia troppo grande. Ma il padre continua sempre ad amarci. Egli è infinitamente fedele. Non sono i nostri peccati ad impedirgli di darci il suo amore, ma il nostro orgoglio. Non appena ci riconosciamo peccatori, subito egli si dona di nuovo a noi, con un amore ancora più grande, un amore che può riparare a tutto, un amore in grado in ogni momento di trarre dal male un bene più grande. Il suo perdono non è una semplice amnistia, è un’effusione di misericordia, nella quale la tenerezza è più forte del peccato. Gesù vuole che noi abbiamo la stessa fiducia anche nei confronti degli altri. Nel cuore di ogni uomo vi è sempre una possibilità di ritorno al Padre, e noi dobbiamo sperarlo senza sosta. Quando vediamo fratelli e sorelle convertiti di recente che ricevono grazie di intimità con Dio, spesso davvero straordinarie, esultiamo senza ripensamenti, e partecipiamo alla gioia del Padre.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Riflessione:
- Il capitolo 15 del vangelo di Luca è racchiuso nella seguente informazione: “Si avvicinarono a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. (Lc 15,1-3). Subito Luca presenta queste tre parabole legate tra di esse dallo stesso tema: la pecora smarrita (Lc 15,4-7), la moneta persa (Lc 15,8-10), il figlio perso (Lc 15,11-32). Quest’ultima parabola costituisce il tema del vangelo di oggi.
- Luca 15,11-13: La decisione del figlio più giovane. Un uomo aveva due figli. Il più giovane chiede una parte dell’eredità che gli spetta. Il padre divide tutto tra i due e tutti e due ricevono la loro parte. Ricevere l’eredità non è un merito. É un dono gratuito. L’eredità dei doni di Dio è distribuita tra tutti gli esseri umani, sia giudei che pagani, sia cristiani che non cristiani. Tutti ricevono qualcosa dall’eredità del Padre. Ma non tutti la curano allo stesso modo. Così, il figlio più giovane parte e va lontano e sperpera la sua eredità in una vita dissipata, allontanandosi dal Padre. Al tempo di Luca, il più anziano rappresentava le comunità venute dal giudaismo, e il più giovane, le comunità venute dal paganesimo. Ed oggi chi è il più giovane ed il meno giovane?
- Luca 15,14-19: La delusione e la volontà di tornare a casa del Padre. La necessità di procurarsi il cibo fa sì che il giovane perda la sua libertà e diventi schiavo per occuparsi di porci. Riceve un trattamento peggiore dei porci. Questa era la condizione di vita di milioni di schiavi nell’impero romano al tempo di Luca. La situazione in cui si trova fa sì che il giovane ricordi come si trovava nella casa di suo padre. Fa una revisione di vita e decide di tornare a casa. Prepara perfino le parole che dirà al Padre: “Non merito di essere tuo figlio! Trattami come uno dei tuoi impiegati!” L’impiegato esegue ordini, adempie la legge della servitù. Il figlio più giovane vuole adempiere la legge, come lo volevano i farisei e gli scribi nel tempo di Gesù (Lc 15,1). Di questo i missionari dei farisei accusavano i pagani che si convertivano al Dio di Abramo (Mt 23,15). Al tempo di Luca, alcuni cristiani venuti dal giudaismo, si sottomisero al giogo della legge (Gal 1,6-10).
- Luca 15,20-24: La gioia del Padre quando incontra il figlio più giovane. La parabola dice che il figlio più giovane era ancora lontano di casa, ma il Padre lo vede, gli corre incontro e lo riempie di baci. L’impressione che ci è data da Gesù è che il Padre rimase tutto il tempo alla finestra per vedere spuntare il figlio dietro l’angolo! Secondo la nostra maniera umana di sentire e di pensare, l’allegria del Padre sembra esagerata. Non lascia nemmeno finire al figlio di dire le parole che ha in bocca. Nessuno ascolta! Il Padre non vuole che il figlio sia suo schiavo. Vuole che sia figlio! Questa è la grande Buona Novella che Gesù ci porta! Tunica nuova, sandali nuovi, anello al dito, vitello, festa! Nell’immensa gioia dell’incontro, Gesù lascia trasparire com’era grande la tristezza del Padre per la perdita del figlio. Dio era molto triste e di questo la gente si rende conto ora, vedendo l’immensa gioia del Padre per l’incontro con il figlio! È una gioia condivisa con tutti nella festa che fa preparare.
- Luca 15,25-28b: La reazione del figlio maggiore. Il figlio maggiore ritorna dal lavoro nel campo e trova la casa in festa. Non entra. Vuole sapere cosa succede. Quando gli viene detto il motivo della festa, si arrabbia e non vuole entrare. Rinchiuso in se stesso, pensa avere il suo diritto. Non gli piace la festa e non capisce il perché della gioia del Padre. Segno questo che non aveva molta intimità con il Padre, malgrado vivesse nella stessa casa. Infatti, se l’avesse avuta, avrebbe notato l’immensa tristezza del Padre per la perdita del figlio minore ed avrebbe capito la sua gioia per il ritorno del figlio. Chi vive molto preoccupato nell’osservanza della legge di Dio, corre il pericolo di dimenticare Dio stesso! Il figlio più giovane, pur essendo lontano da casa, sembrava conoscere il Padre meglio del figlio maggiore che viveva con lui! Perché il più giovane ebbe il coraggio di tornare a casa dal Padre, mentre il maggiore non vuole entrare più in casa del Padre! Non si rende conto che il Padre, senza di lui, perderà la gioia. Poiché anche lui, il figlio maggiore, è figlio così come il minore!
- Luca 15,28a-30: L’atteggiamento del Padre e la risposta del figlio maggiore. Il padre esce dalla casa e supplica il figlio maggiore di entrare in casa. Ma costui risponde: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.” Anche il figlio maggiore vuole festa ed allegria, ma solo con i suoi amici. Non con il fratello e nemmeno con il padre, e non chiama nemmeno fratello, suo fratello minore, bensì “questo tuo figlio”, come se non fosse più suo fratello. E lui, il figlio maggiore, parla di prostitute. È la sua malizia che gli fa interpretare così la vita del fratello più giovane. Quante volte il fratello maggiore interpreta male la vita del fratello più giovane! Quante volte noi cattolici interpretiamo male la vita e la religione degli altri! L’atteggiamento del Padre è aperto. Lui accoglie il figlio più giovane, ma non vuole nemmeno perdere il figlio maggiore. I due fanno parte della famiglia. L’uno non può escludere l’altro!
- Luca 15,31-32: La risposta finale del Padre. Nello stesso modo, come il Padre non fece attenzione agli argomenti del figlio minore, così neanche fa attenzione a quelli del figlio maggiore e dice: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!” Il maggiore era veramente consapevole di stare sempre con il Padre e di trovare in questa presenza la ragione della sua gioia? L’espressione del Padre “Tutto ciò che è mio, è tuo!” include anche il figlio minore che è ritornato! Il maggiore non ha diritto a fare distinzioni, e se vuole essere figlio del Padre, deve accettarlo com’è e non come gli piacerebbe che il Padre fosse! La parabola non dice quale fu la risposta finale del fratello maggiore. Resta a carico del figlio maggiore, che siamo noi!
- Chi sperimenta l’irruzione gratuita e sorprendente dell’amore di Dio nella sua vita diventa gioioso e vuole comunicare questa gioia agli altri. L’azione salvatrice di Dio è fonte di gioia: “Rallegratevi con me!” (Lc 15,6.9) E da questa esperienza della gratuità di Dio nasce il senso di festa e di gioia (Lc 15,32). Al termine della parabola, il Padre chiede di essere contenti e di fare festa. La gioia è minacciata dal figlio maggiore, che non vuole entrare. Pensa di aver diritto ad una gioia solo con i suoi amici e non vuole condividere la gioia con tutti i membri della stessa famiglia umana. Rappresenta coloro che si considerano giusti ed osservanti, e pensano di non avere bisogno di conversione.

Per un confronto personale:
- Qual è l’immagine di Dio che conservo in me fin dalla mia infanzia? È cambiata nel corso di questi anni? Se è cambiata, perché?
- Con quale dei due figli mi identifico: con il più giovane o con il maggiore? Perché?

Preghiera finale: Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici (Sal 102).
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DOMENICA 27 MARZO 2011


RITO ROMANO
ANNO A
III DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna a morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
Es 17,3-7 (Dacci acqua da bere)
Sal 94 (Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore)
Rm 5,1-2.5-8 (L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato)
Gv 4,5-42 (Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna)

Un itinerario di conversione
La parola «sete» è ricorrente nei testi sacri e non indica quasi mai soltanto il bisogno fisico di dissetarsi. Già un salmista diceva nella sua preghiera: «di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua». La sete dell’anima indica la brama di un bene spirituale urgente di cui si è privi. La terra deserta e arida, senz’acqua è lo stato di estrema indigenza, è il vuoto della fede, il vuoto del bene e degli ideali o addirittura lo spirito umano pervaso da acque inquinate, torbide e velenose. In questo contesto comprendiamo il lungo episodio del vangelo di oggi. Giovanni fotografa un Gesù stanco, che siede per riposarsi al pozzo di Giacobbe, ma che in verità è in attesa di un incontro particolare, esclusivo con una donna samaritana. Lei viene ad attingere acqua ad un pozzo, le capiterà di incontrare la fonte. Il Signore chiede da bere a quella donna, vuole intessere con lei un dialogo, ma in realtà vuole dissetarla di un acqua diversa da quella che abitualmente viene ad attingere a quel pozzo. «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Colui che prima chiede ora è pronto a dare. Vuole soltanto far emergere nella donna il significato più profondo della sete, trasferire la sua attenzione da bisogni del copro a quelli più urgenti dell’anima e convincerla che colui le parla è in grado di spegnerli per sempre: «chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete». Ora finalmente la samaritana è capace di guardarsi dentro, di accogliere nella verità che le vengano svelati i suoi disordini morali e di confessarli al divino interlocutore. A quel punto il discorso può affondare in argomenti ancora più profondi ed impegnativi: dove a come adorare l’unico Dio? La risposta di Cristo apre a dimensioni nuove: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre». Poi Gesù precisa meglio il suo discorso: «È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Spirito e verità: è l’acqua salutare che Gesù le ha donato. L’approdo finale è la fede piena, generata da Cristo nel cuore della donna, dove egli ha riversato abbondantemente la sua acqua: lei afferma e chiede: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». Ora, come Gesù le aveva promesso, la donna è diventa una fervente testimone del Cristo, una fontana zampillante: «L’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». Anche dallo stupore degli apostoli reduci dalla città per provvista di cibo, Gesù trae altri insegnamenti e prenderà lo spunto dal pane e dal bisogno naturale della fame: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». Poi precisa: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera». Un itinerario di conversione e un programma di vita quaresimale che vale per ciascuno di noi.
La conversazione di Gesù con la Samaritana si svolge sul tema dell’“acqua viva”. Quest’acqua è indispensabile alla vita, e non è sorprendente che, nelle regioni del Medio Oriente dove regna la siccità, essa sia semplicemente il simbolo della vita e, anche, della salvezza dell’uomo in un senso più generale. Questa vita, questa salvezza, si possono ricevere solo aprendosi per accogliere il dono di Dio. È questa la convinzione dell’antico Israele come della giovane comunità cristiana. E l’autore dei Salmi parla così al suo Dio: “È in te la sorgente della vita” (Sal 036,10). Ecco la sua professione di fede: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sal 042,2). La salvezza che Dio porta viene espressa con l’immagine della sorgente che zampilla sotto l’entrata del tempio e diventa un grande fiume che trasforma in giardino il deserto della Giudea e fa del mar Morto un mare pieno di vita (Ez 47,1-12). Gesù vuole offrire a noi uomini questa salvezza e questa vita. Per calmare definitivamente la nostra sete di vita e di salvezza. “Io, sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Approfondimento del Vangelo (L’incontro di Gesù con la Samaritana)
Il testo: In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Una chiave di lettura: Il testo descrive il dialogo tra Gesù e la Samaritana. Dialogo molto umano, che dimostra come Gesù si relazionasse con le persone e come egli stesso apprendesse e si arricchisse parlando con gli altri. Durante la lettura, cerca di prestare attenzione a quello che più ti sorprende nell’atteggiamento tanto di Gesù quanto della Samaritana.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Gv 4,5-6: Crea lo scenario dove si realizza il dialogo
- Gv 4,7-26: Descrive il dialogo tra Gesù e la Samaritana
a) 7-15: circa l’acqua e la sete
b) 16-18: circa il marito e la famiglia
c) 19-26: circa la religione e il luogo dell’adorazione
- Gv 4,27-30: Descrive il risultato del dialogo nella persona della Samaritana
- Gv 4,31-38: Descrive il risultato del dialogo nella persona di Gesù
- Gv 4,39-42: Descrive il risultato della missione di Gesù nella Samarìa

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Che cosa ha attirato di più la tua attenzione nell’atteggiamento avuto da Gesù durante il dialogo con la Samaritana? Che pedagogia ha usato per aiutare la samaritana a percepire una dimensione più profonda della vita?
- Che cosa chiama di più la tua attenzione sull’atteggiamento della Samaritana durante il dialogo con Gesù? Che influenza ha avuto lei su Gesù?
- Dove, nell’Antico Testamento, l’acqua è associata al dono della vita e al dono dello Spirito Santo?
- In quali punti l’atteggiamento del dialogo di Gesù mi interroga, provoca o critica?
- La Samaritana ha trascinato l’argomento verso la religione. Se tu potessi trovare Gesù e parlare con lui, quale argomento vorresti trattare con lui? Perché?
- Sarà vero che adoro Dio in spirito e verità o mi appoggio ed oriento di più sui riti e sulle prescrizioni?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento.
a) Il simbolismo dell’acqua
- Gesù usa la parola acqua, in due sensi: in senso materiale, normale, dell’acqua che disseta, e in senso simbolico dell’acqua come sorgente di vita e dono dello Spirito. Ovvero, Gesù usa un linguaggio che le persone capiscono e che, allo stesso tempo, risveglia in loro la volontà di approfondire e di scoprire un senso più profondo della vita.
- L’uso simbolico dell’acqua ha la sua radice nella tradizione dell’Antico Testamento, dove è frequente la mistica dell’acqua come simbolo dell’azione dello Spirito di Dio nelle persone. Geremia, per esempio, oppone l’acqua viva della sorgente all’acqua della cisterna (Ger 2,13). Cisterna, quanta più acqua tu attingi, tanto meno acqua avrai. Sorgente, quanta più acqua tu attingi tanta più acqua avrai. Altri testi dell’Antico Testamento: Is 12,3; 49,10; 55,1; Ez 47,1-3, ecc. Gesù conosce le tradizioni del suo popolo e su di esse si appoggia nella conversazione con la Samaritana. Suggerendo il senso simbolico dell’acqua, evoca in lei (e nei lettori e lettrici) tutto un insieme di episodi e frasi dell’Antico Testamento.
b) Il dialogo tra Gesù e la Samaritana
- Gesù trova la Samaritana vicino al pozzo, luogo tradizionale per gli incontri e le conversazioni (Gn 24,10-27; 29,1-14). Egli parte dalla necessità molto concreta della sua propria sete e fa’ in modo che la donna si senta necessaria e serva. Gesù si fa’ bisognoso di lei. Dalla domanda egli fa si che la Samaritana possa scoprire che Gesù dipende da lei per risolvere il problema della sua sete. Gesù risveglia in lei il gusto di aiutare e servire.
- Il dialogo di Gesù con la Samaritana ha due livelli. 1. Il livello superficiale, nel senso materiale dell’acqua che disseta le persone, e del senso normale di marito come padre di famiglia. In questo livello, la conversazione è tesa e difficile, e non ha continuità. Chi ne trae vantaggio è la Samaritana. All’inizio, Gesù ha tentato un incontro con lei attraverso la porta del lavoro giornaliero (prendere acqua), ma non vi è riuscito. Poi, ha tentato per la porta della famiglia (chiamare il marito), e non ha avuto risultato. Finalmente, la Samaritana ha preso l’argomento della religione (luogo dell’adorazione). Gesù è riuscito ad entrare per la porta che lei ha aperto. 2. Il livello profondo, nel senso simbolico dell’acqua come immagine della vita nuova portata da Gesù e del marito come simbolo dell’unione di Dio con il suo popolo. A questo livello, la conversazione ha una continuità perfetta. Dopo aver rivelato che lui stesso, Gesù, offre l’acqua della vita nuova, dice: “Va a chiamare tuo marito e poi ritorna qui!”. Nel passato, i samaritani hanno avuto cinque mariti, idoli, legati ai cinque popoli che furono portati verso quel luogo dal re di Assiria (2Re 17,30-31). Il sesto marito, quello che aveva adesso, non era quello vero: “quello che hai ora non è tuo marito!” (Gv 4,18). Non realizzava il desiderio più profondo del popolo: l’unione con Dio, come marito che si unisce alla sua sposa (Is 62,5; 54,5). Il vero marito, il settimo, è Gesù, come fu promesso da Osea: “E ti farò mia sposa per sempre; e ti farò mia sposa in un connubio di giustizia, di giudizio, di pietà e di misericordia. E ti farò mia sposa fedele, e riconoscerai che sono io il Signore!” (Os 2,21-22). Gesù è lo sposo che è arrivato (Mc 2,19) per portare la vita nuova alla donna che lo ha cercato tutta la vita e, fino adesso, non lo aveva trovato. Se il popolo accetta Gesù come “sposo”, avrà accesso a Dio ovunque sia, tanto in spirito che in verità (vv. 23-24).
- Gesù dichiarò la sua sete alla Samaritana, ma lui non prese l’acqua. Segno che la sua sete era simbolica ed aveva a che fare con la sua missione; la sete di realizzare la volontà del Padre (Gv 4,34). Questa sete è tuttora presente in lui, e lo sarà per tutta la vita, fino alla morte. Nell’ora della morte lui dice: “Ho sete!” (Gv 19,28). Dichiara la sete per l’ultima volta, e cosi può dire: “Tutto è compiuto!” Poi chinato il capo rese lo spirito (Gv 19,30). Realizzò sua missione.
c) Il rilievo della donna nel Vangelo di Giovanni
- Nel vangelo di Giovanni, le donne sono messe in rilievo in sette momenti, decisivi per la divulgazione della Buona Novella. A loro si attribuiscono funzioni e missioni, alcune delle quali, negli altri vangeli, sono attribuite agli uomini:
1) Alle nozze di Cana, la Madre di Gesù riconosce i limiti dell’Antico Testamento e ribadisce la legge maggiore del Vangelo: “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2,1-11).
2) La Samaritana è la prima persona a ricevere da Gesù il più grande segreto, cioè che lui è il Messia: “Sono io, che ti parlo” (Gv 4,26). E lei diviene l’evangelizzatrice della Samarìa (Gv 4,28-30.39-42).
3) La donna, chiamata adultera, nell’ora di essere perdonata da Gesù, diviene giudice della società patriarcale (o del potere maschile) che la voleva condannare (Gv 8,1-11).
4) Negli altri vangeli è Pietro che fa la solenne professione di fede in Gesù (Mt 16,16; Mc 8,29; Lc 9,20). Nel vangelo di Giovanni, chi fa la solenne professione di fede è Marta, sorella di Maria e Lazzaro (Gv 11,27).
5) Maria, sorella di Marta, unse i piedi di Gesù per il giorno della sua sepoltura (Gv 12,7). In quel tempo, chi moriva in croce non aveva sepoltura né poteva essere imbalsamato. Per questo, Maria anticipò l’unzione del corpo di Gesù. Questo significa che lei accettava Gesù come il Messia-Servo che doveva morire in croce. Pietro non accettava Gesù come Messia-Servo (Gv 13,8) e cercò di dissuaderlo (Mt 16,22). Così, Maria è presentata come modello per gli altri discepoli.
6) Ai piedi della croce: “Donna, ecco tuo figlio!” - “Ecco tua madre!” (Gv 19,25-27). Nasce la Chiesa, ai piedi della croce. Maria è il modello della comunità cristiana.
7) La Maddalena deve annunciare la Buona Novella ai fratelli (Gv 20,11-18). Lei riceve un ordine senza il quale tutti gli altri ordini dati agli apostoli non avrebbero forza né valore.
- La Madre di Gesù appare due volte nel vangelo di Giovanni: all’inizio, nelle nozze di Cana (Gv 2,1-5), e alla fine, ai piedi della croce (Gv 19,25-27). Nei due casi lei rappresenta l’Antico Testamento che attende l’arrivo del Nuovo e, nei due casi, contribuisce affinché il Nuovo possa arrivare. Maria è l’anello di congiunzione tra quello che c’era prima e quello che sarebbe venuto poi. A Cana, è lei, la madre di Gesù, simbolo dell’Antico Testamento, che percepisce i limiti dell’Antico e fa’ i passi perché il Nuovo possa arrivare. Nell’ora della morte, è la Madre di Gesù, che accoglie il “Discepolo Amato”. Qui, il Discepolo Amato è la nuova Comunità che è cresciuta intorno a Gesù. È il figlio che è nato dall’Antico Testamento. Su richiesta di Gesù, il figlio, il Nuovo Testamento, accoglie la Madre, l’Antico Testamento, nella sua casa. I due devono camminare insieme. Poiché il Nuovo non può essere capito senza l’Antico. Sarebbe un edificio senza fondamenta. E l’Antico senza il Nuovo sarebbe incompleto. Sarebbe un albero senza frutti.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
III DOMENICA DI QUARESIMA


Letture:
Es 34,1-10
Sal 105
Gal 3,6-14
Gv 8,31-59

Chi credi di essere?
Di fronte alle sicurezze, alle tradizioni dei Giudei, Gesù si presenta come unica verità e liberazione, come salvezza: l’unico vero inviato di Dio - il messia - che salva, perché solo lui viene da Dio. Di fronte alle nostre sicurezze e salvezze umane, Gesù si presenta contestandole e indicando se stesso come unico ed esclusivo salvatore. Ci accusa anche di schiavitù e di peccato, condannando il nostro “perbenismo”, la nostra “morale laica”, e la convinzione di essere nel giusto e capaci di una propria salvezza mondana.
Io sono: Mai come qui Gesù dichiara esplicitamente la sua origine divina: sono uscito da Dio, Lui mi ha mandato, dico quello che ho visto da Lui, onoro il Padre, Lui mi garantisce e mi glorifica, lo conosco e osservo la sua parola, e alla fine afferma: IO SONO, il nome proprio del Dio dell’Antico Testamento, Jahvè. “Prima che Abramo fosse, Io Sono”. “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Egli si dichiara come l’unico e autentico inviato da Dio come l’unico salvatore. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). I giudei lo vogliono uccidere perché hanno ben inteso la sua “bestemmia” di autodefinirsi Dio. Lui è la verità, cioè la rivelazione piena di Dio. “Chi vede me vede il Padre” (Gv 14,9). “Dio, nessuno lo ha mai visto Dio: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). È il vertice di quella Rivelazione iniziata con Abramo, gradualmente cresciuta nella storia di Israele ed giunta ora nella persona di Gesù al suo punto supremo e definitivo: “Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”. Da qui la sua pretesa di esclusività. Non è più ipotizzabile un altro volto di Dio. Questa verità è particolarmente urgente richiamare oggi in tempi di tanto revival religioso soggettivo. Gesù è la verità unica su Dio, sul progetto di uomo e di storia e sul suo piano di salvezza. Aderire a lui è il solo modo per essere “figli della donna libera non della schiava” (Gal 4,22), di appartenere con la fede alla vera discendenza di Abramo, e di “rimanere per sempre nella casa”, - quali autentici figli di Dio ed eredi così “da non vedere la morte in eterno”. Con Cristo si è liberi dalla schiavitù del peccato (cioè dall’irreligiosità, o da una religione sbagliata, o insufficiente quale è l’antica Legge giudaica), perché “chi commette il peccato è schiavo del peccato”. Questo richiamo forte alle nostre schiavitù spesso non lo vogliamo riconoscere - “noi non siamo mai stati schiavi di nessuno”; succubi come siamo delle suggestioni e delle soggezioni a Satana, padre della menzogna e omicida, che ci procura la morte e tanto egoismo.
Suoi discepoli: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli ..”. Si è suoi discepoli nella fede e con l’adesione alla sua parola. Gesù è categorico: o si è con lui o si è di satana. “Chi credi di essere?”. È una pretesa che se non venisse da Dio, sarebbe di un pazzo. Di Dio Gesù è l’incarnazione storica. Il contenuto preciso della nostra fede è credere a Gesù come l’unico ed esclusivo salvatore del mondo. Egli è “la verità”, ossia la rivelazione piena e definitiva di Dio, ben oltre a quanto già l’Antica legge ci aveva rivelato di Dio. La prima lettura ci dà il bisglietto da visita offerto a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di pietà e di fedeltà..” (Lett.). Da qui la contestazione di ogni religione e di ogni religiosità. Ogni religione perché oggettivamente solo Cristo è il mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm 2,5). Anche l’Ebraismo è stato solo premessa a Cristo (“pedagogo”, dice Paolo). L’aveva già intuito anche Abramo, “che ha visto il mio giorno”; e per la fede in Lui fu giustificato. Contestata anche ogni religiosità soggettiva o ogni pratica che non siano una fede e una adesione del cuore all’opera di Cristo. Almeno oggettivamente parlando. Da qui naturalmente anche la contestazione ad ogni forma di idolatria, all’arroganza autosufficiente di chi cerca salvezza negli idoli moderni: libertà, soldi, prestigio, potere …., o di chi crede di salvarsi da sé. Vi fa riferimento Gesù usando le forti parole della schiavitù sotto satana, omicida a padre della menzogna. Forse proprio questa è la “religione” laica che impera nel nostro mondo secolarizzato. Questo è semplicemente ritorno al paganesimo! Per moltissimi - forse non sempre colpevoli - è l’indifferenza e il non porsi più seriamente il problema di Dio e del senso della vita. Siamo al gravissimo danno dell’ottundimento del più naturale “senso religioso”!
Dice oggi il Prefazio: “La moltitudine dei popoli, preannunciati ad Abramo come sua discendenza, è veramente la tua unica Chiesa, che si raccoglie da ogni tribù, lingua e nazione”. “Riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede, .. perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani, e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito” (Epist.). Aderire a Gesù nella sua Chiesa è la strada maestra da percorrere, perché solo lì - oggettivamente - vi è la pienezza degli strumenti di salvezza lasciati da Cristo. Cui va ratificare la nostra adesione con più maturità anche quest’anno nella veglia pasquale nella quale siamo chiamati a rinnovare le nostre promesse battesimali.
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MessaggioTitolo: SABATO 2 APRILE 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Apr 02, 2011 9:45 am

SABATO 2 APRILE 2011

SABATO DELLA III SETTIMANA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti.

Letture:
Os 6,1-6 (Voglio l’amore e non il sacrificio)
Sal 50 (Voglio l’amore e non il sacrificio)
Lc 18,9-14 (Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo)

Nel cuore della preghiera
Tra i vari moventi della preghiera dobbiamo mettere tra i primi posti da una parte la consapevolezza della nostra estrema povertà e dell’altra la certezza che colui che invochiamo è in grado di soccorrerci. Tutto ciò sgorga essenzialmente dalle tre virtù teologali, che ci orientano verso Dio: la fede, la speranza e la carità. Tutte le virtù cristiane sono però correlate tra loro, per cui ne individuiamo subito un’altra, che costituisce un indispensabile supporto a quelle menzionate: l’umiltà. Essere umili significa riconoscere ciò che siamo, riconoscere con la migliore gratitudine i doni di Dio, riconoscere nella sua verità sia il bene di cui siamo capaci, sia il male di cui siamo responsabili. Sono queste le migliori premesse della preghiera. I due protagonisti del vangelo odierno si contrappongono nettamente offrendoci l’uno una bella testimonianza di preghiera autentica, l’altro un cattivo esempio di umana presunzione e falsa religiosità. Il fariseo infatti fa vanto delle sue azioni e, pur ringraziando Dio, ne attribuisce a se il merito. La sua, più che una preghiera, è un soliloquio di autogratificazione. Con un giudizio assolutamente personale, si ritiene migliore degli altri uomini, migliore anche del pubblicano, che guarda con sufficienza e disprezzo. Più che pregare, egli ci da l’impressione di chi sta presentando al Signore le proprie credenziali; non ha nulla da chiedere, ha solo da offrire, con palese orgoglio, la sua presunta giustizia. Com’è diverso l’atteggiamento del vero orante: il pubblicano, riconoscendosi peccatore, si tiene a doverosa distanza da Dio e, in una serena mortificazione, non osa neanche di levare gli occhi verso il cielo, verso la dimora del Dio altissimo. Si riconosce reo di peccato e, mosso da sincero pentimento, si batte il petto e implora la misericordia divina: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore». È illuminate per noi la conclusione che Gesù trae al termine della parabola: «Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Abbiamo una evidente e pressante alternativa: o accettare ed adeguarci alle sfide innumerevoli che il mondo ci lancia e in questo caso l’orgoglio è sicuramente l’arma più efficace, o fidarci di Dio e affidarci a lui come umili mendicanti, ma stracolmi di serena fiducia in lui.
Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che noi tutti abbiamo la tendenza a compiacerci di noi stessi. Forse perché pratichiamo molto fedelmente la nostra religione, come quel zelante fariseo, pensiamo di dover essere considerati “per bene”. Non abbiamo ancora capito queste parole di Dio in Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6). Invece di glorificare il Padre per quello che è, il nostro ringraziamento troppo spesso riguarda ciò che noi siamo o, peggio, consiste nel confrontarci, in modo a noi favorevole, con gli altri. È proprio questo giudizio sprezzante nei confronti dei fratelli che Gesù rimprovera al fariseo, così come gli rimprovera il suo atteggiamento nei confronti di Dio. Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, e di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera “giusti” di fronte a Dio. Non comprenderemo mai abbastanza che il nostro amore è in stretta relazione con la nostra umiltà. La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è di umiliarci di fronte a Dio. Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a rendere grazie in modo sincero; allora possiamo fare la preghiera del pubblicano, possiamo cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Gesù esaudisce sempre questa preghiera. L’umiltà non ha niente a che vedere con un qualsiasi complesso di colpa o con un qualsiasi senso di inferiorità. È una disposizione d’amore; essa suppone che sappiamo già per esperienza che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. Essa suppone cioè che siamo entrati nello spirito del Magnificat.

Lettura del Vangelo: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Riflessione:
- Nel Vangelo di oggi, Gesù racconta la parabola del fariseo e del pubblicano per insegnarci a pregare. Gesù ha un modo diverso di vedere le cose. Lui vedeva qualcosa di positivo nel pubblicano, di cui tutti dicevano: “Non sa pregare!”. Gesù viveva così unito al Padre per mezzo della preghiera, che tutto diventava per lui espressione di preghiera.
- Il modo di presentare la parabola è molto didattico. Luca dà una breve introduzione che serve da chiave di lettura. Poi Gesù racconta la parabola ed alla fine Gesù stesso applica la parabola alla vita.
- Luca 18,9: L’introduzione. La parabola viene presentata dalla frase seguente: “Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri!”. La frase è di Luca. Si riferisce al tempo di Gesù. Ma si riferisce anche al nostro tempo. Ci sono sempre persone e gruppi di persone che si considerano giusti e fedeli e che disprezzano gli altri, considerandoli ignoranti ed infedeli.
- Luca 18,10-13: La parabola. Due uomini vanno al tempio a pregare: un fariseo ed un pubblicano. Secondo l’opinione della gente d’allora, i pubblicani non erano assolutamente considerati e non potevano rivolgersi a Dio, perché erano persone impure. Nella parabola, il fariseo ringrazia Dio perché è migliore degli altri. La sua preghiera non è altro che un elogio di se stesso, un’ esaltazione delle sue buone qualità ed un disprezzo per gli altri e per il pubblicano. Il pubblicano non alza neanche gli occhi, ma si batte il petto dicendo: “Dio mio, abbi pietà di me che sono un peccatore!”. Si mette a posto suo davanti a Dio.
- Luca 18,14: L’applicazione. Se Gesù avesse lasciato esprimere la sua opinione per dire chi dei due ritornò giustificato verso casa, tutti avrebbero risposto: “Il fariseo!”. Poiché era questa l’opinione comune a quel tempo. Gesù pensa in modo diverso. Per lui, chi ritorna giustificato a casa, in buoni rapporti con Dio, non è il fariseo, bensì il pubblicano. Gesù gira tutto al rovescio. Alle autorità religiose dell’epoca certamente non è piaciuta l’applicazione che lui fa di questa parabola.
- Gesù prega. Soprattutto Luca ci informa sulla vita della preghiera di Gesù. Presenta Gesù in preghiera costante. Ecco un elenco di testi del vangelo di Luca, in cui Gesù appare in preghiera: Lc 2,46-50; 3,21: 4,1-12; 4,16; 5,16; 6,12; 9,16.18.28; 10,21; 11,1; 22,32; 22,7-14; 22,40-46; 23,34; 23,46; 24,30. Leggendo il vangelo di Luca, tu potrai trovare altri testi che parlano della preghiera di Gesù. Gesù viveva in contatto con il Padre. La respirazione della sua vita era fare la volontà del Padre (Gv 5,19). Gesù pregava molto ed insisteva, affinché la gente ed i suoi discepoli facessero lo stesso, poiché nel contatto con Dio nasce la verità e la persona si incontra con se stessa, in tutta la sua realtà ed umiltà. In Gesù, la preghiera era intimamente legata ai fatti concreti della vita ed alle decisioni che doveva prendere. Per poter essere fedele al progetto del Padre, cercava di rimanere da solo con Lui per ascoltarlo. Gesù pregava i Salmi. Come qualsiasi altro giudeo pio, li conosceva a memoria. Gesù giunse a comporre il suo proprio salmo. È il Padre Nostro. La sua vita era una preghiera permanente: “Non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre!” (Gv 5,19.30). A lui si applica ciò che dice il Salmo: “Io sono in preghiera!” (Sal 109,4).

Per un confronto personale:
- Guardandomi allo specchio di questa parabola, io sono come il fariseo o come il pubblicano?
- Ci sono persone che dicono che non sanno pregare, ma parlano tutto il tempo con Dio. Tu conosci persone così?

Preghiera finale: Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato (Sal 50).
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MessaggioTitolo: domenica 3 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Apr 03, 2011 9:09 am

DOMENICA 3 APRILE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
IV DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA LAETARE


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
1Sam 16,1.4.6-7.10-13 (Davide è consacrato con l’unzione re d’Israele)
Sal 22 (Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla)
Ef 5,8-14 (Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà)
Gv 9,1-41; forma breve: Gv 9,1.6-9.13-17.34-38 (Andò, si lavò e tornò che ci vedeva)

Dalle tenebre alla luce
Noi esseri umani siamo concepiti in uno stato di cecità fisica e spirituale. Quella fisica ordinariamente la acquistiamo in breve tempo, quella spirituale è affidata al sacramento del battesimo, che genera in noi i germi della fede e ci annovera tra i figli di Dio. Ciò ci consente di immedesimarci immediatamente con il «ceco nato» del vangelo di questa quarta domenica di quaresima. Se noi non siamo più cechi è solo perché siamo stati gratuitamente illuminati da Cristo, la luce vera che illumina ogni uomo. L’evangelista Giovanni descrive efficacemente il passaggio dallo stato di disagio, causato dalle tenebre, allo splendore della luce e della fede. Ciò comporta prima la consapevolezza della propria cecità e poi l’accettazione del dono della fede, significata dalla luce di Cristo. La prima luce però, egli la dona agli stessi apostoli, i quali sulla scia della tradizione giudaica, erano convinti che le disgrazie umane fossero sempre frutto del peccato e comminate da Dio come punizione: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare». Ridare luce all’uomo e sottrarlo alle tenebre della notte, è dunque «l’opera di Dio» per eccellenza, fa parte della missione di Cristo, è il dono più prezioso e più atteso dall’uomo. Il primo effetto della luce è quello di mettere a nudo le scorie pesanti del peccato e il fango che ci imbratta e non ci consentono più di vedere, bisogna quindi andare a lavarci alla fontana, purificare il nostro spirito nella divina misericordia. Dove c’è acqua pura e zampillante, dove c’è l’acqua che Cristo sa donare, avviene sempre il miracolo della purificazione. «Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva». È poi normale che coloro che non sono nella luce e non sono purificati nello spirito, che non vogliono e non possono comprendere, intentino l’ennesimo processo contro Cristo e contro colui che ha recuperato miracolosamente la vista. Oggi più che mai noi credenti dobbiamo esprimere la più intensa gratitudine a Dio, perché, senza alcun nostro merito, siamo annoverati tra i figli della luce, abbiamo il dono incommensurabile della fede, che illumina di radiazioni divine il nostro futuro e il nostro presente.
La “luce” è uno dei simboli originali delle Sacre Scritture. Essa annuncia la salvezza di Dio. Non è senza motivo che la luce è stata la prima ad essere creata per mettere un termine alle tenebre del caos (Gen 1,3-5). Ecco la professione di fede dell’autore dei Salmi: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” (Sal 28,1). E il profeta dice: “Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Non bisogna quindi stupirsi se il Vangelo di san Giovanni riferisce a Gesù il simbolo della luce. Già il suo prologo dice della Parola divina, del Logos: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,4-5). La luce è ciò che rischiara l’oscurità, ciò che libera dalla paura che ispirano le tenebre, ciò che dà un orientamento e permette di riconoscere la meta e la via. Senza luce, non c’è vita. Il racconto della guarigione del cieco è una “storia di segni” caratteristica di san Giovanni. Essa mette in evidenza che Gesù è “la luce del mondo” (v. 5, cfr. 8,12), che egli è la rivelazione in persona e la salvezza di Dio - offerte a tutti.

Approfondimento del Vangelo (Un cieco incontra la luce. Gli occhi si aprono convivendo con Gesù)
Il testo: In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Il testo (forma breve): In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Chiave di lettura: Il testo del Vangelo di questa quarta domenica di quaresima ci invita a meditare la storia della guarigione di un cieco nato. È un testo ridotto, ma molto vivo. Abbiamo qui un esempio concreto di come il Quarto Vangelo rivela il senso profondo nascosto nei fatti della vita di Gesù. La storia della guarigione del cieco ci aiuta ad aprire gli occhi sull’immagine di Gesù che ognuno di noi porta in sé. Molte volte, nella nostra testa, c’è un Gesù che sembra un re glorioso, distante dalla vita del popolo! Nei Vangeli, Gesù appare come un Servo dei poveri, amico dei peccatori. L’immagine del Messia-Re, che avevano in mente i farisei ci impediva di riconoscere in Gesù il Messia-Servo. Durante la lettura, cerchiamo di prestare attenzione a due cose: (1) nel modo esperto e libero con cui il cieco reagisce davanti alle provocazioni delle autorità, e (2) nel modo in cui lui stesso, il cieco, apre gli occhi rispetto a Gesù.

Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
- Giovanni 9,1-5: La cecità dinanzi al male che esiste nel mondo
- Giovanni 9,6-7: Il segnale dell’ “Inviato di Dio” che provocherà diverse reazioni
- Giovanni 9,8-13: La reazione dei vicini
- Giovanni 9,14-17: La reazione dei farisei
- Giovanni 9,18-23: La reazione dei genitori
- Giovanni 9,24-34: La sentenza finale dei farisei
- Giovanni 9,35-38: L’atteggiamento finale del cieco nato
- Giovanni 9,39-41: Una riflessione conclusiva

Momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
- Quale è la parte di questo testo che mi ha maggiormente colpito? Perché?
- Dice il proverbio popolare: “Non c’è peggior cieco di colui che non vuol vedere!”. Come appare questo nella conversazione tra il cieco ed i farisei?
- Quali sono i titoli che Gesù riceve nel testo? Da chi li riceve? Cosa significano?
- Quale è il titolo che più mi attira? Perché? Ossia, quale è l’immagine di Gesù che ho in testa e che porto nel cuore? Da dove viene questa immagine?
- Come pulire gli occhi per arrivare al vero Gesù dei Vangeli?

Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto in cui fu scritto il Vangelo di Giovanni: Meditando la storia della guarigione del cieco, è bene ricordare il contesto delle comunità cristiane in Asia Minore verso la fine del primo secolo, per le quali è stato scritto il Vangelo di Giovanni e che si identificavano con il cieco e con la sua guarigione. Loro stesse, a causa di una visione legalista della Legge di Dio, erano cieche fin dalla nascita. Ma, come avvenne per il cieco, anche loro riuscirono a vedere la presenza di Dio nella persona di Gesù di Nazaret e si convertirono. È stato un processo doloroso! Nella descrizione delle tappe e dei conflitti della guarigione del cieco, l’autore del Quarto Vangelo evoca il percorso spirituale delle comunità, dalla oscurità della cecità fino alla piena luce della fede illuminata da Gesù.
b) Commento del testo:
- Giovanni 9,1-5: La cecità davanti al male che esiste nel mondo. Vedendo il cieco i discepoli chiedono: “Rabbì, chi ha peccato lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco?”. In quella epoca, un difetto fisico o una malattia era considerata un castigo di Dio. Associare i difetti fisici al peccato era un modo con cui i sacerdoti dell’Antica Alleanza mantenevano il loro potere sulla coscienza del popolo. Gesù aiuta i discepoli a correggere le loro idee: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio!”. Opera di Dio è lo stesso che Segnale di Dio. Quindi, ciò che in quella epoca era segnale di assenza di Dio, sarà segnale della sua presenza luminosa in mezzo a noi. Gesù dice: “Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Il Giorno dei segnali comincia a manifestarsi quando Gesù, “il terzo giorno” (Gv 2,1), realizza il “primo segnale” a Cana (Gv 2,11). Ma il Giorno sta per terminare. La notte sta per giungere, poiché siamo già al “settimo giorno”, il sabato, e la guarigione del cieco è già il sesto segnale (Gv 9,14). La Notte è la morte di Gesù. Il settimo segnale sarà la vittoria sulla morte nella risurrezione di Lazzaro (Gv 11). Nel vangelo di Giovanni ci sono solo sette segnali, miracoli, che annunciano il grande segnale che è la Morte e la Risurrezione di Gesù.
- Giovanni 9,6-7. Il segnale di “Inviato di Gesù” che produce diverse reazioni. Gesù sputa per terra, fa del fango con la saliva, spalma il fango sugli occhi del cieco e gli chiede di lavarsi nella piscina di Siloè. L’uomo va e ritorna guarito. È questo il segnale! Giovanni commenta dicendo che Siloè significa inviato. Gesù è l’Inviato del Padre che realizza le opere di Dio, i segnali del Padri. Il segnale di questo ‘invio’ è che il cieco comincia a vedere.
- Giovanni 9,8-13: La prima reazione: quella dei vicini. Il cieco è molto conosciuto. I vicini rimangono dubbiosi: “Sarà proprio lui?”. E si chiedono: “Com’è che si aprirono i suoi occhi?”. Colui che prima era cieco, testimonia: “Quell’Uomo che si chiama Gesù mi ha aperto gli occhi”. Il fondamento della fede in Gesù è accettare che lui è un essere umano come noi. I vicini si chiedono: “Dov’è?”. - “Non lo so!”. Loro non rimangono soddisfatti con la risposta del cieco e, per chiarire il tutto, portano l’uomo dinanzi ai farisei, le autorità religiose.
- Giovanni 9,14-17: La seconda reazione: quella dei farisei. Quel giorno era un sabato ed il giorno del sabato era proibito curare. Interrogato dai farisei, l’uomo racconta di nuovo tutto. Alcuni farisei, ciechi nella loro osservanza della legge, commentano: “Questo uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato!”. E non riuscivano ad ammettere che Gesù potesse essere un segnale di Dio, perché guariscono il cieco un sabato. Ma altri farisei, interpellati dal segnale, rispondono: “Come può un peccatore compiere tali prodigi?”. Erano divisi tra loro! E chiesero al cieco: “Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. E lui dà la sua testimonianza: “È un Profeta!”.
- Giovanni 9,18-23: La terza reazione: quella dei genitori. I farisei, ora chiamati giudei, non credevano che fosse stato cieco. Pensavano che si trattasse di un inganno. Per questo mandarono a chiamare i genitori e chiesero loro: “È questo il vostro figlio che voi dite di esser nato cieco? Come mai ora ci vede?”. Con molta cautela i genitori risposero: “Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui stesso!”. La cecità dei farisei dinanzi all’evidenza della guarigione produce timore tra la gente. E colui che professava di avere fede in Gesù Messia era espulso dalla sinagoga. La conversazione con i genitori del cieco rivela la verità, ma le autorità religiose si negano ad accettarla. La loro cecità è maggiore che l’evidenza dei fatti. Loro, che tanto insistevano nell’osservanza della legge, ora non vogliono accettare la legge che dichiara valida la testimonianza di due persone (Gv 8,17).
- Giovanni 9,24-34: La sentenza finale dei farisei rispetto a Gesù. Chiamano di nuovo il cieco e dicono: “Dà gloria a Dio. Noi sappiamo che questo uomo è un peccatore”. In questo caso: “dare gloria a Dio” significava: “Chiedi perdono per la menzogna che hai appena detto!”. Il cieco aveva detto: “È un profeta!”. Secondo i farisei avrebbe dovuto dire: “È un peccatore!”. Ma il cieco è intelligente. E risponde: “Se sia un peccatore non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo!”. Contro questo fatto non ci sono argomenti! Di nuovo i farisei chiedono: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. Il cieco risponde con ironia: “Ve l’ho già detto. Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. Allora lo insultarono e gli dissero: “Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”. Con fine ironia, di nuovo il cieco risponde: “Proprio questo è strano! Che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Dinanzi alla cecità dei farisei, cresce nel cieco la luce della fede. Lui non accetta il raziocinio dei farisei e confessa che Gesù viene dal Padre. Questa professione di fede gli causa l’espulsione dalla sinagoga. Lo stesso succedeva nelle comunità cristiane della fine del primo secolo. Colui che professava la fede in Gesù doveva rompere qualsiasi legame familiare e comunitario. Così succede anche oggi: colui o colei che decide di essere fedele a Gesù corre il pericolo di essere escluso.
- Giovanni 9,35-38: L’atteggiamento di fede del cieco dinanzi a Gesù. Gesù non abbandona colui per cui è perseguitato. Quando viene messo al corrente dell’espulsione, ed incontrandosi con l’uomo, lo aiuta a dare un altro passo, invitandolo ad assumere la sua fede e gli chiede: “Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”. E lui gli risponde: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui”. Il cieco esclama: “Credo, Signore!”. E gli si prostra dinanzi. L’atteggiamento di fede del cieco davanti a Gesù è di assoluta fiducia e di totale accettazione. Accetta tutto da Gesù. Ed è questa la fede che sostentava le comunità cristiane dell’Asia verso la fine del primo secolo, e che ci sostiene fino ad oggi.
- Giovanni 9,39-41: Una riflessione finale. Il cieco che non vedeva, finisce vedendo meglio dei farisei. Le comunità dell’Asia Minore che prima erano cieche, scoprono la luce. I farisei che pensavano di vedere correttamente, sono più ciechi del cieco nato. Intrappolati nella vecchia osservanza, mentono quando dicono di vedere. Non c’è peggior cieco di colui che non vuole vedere!
c) Allargando la visione:
- I nomi ed i titoli che Gesù riceve: Lungo la narrazione della guarigione del cieco, l’evangelista registra vari titoli, aggettivi e nomi, che Gesù riceve dalle più svariate persone: dai discepoli, dall’evangelista stesso, dal cieco, dai farisei, da lui stesso. Questo modo di descrivere i fatti della vita di Gesù fa parte della catechesi dell’epoca. Era una forma di aiutare le persone a chiarire le proprie idee rispetto a Gesù ed a definirsi dinanzi a lui. Ecco alcuni di questi nomi, aggettivi e titoli. L’elenco indica la crescita del cieco nella fede e come si chiarisce la sua visione.
1) Rabbì (maestro) (Gv. 9,1): i discepoli.
2) Luce del mondo (Gv 9,5): Gesù.
3) Inviato (Gv 9,7): l’Evangelista.
4) Uomo (Gv 9,11): il cieco guarito.
5) Gesù: (Gv 9,11): il cieco guarito.
6) Non viene da Dio (Gv 9,16): alcuni farisei.
7) Profeta (Gv 9,17): il cieco guarito.
8) Cristo (Gv 9,22): il popolo.
9) Peccatore (Gv 9,24): alcuni farisei.
10) Non sappiamo di dove sia (Gv 9,31): il cieco guarito.
11) Religioso (Gv 9,31): il cieco guarito.
12) Fa la volontà di Dio (Gv 9,31): il cieco guarito.
13) Figlio dell’uomo (Gv 9,35): Gesù.
14) Signore (Gv 9,36): il cieco guarito.
15) Credo, Signore! (Gv 9,38): il cieco guarito.
- Il Nome: “Io SONO”: Per rivelare il significato profondo della guarigione del cieco, il Quarto Vangelo ricorda la frase di Gesù: “Io sono la luce del mondo” (Gv 9,5). In diversi altri luoghi, in risposta alle domande che le persone pongono fino ad oggi rispetto a Gesù: “Chi sei tu?” (Gv 8,25) o “Chi pretendi di essere?” (Gv 8,53), il vangelo di Giovanni ripete questa stessa affermazione “IO SONO”:
1) Io sono il pane di vita (Gv 6,34-48).
2) Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).
3) Io sono la luce del mondo (Gv 8,12; 9,5).
4) Io sono la porta (Gv 10, 7.9).
5) Io sono il buon pastore (Gv 10,11,25).
6) Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25).
7) Io sono il cammino, la verità e la vita (Gv 14,6).
8) Io sono la vite (Gv 15,1).
9) Io sono re (Gv 18,37).
10) Io sono (Gv 8,24.27.58).
Questa auto-rivelazione di Gesù raggiunge il suo culmine nella conversazione con i giudei, in cui Gesù afferma: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono” (Gv 8,27). Il nome Io sono è lo stesso che Yavé, nome che Dio assunse nell’esodo, espressione della sua presenza liberatrice tra Gesù ed il Padre (Ex 3,15). La ripetuta affermazione IO SONO rivela la profonda identità tra Gesù ed il Padre. Il volto di Dio rifulge in Gesù di Nazaret: “Chi vede me, vede il Padre!” (Gv 14,9).

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
IV DOMENICA DI QUARESIMA
DOMENICA DEL CIECO NATO

Letture:
Es 34,27-35,1;
Sal 35
2Cor 3,7-18
Gv 9,1-38b

Sono andato, mi sono lavato e ora ci vedo
Ancora un fatto compiuto da Gesù che suscita una discussione e prese di posizione nei suoi confronti. Da una parte il cieco guarito che crede, dall’altra i giudei che si chiudono sempre più nella loro incredulità. Un fatto che è un segno dell’opera di Gesù, “luce del mondo”, e riguarda ognuno di noi per quell’illuminazione che riceviamo nel battesimo. Aprirsi alla luce di Cristo con la fede è l’impegno che ci viene richiesto nel rinnovare ogni anno il nostro itinerario battesimale di quaresima verso la Pasqua.
Il fatto: Il fatto è un gesto ben concreto: un cieco dalla nascita è guarito. Costui viene inviato a lavarsi alla piscina di Siloe. “Siloe significa: Inviato”, cioè Messia. Il fatto allora è un segno: di Gesù che è luce del mondo: il Verbo “che è la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,4). Luce come rivelazione piena di Dio; luce che è la vita divina: “a quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Accogliere Gesù - via per la quale Dio giunge a noi - è arrivare alla verità e alla vita: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Il cieco nato, uomo sincero e realista s’arrende all’evidenza del fatto e cammina verso il riconoscimento del segno, passando dalla luce degli occhi alla luce della fede. Il suo ragionamento è semplice: “Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Passa gradualmente da saperlo “un uomo che si chiama Gesù”, a riconoscerlo “un profeta”, cioè “uno che viene da Dio”. Alla fine lo proclama “Signore”, il Figlio dell’uomo che è il Dio venuto tra noi e che è risorto. A tale riconoscimento della divinità di Gesù approda appunto la fede battesimale. All’opposto sta l’indurimento del cuore dei farisei di fronte a Gesù che non vogliono accettare il fatto per pregiudizio contro il segno, perché non vogliono riconoscere il divino che c’è in Gesù, riconoscerlo cioè Messia. Per questo meritano il giudizio tremendo finale: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Accanto ai farisei ci sta la folla che si perde in chiacchiere, si ferma alla pura curiosità: è lui il mendicante cieco, non è lui? Non prende posizione, non gli interessa più di tanto quel che è capitato...: come avviene per chi del fatto religioso si informa solo alla tv. Per i genitori del cieco poi è questione di paura: è troppo compromettente e rischioso credere in Cristo! E noi? Quale posizione prendiamo di fronte a Gesù? Quella aperta e leale del cieco? O quella supponente dei farisei “che sanno”? O quella indifferente della folla? O quella minimalista dei genitori che non vogliono compromettersi con Cristo?
Il segno: Il prefazio ci fa pregare così: “Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che nel fonte battesimale gli viene donata”. È il segno che si attualizza per noi nel battesimo. L’umanità, nata cieca per l’eredità di peccato ricevuta da Adamo, è resa priva della vita divina, ferita nelle più autentiche capacità umane e destinata alla morte, sull’immagine del malcapitato della parabola del Buon Samaritano, bisognoso che Dio si chini su di lui per salvarlo. Ora Gesù ripete a noi ormai destinati alla morte: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe, che significa Inviato”. Va’ a lavarti nella piscina del tuo battesimo e ne uscirai illuminato dalla mia grazia, riconciliato con Dio, partecipe ancora della vita divina, rafforzato dallo Spirito santo che ti rende capace di “resistere al male che non vuoi e fare il bene che vuoi” (Rm 7,18-19). Il battesimo è il dono e la segnalazione d’una nuova identità e di un nuovo destino che trova in Cristo la sorgente, l’immagine riuscita e la forza cui far riferimento nel cammino della nostra realizzazione come uomini. La vita cristiana è una graduale trasfigurazione - ci dice san Paolo nella seconda lettura – per la quale “riflettendo a viso scoperto come in uno specchio la gloria (cioè la vita divina di cui anche noi siamo partecipi) del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, secondo l’azione dello Spirito”. Questa progressiva conformazione a Cristo, primogenito e modello dell’uomo nuovo, parte dal battesimo per renderci alla fine “simili a Dio”, come avveniva per Mosè che ad ogni incontro con Dio usciva sempre più raggiante in volto (cfr. prima lettura).
Grande è la dignità dei figli di Dio nati dal battesimo, “molto più gloriosa” rispetto all’antica Alleanza. Grande è la libertà che ci deriva dal riconoscimento del solo Signore Gesù Cristo. “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”. Allora “forti di tale speranza - cioè orgogliosi di tale fortuna -, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto” (Sec. lettura). Noi siamo chiamati a testimoniare agli altri questa nuova identità che il battesimo ci assicura, e divenire così, come ci dice Gesù, sale, luce, lievito per tutti i nostri fratelli.
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MessaggioTitolo: sabato 9 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Apr 09, 2011 9:38 am

SABATO 9 APRILE 2011

SABATO DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: Signore onnipotente e misericordioso, attira verso di te i nostri cuori, poiché senza di te non possiamo piacere a te, sommo bene.

Letture:
Ger 11,18-20 (Come agnello mansueto che viene portato al macello)
Sal 7 (Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio)
Gv 7,40-53 (Il Cristo viene forse dalla Galilea?)

Tra le chiacchiere e la fede
Se ci fosse consentito di trasformare in lenti da una parte l’intelligenza e la ragione umana e dall’atra la fede, potremmo costatare di persona la diversità degli spazi e degli ambiti che l’una e l’altra ci consentirebbero di vedere. Potremmo così confrontare i due diversi orizzonti, quello proprio dell’uomo, davvero angusto, e quello di Dio praticamente infinito, anche se per ora velato dal tempo e da altri condizionamenti umani. Con queste due lenti diverse era guardato Gesù durante la sua vita terrena e ancora oggi così è guardato. Le conclusioni a cui si arriva per le due strade sono quasi sempre diametralmente opposte: o l’autenticità della fede e le verità rivelate o le chiacchiere insulse sulle cose di Dio. Le più pericolose sono sempre quelle che presuntuosamente le si vogliono far scaturire dalla parola di Dio, interpretata con presunzione e miopia. Gesù, o è il figlio del falegname che viene dalla Galilea, o un maestro presuntuoso e scomodo, o al più un profeta, che però deve essere messo comunque in grado di non nuocere, deve essere incarcerato e condannato, oppure egli è il Figlio del Dio vivente, il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Perfino le guardie, libere da condizionamenti e guidati soltanto dalla loro naturale onestà, non possono fare a meno di ammettere: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!». I farisei però attribuiscono ad un inganno l’ammirazione sincera che essi esprimono. Coloro che non la pensano allo stesso modo, chi non conosce la legge e non l’interpreta come fanno loro, sono definiti «maledetti». Affermano infatti: «Questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Talvolta è più facile far conoscere Cristo ai lontani che correggere gli errori più grossolani dei presuntuosi, di coloro che affermano di credere in lui e si professano religiosi e si ritengono depositari di tutte le verità. Subentra spesso una maledetta superbia e una stupida arroganza a guastare anche i nostri sentimenti migliori: dobbiamo riconoscere, non senza rossore, che il fariseismo e tutt’altro che sopito e trova spazio anche nella chiesa santa di Dio.
Gesù prese su di sé le sorti del profeta rifiutato e quelle di tutti gli esclusi e gli abbandonati. Egli ha preso su di sé le sorti delle nazioni perseguitate per aver combattuto per la libertà, le sorti dei militanti condannati per la loro fede, sia che essi siano perseguitati da un potere laico ateo, sia dai seguaci di un’altra confessione. Il Vangelo di oggi ci mostra le poche persone che hanno tentato di difendere Gesù. Le guardie del tempio non hanno voluto arrestarlo, e Nicodemo l’ha timidamente sostenuto, argomentando che non si può condannare qualcuno senza aver prima ascoltato il suo difensore. Nel mondo di oggi, anche noi cerchiamo timidamente di prendere le difese di quelli che sono ingiustamente perseguitati. A volte è l’esercito che rifiuta di sparare sui civili, come è successo di recente nei paesi baltici. A volte è nell’arena internazionale che viene negato - assai timidamente - ad una grande potenza il diritto di opprimere un popolo. Il dramma del giudizio subito da Cristo, seguito dal suo arresto e dalla sua crocifissione, come riporta il Vangelo di oggi, perdura ancora nella storia umana. Ogni uomo ha, in questo dramma, un certo ruolo, analogo ai ruoli evocati nel Vangelo. Gesù è venuto da Dio per vincere il male per mezzo dell’amore. La sua vittoria si è compiuta sulla croce. La sua vittoria non cessa di compiersi in noi, passando per la croce. Dobbiamo osservare la scena del mondo attuale alla luce del processo a Gesù e del dibattito suscitato dalla sua persona, quando viveva e compiva la sua missione in Palestina. Siamo capaci di percepire Gesù e il suo insegnamento nella Chiesa? Non rifiutiamo davvero nessuno, e non giudichiamo nessuno ingiustamente? Siamo capaci di vedere Gesù nei poveri e nelle vittime della terra? Chi è ognuno di noi oggi nel dramma dei profeti contemporanei rifiutati, e nel dramma odierno di Gesù Cristo e del suo Vangelo? Gesù? Nicodemo? Le guardie del tempio?

Lettura del Vangelo: In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

Riflessione:
- Nel capitolo 7, Giovanni constata che c’erano diverse opinioni e molta confusione riguardo a Gesù in mezzo alla gente. I parenti pensavano una cosa (Gv 7,2-5), la gente pensava in altro modo (Gv 7,12). Alcuni dicevano: “È un profeta!” (Gv 7,40). Altri dicevano: “Inganna la gente!” (Gv 7,12). Alcuni lo elogiavano: “È un uomo buono!” (Gv 7,12). Altri lo criticavano: “Non ha studiato!” (Gv 7,15). Molte opinioni! Ciascuno aveva i suoi argomenti, tratti dalla Bibbia o dalla Tradizione. Però nessuno ricordava il messia Servo, annunciato da Isaia (Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12; 61,1-2). Anche oggi si discute molto sulla religione, e tutti estraggono i loro argomenti dalla Bibbia. Come nel passato, così anche oggi, succede molte volte che i piccoli sono ingannati dal discorso dei grandi e, a volte, perfino dai discorsi di coloro che appartengono alla Chiesa.
- Giovanni 7,40-44: La confusione in mezzo alla gente. La reazione della gente è assai diversa. Alcuni dicono: è il profeta. Altri: è il Messia, il Cristo. Altri ribadiscono: non può essere, perché il messia verrà da Betlemme e lui viene dalla Galilea! Queste diverse idee sul Messia producono divisione e confronto. C’era gente che voleva prenderlo, ma non lo fecero. Probabilmente perché avevano paura della gente (cfr. Mc 14,2).
- Giovanni 7,45-49: Gli argomenti delle autorità. Anteriormente, davanti alle reazioni della gente favorevole a Gesù, i farisei avevano mandato guardie a prenderlo (Gv 7,32). Ma le guardie ritornarono in caserma senza Gesù. Erano rimasti impressionati nel sentirlo parlare così bene: “Mai nessuno ha parlato come quest’uomo!”. I farisei reagiscono: “Forse vi siete lasciati ingannare anche voi?”. Secondo i farisei, “questa gente che non conosce la legge” si lascia ingannare da Gesù. È come se dicessero: “Noi capi conosciamo meglio le cose e non ci lasciamo ingannare!” e dicono che la gente è “maledetta”! Le autorità religiose dell’epoca trattavano la gente con molto disprezzo.
- Giovanni 7,50-52: La difesa di Gesù da parte di Nicodemo. Dinanzi a questo argomento stupido, l’onestà di Nicodemo si rivolta ed alza la voce per difendere Gesù: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. La reazione degli altri è di presa in giro: “Sei forse anche tu, Nicodemo, della Galilea!? Dà uno sguardo alla Bibbia e vedrai che dalla Galilea non potrà venire nessun profeta!”. Loro sono sicuri! Con il libro del passato in mano si difendono contro il futuro che arriva scomodando. Molta gente continua a fare oggi la stessa cosa. Si accetta la novità solo se va d’accordo con le proprie idee che appartengono al passato.

Per un confronto personale
- Quali sono oggi le diverse opinioni su Gesù che ci sono tra la gente? E nella tua comunità, ci sono diverse opinioni che generano confusione? Quali? Raccontale.
- Le persone accettano la novità solo se va d’accordo con le proprie idee e che appartengono al passato. E tu?

Preghiera finale: La mia difesa è nel Signore, egli salva i retti di cuore. Loderò il Signore per la sua giustizia e canterò il nome di Dio, l’Altissimo (Sal 7).
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MessaggioTitolo: domenica 10 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Apr 10, 2011 10:10 am

DOMENICA 10 APRILE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
V DOMENICA DI QUARESIMA


Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, affinché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con cui Tu la leggesti ai discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu gli aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella Creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e nei sofferenti. La tua parola ci orienti affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo lo chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre ed inviato il tuo Spirito. Amen.

Letture:
Ez 37,12-14 (Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete)
Sal 129 (Il Signore è bontà e misericordia)
Rm 8,8-11 (Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi)
Gv 11,1-45: forma breve: Gv 11,3-7.17.20-27.33b-45 (Io sono la risurrezione e la vita)

Risorti dai morti
«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Non è esagerato affermare che in queste parole di Gesù è contenuto il più grande annunzio della storia. Egli, non solo preannuncia la sua gloriosa risurrezione, ma si autodefinisce risurrezione e vita. Significa che nella sua divinità e nella sua umanità è ìnsito un germe di immortalità e una fonte inesauribile di vita. Significa ancora che la sua stessa forza egli la vuole trasfondere nell’uomo come dono, vuole essere il garante della vita e la certezza della risurrezione per tutti noi. È l’annuncio di una vittoria totale ed insperata, una vera e propria rigenerazione dell’uomo, una vita nuova; è il superamento della paura della morte e del chiuso di una tomba e l’apertura piena del cielo e l’indicazione chiara della nostra meta finale. In una preghiera liturgica noi ringraziamo Dio perché ci dona molto di più di quanto osiamo sperare: come è vero ciò quanto riflettiamo sul dono dalla risurrezione e della vita! Il Signore pone una condizione indispensabile perché ognuno possa godere di questi suoi doni: dobbiamo vivere e credere in Lui. Ci vengono richieste le virtù della fede e dell’amore. È l’impegno a vivere in intimità di comunione con Cristo per passare dalla vita alla Vita. Il miracolo della risurrezione di Lazzaro nel contesto, lo leggiamo come un segno ed un aiuto per trovare ulteriore conferma nella fede. Sappiamo già ormai che Cristo è padrone e signore della vita, sappiamo che egli ha in se la forza di far tornare a vivere il suo amico, nel sepolcro da tre giorni e già preda di una incipiente corruzione del suo corpo. Non ci sorprende più che la sua voce, le sue parole abbiano il potere di far tornare in vita: già pregustiamo la gioia ben più profonda di una risurrezione universale e finale che risuonerà il mattino di Pasqua. Questa è la nostra fede, questo è il dono immenso che Dio ci ha fatto, questa è la sorte che ci attende, la vita eterna. Questo vangelo ci offre i motivi fondamentali come anticipazione della gioia pasquale.
Il racconto della risurrezione di Lazzaro è una delle “storie di segni” che racconta san Giovanni. Si tratta qui di presentare Gesù, vincitore della morte. Il racconto culmina nella frase di Gesù su se stesso: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me non morrà in eterno” (vv. 25-26). Che Dio abbia il potere di vincere la morte, è già la convinzione dei racconti tardivi dell’Antico Testamento. La visione che ha Ezechiele della risurrezione delle ossa secche - immagine del ristabilimento di Israele dopo la catastrofe dell’esilio babilonese - presuppone questa fede (Ez 37,1-14). Nella sua “Apocalisse”, Isaia si aspetta che Dio sopprima la morte per sempre, che asciughi le lacrime su tutti i volti (Is 25,8). E, per concludere, il libro di Daniele prevede che i morti si risveglino - alcuni per la vita eterna, altri per l’orrore eterno (Dn 12,2). Ma il nostro Vangelo va oltre questa speranza futura, perché vede già date in Gesù “la risurrezione e la vita” che sono così attuali. Colui che crede in Gesù ha già una parte di questi doni della fine dei tempi. Egli possiede una “vita senza fine” che la morte fisica non può distruggere. In Gesù, rivelazione di Dio, la salvezza è presente, e colui che è associato a lui non può più essere consegnato alle potenze della morte.

Approfondimento del Vangelo (La Risurrezione di Lazzaro)
Il testo: In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Il testo (forma breve): In quel tempo, le sorelle di Lazzaro mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Marta, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Gesù si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Una chiave di lettura: Leggiamo il testo che descrive la risurrezione di Lazzaro. Durante la lettura, cerca di seguire il gruppo, i discepoli e le discepole che seguono Gesù dalla Galilea fino a Betània. Devi seguire con attenzione tutti gli eventi, dal momento dell’annuncio della malattia del fratello che Marta e Maria invieranno a Gesù che si trova in Galilea fino alla risurrezione di Lazzaro.

Una divisione del testo per aiutare la lettura:
- Gv 11,1-16: Gesù riceve l’avviso e torna a Betània per risuscitare Lazzaro
- Gv 11,17-31: L’incontro di Gesù con le due sorelle e la professione di fede di Marta
- Gv 11,32-45: Il gran segno della risurrezione di Lazzaro

Un momento di silenzio orante perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
- Che cosa ha attirato di più la tua attenzione in tutto quest’episodio narrato con tanti dettagli? Perché?
- Qual è il punto centrale e più importante di tutto quello che il testo ci racconta? Perché?
- Quali gli atteggiamenti dei discepoli? Che cosa dicono e fanno?
- Quali gli atteggiamenti di Marta e di Maria? Che cosa dicono e fanno?
- Quali gli atteggiamenti dei giudei? Che cosa dicono, fanno e pianificano?
- Con chi t’identifichi di più: con i discepoli, con le sorelle, con i giudei, o con nessuno di loro?
- Hai mai passato dei momenti in cui si mescolavano disperazione e speranza, morte e vita? Che cosa, in questi momenti difficili, ha sostenuto la tua fede?
- In che modo Lazzaro risuscita oggi? Come accade la risurrezione oggi, dando vita nuova ai poveri?

Una chiave di lettura per quelli che vogliono approfondire di più l’argomento
a) La differenza tra il vangelo di Giovanni e gli altri tre vangeli:
- Un paragone per capire queste differenze. Fotografia e Raggio-X. Dinanzi a un tramonto, rimani meravigliato dalla bellezza della natura. Tu vedi e contempli quello che gli occhi guardano. È la Fotografia! Accanto a te, una tua amica ti dice: “Hai visto come quella piccola nuvola cambia in un colore ancora più profondo! Così è la nostra amicizia!”. Lei ha visto di più di quello che gli occhi guardavano. È il Raggio-X. L’amore vicendevole e la fede nell’altro hanno ampliato la sua visione. Così è il vangelo di Giovanni, il Vangelo del Discepolo Amato. Lui c’insegna come leggere gli altri vangeli e a scoprire in essi una dimensione più profonda. Gli altri tre vangeli scattano la fotografia dei miracoli. Giovanni scatta il Raggio-X, rivelando il suo senso profondo e divino, quel che la sola fede vede per mezzo dello Spirito (Gv 14,26; 16,19).
- Per esempio, i sinottici menzionano vent’otto miracoli distinti. Giovanni ne menziona appena sette e gli chiama “Segni”. Di questi sette, appena tre s’incontrano nei sinottici. Gli altri quattro sono esclusivi di Giovanni: nozze di Cana (Gv 2,1-11), guarigione di un paralitico alla piscina di Siloe (Gv 5,1-9), guarigione di un cieco nato (Gv 9,1-7) e la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44). Nel modo in cui descrive questi “segni”, Giovanni fa’ molto di più che raccontare semplicemente miracoli. Lui amplia i fatti di modo che loro possano manifestare Gesù come la rivelazione del Padre. Il vangelo di Giovanni cerca di chiarire la frase di Gesù: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Quando mettiamo in controluce la radiografia di Gesù fatta dal vangelo di Giovanni, vediamo il volto del Padre.
b) La narrazione della risurrezione di Lazzaro nell’insieme del Vangelo di Giovanni:
- Lo schema dei sette segni:
1) nozze di Cana (Gv 2,1-12)
2) cura del figlio del funzionario (Gv 4,46-54)
3) cura del paralitico (Gv 5,1-18)
4) moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15)
5) Segno: Gesù cammina sulle acque (Gv 6,16-21)
6) Segno: cura del cieco (Gv 9,1-40)
7) Segno: risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44)
c) Il gran segno è l’ORA della glorificazione di Gesù:
- I sette segni sono sette prefigurazioni della glorificazione di Gesù che avverrà nell’Ora della sua passione, morte e risurrezione. Ogni segno simboleggia un aspetto del significato della passione, morte e risurrezione di Gesù per la nostra vita. È “meditando giorno e notte” attraverso la Lectio Divina o la Lettura Orante, che scopriremo questo significato, arricchendo, con esso, la nostra vita.
- La risurrezione di Lazzaro, il settimo segno, apre la strada per l’arrivo dell’Ora, della glorificazione, che avviene attraverso la morte (Gv 12,23; 17,1). Una delle cause della condanna di Gesù sarà la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,50; 12,10). Così, il settimo segno sarà per manifestare la gloria di Dio (Gv 11,4): “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa sia glorificato il Figlio di Dio!” (Gv 11,4). I discepoli non possono capire (Gv 11,6-8). Ma anche se non capiscono, sono disposti ad andare e morire con Gesù (Gv 11,16). La loro comprensione è scarsa, ma la fede è giusta.
d) Il significato della risurrezione di Lazzaro
- A Betània: Tutto avviene a Betània, un piccolo paese ai piedi del Monte degli Ulivi, vicino a Gerusalemme. In questa narrazione, la famiglia di Lazzaro, dove a Gesù piaceva essere ospitato, è lo specchio delle comunità del Discepolo Amato della fine del primo secolo. Specchio anche delle nostre comunità. Betània vuol dire “Casa dei Poveri”. Marta vuol dire “Signora” (coordinatrice): una donna coordinava la comunità. Lazzaro significa “Dio aiuta “: la comunità povera che tutto attendeva da Dio. Maria significa “amata di Javeh”: immagine della comunità. La narrazione della risurrezione di Lazzaro vuole comunicare questa certezza: Gesù porta la vita alla comunità dei poveri; Lui è sorgente di vita per coloro che credono in lui.
- Tra la vita e la morte: Lazzaro è morto. Molti giudei sono a casa di Marta e Maria a consolarle per la perdita del fratello. I rappresentanti dell’Antica Alleanza non portano la vita nuova. Consolano appena. Gesù è colui che porterà la vita nuova! Nel vangelo di Giovanni, i giudei sono anche gli avversari che vogliono uccidere Gesù (Gv 10,31). Cosicché, da una parte, la minaccia di morte contro Gesù! Dall’altra parte, Gesù che arriva per vincere la morte! È in questo contesto di conflitto tra vita e morte, che si realizzerà il settimo segno della risurrezione di Lazzaro, la vittoria sulla morte.
- Due modi di credere nella risurrezione: Il punto centrale è il confronto tra l’antico modo di credere nella risurrezione che avviene solo alla fine dei tempi, e quella nuova portata da Gesù, che, fin da adesso, vince la morte. Marta, i farisei e la maggioranza del popolo credeva già alla Risurrezione (At 23,6-10; Mc 12,18). Credevano, ma non la rivelavano, poiché era fede in una risurrezione che sarebbe avvenuta solo alla fine dei tempi e non nella risurrezione presente della storia, qui e adesso. Quella non rinnovava la vita. Mancava fare un salto. La vita nuova della risurrezione apparirà con Gesù.
- La professione di fede in Gesù è professione di fede nella vita: Gesù sfida Marta a fare questo salto. Non basta credere nella risurrezione che avverrà alla fine dei tempi, ma si deve credere che la Risurrezione sia già presente oggi nella persona di Gesù e in quelli che credono in lui. Su questi la morte non ha più alcun potere, perché Gesù è la “risurrezione e la vita”. Pertanto, Marta, anche senza vedere il segno concreto della risurrezione di Lazzaro, confessa la sua fede: “Sì, Signore. Io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, quello che deve venire nel mondo”.
- Umano, molto umano, uguale a noi in tutto: Dopo la professione di fede, Marta va a chiamare Maria, sua sorella. Maria va incontro a Gesù che si trovava nello stesso posto, dove Marta lo aveva incontrato. Lei ripete la stessa frase di Marta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Gv 11,21). Maria piange, tutti piangono. Gesù si commuove. Quando i poveri piangono, Gesù si emoziona e piange. Dinanzi al pianto di Gesù, gli altri concludono: “Vedi come l’amava!”. Questa è la caratteristica delle comunità del Discepolo Amato: l’amore mutuo tra Gesù e i membri della comunità. Alcuni ancora non credono e dubitano: “Non poteva costui, che ha aperto gli occhi del cieco, fare che questi non morisse?”. Per la terza volta Gesù si commuove (Gv 11,33.35.38). È così che Giovanni mette l’accento sull’umanità di Gesù contro quelli che, alla fine del primo secolo, spiritualizzavano la fede e negavano l’umanità di Gesù.
- A noi resta togliere la pietra affinché Dio ci ridoni la vita: Gesù ordina di togliere la pietra. Marta reagisce: “Signore, già puzza... è di quattro giorni!”. Ancora una volta, Gesù la sfida richiamandola alla fede nella risurrezione, qui e adesso, come un segno della gloria di Dio: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Rimossero la pietra. Dinanzi al sepolcro aperto e dinanzi all’incredulità delle persone, Gesù si rivolge al Padre. Nella sua preghiera, per primo, ringrazia: “Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Sapevo bene che tu sempre mi ascolti”. Il Padre di Gesù è lo stesso Dio che sempre ascolta il grido del povero (Es 2,24: 3,7). Gesù conosce il Padre e confida in lui. Ma adesso lui chiede un segno a causa della folla che lo circonda, affinché possa credere che lui, Gesù, è l’inviato dal Padre. Dopo, grida ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. E Lazzaro viene fuori. È il trionfo della vita sulla morte, della fede sull’incredulità! Un agricoltore dall’interno del Brasile ha fatto il seguente commento: “A noi tocca rimuovere la pietra! E così Dio risuscita la comunità. C’è gente che non vuole rimuovere la pietra, e per questo nella loro comunità non c’è vita!”.

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua parola che ci ha fatto comprendere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello, che la Tua Parola ci ha mostrato. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola, Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
V DOMENICA DI QUARESIMA
DI LAZZARO


Io sono la risurrezione e la vita
A fondamento della fede di Israele sta quell’evento di liberazione compiuto da Dio nelle acque del Mar Rosso: “Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo” (Lett.). Avvisato della malattia grave di Lazzaro, anche Gesù proclama: “Questa malattia.. è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato, .. e voi crediate”. È la sua stessa risurrezione - e la promessa fatta anche a noi - il fondamento del nostro credere in Gesù. “Io sono la risurrezione e la vita”. Paolo è categorico: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Il problema della pelle da salvare.. è IL problema. Cristo viene a risolverlo. Per questo io credo in lui! Di questo tratta il vangelo di oggi, calato dentro le nostre stesse domande di fronte alla morte di una persona cara: “Se tu fossi stato qui”. “Non poteva far sì che costui non morisse?”.
Lazzaro vieni fuori: È questo chiaramente un segno: della potenza di vita che ha Dio; della volontà e mira finale che possiede tutta l’opera di riscatto di Cristo. Venuto a salvare l’uomo, Cristo guarisce i corpi, libera dal demonio, perdona i peccati, e risuscita i morti. A Cafarnao ridona viva ai genitori una bambina di dodici anni; a Naim ferma un funerale e restituisce vivo il figlio unico ad una madre vedova. Qui Gesù piange un morto di famiglia, era la famiglia dei suoi amici più cari. Ma proprio per questo è venuto a riscattarci: per vincere la signoria della morte. La sua risurrezione è garanzia di una nostra stessa risurrezione: “Ora Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro ceh sono morti” (1Cor 15,20). “La risurrezione della carne”, professiamo nel Credo, “e la vita eterna”. “So che risorgerà nell’ultimo giorno”, dice Marta. Gesù le risponde: “Io sono la risurrezione e la vita”. La novità sta qui: Lui, Cristo è lo strumento diretto di tale risurrezione; ed è qui! Quel destino di vita che Dio aveva sognato per l’uomo e che l’uomo aveva perso col peccato, ora è Cristo a renderglielo, con la sovrabbondanza della grazia che supera di misura il danno del peccato (cfr. Rm 5,15-19). “In nessun altro c’è salvezza” (At 4,12). Questo suo gesto di redenzione è l’unico strumento ora praticabile per arrivare alla vita. È passato Lui per primo dalla morte per vincerla definitivamente con la sua risurrezione, divenendone Signore; Signore anche della signora del mondo che è stata la morte fino ad allora. “Credi questo?”. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. La risurrezione di Lazzaro è concessa per la fede di Marta e Maria. “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Così un giorno Gesù sintetizza tutta la sua opera: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole... In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5,21.25). Per questo quel giorno a Betania Gesù gridò: “Lazzaro, vieni fuori!”.
Con lui ci hai risuscitati: Se è la fede in Cristo ciò che riscatta dalla morte, questa è disponibile anche a noi oggi. Gesù è risuscitato per essere “il primogenito di quelli che risorgono dai morti” (Col 1,18), non il caso unico. Per la solidarietà creaturale che ha con noi, quel suo atto in un certo modo ci ha coinvolti: “Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù” (Epist.). Nel testo greco, san Paolo ha dovuto inventare delle parole nuove: convivificati, conrisuscitati, fatti consedere alla destra di Dio! Se abbiamo fede in quel suo gesto di riscatto, anche noi risorgeremo: “Per grazia infatti siete salvati mediante la fede” (Epist.). Questo legame di fede, iniziato col Battesimo, dal Battesimo produce i suoi frutti: “Per mezzo del battesimo siamo sepolti insieme con Lui nella morte, affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Rm 6,4-5). Per rendere fruttuoso il nostro battesimo bisogna vivere la vita nuova del cristiano, che è docilità allo Spirito. Fino al giorno in cui questa signoria della Spirito toccherà anche il corpo:”Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Si tratta di avere questa piena fiducia nella premura salvifica di Dio, una fede che è richiesta proprio nei momenti di tragedia. Qui Gesù prega .. soprendentemente già sicuro del successo del suo gesto: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”. Sa che Dio ascolta e agisce per il nostro bene, qualunque sia! Noi ci lamentiamo (e ribelliamo) quando Dio sembra latitante nei momenti della prova. Ma lasciamo fare a lui! Anche Gesù al Getsemani gridò la sua disperazione, ma alla fine disse: “Nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito” (Lc 23,46). E non lo ha deluso.
“Grande è il mistero di salvezza che in questa risurrezione si raffigura: quel corpo, ormai in preda al disfacimento, d’un tratto risorge per comando dell’eterno Signore; così la grazia divina del Cristo libera noi tutti, sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine” (Prefazio). Sostanza del discorso: dal peccato la morte; per avere la vita, liberarsi dal peccato per la potenza e la misericordia di Dio! O uomo, vuoi garantirti la risurrezione della carne e la vita eterna, garantisciti oggi la grazia di Dio: i sacramenti pasquali sono imminenti; non è un di più tradizionale quello di “fare pasqua”, è semplicemente saggezza umana che sa usare gli unici strumenti efficaci per la propria pienezza di vita.
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MessaggioTitolo: sabato 16 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptySab Apr 16, 2011 9:51 am

SABATO 16 APRILE 2011

SABATO DELLA V DOMENICA DI QUARESIMA


Preghiera iniziale: O Dio, che operi sempre per la nostra salvezza e in questi giorni ci allieti con un dono speciale della tua grazia, guarda con bontà alla tua famiglia, custodisci nel tuo amore chi attende il Battesimo e assisti chi è già rinato alla vita nuova.

Letture:
Ez 37,21-28 (Farò di loro un solo popolo)
Sal Ger 31,10-13 (Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge)
Gv 11,45-56 (Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi)

I frutti dell’orgoglio e della violenza
Quando la fede manca e viene colpevolmente rigettata, anche la ragione si oscura: dopo la risurrezione di Lazzaro i nemici di Cristo tengono consiglio, riuniscono il sinedrio. Non per riflettere serenamente sui segni che egli va operando sotto i loro occhi, ma per lanciare un allarme: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Queste sono le deduzioni che essi sanno trarre da un evento prodigioso! Temono che tutti crederanno in Lui e questi prodigi e questa fede sarà la causa di una totale disfatta nazionale. Ancora ai nostri giorni molti ritengono che il così detto ordine scandito dalle leggi umane verrebbe turbato e sconvolto dalla fede e dalla religiosità liberamente espressa. La trama contro Cristo è diventata innumerevoli volte motivo di persecuzione per i suoi seguaci. Sono ancora tanti coloro che, come il sommo sacerdote Càifa, propongono ed attuano l’assurda e drastica soluzione: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Ecco come si tenta di far prevalere il bene presunto degli uomini su quello autentico di Dio, ecco come viene conculcata e repressa la libertà religiosa e i diritti fondamentali e sacrosanti di ogni essere vivente. Per nostra fortuna i nemici di Cristo, i nemici della fede e della libertà non sanno che dopo quella prima assurda condanna sancita da un iniquo giudizio, ogni morte diventa un sacrificio di espiazione e il sangue versato dai martiri è il seme fecondo che continuamente purifica e vivifica la Chiesa del Signore. Dopo ogni persecuzione la Chiesa ne è uscita più splendente che mai e coloro che pensavano di chiudere in un silenzio di morte prima Cristo e poi i suoi fedeli, hanno dovuto ogni volta sperimentare il prodigio della risurrezione e di una vita nuova. Pare che una folla innumerevole sosti ancora presso un sepolcro, immaginando una fine lugubre e un triste venerdì in cui muore Dio e con lui tutti coloro che credono il lui e delusi e illusi che lo seguono; non hanno la pazienza di attendere il terzo giorno e gustare la gioia della risurrezione. Forse ciò accade perché non vedono per le strade del mondo dei cristiani risorti!
I sommi sacerdoti e i farisei diedero l’ordine di arrestare Gesù. Erano molto invidiosi, in seguito a tutto quello che era successo a partire dalla risurrezione di Lazzaro. Troppe persone avevano creduto e avevano seguito Gesù. Il sommo sacerdote “profetizzò” che la morte di un solo uomo era preferibile alla schiavitù dell’intero popolo, deportato a Roma. In realtà non era ancora giunto il tempo in cui i Romani avrebbero temuto qualcosa da parte degli Ebrei, come testimonia il processo di Gesù: il procuratore della Giudea diede poca importanza al fatto che Gesù si proclamasse re dei Giudei. Ordinò anche di preparare un cartello con questa iscrizione: “Re dei Giudei”. Ma, trent’anni dopo, la “profezia” di Caifa avrebbe avuto un senso molto reale, quando i Romani sarebbero giunti a disperdere l’intero popolo e a distruggere il tempio. Ma Gesù non era un pericolo! Egli muore per il suo popolo, per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi. Prima della morte, Gesù prega il Padre suo, perché tutti possano essere “uno” come lui con il Padre. Molte persone cercarono Gesù nel momento dei preparativi della Pasqua. Molti chiesero: “Non verrà egli alla festa?”. Certamente Gesù verrà per la festa pasquale, perché, senza di lui, essa non avrebbe un senso molto profondo. Allo stesso modo, nella nostra vita, una Pasqua senza Cristo non ha senso. Oggi dobbiamo porci la stessa domanda dei sommi sacerdoti e dei farisei: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni”. E noi che cosa vogliamo fare di Cristo nella nostra vita?

Lettura del Vangelo: In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Riflessione:
- Il vangelo di oggi riporta la parte finale del lungo episodio della risurrezione di Lazzaro a Betania, in casa di Marta e Maria (Gv 11,1-56). La risurrezione di Lazzaro è il settimo segnale (miracolo) di Gesù nel vangelo di Giovanni ed è anche il punto alto e decisivo della rivelazione che lui faceva di Dio e di se stesso.
- La piccola comunità di Betania, dove a Gesù piaceva essere ospitato, rispecchia la situazione e lo stile di vita delle piccole comunità del Discepolo Amato alla fine del primo secolo in Asia Minore. Betania vuol dire “Casa dei poveri”. Erano comunità povere, di gente povera. Marta vuol dire “Signora” (coordinatrice): una donna coordinava la comunità. Lazzaro significa “Dio aiuta”: la comunità povera aspettava tutto da Dio. Maria significa “amata da Yavé: era la discepola amata, immagine della comunità. L’episodio della risurrezione di Lazzaro comunicava questa certezza: Gesù è fonte di vita per le comunità dei poveri. Gesù è fonte di vita per tutti coloro che credono in Lui.
- Giovanni 11,45-46: La ripercussione del Settimo Segno in mezzo alla gente. Dopo la risurrezione di Lazzaro (Jo 11,1-44), viene la descrizione della ripercussione di questo segno in mezzo alla gente. La gente era divisa. “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista della risurrezione di Lazzaro credettero in lui”. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Questi ultimi lo denunciarono. Per poter capire questa reazione di una parte della popolazione è necessario rendersi conto che la metà della popolazione di Gerusalemme dipendeva completamente dal Tempio per poter vivere e sopravvivere. Per questo, difficilmente loro avrebbero appoggiato un profeta sconosciuto della Galilea che criticava il Tempio e le autorità. Ciò spiega anche perché alcuni si prestavano ad informare le autorità.
- Giovanni 11,47-53: La ripercussione del settimo segno in mezzo alle autorità. La notizia della risurrezione di Lazzaro aumenta la popolarità di Gesù. Per questo, i leaders religiosi convocano un consiglio, il sinedrio, la massima autorità, per discernere sul da farsi. Poiché “quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”. Loro avevano paura dei romani. Perché in passato, dall’invasione romana nel 64 prima di Cristo fino all’epoca di Gesù, era stato dimostrato molte volte che i romani reprimevano con molta violenza qualsiasi tentativo di ribellione popolare (cfr. Atti 5,35-37). Nel caso di Gesù, la reazione romana avrebbe potuto condurre alla perdita di tutto, anche del Tempio e della posizione privilegiata dei sacerdoti. Per questo, Caifa’, il sommo sacerdote, decide: “É meglio che un solo uomo muoia per il popolo, e non che perisca un’intera nazione”. E l’evangelista fa questo bel commento: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.”. Così, a partire da questo momento, i capi, preoccupati per la crescita dell’autorevolezza di Gesù e motivati dalla paura dei romani, decidono di uccidere Gesù.
- Giovanni 11,54-56: La ripercussione del settimo segnale nella vita di Gesù. Il risultato finale è che Gesù doveva vivere come un clandestino. “Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli”. La Pasqua era ormai vicina. In questa epoca dell’anno, la popolazione di Gerusalemme triplicava a causa del gran numero di pellegrini. La conversazione girava tutta attorno a Gesù: “Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?”. Allo stesso modo, all’epoca in cui fu scritto il vangelo, alla fine del primo secolo, epoca della persecuzione dell’imperatore Domiziano (dall’ 81 al 96), le comunità cristiane che vivevano al servizio degli altri si videro obbligate a vivere nella clandestinità.
- Una chiave per capire il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Lazzaro era malato. Le sorelle Marta e Maria mandarono a chiamare Gesù: “Colui che tu ami è malato!” (Gv 11,3.5). Gesù risponde alla richiesta e spiega ai discepoli: “Questa malattia non è mortale, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (Gv 11,4). Nel vangelo di Giovanni, la glorificazione di Gesù avviene mediante la sua morte (Gv 12,23; 17,1). Una delle cause della sua condanna a morte sarà la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,50; 12,10). Molti giudei stavano in casa di Marta e Maria per consolarle della perdita del loro fratello. I giudei, rappresentanti dell’Antica Alleanza, sanno solo consolare. Non danno vita nuova... Gesù è colui che porta una vita nuova! Così, da un lato, la minaccia di morte contro Gesù! Dall’altro, Gesù che vince la morte! In questo contesto di conflitto tra la vita e la morte si svolge il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Marta dice che crede nella risurrezione. I farisei e la maggioranza della gente dicono di credere nella Risurrezione (At 23,6-10; Mc 12,18). Credevano, ma non lo rivelavano. Era solo fede nella risurrezione alla fine dei tempi e non nella resurrezione presente nella storia, qui e ora. Questa fede antica non rinnovava la vita. Perché non basta credere nella risurrezione che avverrà alla fine dei tempi, ma bisogna credere nella Risurrezione già presente qui e ora nella persona di Gesù e in coloro che credono in Gesù. Su costoro la morte non ha più nessun potere, perché Gesù è la “risurrezione e la vita”. Anche senza vedere il segno concreto della risurrezione di Lazzaro, Marta confessa la sua fede: “Io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivo” (Gv 11,27). Gesù ordina di togliere la pietra. Marta reagisce: “Signore, già manda cattivo odore, perché è di quattro giorni!”(Gv 11,39). Di nuovo Gesù lancia la sfida chiedendo di credere nella risurrezione, qui e ora, come un segno della gloria di Dio: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11,40). Ritirarono la pietra. Dinanzi al sepolcro aperto e dinanzi all’incredulità delle persone, Gesù si dirige al Padre. Nella sua preghiera, prima rende grazie: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto” (Gv 11,41-42). Gesù conosce il Padre e ha fiducia in lui. Ma ora lui chiede un segno a causa della moltitudine che lo circonda, in modo che possa credere che lui, Gesù, è mandato dal Padre. Poi grida ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Lazzaro esce fuori (Gv 11,43-44). É il trionfo della vita sulla morte, della fede sull’incredulità. Un agricoltore commentò: “A noi spetta ritirare la pietra. E a Dio di risuscitare la comunità. C’è gente che non sa togliere la pietra, e per questo la sua comunità non ha vita!”.

Per un confronto personale
- Cosa significa per me, concretamente, credere nella risurrezione?
- Parte della gente accettò Gesù, e parte no. Oggi parte della gente accetta il rinnovamento della Chiesa e parte no. E tu?

Preghiera finale: Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno (Sal 70).
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MessaggioTitolo: domenica 17 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyDom Apr 17, 2011 12:56 pm

DOMENICA 17 APRILE 2011


RITO ROMANO
ANNO A
DOMENICA DELLA PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
DOMENICA DELLE PALME


Inizia la settimana santa. Nella settimana santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme fino alla sua beata passione e gloriosa risurrezione. La Domenica delle palme «della Passione del Signore», nella quale la Chiesa dà inizio alla celebrazione del mistero del suo Signore morto, sepolto e risorto, unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della sua gloriosa passione. I due aspetti del mistero pasquale vengano messi in luce nella catechesi e nella celebrazione di questo giorno. L’ingresso del Signore in Gerusalemme viene commemorato con la solenne processione, con cui i cristiani, imitando le acclamazioni dei fanciulli ebrei, vanno incontro al Signore al canto dell’«Osanna». La processione sia una soltanto e fatta prima della Messa con maggiore concorso di popolo, anche nelle ore vespertine sia del sabato che della domenica. I fedeli si raccolgano in una chiesa minore o in altro luogo adatto fuori della chiesa verso la quale la processione è diretta. I fedeli partecipino a questa processione cantando e portando in mano rami di palma o di altri alberi. Il sacerdote e i ministri precedono il popolo, portando anch’ essi le palme. Le palme vengono benedette per essere portate in processione. Conservate religiosamente in casa, richiamano alla mente dei fedeli la vittoria di Cristo celebrata in questo giorno con la processione.

Suggerimenti per la Settimana Santa: Domenica delle Palme. Inizio della Settimana Santa. Settimana diversa dalle altre. Siamo di fronte al mistero più profondo della nostra fede, di fronte alla suprema rivelazione dell’amore di Dio che si è manifestato in Gesù (Rom 8,38-39). Nell’Antico Testamento, in epoche di crisi, il popolo ritornava a meditare ed a rileggere l’Esodo. Nel Nuovo Testamento ritorniamo all’esodo rappresentato dalla passione, la morte e la risurrezione di Gesù. Per le Comunità cristiane di tutti i tempi, la narrazione della passione, della morte e della risurrezione di Gesù è la fonte dove rinnoviamo la fede, la speranza e l’amore. Diverse volte, fin dal Discorso della Montagna (Mt 5-7), il Vangelo di Matteo affermava che l’obiettivo della Nuova Legge è l’amore e la misericordia (Mt 5,43-48; 7,12; 9,13; 12,7; 22,34-40). Ora, in questa parte finale della passione, morte e risurrezione, descrive come Gesù praticò l’amore, portando a compimento la Legge (Mt 5,17).

Orazione iniziale: Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l’hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.

Letture:
Is 50,4-7 (Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare confuso)
Sal 21 (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)
Fil 2,6-11 (Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò)
Mt 26,14 - 27,66 (La passione del Signore)

Un trionfo eppure la passione
Prima i rami d’ulivo, i mantelli stesi a terra a mo’ di tappeti, l’Osanna al Figlio di Davide e poi la condanna, il «crucifìge». Vengono denunciate così palesemente, le tremende contraddizioni dei comportamenti umani: un effimero trionfo tributato a Cristo riconosciuto Re e Signore e poi, forse le stesse voci che l’osannano, gridano perché sia crocifisso e fatto tacere per sempre. Comprendiamo così il significato recondito delle nostre peggiori passioni e gli effetti devastanti di una miopia spirituale, che oscura il bene e ci immerge in pensieri e trame di morte. Fa sempre piacere poter acclamare qualcuno da cui attendiamo soluzioni facili ed immediate ai nostri più pressanti problemi. Gesù che aveva rifiutato di essere acclamato Re, dopo la moltiplicazione dei pani, che dirà a Pietro, che tenta di difenderlo con la spada, il mio Regno non è di questo mondo, oggi acconsente di entrare trionfalmente a Gerusalemme, la città santa, per far comprendere che, prima di essere vittima degli uomini, egli, come vero Re, va incontro alla passione e alla morte. La sua passione e morte è sì una terribile trama ordita dai suoi nemici e causata dai nostri peccati, ma innanzitutto è un disegno divino, una manifestazione palese dell’amore misericordioso del Padre, una docile ed umile accettazione da parte di Cristo Gesù. Ecco perché accetta di essere acclamato re: è un altro modo per preannunciare la sua gloriosa risurrezione, il suo trionfo sulla morte. Il nostro Osanna quindi lo rivolgiamo a colui che già contempliamo nella fede come nostro vero ed unico Re e Signore, come redentore nostro e come colui che da trionfatore ci precede nella gloria. Le nostre acclamazioni non cesseranno perciò in questa domenica, ma diventeranno il nostro perenne rendimento di grazie, la nostra lode senza fine, che esploderanno in un gioioso Alleluia pasquale.
È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre. L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita... Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò... E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena. Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche. Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male. Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione? Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno.

Approfondimento del Vangelo (Riscoprire il primo amore)
Il testo: Il quel tempo uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto». Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli. Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono. Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?». Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente. Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Golgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Magdala e l’altra Maria. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie.

Una chiave di lettura: Nella Settimana Santa, durante la lettura della Passione e Morte di Gesù, non conviene un atteggiamento di ricerca e di investigazione razionale. Conviene fare silenzio. Leggere diverse volte il testo, avendo come guida unica i brevi titoli che cercano di essere una chiave per aiutare a sentire il testo ed a sperimentare di nuovo l’amore di Dio che si rivela negli atteggiamenti di Gesù dinanzi a coloro che lo prendono, lo insultano, lo torturano e lo uccidono. Nel corso della lettura, non pensiamo solo a Gesù, ma anche ai milioni e milioni di esseri umani che oggi sono in carcere, torturati, insultati ed uccisi.

Alcuni pensieri per aiutarci a meditare ed a pregare
La Morte di Gesù: Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fa buio totale su tutta la terra. Perfino la natura sente l’effetto dell’agonia e della morte di Gesù! Appeso alla croce, privo di tutto, esce dalla sua bocca un lamento: “Eli! Eli! Lama Sabactani?”. Cioè: “Dio mio! Dio mio! Perché mi hai abbandonato?”. È la prima frase del Salmo 22 (21). Gesù entra nella morte, pregando, esprimendo l’abbandono che sente. Prega in ebraico. I soldati che erano vicini a lui, e che fungevano da guardie, dicono: “Sta chiamando Elia!”. I soldati erano stranieri, mercenari contrattati dai romani. Non capivano la lingua dei giudei. Pensavano che Eli volesse dire Elia. Appeso alla croce, Gesù si trova in un isolamento totale. Anche se avesse voluto parlare con qualcuno, non gli sarebbe stato possibile. Rimase completamente solo: Giuda lo tradì, Pietro lo rinnegò, i discepoli fuggirono, le amiche stavano sicuramente lontano (v.55), le autorità lo schernirono, i passanti lo insultarono, Dio stesso lo abbandona, e neanche la lingua serve per comunicare. È stato questo il prezzo che ha pagato per la fedeltà alla sua opzione di seguire sempre il cammino dell’amore e del servizio per redimere i suoi fratelli. Lui stesso dice: “Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e per dare la sua vita in riscatto a favore di molti” (Mt 20,28). In mezzo all’abbandono ed all’oscurità, Gesù lancia un forte grido e spira. Muore lanciando il grido dei poveri, perché sa che Dio ascolta il clamore del povero (Es 2,24; 3,7; 22,22.26 etc). Con questa fede, Gesù entra nella morte, sicuro di essere ascoltato. La lettera agli Ebrei commenta: “Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7). Dio ascoltò il grido di Gesù e “lo esaltò” (Fil 2,9). La risurrezione è la risposta di Dio alla preghiera ed al dono che Gesù fa della sua vita. Con la risurrezione di Gesù, il Padre annuncia al mondo intero questa Buona Novella: Chi vive la vita come Gesù servendo i fratelli, è vittorioso e vivrà per sempre, anche se muore ed anche se lo uccidono! È questa la Buona Novella del Regno che nasce dalla croce!
Il significato della Morte di Gesù: Sul Calvario, siamo davanti ad un essere umano torturato, escluso dalla società, completamente isolato, condannato come eretico e sovversivo dal tribunale civile, militare e religioso. Ai piedi della croce, le autorità religiose confermano per l’ultima volta, che si tratta veramente di un ribelle fallito, e lo rinnegano pubblicamente (Mt 27,41-43). Ed in questa ora di morte rinasce un significato nuovo. L’identità di Gesù viene rivelata da un pagano: “Veramente costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54). D’ora in poi, se tu vuoi incontrare veramente il Figlio di Dio non cercarlo in alto, nel cielo lontano, né nel Tempio il cui velo si squarciò, ma cercalo accanto a te, nell’essere umano escluso, sfigurato, senza bellezza. Cercalo in coloro che, come Gesù, danno la loro vita per i fratelli. È lì che Dio si nasconde e si rivela, ed è lì che possiamo incontrarlo. Lì si trova l’immagine sfigurata di Dio, del Figlio di Dio, dei figli di Dio. “Non c’è prova d’amore più grande che dare la vita per i fratelli!”.

Dagli scritti
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele
Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Batania e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza. Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. È disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1,21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12,19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà. Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode i venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé. Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67,34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3,27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese. Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».

Orazione finale: Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa’ che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa’ che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

RITO AMBROSIANO
ANNO A
SETTIMANA AUTENTICA
DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE


Letture:
Is 52,13-53,12
Sal 87
Eb 12,1b-3
Gv 11,55-12,11

Ecco il tuo re viene
La processione coi rami d’ulivo ha un significato ben preciso: nella fede accogliamo Gesù che in questa settimana - attraverso i Riti Liturgici - rende attuale entro la nostra comunità quei suoi gesti salvifici e ne comunica tutto il frutto di salvezza. “Non temere, figlia di Sion! Ecco il tuo re viene!”. Fu, quello di Gerusalemme, l’ingresso ufficiale del Messia nella sua città, e nello stile umile di un re che porta pace e salvezza al popolo sofferente: “L’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti” (Zc 9,9-10). Il Re promesso dai Profeti, atteso col suo regno di pace, è riconosciuto, accolto e osannato dal popolo semplice e povero. Non ci sono i capi ad esultare, che anzi stanno tramando nei loro palazzi per eliminarlo. L’elogio della piccolezza e dell’umiltà con cui la Parola di Dio ha scandito la nostra Quaresima, trova qui tutta la sua profonda verità. Solo chi è vuoto di sé può accogliere la manifestazione di Dio, vedere il suo volto d’amore, anche in povere e dimesse apparenze. Essi, istruiti dalla Sapienza divina, guardano al cuore più che all’aspetto e colgono ciò che è essenziale per la loro vita: Dio è con loro e non li abbandona. A noi questa certezza la dà la croce su cui Dio muore per risorgere: un Dio che muore per me non può abbandonarmi. Quali gesti e quale pace allora attualizzano per noi i Riti solenni della Settimana Santa che oggi incomincia? La morte di Cristo ha una finalità salvifica perché raduna in unità i dispersi figli di Dio. Il peccato è divisione, la salvezza è vita in unità con Dio e con i fratelli. La morte di Gesù realizza l’oracolo di Ezechiele 34,12-13 che prediceva la riunione delle pecore del Signore, radunandole da tutte le regioni nelle quali erano state disperse, per formare un solo gregge condotto da un solo pastore. Dopo la decisione del sinedrio Gesù si ritira ai margini del deserto di Giuda. Questi avvenimenti si verificarono a pochi giorni dalla Pasqua. I giudei che abitavano in campagna salivano qualche giorno prima della solennità per purificarsi secondo le prescrizioni della legge, sottoponendosi ai riti di aspersione con il sangue degli agnelli (cfr. 2Cr 30,15ss). Questi pellegrini cercano Gesù. La loro ricerca era sincera. Questi pii campagnoli osanneranno Gesù in occasione del suo ingresso trionfale in Gerusalemme (cfr. Gv 12,12). In questo brano (vv 12,1segg) è accentrato il contrasto tra la generosa dimostrazione d’amore di Maria e la gretta irritazione di Giuda Iscariota. Gesù era stato a Betania qualche giorno prima per risuscitare Lazzaro e se ne era allontanato dopo la decisione del sinedrio di ucciderlo. Ora la famiglia degli amici fa una cena un onore di Gesù. Maria, ungendo i piedi di Gesù, fa un gesto di squisita cortesia, secondo l’usanza giudaica, come segno di omaggio all’ospite. Una libbra corrisponde a 330 grammi e il prezzo di trecento denari allo stipendio di trecento giornate lavorative. L’intervento di Giuda mette in risalto la fede e l’amore di Maria per il Signore. Questa donna, in uno slancio di generosità, si è prodigata in un gesto di tenerezza senza badare a spese; al contrario Giuda Iscariota; con la sua contestazione, manifesta la grettezza del suo cuore. Egli non era preoccupato delle necessità dei poveri, ma desiderava che quella somma finisse nella cassa comune della comunità di Gesù, di cui era amministratore, per rubarla (v. 6). “Lasciatela fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (v. 7). Con questa frase Gesù vuole spiegare che il gesto della donna ha un significato profetico, perché preannuncia l’unzione del suo corpo prima della sepoltura. “I poveri li avete sempre con voi”. Con queste parole Gesù non vuole scoraggiare l’assistenza e il soccorso ai poveri, ma vuole ricordare il primato che si deve riservare a Dio in tutte le circostanze della vita. Con la frase “non sempre avete me” (v. 8) evidentemente Gesù parla della sua vita terrena che avrà termine tra qualche giorno. La sua presenza come risorto, invisibile ma reale, non cesserà mai (cfr. Gv 14,16; Mt 28,20). Dinanzi al comportamento del popolo che crede in Gesù, la reazione dei sommi sacerdoti rasenta la follia, perché decretano di uccidere anche Lazzaro per far scomparire questa testimonianza così eloquente a favore della divinità di Gesù. L’ostinazione dei capi nel male raggiunge il parossismo. Portare a casa l’ulivo benedetto, non è un gesto di magia, ma espressione di fede che sa riconoscere nei riti della Chiesa Gesù come proprio salvatore. Fare Pasqua, partecipare ai Riti e accostarci ai Sacramenti, è la fonte e la forza di tutto un anno di vita cristiana, perché la sorte ottenuta dal Capo passi sempre più alle membra del suo Corpo, la Chiesa, cioè in ognuno di noi.
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MessaggioTitolo: giovedì 21 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyGio Apr 21, 2011 9:42 am

GIOVEDÌ 21 APRILE 2011
GIOVEDÌ SANTO


MESSA DEL CRISMA


Preghiera iniziale: O Dio, che in Cristo tuo Figlio hai rivelato a tutti i popoli la sapienza eterna, fa’ risplendere su di noi la gloria del nostro Redentore, perché giungiamo alla luce che non ha tramonto.

Letture:
Is 61,1-3.6.8-9 (Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri e a dare loro un olio di letizia)
Sal 88 (Canterò per sempre l’amore del Signore)
Ap 1,5-8 (Cristo ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre)
Lc 4,16-21 (Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione)

Grandi eventi si compiono in questo giorno: la chiesa (fedeli e presbiteri) si riunisce in mattinata nelle cattedrali con il proprio Vescovo per fare concreta e viva esperienza di unità, memore della preghiera di Cristo che intensamente la chiede al Padre per la sua Chiesa. La stessa unità viene celebrata nel memoriale eucaristico e nell’istituzione del Sacerdozio. La benedizione degli oli santi, che serviranno per l’amministrazione dei sacramenti, avviene nella stessa celebrazione a testimoniare la premura della Chiesa per i propri fedeli, che si estende per tutto il tempo della vita terrena e diventano veicoli di grazia e segni efficaci di salvezza. È un giorno veramente santo questo Giovedì: per i sacerdoti è il giorno in cui possono percepire, più che mai, la grandezza del dono ricevuto, che li assimila a Cristo stesso e li rende strumenti di salvezza e dispensatori dei beni di Dio; per i fedeli è il nuovo patto indissolubile ed eterno, sancito da Cristo che, per restare sempre con noi vivo, si rende presente nell’Eucaristia e diventa cibo e bevanda di vita; per tutti può essere un giorno in cui la presenza di Dio e il suo amore per l’uomo si rende nel mondo più percettibile e più intenso.
La Messa del Crisma è la Celebrazione Eucaristica presieduta dal vescovo nella cattedrale generalmente il mattino del Giovedì Santo. Se si frapponessero notevoli difficoltà alla riunione del clero e del popolo con il vescovo, si può anticipare la celebrazione in un altro giorno prossimo alla Pasqua con il formulario proprio della messa.
A questa messa, che vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, sono invitati tutti i presbiteri della Diocesi i quali, dopo l’omelia del vescovo, rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione sacerdotale.
In questa messa, il Vescovo consacra gli Olii Santi: il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e l’Olio degli Infermi.
Essi sono gli olii che si useranno durante tutto il corso dell’anno liturgico per celebrare i sacramenti:
- il crisma viene usato nel battesimo, nella cresima e nell’ordinazione dei presbiteri e dei vescovi;
- l’Olio dei Catecumeni viene usato nel battesimo;
- l’Olio degli Infermi viene usato per l’Unzione degli infermi.

Lettura del Vangelo: Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Riflessione:
- Animato dallo Spirito Santo, Gesù ritorna verso la Galilea e comincia ad annunciare la Buona Notizia del Regno di Dio. Andando nelle comunità ed insegnando nelle sinagoghe, arriva a Nazaret, dove era cresciuto. Ritornava alla comunità, dove, fin da piccolo, aveva partecipato alle celebrazioni durante trenta anni. Il sabato dopo, secondo la sua abitudine, va alla sinagoga per stare con la gente e partecipare alla celebrazione.
- Gesù si alza per procedere alla lettura. Sceglie un testo di Isaia che parla dei poveri, dei prigionieri, dei ciechi e degli oppressi. Il testo rispecchia la situazione della gente di Galilea, al tempo di Gesù. In nome di Dio, Gesù prende posizione in difesa della vita del suo popolo, e con le parole di Isaia, definisce la sua missione: annunciare la Buona Notizia ai poveri, proclamare la libertà ai prigionieri, restituire la vista ai ciechi, e la libertà agli oppressi. Riprendendo l’antica tradizione dei profeti, proclama: “un anno di grazia del Signore”. Proclama un anno di giubileo. Gesù vuole ricostruire la comunità, il clan, in modo che sia di nuovo espressione della loro fede in Dio! Ed allora, se Dio è Padre/Madre di tutti e tutte dobbiamo essere fratelli e sorelle gli uni degli altri.
- Nell’antico Israele, la grande famiglia, il clan o la comunità, era la base della convivenza sociale. Era la protezione delle famiglie e delle persone, la garanzia della possessione della terra, il canale principale della tradizione e della difesa della gente. Era un modo concreto di incarnare l’amore di Dio nell’amore verso il prossimo. Difendere il clan, la comunità, era lo stesso che difendere l’Alleanza con Dio. Nella Galilea del tempo di Gesù, una duplice segregazione dalla politica di Erode Antipa (4 aC a 39 dC) e la segregazione dalla religione ufficiale. A causa del sistema di sfruttamento e di repressione della politica di Erode Antipa, appoggiato dall’Impero Romano. Molta gente rimaneva senza tetto, esclusa e senza impiego (Lc 14,21; Mt 20,3.5-6). Il clan, la comunità, ne uscì indebolita. Le famiglie e le persone rimanevano senza aiuto, senza difesa. E la religione ufficiale, mantenuta dalle autorità religiose dell’epoca, invece di rafforzare la comunità, in modo che potesse accogliere gli esclusi, rafforzava molto più questa segregazione. La Legge di Dio era usata per legittimare l’esclusione di molta gente: donne, bambini, samaritani, stranieri, lebbrosi, indemoniati, pubblicani, infermi, mutilati, paraplegici. Era il contrario della fraternità che Dio sognò per tutti! E così sia la congiuntura politica ed economica, come pure l’ideologia religiosa, tutto cospirava per indebolire la comunità locale ed impedire, così, la manifestazione del Regno di Dio. Il programma di Gesù, basato nel profeta Isaia, offrì un’alternativa.
- Terminata la lettura, Gesù attualizzò il testo allacciandolo alla vita della gente dicendo: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi!” il suo modo di allacciare la Bibbia con la vita della gente, produsse una duplice reazione. Alcuni rimasero stupiti ed ammirati. Altri ebbero una reazione di discredito. Rimasero scandalizzati e non volevano saperne più di lui. Dicevano: “Non è forse questo il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22) Perché rimasero scandalizzati? Perché Gesù disse di accogliere i poveri, i ciechi, gli oppressi. Ma loro non accettarono la sua proposta. E così, quando presentò il suo progetto di accogliere gli esclusi, lui stesso fu escluso!

Per un confronto personale:
- Gesù allacciò la fede in Dio con la situazione sociale del suo popolo. Ed io come vivo la mia fede in Dio?
- Dove io abito, ci sono ciechi, carcerati, oppressi? Cosa faccio?

Preghiera finale: Il suo nome duri in eterno, davanti al sole persista il suo nome. In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra e tutti i popoli lo diranno beato (Sal 71).

MESSA IN CENA DOMINI


Preghiera iniziale: Iniziamo il nostro incontro con la Parola di Dio lasciando parlare tutta la nostra vita, lasciando che la parola del vangelo di oggi parli a tutta la nostra vita e la rinnovi con la luce dell’esempio che Gesù ci offre. Ci lasciamo guidare da una proposta di preghiera che attingiamo da una raccolta di canti oranti che ha per titolo: «Cuore in festa». «Quando tu parli, Signore, il nulla palpita di vita: le ossa aride diventano persone viventi, il deserto fiorisce... Quando mi accingo a pregarti mi sento arido, non so che dire. Non sono, evidentemente, sintonizzato con la tua volontà, le mie labbra non sono intonate al mio cuore, il mio cuore non si sforza d’intonarsi con il tuo. Rinnova il mio cuore, purifica le mie labbra perché parli con te come vuoi tu, perché parli con gli altri come vuoi tu, perché parli con me stesso, col mio mondo interiore, come vuoi tu» (L.Renna).

Letture:
Es 12,1-8.11-14 (Prescrizioni per la cena pasquale)
Sal 115 (Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza)
1Cor 11,23-26 (Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore)
Gv 13,1-15 (Li amò sino alla fine)

Eucaristia e Sacerdozio
È un giorno solenne e santo quello che celebriamo oggi. Diventiamo i commensali di Dio, ci viene dato come bevanda e come cibo il suo sangue e la sua carne. È il sangue e la carne dell’uomo Dio, prima martirizzato nella crudeltà di una orribile passione, poi racchiusi in un calice e in piccole ostie per assumerli come germe di vita nuova. Così siamo rigenerati nel corpo e nello spirito, diventiamo nuove creature, riscopriamo la nostra fratellanza, diventiamo uno in Cristo, diventiamo templi sacri, in cui inibita la divinità. Non più schiavi ma liberi, con una somiglianza soprannaturale con il nostro creatore e signore. La sfida che satana lanciò sin dal princìpio ai nostri progenitori «sarete come Dio», ora trova il suo vero compimento. Accadde in un’ultima cena, mentre si celebrava la nuova Pasqua. Gesù è prostrato come uno schiavo dinanzi ai suoi, vuole loro lavare i piedi. Vuole dare loro una lezione di umiltà, vuole dire loro che l’amore vero esige l’immolazione volontaria per gli altri, vuole spegnere ogni benché minima ombra di potere, vuole dire agli apostoli e ai futuri ministri dell’Eucaristia che per ripetere validamente quell’eterno sacrificio, devono mettere a disposizione di tutti la propria vita, diventare vittime con la Vittima. Solo così quel sacrificio potrà diventare un memoriale, potrà ripetersi nei secoli sugli altari del mondo per sfamare gli affamati di ogni tempo e dissetare le brame dei viventi. «Fate questo in memoria di me» non significa soltanto ricevere una dignità e un mandato, significa soprattutto assimilarsi a Cristo, assumerne le sembianze, ripeterne i suoi gesti e le sue parole, offrirsi ogni giorno come vittima, essere il cibo di tutti, lasciarsi dilaniare nella carne e nello spirito, essere sacerdoti del Dio altissimo, capaci di generare Cristo con un limpido amore alla Madre sua e nostra. Così eucaristia e sacerdozio si fondono nel mistero, si realizzano e si perpetuano nella storia. Così il Vivente entra nel mondo, si dona, si lascia divorare, s’immola, guarisce, risana, redime e salva. Oggi è le festa dei sacerdoti, oggi più che mai contempliamo l’amore di Dio, la grande missione che ci ha affidato, la potenza che egli ha voluto conferire alle nostre parole, ma ci troviamo anche prostrati nella consapevolezza dei limiti e delle debolezze, che ci accompagnano anche quando saliamo tremanti sui pulpiti e sugli altari. È lì che guardandoci allo specchio ci convinciamo che i primi affamati siamo noi, è lì che verrebbe la voglia di scendere e di smettere le nostre messe, ma è ancora lì che troviamo i motivi veri di una interiore e totale purificazione: ci purifica lo sguardo misericordioso di Dio e quello altrettanto benevolo dei fratelli; così ci troviamo accomunati a sperimentare il nostro sacerdozio: «il mio e vostro sacrificio».
Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in compagnia dei suoi discepoli. Il Maestro manifesta un amore straordinario per gli apostoli, impartendo loro insegnamenti e raccomandazioni. Durante l’ultima Cena, Gesù ha mostrato - con le sue parole - l’amore infinito che aveva per i suoi discepoli e gli ha dato validità eterna istituendo l’Eucaristia, facendo dono di sé: egli ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue sotto forma di pane e di vino perché diventassero cibo spirituale per noi e santificassero il nostro corpo e la nostra anima. Egli ha espresso il suo amore nel dolore che provava quando ha annunciato a Giuda Iscariota il suo tradimento ormai prossimo e agli apostoli la loro debolezza. Egli ha fatto percepire il suo amore lavando i piedi agli apostoli e permettendo al suo discepolo prediletto, Giovanni, di appoggiarsi al suo petto. Nella sua vita pubblica, Gesù ha raccomandato più di una volta ai suoi discepoli di non cercare di occupare il primo posto, ma di aspirare piuttosto all’umiltà del cuore. Ha detto e ripetuto che il suo regno, cioè la Chiesa, non deve essere ad immagine dei regni terreni o delle comunità umane in cui ci sono dei primi e degli ultimi, dei governanti e dei governati, dei potenti e degli oppressi. Al contrario, nella sua Chiesa, quelli che sono chiamati a reggere dovranno in realtà essere al servizio degli altri; perché il dovere di ogni credente è di non cercare l’apparenza, ma i valori interiori, di non preoccuparsi del giudizio degli uomini, ma di quello di Dio. Nonostante l’insegnamento così chiaro di Gesù, gli apostoli continuarono a disputarsi i primi posti nel Regno del Messia. Durante l’ultima Cena, Gesù non si è accontentato di parole, ma ha dato l’esempio mettendosi a lavare loro i piedi. E, dopo aver finito, ha detto: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14). La Cena si ripete nei secoli. Infatti Gesù ha investito gli apostoli e i loro successori del potere e del dovere di ripetere la Cena eucaristica nella santa Messa. Cristo si sacrifica durante la Messa. Ma, per riprendere le parole di san Paolo, egli resta lo stesso “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). I credenti che partecipano al Sacrificio eucaristico cambiano, ma il loro comportamento nei confronti di Cristo è più o meno lo stesso di quello degli apostoli nel momento della Cena. Ci sono stati e ci sono tuttora dei santi e dei peccatori, dei fedeli e dei traditori, dei martiri e dei rinnegatori. Volgiamo lo sguardo a noi stessi. Chi siamo? Qual è il nostro comportamento nei confronti di Cristo? Dio ci scampi dall’avere qualcosa in comune con Giuda, il traditore. Che Dio ci permetta di seguire san Pietro sulla via del pentimento. Il nostro desiderio più profondo deve però essere quello di avere la sorte di san Giovanni, di poter amare Gesù in modo tale che egli ci permetta di appoggiarci al suo petto e di sentire i battiti del suo cuore pieno d’amore; di giungere al punto che il nostro amore si unisca al suo in modo che possiamo dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Approfondimento del Vangelo (Lavanda dei piedi)
Il testo: Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Momenti di silenzio orante: In un ascolto amoroso la parola non è necessaria, anche il silenzio parla e comunica amore.

Preambolo alla Pasqua di Gesù: Il brano del vangelo di questo giorno è inserito in un insieme letterario che comprende i capitoli 13-17. L’inizio è costituito dal racconto dell’ultima cena che Gesù condivide con i suoi discepoli, durante la quale compie il gesto della lavanda dei piedi (13,1-30). Poi, Gesù intesse un lungo dialogo d’addio con i suoi discepoli (13,31 - 14,31), i capitoli 15-17 hanno la funzione di approfondire ulteriormente il precedente discorso del maestro. Immediatamente, segue, l’azione dell’arresto di Gesù (18,1-11). In ogni modo, questi eventi narrati in 13,-17,26 sono collegati sin da 13,1 con la Pasqua di Gesù. Interessante è notare quest’ultima annotazione: da 12,1 la Pasqua non viene più denominata come la pasqua dei giudei, ma di Gesù. É lui, d’ora innanzi, l’Agnello di Dio che libererà l’uomo dal suo peccato. Quella di Gesù è una pasqua che mira alla liberazione dell’uomo: un nuovo esodo che permette di passare dalle tenebre alla luce (8,12), e che porterà vita e festa nell’umanità (7,37). Gesù è consapevole che sta per concludersi il suo cammino verso il Padre e, quindi sta per portare a termine il suo esodo personale e definitivo. Tale passaggio al Padre avviene mediante la croce, momento nodale in cui Gesù consegnerà la sua vita a vantaggio dell’uomo. Colpisce l’attenzione del lettore nel constatare come l’evangelista Giovanni sappia ben presentare la figura di Gesù nel mentre è consapevole degli ultimi eventi della sua vita e, quindi, della sua missione. Come a ribadire che Gesù non è travolto dagli eventi che minacciano la sua esistenza, ma è pronto a dare la sua vita. In precedenza l’evangelista aveva notato che non era giunta la sua ora; ma ora nel racconto della lavanda dei piedi dice che è consapevole dell’approssimarsi della sua ora. Tale coscienza sta alla base dell’espressione giovannea: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (v.1). L’amore per i «suoi», coloro che formano la nuova comunità, è stato evidente mentre era con loro, ma splenderà in modo eminente nella sua morte. Tale amore viene mostrato da Gesù nel gesto della lavanda dei piedi che, nella sua valenza simbolica, mostra l’amore continuo che si esprime nel servizio.

Lavanda dei piedi: Gesù si trova in una cena ordinaria con i suoi. Ha piena coscienza della missione che il Padre gli ha affidato: da lui dipende la salvezza dell’umanità. Con tale consapevolezza vuole mostrare ai «suoi», mediante la lavanda dei piedi, come si porta a compimento l’opera salvifica del Padre e indicare in tale gesto la donazione della sua vita per la salvezza dell’uomo. É volontà di Gesù che l’uomo si salvi e uno struggente desiderio lo guida a dare la sua vita e a consegnarsi. É consapevole che «il Padre aveva posto tutto nelle sua mani» (v.3a), tale espressione lascia intravedere che il Padre lascia a Gesù la completa libertà di azione. Gesù, inoltre, sa che la sua vera provenienza e la meta del suo itinerario è Dio; sa che la sua morte in croce, espressione massima del suo amore, è l’ultimo momento del suo cammino salvifico. La sua morte è un «esodo»; è l’apice della sua vittoria sulla morte, nel suo donarsi (dare la vita) Gesù ci rivela la presenza di Dio come vita piena ed esente dalla morte. Con questa piena consapevolezza della sua identità e della sua completa libertà Gesù si accinge a compiere il grande e umile gesto della lavanda dei piedi. Tale gesto d’amore viene descritto con un accumulo di verbi (otto) che rendono la scena coinvolgente e pregna di significato. L’evangelista nel presentare l’ultima azione di Gesù verso i suoi, usa questa figura retorica dell’accumulo dei verbi senza ripetersi perché tale gesto rimanga impresso nel cuore e nella mente dei suoi discepoli e di ogni lettore e perché venga ritenuto un comandamento da non dimenticare. Il gesto compiuto da Gesù intende mostrare che il vero amore si traduce in azione tangibile di servizio. Gesù si spoglia delle sue vesti e si cinge di un grembiule, simbolo del servizio. Più precisamente Gesù che depone le sue vesti è un’espressione che ha la funzione di esprimere il significato del dono della vita. Quale insegnamento Gesù vuole trasmettere ai suoi discepoli con questo gesto? Mostra loro che l’amore si esprime nel servizio, nel dare la vita all’altro come lui ha fatto. Al tempo di Gesù la lavanda dei piedi era un gesto che esprimeva ospitalità e accoglienza nei confronti degli ospiti. In via ordinaria era svolto da uno schiavo oppure dalla moglie nei confronti della moglie e anche dalle figlie verso il loro padre. Inoltre era consuetudine che tale rito della lavanda dei piedi avvenisse sempre prima di mettersi a mensa e non durante. Tale inciso dell’azione di Gesù intende sottolineare la singolarità del suo gesto. E così Gesù si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. Il reiterato uso del grembiule con cui Gesù si è cinto sottolinea che l’atteggiamento del servizio è un attributo permanente della persona di Gesù. Difatti quando avrà terminato la lavanda Gesù non si toglie il panno che funge da grembiule. Tale particolare intende sottolineare che il servizio-amore non termina con la sua morte. La minuziosità di tali dettagli mostra l’intento dell’evangelista a voler sottolineare la singolarità e l’importanza del gesto di Gesù. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù intende mostrare ad essi il suo amore, che è un tutt’uno con quello del Padre (10,30.38). É davvero sconvolgente questa immagine che Gesù ci rivela di Dio: non è un sovrano che risiede esclusivamente nel cielo, ma si presenta come servo dell’umanità per innalzarla a livello divino. Da questo servizio divino scaturisce per la comunità dei credenti quella libertà che nasce dall’amore e che rende tutti i suoi membri «signori» (liberi) perché servi. É come dire che solo la libertà crea vero amore. D’ora in poi il servizio che i credenti renderanno all’uomo avrà come scopo quello di instaurare rapporti tra gli uomini in cui l’uguaglianza e la libertà siano una conseguenza della pratica del servizio reciproco. Gesù con il suo gesto intende mostrare che qualsiasi dominio o tentativo di sopravvento sull’uomo è contrario all’atteggiamento di Dio che, invece, serve l’uomo per elevarlo a sé. Inoltre non ha più senso le pretese di superiorità di un uomo sull’altro, perché la comunità fondata da Gesù non ha caratteristiche piramidali, ma dimensioni orizzontali, in cui ciascuno è a servizio degli altri, sull’esempio di Dio e di Gesù. In sintesi, il gesto che Gesù compie esprime i seguenti valori: l’amore versi i fratelli chiede di tradursi in accoglienza fraterna, ospitalità, cioè in servizio permanente.

Resistenza di Pietro: La reazione di Pietro al gesto di Gesù si esprime in atteggiamenti di stupore e protesta. Anche nel modo di rapportarsi a Gesù avviene un cambiamento: Pietro lo chiama «Signore» (13,6). Tale titolo riconosce a Gesù un livello di superiorità che stride con il «lavare» i piedi, un’azione che compete, invece, a un soggetto inferiore. La protesta è energicamente espressa dalle parole: «tu lavi i piedi a me?». Agli occhi di Pietro questo umiliante gesto della lavanda dei piedi è sembrato come un inversione dei valori che regolano le relazioni tra Gesù e gli uomini: il primo è il Messia, Pietro è un suddito. Pietro disapprova l’uguaglianza che Gesù vuole creare tra gli uomini. A tale incomprensione Gesù risponde invitando Pietro ad accogliere il senso del lavargli i piedi come una testimonianza del suo affetto verso di lui. Più precisamente gli vuole offrire una prova concreta di come lui e il Padre lo ama. Ma la reazione Pietro non desiste: rifiuta categoricamente che Gesù si metta ai suoi piedi. Per Pietro ognuno deve ricoprire il suo ruolo, non è possibile una comunità o una società basata sull’uguaglianza. Non è accettabile che Gesù abbandoni la sua posizione di superiorità per rendersi uguale ai suoi discepoli. Tale idea del Maestro disorienta Pietro e lo porta a protestare. Non accettando il servizio d’amore del suo Maestro, non accetta, neanche che muoia in croce per lui (12,34;13,37). É, come dire, che Pietro è lontano dalla comprensione di cosa sia il vero amore, e tale ostacolo è di impedimento perché Gesù glielo mostri con l’azione. Intanto se Pietro non è disposto a condividere la dinamica dell’amore che si manifesta nel servizio reciproco non può condividere l’amicizia con Gesù e rischia, davvero, di autoescludersi. Inseguito all’ammonimento di Gesù «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (v.8), Pietro aderisce alle minacciose parole del Maestro, ma senza, però, accettare il significato profondo dell’azione di Gesù. Si mostra aperto disposto a farsi lavare da Gesù, non solo i piedi, ma, anche le mani e la testa. Sembra che a Pietro sia più facile accettare il gesto di Gesù come un’azione di purificazione o abluzione piuttosto che come servizio. Ma Gesù gli risponde che i discepoli sono diventati puri («puliti») nel momento in cui hanno accettato di lasciarsi guidare dalla Parola del Maestro, rifiutando quella del mondo. Pietro e i discepoli non hanno più bisogno del rito giudaico della purificazione ma di lasciarsi lavare i piedi da Gesù; ovvero di lasciarsi amare da lui, conferendo loro dignità e libertà.

Il memoriale dell’amore: Al termine della lavanda dei piedi Gesù intende dare alla sua azione una validità permanente per la sua comunità e nello stesso tempo lasciare ad essa un memoriale o comandamento che dovrà regolare per sempre le relazioni fraterne. Gesù è il Signore, non nella dimensione del dominio, ma in quanto comunica l’amore del Padre (il suo Spirito) che ci rende figli di Dio e idonei a imitare Gesù che liberamente dona l’amore ai suoi. Tale atteggiamento interiore Gesù ha inteso comunicarlo ai suoi, un amore che non esclude nessuno, neppure Giuda che sta per tradirlo. Quindi se i discepoli lo chiamano signore, devono imitarlo; se lo considerano maestro devono ascoltarlo.

Alcune domande per meditare:
- si alzò da tavola: come vivi l’eucaristia? In modo sedentario o ti lasci sollecitare all’azione dal fuoco dell’amore che ricevi? Corri il pericolo che l’eucaristia a cui partecipi si smarrisca nel narcisismo contemplativo, senza approdare all’impegno di solidarietà e condivisione? Il tuo impegno per la giustizia, per i poveri parte dalla consuetudine d’incontrare Cristo nell’eucaristia, dalla familiarità con lui?
- depose le vesti: quando dall’eucaristia passi alla vita sai deporre le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale per lasciarti guidare da un amore autentico verso gli altri? Oppure dopo l’eucaristia non sei capace di deporre le vesti del dominio e dell’arroganza per indossare quelle della semplicità, della povertà?
- si cinse un asciugatoio: è l’immagine della «chiesa del grembiule». Nella vita della tua famiglia, della tua comunità ecclesiale percorri la strada del servizio, della condivisione? Sei coinvolto direttamente nel servizio ai poveri e agli ultimi? Sai scorgere il volto di Cristo che chiede di essere servito, amato nei poveri?

Preghiera finale:
Affascinato dal modo con cui Gesù esprime il suo amore verso i suoi Origene così prega: Gesù, vieni, ho i piedi sporchi. Per me fatti servo, versa l’acqua nel bacile; vieni, lavami i piedi. Lo so, è temerario quel che ti dico, ma temo la minaccia delle tue parole: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Lavami dunque i piedi, perché abbia parte con te (Omelia 5 su Isaia).
E San Ambrogio preso da un desiderio ardente di corrispondere all’amore di Gesù, così si esprime: O mio signore Gesù, lasciami lavare i tuoi sacri piedi; te li sei sporcati da quando cammini nella mia anima... Ma dove prenderò l’acqua della fonte per lavarti i piedi? In mancanza di essa mi restano gli occhi per piangere: bagnando i tuoi piedi con le mie lacrime, fa’ che io stesso rimanga purificato (Trattato sulla penitenza).
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MessaggioTitolo: venerdì 22 aprile 2011   LECTIO - Pagina 6 EmptyVen Apr 22, 2011 9:47 am

VENERDÌ 22 APRILE 2011

VENERDÌ SANTO
PASSIONE DEL SIGNORE


La chiesa oggi non celebra l’Eucaristia ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l’atroce passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo della Croce. È così che potremmo trarne la più logica ed impegnativa conclusione: noi, responsabili in prima persona di quella morte, con i nostri peccati, re e Dio immerso nell’amore! L’adorazione che poi segue nell’altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiese spoglie e disadorne ci aiutano ulteriormente a comprendere da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall’altra l’attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza ed è il mattino di Pasqua. Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati tutti gli uomini. Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.

Raccogliamoci in preghiera: Vieni, tu refrigerio, delizia e nutrimento delle anime nostre. Vieni, e togli tutto quello che è di mio, e infondi in me solo quello che è tuo. Vieni, tu che sei nutrimento d’ogni casto pensiero, circolo d’ogni clemenza e cumulo d’ogni purità. Vieni e consuma in me tutto quello che è cagione che io non possa essere consumata da te. Vieni, o Spirito, che sei sempre col Padre e con lo Sposo, e riposati sopra le spose dello Sposo (S. Maria Maddalena de’ Pazzi, O.Carm., in La Probatione ii, 193-194).

Letture:
Is 52,13 - 53,12 (Egli è stato trafitto per le nostre colpe; quarto canto del Servo del Signore)
Sal 30 (Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito)
Eb 4,14-16; 5,7-9 (Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono)
Gv 18,1 -19,42 (Passione del Signore)

Silenti nell’attesa
La chiesa oggi ci conduce ai piedi della croce. Assume e realizza il mandato di predicare al mondo Cristo, e Cristo Crocifisso. L’umanità intera è invitata a prostrarsi, ad adorare il mistero, a comprendere, per quanto ci è dato dalla fede, l’immensità del dono e tutta la gravità del male. Siamo invitati a vedere con umana e divina sapienza la croce di Cristo, ma anche le nostre croci: oggi il confronto è urgente se non vogliamo restare schiacciati dai nostri pesi. Abbiamo bisogno di illuminare di luce divina le vicende più tristi della nostra umana esistenza. Sorbire la luce della croce significa dare un senso, scoprire le finalità arcane e rivelate della sofferenza che ci accompagna, significa andare oltre le umane considerazioni che sappiamo fare con la nostra limitata intelligenza sul dolore, sul dolore dell’innocente, sulle vittime dei giudizi e dei pregiudizi umani. Dobbiamo confrontare e sovrapporre le nostre croci a quelle di Cristo per scoprire che anche il dolore, la passione, la stessa morte può diventare fonte di vita e germe di immortalità e di risurrezione. Quella croce piantata sul monte è conficcata anche nella nostra carne, nel nostro cuore; prima di essere di Cristo è nostra quella croce, ma ora è diventata l’albero fecondo della vita. Privi di questa luce e di questo salutare confronto s’intristisce il nostro mondo, bruciano le foreste e si rimboschiscono di croci; il dolore riassume tutta la sua cruda ed assurda realtà, i crocifissi restano perennemente appesi a quelle croci, i crociati senza speranza restano chiusi nella morsa della morte, il mondo diventa un triste cimitero. Adorare la croce di Cristo vuol dire allora far rinascere la speranza, convincersi che il peso maggiore è già stato assunto volontariamente dal nostro redentore, vuol dire che le croci non hanno più il potere di schiacciarci e di configgerci e gli stessi sepolcri sono aperti per lasciarci liberi di tornare a Dio. Il venerdì santo, per antica tradizione è giorno di digiuno e di astinenza dalle carni. È lecito un solo pasto abbondante.
La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre. Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua. Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore. Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù. Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.
La celebrazione si svolge in tre momenti: Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunione eucaristica. In questo giorno la santa comunione ai fedeli viene distribuita soltanto durante la celebrazione della Passione del Signore; ai malati, che non possono prendere parte a questa celebrazione, si può portare la comunione in qualunque ora del giorno. Il sacerdote e il diacono indossano le vesti di color rosso, come per la Messa. Si recano poi all’altare e, fatta la debita riverenza, si prostrano a terra o, secondo l’opportunità, s’inginocchiano. Tutti, in silenzio, pregano per breve tempo.

Approfondimento del Vangelo (La Passione di Gesù secondo Giovanni)
Il testo: Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Perché s’adempisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa’, che era sommo sacerdote in quell’anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò legato a Caifa’, sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande». Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.

Chiave di lettura:
- Gesù padrone della sua sorte: Vorrei proporvi di raccoglierci con lo spirito di Maria, sotto la croce di Gesù. Lei, donna forte che ha colto tutto il significato di questo evento della passione e morte del Signore, ci aiuterà a volgere uno sguardo contemplativo sul crocifisso (Gv 19, 25–27). Ci troviamo nel capitolo 19 del vangelo di Giovanni, che apre con la scena della flagellazione e la coronazione di spine. Pilato presenta Gesù ai sommi sacerdoti e alle guardie: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” che gridano la sua morte in croce (Gv 19,6). Comincia così per Gesù il cammino della croce verso il Gòlgota, dove sarà crocifisso. Nel racconto della Passione secondo Giovanni, Gesù si rivela padrone di se stesso, controllando così tutto quello che gli succede. Il testo giovanneo abbonda di frasi che indicano a questa realtà teologica, di Gesù che offre la sua vita. Gli eventi della passione lui le subisce attivamente non passivamente. Portiamo qui solo alcuni esempi facendo enfasi su alcune frasi e parole. Il lettore ne può trovare altri: Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. Gesù replicò: “Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora” (Gv 19,5). A Pilato dice: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19,11). Anche sulla croce Gesù prende parte attiva alla sua morte, non si lascia uccidere come i ladroni ai quali vengono spezzate le gambe (Gv 19,31-33), ma consegna il suo spirito (Gv 19, 30). Molto importanti i dettagli portati dall’evangelista: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”.” (Gv 19,26-27). Queste parole semplici di Gesù portano il peso della rivelazione, parole con le quali, egli ci rivela la sua volontà: “ecco tuo figlio (v. 26); “ecco tua madre” (v. 27). Parole che ci rimandano a quelle pronunciate da Pilato sul litostrotos: “Ecco l’uomo” (Gv 19,5). Qui Gesù, dalla croce, suo trono, rivela la sua volontà e il suo amore per noi. Egli è l’agnello di Dio, il pastore che da la sua vita per le pecorelle. In quel momento, presso la croce, egli partorisce la Chiesa, rappresentata da Maria, sua sorella, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala con il discepolo amato (Gv 19,25).
- Discepoli amati e fedeli: Il quarto vangelo specifica che questi discepoli “stavano presso la croce” (Gv 19,25-26). Un dettaglio questo di significato profondo. Solo il quarto vangelo ci racconta che queste cinque persone stavano presso la croce. Gli altri evanġ elisti non specificano. Luca per esempio, racconta che tutti quelli che lo conobbero seguivano tutto da lontano (Lc 23,49). Pure Matteo riporta che molte donne seguivano da lontano questi eventi. Queste donne, avevano seguito Gesù fin dalla Galilea e lo servivano. Ma adesso lo seguivano da lontano (Mt 27,55–56). Marco come pure Matteo ci offre i nomi di quelli che seguivano la morte di Gesù da lontano. (Mc 15,40-41). Solo il quarto vangelo perciò, specifica che la madre di Gesù con le altre donne e il discepolo amato “stavano presso la croce”. Stavano li, come servi al loro re. Sono coraggiosamente presenti nel momento in cui Gesù dichiara che ormai “tutto è compiuto” (Gv 19,30). La madre di Gesù è presente all’ora che finalmente “è giunta”. Quell’ora preannunziata nelle nozze di Cana (Gv 2,1ss). Il quarto vangelo aveva notato anche in quel momento che “la madre di Gesù era là” (Gv 2,1). Perciò colui che rimane fedele al Signore nella sua sorte, egli è il discepolo amato. L’evangelista lascia in anonimato questo discepolo così ciascuno di noi potrà rispecchiarsi in lui che ha conosciuto i misteri del Signore, appoggiando il capo sul petto di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,25).

Domande e suggerimenti per orientare la meditazione e l’attualizzazione
- Leggi un’altra volta il brano del vangelo, e trova nella Bibbia tutti i testi citati nella chiave di lettura. Cerca di trovarne altri testi paralleli che ti aiutino a penetrare a fondo il testo in meditazione.
- Con il tuo spirito, aiutato dalla lettura orante del racconto giovanneo, visita i luoghi della Passione, fermati sul Calvario per cogliere con Maria e il discepolo amato l’evento della Passione.
- Che cosa ti colpisce di più?
- Quali sentimenti suscita in te questo racconto della Passione?
- Che significato ha per te il fatto che Gesù subisce attivamente la sua passione?

Preghiera finale: O Sapienza Eterna, o Bontà Infinita, Verità Ineffabile, scrutatore dei cuori, Dio Eterno, donaci di capire, tu che puoi, sai e vuoi! O Amoroso e Svenato Agnello, Cristo crocifisso, che fa’ che si adempisca in noi quel che tu dicesti: “Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). O lume indeficiente, del qual procedono tutti i lumi! O luce, per la quale fu fatto la luce, senza la quale ogni cosa è tenebre, con la quale ogni cosa è luce. Illumina, illumina, che illumina! E fa penetrare la volontà tutta a tutti gli autori e cooperatori che hai eletti in tal opera di rinnovazione. Gesù, Gesù amore, Gesù, trasformaci e conformaci a te. Increata Sapienza, Verbo Eterno, dolce Verità, tranquillo Amore, Gesù, Gesù Amor! (S. Maria Maddalena de’ Pazzi, O.Carm., in La Renovatione della Chiesa, 90-91).
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